Scroll Top

I santi segni. Romano Guardini, parte 17

S. Messa

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: «I santi segni. Romano Guardini, parte 17»
Lunedì 22 maggio 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

VANGELO (Gv 16, 29-33)

In quel tempo, dissero i discepoli a Gesù: «Ecco, ora parli apertamente e non più in modo velato. Ora sappiamo che tu sai tutto e non hai bisogno che alcuno t’interroghi. Per questo crediamo che sei uscito da Dio».
Rispose loro Gesù: «Adesso credete? Ecco, viene l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me.
Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a lunedì 22 maggio 2023. Oggi festeggiamo Santa Rita da Cascia, religiosa.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo sedicesimo del Vangelo di San Giovanni, versetti 29-33.

Continuiamo la nostra lettura del libro di Romano Guardini: I Santi Segni.

Oggi vediamo il segno de “La Fiamma”.

Leggiamo:

A sera avanzata te ne vai un giorno di autunno per la campagna. Intorno a te è buio e freddo. L’anima si sente tutta sola nella morta distesa. Il suo anelito di vivente cerca tutt’attorno qualcosa a cui possa appoggiarsi; ma nulla risponde. L’albero nudo, il sentiero freddo, la pianura vuota — tutto morto! Essa è l’unico essere vivente nel deserto circostante. Ma ecco irraggia d’un tratto, a una svolta della strada, un lume … Non ha esso chiamato? Quasi rispondendo al cercare ansioso dell’anima, come qualcosa di atteso, di famigliare?

Oppure tu siedi sul tardi nella stanza buia. Le pareti stanno grigie e indifferenti, gli oggetti muti. Ecco si avanza un passo ben noto; un’abile mano accende la stufa, un crepitìo s’alza di dentro, la fiamma lingueggia, e dalla porticina aperta una rossa fiamma investe la stanzetta, un tepore ristorante ne esce: come tutto è mutato, nevvero? Tutto ha riavuto anima. Come quando in un viso esangue si accende d’un tratto la vita di un sorriso.

Sì, il fuoco ha parentela con i viventi: è il simbolo più puro della nostra anima, è fervida vita. Immagine di tutto quello che noi vivendo sperimentiamo nel nostro intimo: caldo e luminoso, sempre in movimento, sempre proteso verso l’alto. Quando vediamo la fiamma senza posa lingueggiare, sensibile a ogni corrente d’aria, ma tenace nel mantenere la sua direzione verso l’alto, radiante di luce e generosa di calore, non sentiamo una profonda parentela con quell’elemento che in noi pure arde senza interruzione ed è luce e tende all’alto, nonostante venga respinto in basso tutt’attorno dalle potenze avverse? E quando vediamo come la fiamma investe, anima, trasfigura tutto l’ambiente; come assurge subito a centro vivente di tutto — là dove arde — non costituisce essa un’immagine della luce misteriosa che in noi è accesa in questo mondo per trasfigurare tutto e dargli una Patria? 

Sì, è così! Quale simbolo della vita interiore, arde in noi la fiamma dell’Anelante, dell’Illuminante, del Forte, dello Spirito? Dove incontriamo la fiamma, sentiamo attraverso il suo tremolio e la sua vampa come un discorso che ci rivolga una persona vivente. E se vogliamo esprimere la nostra vita, lasciar in qualche modo parlare la nostra vita, suscitiamo una fiamma. Così comprendiamo anche perché essa debba ardere là ove noi dovremmo sempre essere, dinanzi all’altare. Là noi dovremmo trovarci sempre in vigile adorazione, concentrando tutte le nostre energie vitali, tutta l’intelligenza e forza nostra nella vicinanza misteriosa e santa. Dio rivolto a noi e noi rivolti a Dio.

Così dovrebbe essere. E questo confessiamo accendendo là, all’altare, l’immagine e l’espressione della nostra vita, la fiamma. 

La fiamma là, nella lampada eterna — non ci hai ancora pensato? — Sei tu! Essa significa l’anima tua. Significa la tua anima … dovrebbe significare l’anima tua! Per sé solo, il lume terreno non dice naturalmente nulla a Dio. Tu devi elevarlo a espressione della tua vita protesa a Dio. Il santuario della santa vicinanza deve realmente essere il luogo in cui arde l’anima tua, dove essa è tutta vivente, tutta fiamma, tutta luce per Lui. Vi deve essere tanto a suo agio che la silenziosa fiamma, che si sprigiona là in alto dalla lampada, sia veramente espressione della tua vita intima.

Dirigi i tuoi sforzi in questo senso. Non è cosa semplice. Ma se tu riesci ad approssimarti a tale mèta, ben puoi dopo siffatti istanti di luminosa calma, riprendere tranquillamente la tua vita tra gli uomini. Poiché la fiamma ritorna al luogo della santa vicinanza e tu puoi dire a Dio: 

«Signore, questa è la mia anima. Essa è sempre presso di te».

Ho voluto leggervi per intero tutta questa parte sulla fiamma, perché mi sembrava veramente così bella che quasi era un dispiacere interrompere la lettura. 

Mi sembra che il senso sia veramente molto chiaro. 

Noi quando andiamo in chiesa vediamo che c’è la fiamma del cero del tabernacolo che arde. E cosa ci dice quella fiamma? Quel cero non dice niente in sé stesso. Il Signore non ha bisogno di quel fuocherello che arde, se non per il senso a cui rimanda. Quel cero è lì perché noi dovremmo essere sempre lì. Quel cero è lì a ricordarci quale sia il nostro posto, che è quello di trovarci sempre in vigile adorazione. “Concentrando tutto noi stessi nella vicinanza misteriosa e Santa del tabernacolo. Dio rivolto a noi e noi rivolti a Dio”.

“Lui mi guarda e io lo guardo”, ricordate il contadino? Così rispose al Santo Curato d’Ars che gli chiedeva: “Ma lei che viene qua tutti i giorni, che si mette qui, in fondo alla chiesa, cosa fa, che preghiere dice?” e lui risponde: “Lui mi guarda e io lo guardo”. Credo che non ci sia preghiera più bella, più semplice, più vera di questa, e forse proprio più gradita.

La fiamma, quindi, di quel cero — ci dice Guardini — è proprio l’immagine, l’espressione della nostra vita. Quindi sei tu! Sei tu la fiamma di quella lampada, di quel cero, è la tua anima, è la tua vita protesa a Dio. Quello è il luogo dove la tua anima arde, dov’è la tua anima è tutta piena di fiamma, è tutta piena di luce per Dio. Quella lampada, nella quale arde la fiamma, dovrebbe essere l’espressione della nostra vita intima.

Se noi viviamo così quando entriamo in chiesa e se stiamo davanti al tabernacolo con questi pensieri, Guardini ci dice che dopo, possiamo tranquillamente riprendere la nostra vita nel mondo. Perché uscendo possiamo dire: “Signore, questa è la mia anima. Essa è sempre presso di te”. Possiamo proprio dire al Signore: “Io me ne vado, ma la mia anima è lì, lì dove c’è il cero” — “Io la lascio lì”, per intenderci — nel senso che la mia anima vuole essere sempre presso di Lui.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

Post Correlati