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La messe è abbondante, ma gli operai sono pochi

Raccolta del grano

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di lunedì 18 ottobre 2021

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

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La messe è abbondante, ma gli operai sono pochi

Eccoci giunti a lunedì 18 ottobre 2021. Festeggiamo oggi San Luca Evangelista, quindi auguri a tutti coloro che si chiamano Luca.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi tratto dal capitolo X di San Luca, versetti 01-09. 

É proprio in questo giorno di festa, è proprio in questa occasione del Vangelo dove Gesù parla di questa messe abbondante, di questi operai che devono lavorare nella sua messe, di come li manda, di cosa devono portare, di come si devono comportare questi 72 che Lui invia, ebbene in questo giorno di San Luca Evangelista desidero iniziare a leggere con voi, — andremo avanti qualche giorno — una Lectio Divina del Santo Padre Benedetto XVI tenuta nell’Aula della Benedizione giovedì 10 marzo 2011, nell’incontro che il Santo Padre fece con i parroci della Diocesi di Roma. Visto che adesso siamo nel 2021, è passato qualche anno.

Leggiamo questa Lectio Divina, perché credo che avremo tutti tanto da imparare. Leggo il testo:

“Eminenza,
Eccellenze e cari fratelli,

è per me una grande gioia essere ogni anno, all’inizio della Quaresima, con voi – il Clero di Roma – e cominciare con voi il cammino pasquale della Chiesa. Vorrei ringraziare Sua Eminenza per le belle parole che mi ha donato, ringraziare voi tutti per il lavoro che fate per questa Chiesa di Roma, che – secondo sant’Ignazio – presiede la carità, e dovrebbe essere sempre anche esemplare nella sua fede. Facciamo insieme tutto il possibile perché questa Chiesa di Roma risponda alla sua vocazione e perché noi, in questa “Vigna del Signore”, siamo lavoratori fedeli.”

Il Vangelo di oggi: la messe è molta.

“Abbiamo ascoltato questo brano degli Atti degli Apostoli (20,17-38), nel quale san Paolo parla ai presbiteri di Efeso, raccontato volutamente da san Luca come testamento dell’Apostolo, come discorso destinato non solo ai presbiteri di Efeso, ma ai presbiteri di ogni tempo. San Paolo parla non solo con coloro che erano presenti in quel luogo, egli parla realmente con noi. Cerchiamo quindi di capire un po’ quanto dice a noi, in quest’ora.”

Prosegue:

“Comincio: “Voi sapete come mi sono comportato con voi per tutto questo tempo” (v. 18) e su questo suo comportamento per tutto il tempo, san Paolo dice, alla fine, che “notte e giorno, io non ho cessato… di ammonire ciascuno di voi” (v. 31). Ciò vuol dire: in tutto questo tempo egli era annunciatore, messaggero, ambasciatore di Cristo per loro; era sacerdote per loro. In un certo senso, si potrebbe dire che era un prete lavoratore, perché – come dice anche in questo brano – egli ha lavorato con le sue mani come tessitore di tende per non pesare sui loro beni, per essere libero, per lasciarli liberi. Ma benché avesse lavorato con le sue mani, tuttavia in tutto questo tempo egli era sacerdote, per tutto il tempo egli ha ammonito. In altre parole, anche se non tutto il tempo era esteriormente a disposizione della predicazione, il suo cuore e la sua anima erano sempre presenti per loro; egli era penetrato dalla Parola di Dio, dalla sua missione. Questo mi sembra un punto molto importante: prete non lo si è a tempo solo parziale; lo si è sempre, con tutta l’anima, con tutto il nostro cuore. Questo essere con Cristo ed essere ambasciatore di Cristo, questo essere per gli altri, è una missione che penetra il nostro essere e deve sempre più penetrare nella totalità del nostro essere.”

Tipico stile di Papa Benedetto XVI: quando poi inizia ad affondare nel percorso teologico, Papa Benedetto affonda con una precisione e un rigore difficilmente imitabili.

Cosa ci dice il Papa? Il Papa, commentando San Paolo, ci dice che San Paolo, in tutto il suo tempo è stato annunciatore, messaggero, ambasciatore di Cristo per la gente, era Sacerdote per loro, cioè: “Vengo ordinato Sacerdote per il popolo di Dio, per la gente”. 

E dice che era un prete lavoratore, nel senso che ha lavorato anche con le sue mani, faceva il tessitore di tende per non essere di aggravio sugli altri. Faceva questo lavoro per essere libero da quel legame che nasce dalla riconoscenza del dono ricevuto, perché è chiaro che se devo dire “grazie” a qualcuno, probabilmente sono un po’ meno libero di essere e di parlare che  non se ho un mio lavoro e mi porto a casa i miei soldini e sono autonomo, e lascio liberi gli altri, perché ovviamente mi arrangio io. Infatti, San Paolo dice di non avere nessun debito con alcuno.

Tuttavia — precisa immediatamente il Papa — anche se era un prete lavoratore, in tutto questo tempo del suo lavorare, lui è sempre stato un Sacerdote, infatti per tutto questo tempo lui non ha cessato di ammonire. Era sempre a disposizione della predicazione, il suo cuore e la sua anima erano sempre presenti per la gente, questa è una cosa importantissima, non è che siccome lui era tessitore di tende allora quando faceva le tende lui cessava di essere Sacerdote, no, tutt’altro, lui faceva le tende ma era costantemente Sacerdote.

Perché? Perché lui era penetrato dalla Parola di Dio, dalla sua missione sacerdotale. E il Papa dice:

“Prete non lo si è a tempo solo parziale; lo si è sempre, con tutta l’anima, con tutto il nostro cuore.”

Quando uno è prete, è prete sempre, ed è prete per sempre, ogni cosa che fa, la fa da Sacerdote.

“Questo essere con Cristo”

Questa unione conformante a Gesù.

 “ed essere ambasciatore di Cristo, questo essere per gli altri, è una missione che penetra il nostro essere e deve sempre più penetrare nella totalità del nostro essere.”

Vedete che qui cominciano ad emergere i tratti meravigliosi della figura sacerdotale.

Prosegue:

“Poi san Paolo dice: “Ho servito il Signore con tutta umiltà” (v. 19). “Servito”: una parola chiave di tutto il Vangelo. Cristo stesso dice: Non sono venuto per dominare, ma per servire (cfr Mt 20,28). E’ il Servitore di Dio, e Paolo e gli Apostoli continuano ad essere “servitori”; non padroni della fede, ma servitori della vostra gioia, dice san Paolo nella Seconda Lettera ai Corinzi (cfr 1,24).”

Non padroni della fede, ma servitori della vostra gioia, bellissima espressione, un Sacerdote è chiamato a servire la vera gioia agli altri.

“Servire”, questo deve essere anche per noi determinante: siamo servitori. E servire vuol dire non fare quanto io mi propongo, quanto sarebbe per me la cosa più simpatica; servire vuol dire lasciarmi imporre il peso del Signore, il giogo del Signore; servire vuol dire non andare secondo le mie preferenze, le mie priorità, ma lasciarmi realmente “prendere in servizio” per l’altro.”

Servire non è: “Io servo come piace a me, dove piace a me e a chi piace a me”, ma io servo e punto, non so oggi il giogo del Signore chi mi chiamerà a servire e come mi chiamerà a servirlo.

Uno pensa: “Io divento Sacerdote e mi dedicherò al servizio di tutti i bambini orfani”, magari il Signore ti chiama a servire i malati di Aids. 

Vi ricordate quando vi raccontai del mio primo giorno di servizio in carcere? Ero studente di teologia. Il primo giorno il cappellano radunò me e i seminaristi — eravamo cinque forse — per destinarci ai vari servizi in carcere. Ognuno di noi doveva svolgere una mansione di aiuto al cappellano nei vari raggi del carcere. Mentre il cappellano era in Cappella, forse a pregare e a preparare la lista delle sue decisioni da comunicarci, io ero lì con i seminaristi e mi ricordo che dicevo: “Guardate, vado ovunque, che mi mandi ovunque, non ho preferenze, va bene tutto, ma non dai malati. Assolutamente non al centro clinico”.

Mi ricordo questa cosa che dissi ai seminaristi che avevo lì davanti: “Io lì proprio non ce la faccio, tutto ma non i malati”.

Voi direte, perché? Ma perché ero tanto giovane e non sopportavo di avere a che fare con la malattia, mi sembrava già abbastanza pesante avere a che fare con un detenuto — e infatti è già abbastanza intensa come esperienza — a questo sommare anche la malattia, quindi un detenuto malato, non me la sentivo, avevo 23-24 anni. Non me la sentivo francamente, non mi sentivo in grado di poter svolgere questa cosa. E quindi dissi: “No, i malati, no”.

Anche perché avevo anche paura, adesso sorrido, ma a quel tempo non sorridevo assolutamente, avevo paura di tutto quello che poteva essere la malattia in carcere. 

E poi successe che il cappellano uscì dalla Cappella, noi eravamo lì riuniti e disse: “Vi comunico i vostri compiti per questo nuovo anno”. Eravamo tutti alla prima esperienza, eravamo tutti matricole, diciamo così. 

Distribuì i primi seminaristi, poi mi guardò e mi disse: “Fra Giorgio — non ero Sacerdote ancora — tu andrai al Centro Clinico dai malati”. 

Ho detto fra me: “Noo. Noo ti prego questo noo”. Non l’ho detto a lui, ma i seminaristi si sono messi a ridere perché sapevano che cosa avevo detto tre secondi prima. 

E ho detto: “Va bene”.

E lui disse: “Accompagniamo tutti fra Giorgio adesso”.

Mi sono detto: “Ma perché devono accompagnare tutti proprio me? Abbiamo tutti ricevuto l’incarico, che strano, perché non ha detto: accompagniamo i seminaristi nel loro nuovo incarico?”

Il perché l’ho scoperto subito. I seminaristi, tutto quello che dovevano fare, lo facevano insieme, non venivano dispersi, stavano insieme nell’ufficio del cappellano con il cappellano, stavano tutti uniti, chiamavano i detenuti, i detenuti venivano portati lì, facevano la catechesi lì, facevano i colloqui ma stavano lì, fermi lì. E invece ho scoperto che per me la storia era diversa. 

Quindi mi prendono, mi portano all’inizio del carcere, perché il Centro Clinico stava, e credo che stia ancora adesso, all’inizio del carcere, è il raggio n.1, noi eravamo alla rotonda, quindi molto più in là, dove c’è lo smistamento di tutti i raggi, arriviamo lì… mi sembrava un film: questi vetroni, queste mura bianche alte, un freddo che non vi dico. 

Arrivo con loro, guardo, alla mia sinistra c’era una sfilza di celle, veniva fuori un odore terribile dal piano terra, una roba veramente terribile, ma al momento non mi venne detto chi stava al piano terra, e poi avevo due piani. Il cappellano dice: “Venite ragazzi, adesso andiamo a vedere fra Giorgio dove farà la sua catechesi”. Sto per salire le scale, mi vedo uno che mi viene incontro con un secchio rosso in mano, di corsa, io grazie al cielo mi sono spostato: era pieno di vomito. 

Ho detto: “Non è possibile! Io non potrò mai farcela a stare qui. Non è possibile”

Al cappellano ho detto: “Ma io non sono adatto per questo compito”.

“Su, su, vieni, vieni”. Mi portò su, mi fece vedere il primo piano, il secondo e mi portò dove c’erano le suore — perché al Centro clinico c’erano le suore, forse ci sono ancora adesso, non lo so — lì facevano anche le operazioni. Queste suore furono carinissime, mi hanno visto, probabilmente hanno avuto pietà di me, dovevo essere bianco con un lenzuolo, terrorizzato come non si dire che cosa. Il cappellano mi fece vedere i detenuti, anche loro furono carinissimi — un giorno vi racconterò cosa mi dissero in questa prima occasione — mi fece vedere la Cappellina, mi fece vedere dove io dovevo fare le catechesi, dove si celebrava la Messa, dove io dovevo incontrare i detenuti. Le suore mi hanno accolto, poi siamo ridiscesi e lui mi disse: “Ecco qui, al piano zero, questo è il reparto psichiatrico, si chiama Comp, qui stanno i malati psichiatrici, cioè i detenuti psichiatrici”.

Ho detto fra me: “Non è possibile, non è possibile a me questa cosa”.

I seminaristi erano più bianchi di me, perché ovviamente nessuno si immaginava una cosa del genere. A quel punto lui si gira e mi dice: “Ecco, la differenza tra i seminaristi e te, sta nel fatto che tu starai qui da solo tutto il tempo”.

Io l’ho guardato e ho detto: “Sta scherzando?”

“No, no, ma ci sono le suore!”

“Ho capito! Ma voglio dire, ma stiamo scherzando? Io ho 23 anni, qui da solo?! A fare che cosa? Ma in che senso?”

“Niente, tu vieni qui, arrivi per le 13.30 del sabato e della domenica, fai la tua catechesi, ricevi tutti i tuoi detenuti, poi per le 19/19.30 puoi uscire”

“Cosa?!?!”. Mi sono detto: “No, ma questo non sta succedendo a me”.

“Ma stai tranquillo, non succederà niente, noi tanto se hai bisogno siamo là in ufficio”.

“Ho capito! Devo prendere il treno per arrivare fino là! Ho bisogno dell’elicottero per arrivare dove siete voi, devo attraversare cinque cancelli! Ora che arrivo là, che senso di conforto e di vicinanza ho? Siamo a cinque raggi di differenza! Di cosa stiamo parlando?”

Non c’è stato niente da fare. 

Mi ha detto: “Tu comincia, vediamo, magari non è per tutto l’anno”. 

No, infatti, sono rimasto lì 6 anni! Non è per tutto l’anno ma è per 6 anni. Ho fatto 6 anni lì, dritti come un fuso, senza interruzione. 

Loro sono andati, io con il mio borsello — immaginatevi la scena — sono rimasto lì, in mezzo al corridoio, in mezzo ai vetri, ho detto: “Va bè, cominciamo. Non so neanche da che parte, però qualche Santo mi aiuterà ad andare avanti e a inventarmi qualcosa qui dentro”.

Papa Benedetto ha ragione, io avevo in mente  tutt’altro, sono andato in carcere e avevo in mente tutt’altro. Poi non è finita lì, perché in questi 6 anni sono stato destinato anche altrove, in quelle 7 ore, in quelle 14 ore in due giorni, sono stato destinato anche ad altro — poi vi racconterò un giorno — che forse era anche peggio di dove ero, ma io non avevo in mente niente, avevo in mente altro, ovviamente di essere là con loro, stare là, fare la catechesi con loro, avere la mia cappellina bella calda, ricevere in ufficio i detenuti… mi ero costruito nella mia testa tutto il mio piccolo mondo ovattato, che immancabilmente si è frantumato sullo scoglio della Volontà di Dio. 

6 anni bellissimi! Durissimi e bellissimi. Quello che il Signore mi ha dato in quei 6 anni, quello che ho potuto vedere, ascoltare, vivere in quei 6 anni, io non lo dimenticherò mai più. 

Certo, se mi fossi opposto, avrei potuto farlo, avrei potuto dire: “No! Questo no! Io qui da solo no! A 23 anni posso dire no, non mi sento di rimanere qui da solo con due piani di carcerati malati, un reparto intero di malati psichiatrici. Da solo! Non a 23 anni!”. Ero in prima e seconda teologia. Ma stiamo scherzando?

Vedete, io avevo un po’ intuito — e passando il tempo ho sempre di più intuito, e intuisco, non dico che ho capito perché capire sarebbe già tanto, ma almeno intuire — che bisogna fidarsi della Volontà del Signore, anche quando sembra veramente assurda, anche quando sembra impossibile, infattibile, disumana. Bisogna lasciarsi condurre, portare. 

Da quel Centro clinico non me ne sarei mai andato, mai più, mi sono profondamente innamorato di quel luogo, ho ricevuto delle grazie incredibili da questi detenuti, che mi hanno praticamente accompagnato al Sacerdozio, mi hanno insegnato che cosa vuol dire veramente il Signore, e adesso, a distanza di vent’anni, se non di più, adesso quando ne parlo mi vengono ancora i brividi, perché ha ragione Papa Benedetto:

“Servire vuol dire non andare secondo le mie preferenze, le mie priorità, ma lasciarmi realmente “prendere in servizio” per l’altro.”

È vero. È verissimo. È dura, lo capisco, quando voi mi dite: “Ma Padre, fare la Volontà di Dio è difficile”. 

Guardate, è difficilissimo, è dura fare la Volontà di Dio. Quando dopo 6 anni mi fu detto: “Adesso basta con il carcere”, immaginatevi, mi si è rotto il cuore, quei volti, tutte quelle esperienze, tutti quei nomi, i miei diari, i miei quaderni dove avevo registrato tutti i loro nomi, tutto quello che avevo fatto in quei 6 anni, che poi questa del Centro Clinico è una parte del mio lavoro, perché poi c’è stata tutta un’altra  parte, al sesto raggio, al secondo piano, un altro mondo tremendo. Quando mi fu detto “basta”, e li andai a salutare, mi ricordo che mi fu detto: “Il tuo servizio si conclude qui, da quest’anno ti occuperai dei giovani”

Immaginatevi, io venivo dal carcere, dal carcere un po’ estremo (non erano proprio i colloqui più sereni del mondo) venivo dalle zone del carcere un po’ più estreme e dovevo andare a fare la catechesi ai giovani della alta società, diciamo così, perché il nostro convento era collocato in una zona di gente che stava bene. Mi ricordo che la prima sera che sono sceso per andare a fare questa catechesi, me lo ricordo come se fosse oggi, prima di entrare in oratorio mi sono appoggiato ad una colonna di pietra del convento, era un po’ buio, ho guardato il cielo e sono scoppiato a piangere, ho detto: “No, Gesù, ti prego! Non me la sento proprio di andare qui, perché mi hai portato via dal carcere?” Ma anche lì, mi sono detto: “Giorgio, è la Volontà di Dio, bisogna farla”, e quindi mi sono asciugato e sono entrato.

Siamo partiti, erano 12 ragazzi e ragazze in tutto, dopo due anni eravamo 42, un’esperienza bellissima anche quella, stupenda, dei ragazzi meravigliosi, anche lì delle amicizie bellissime. Sono stati proprio loro che poi sono venuti alla mia Ordinazione Sacerdotale, alla mia prima Messa. Dei ricordi stupendi, abbiamo vissuto giorni meravigliosi, vuol dire prendere servizio per l’altro, è vero quello che dice il Papa, ma è altrettanto vero che è difficile, umanante è molto difficile, e bisogna essere forti, dobbiamo farci forza a vicenda e dire: “Adesso ti sembra di vedere il buio a fare la Volontà di Dio, ma guarda che la volontà di Dio è sempre luce, sempre”.

Vedete, il Papa scrive:

 “Questo vuol dire che anche noi dobbiamo fare spesso cose che non appaiono immediatamente spirituali e che non rispondono sempre alle nostre scelte.”

È vero. Io dicevo: “Ma io, frate, cosa sono qui a fare con questi malati? Ma io cos’è che posso fare? Cosa gli posso dire? Con i malati psichiatrici, di cosa gli vado a parlare?” Mi sembrava di buttare via la mia vita. 

“Con questi ragazzi dell’alta società io cosa vado a dire, che hanno tutto? Figurati se vengono ad ascoltare me!”

Prosegue il Papa:

“Dobbiamo fare tutti, dal Papa fino all’ultimo vice parroco, lavori di amministrazione, lavori temporali; tuttavia lo facciamo come servizio, come parte di quanto il Signore ci impone nella Chiesa e facciamo quanto la Chiesa ci dice e quanto si aspetta da noi.”

Certo, perché poi quando devi chiamare gli assistenti sociali, gli educatori, gli psicologi, parlare con le guardie, andare dal direttore, ti sembra che… e invece no, è servizio. 

Quando devi assistere tuo figlio, quando devi ascoltare tua figlia, quando devo consolare tua moglie, quando devi stare vicina a tuo marito… “Ma io sto buttando via il tempo”. No, stai facendo servizio.

“E’ importante questo aspetto concreto del servizio, che non scegliamo noi cosa fare, ma siamo servitori di Cristo nella Chiesa e lavoriamo come la Chiesa ci dice, dove la Chiesa ci chiama, e cerchiamo di essere proprio così: servitori che non fanno la propria volontà, ma la volontà del Signore. Nella Chiesa siamo realmente ambasciatori di Cristo e servitori del Vangelo.”

Capite, il fulcro di tutto è non fare la mia volontà, ma la Volontà del Signore, che, di norma, non è mai quello che voglio io, non è mi come piace a me.

Ecco, siamo arrivati già a 31 minuti, mi fermo qui. Vorrei leggerla un po’ con voi questa Lettera, perché è veramente bella, veramente è una Lettera proprio bella, è del 2011 ma mi sembra proprio che sia valida in ogni tempo. Ancora auguri a tutti i Luca, e chiedo proprio su ciascuno di voi la benedizione del Signore.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus. Amen. 

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga. 

Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato.

 

 

VANGELO (Lc 10, 1-9)

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”».

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