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La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia, di S. Pietro Giuliano Eymard. Parte 2

La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia, di S. Pietro Giuliano Eymard

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di giovedì 2 giugno 2022

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia, di S. Pietro Giuliano Eymard. Parte 2

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a giovedì 2 giugno 2022.

Ecco, oggi è il primo giovedì del mese, e quindi, come già vi ho detto ogni mese, vi ripeto ancora che consiglio a tutti di ascoltare la richiesta di Gesù fatta alla Beata Alexandrina Maria da Costa, nella quale Gesù chiede la pratica dei “Primi sei giovedì del mese”, con la promessa fatta il 25 febbraio del 1949:

Figlia Mia, fa’ che Io sia amato, consolato e riparato nella Mia Eucaristia. Fa sapere in Mio Nome che:

A quanti faranno bene la Santa Comunione, con sincera umiltà, fervore e amore per i primi sei giovedì consecutivi e passeranno un’ora di adorazione davanti al Mio tabernacolo in intima unione con Me, prometto il Cielo.

Di’ che onorino attraverso l’Eucaristia le Mie Sante Piaghe, onorando per prima quella della Mia Sacra Spalla, così poco ricordata.

Chi al ricordo delle Mie Piaghe unirà quello dei dolori della Mia Madre benedetta e per loro Ci chiederà grazie spirituali o corporali, ha la Mia promessa che saranno accordate, a meno che non siano di danno per la loro anima. Nel momento della loro morte condurrò con Me la Mia Santissima Madre per difenderli”.

Quindi, come sempre, lo ricordiamo.

 

Quest’oggi, il Vangelo che abbiamo letto è di San Giovanni, capitolo XVII, versetti 20-26.

Adesso proseguiamo la nostra bellissima e affascinante lettura del testo di San Pietro Giuliano Eymard.

Stiamo facendo questi Esercizi Spirituali e abbiamo visto ieri che “non la solitudine fa i santi, ma la volontà: il demonio abita gli eremi come le grandi città”.

Quindi, la solitudine è importante, come abbiamo visto in tutti i Santi che abbiamo affrontato fino ad adesso e come vedremo anche in San Pietro Giuliano Eymard, ma non è sufficiente, ovviamente.

La solitudine è fondamentale, è fondamentale quella solitudine del cuore, che vuol dire innanzitutto libertà, ed è per tutti, non solamente per chi fa il monaco.

Quindi, la solitudine è fondamentale come libertà da tutto e da tutti, come assenza di legami soffocanti e morbosi, come assenza di dipendenze psicologiche e ricatti affettivi, come spazio dato interamente e primariamente a Dio, e via di seguito… con tutte le definizioni che abbiamo già dato di solitudine.

Questo è fondamentale,  però non è sufficiente, perché serve la volontà. Perciò, se vuoi farti santo, innanzitutto lo devi volere.

Eravamo arrivati qui.

San Pietro Giuliano Eymard adesso dice: «Cosa bisogna fare, allora? Qual è la soluzione?»

La soluzione è la guerra…

“Che fare allora? La guerra! Non dite più: Se fossi qua, se fossi là; no! da per tutto voi siete a voi stesso il più crudele nemico. Del resto la pace non consiste nel non patire tentazioni, ma nel non offendere Dio”.

Qualcuno, qualche volta, esce con questa espressione infelice: «Eh beati voi, che siete in convento, lontani dal mondo! Se anche io fossi un monaco (o una monaca), se anche io fossi in un monastero, se…»

Non cambierebbe niente. Non cambierebbe assolutamente niente!

Perché?

Perché il nostro più crudele nemico, come ci dice San Pietro Giuliano, siamo noi, e noi siamo sempre noi, ovunque andiamo.

Che io abbia dodici figli, che io viva in un eremo, non cambia niente, dal punto di vista della guerra di cui sta parlando San Pietro Giuliano. Non cambia niente, perché io devo lottare contro me stesso.

Quindi, vedete, è una assurdità dire: «Se fossi qui… Se fossi là…»

Poi, non scandalizziamoci per le tentazioni. Le tentazioni ci sono.

Vi dico il bellissimo motto che mi insegnò il mio Padre spirituale. Lui, invece di ripetere il detto: “L’occasione fa l’uomo ‘ladro’”, diceva: “L’occasione fa l’uomo ‘santo’”.

Questo vuol dire, non che dobbiamo cercare le occasioni, ovviamente, ma vuol dire che l’occasione, la tentazione, nella quale io posso essere messo (sempre che non l’abbia cercata), non è un peccato; è un peccato,  se io dico “Sì”. Quello è un altro discorso, perché è entrata in gioco la volontà, di cui abbiamo parlato poc’anzi.

“Oh quale miseria! Che cosa siamo dunque noi, mio Dio? E talvolta cerchiamo argomenti di umiliazione! ci lamentiamo di non trovarne! Umiliatevi nel vostro fango; nulla è più basso, né più spregevole di voi, neppure gli animali più schifosi: almeno essi non si degradano da se medesimi. Voi cercate motivi da umiliarvi? Davvero? Ma i vostri peccati, la vostra natura di peccato, sono già sufficienti per meritarvi i castighi eterni; voi dovreste essere scacciati dalla presenza di Dio e dall’assemblea dei santi. Come? È possibile? Eh! certo: il peccato è una lebbra; ora i lebbrosi sono respinti dalla società degli uomini”.

Vedete?

Il ragionamento non fa una grinza.

Dopo, a noi, queste parole sembrano fuori dal tempo, dal mondo, dal luogo, da tutto, ma, in realtà, sono semplicemente parole di un uomo logico.

Siccome il peccato è lebbra (peggio della lebbra) e coloro che erano lebbrosi non potevano stare insieme ai sani, per questo lui dice che i peccatori dovrebbero essere cacciati dalla presenza di Dio. Nella misura in cui io sono peccatore (lebbroso) e non mi pento, e non vado a chiedere perdono, sono morto (sono in peccato mortale). Per questo i peccati mortali vanno confessati il prima possibile.

Anche quando dice: «Siete più spregevoli, neppure gli animali più schifosi sono come voi», qual è la ragione?

È che essi (gli animali più schifosi) non si degradano da se medesimi, mentre io, con il mio peccato, con la mia volontà, sono in grado di degradarmi da solo. Gli animali queste cose non le fanno, perché non hanno il libero arbitrio, quindi loro non scelgono di degradarsi.

 Ad esempio, il gatto, il cagnolino, il canarino, il cocorito, i miei pappagalli, non possono fare i peccati, perché non hanno il libero arbitrio per dire: «Io voglio peccare», non hanno la coscienza. Capite?

È presto fatto.

“II. – Ma a qual punto mi trovo io nel male?”

Ecco la domanda!

“Ecco quel che bisogna precisare durante gli Esercizi”.

Dovremmo chiedercelo: «Ma io, a che punto mi ritrovo nel male? Io dove sto, rispetto al male?»

“Sono io in istato di grazia, libero da ogni peccato mortale? Quali peccati veniali ho commesso? Quali ritengo per affetto?”

Cioè, quali tengo per me? E poi dico: «No, no… voglio curarmi tutto tranne questo, perché questo peccato mi piace e ci sono attaccato. Non voglio liberarmi da questo peccato, perché non ci riesco, perché sono fragile, perché sono debole, perché sono ferito…»

La solita trilogia del fallito, no?

Questa è la trilogia del fallito: «Sono debole, sono fragile, sono ferito… e quindi non ho responsabilità, posso fare tutto quello che voglio, tanto sono debole, sono fragile, sono ferito…»

Questa, diventa, quindi, un’autoassoluzione costante, una deresponsabilizzazione costante… e la vita non ha più senso, non ha più valore, perché tanto: «Sono debole, sono fragile, sono ferito…», continua sempre così.

Invece, San Pier Giuliano Eymard dice: «Attenzione: è importante che tu ti poni la questione, perché non c’entra il tuo essere debole, fragile e ferito, ma c’entra la tua volontà».

E se tu ritieni per affetto un peccato, vuol dire che tu a quel peccato sei legato, e questo è un problema.

“Le mie confessioni non furono rese inutili per la mancanza di contrizione?”

Eh… questa è una domanda tosta… questa è una domanda tosta…

Se io non sono veramente pentito, la mia confessione è valida o no?

No! Non è valida.

Il pentimento dei propri peccati è fondamentale, se no è una presa in giro.

Non posso andare a chiedere perdono a qualcuno di qualcosa, di cui non sono veramente pentito, se no lo sto prendendo in giro!

San Giovanni Maria Vianney diceva che bisogna impiegare più tempo a far maturare nella coscienza la contrizione del peccato, che non a cercare i propri peccati. Interessante questa riflessione…

Io posso avere davanti agli occhi tutti i peccati che ho fatto, tutti, ma, se non sono pentito, a cosa mi serve?

Eh, capite?

“Ma non ho che peccati veniali, e il peccato veniale non uccide”.

Questa è un’altra frase che si sente, che è vera.

“È vero, le piccole piaghe non uccidono; ma aspettate l’occasione, e vedrete se esse non saranno la causa della vostra morte”.

Facciamo finta che voi abbiate una piaghetta, proprio piccolina, sul tallone del piede, o  (è un’espressione assolutamente gergale, ma così ci capiamo) una di quelle terribili ragadi che vengono sulle dita, quei taglietti (avete presente?) che si formano sulle dita vicino alle unghie, che fanno un male terribile, proprio terribile, oppure alle labbra (in questo caso, ai lati delle labbra, è indice di mancanza di ferro, ma comunque, vabbè, non è il mio campo, e quindi non voglio entrare in ciò che non mi compete), o su un dito del piede, insomma, cose piccolissime… voi, provate a non curarle!

Provate a dire: «Ma sì, vabbè, è una piaghetta…», vedete cosa succede!

Avrete modo di “gustare” cosa accade…

Poi, magari, uno vi dice: «Ma cosa vuoi che sia? Non hai perso una gamba? Non hai dentro una trave! È solo una piaghetta…»

Quando ero piccolino, io mi ricordo che, non so perché (evidentemente ero un pasticcione), un giorno sì, e l’altro pure, avevo una spina nella mano. So che andavo a casa e avevo sempre queste spine nelle mani, e quindi dovevano stare lì a togliermi questa spina, era piccolissima… ma che male! Che dolore!

Chissà, forse Gesù mi stava allenando per quando sarei diventato Prete, come a dirmi: «Giorgio, stai attento, guarda che i peccati veniali non sono proprio così irrilevanti…»

“Foste anche regolare nei vostri esercizi di comunità, veniste come gli altri all’adorazione e al divin uffìzio, se vi portate la coscienza aggravata, siete paralizzato, non ne cavate profitto”.

Sì, noi dobbiamo imparare a confessarci e a chiedere perdono a Dio con grande frequenza, ve l’ho detto, ve lo ripeto, e ve lo ripeterò all’infinito.

La pratica dei “Quindici venerdì”, di Don Tomaselli, sicuramente aiuta, perché è richiesta la Confessione settimanale, preferibilmente il venerdì (non è obbligatorio, comunque intorno a quel giorno lì, però settimanale sì, se no non c’è la pratica dei “Quindici venerdì”), e quindi, se uno la fa, impara a gustare la Confessione settimanale, e capisce che non ha molto senso andare davanti a Gesù Eucarestia e avere la coscienza sporca.

Non è bello… anzi, è inutile, non ne cavate alcun profitto.

“Ma io spero di non essere a questo punto; tutt’al più ne ho un dubbio. Uscite da questo dubbio, schiarite il vostro affare: non basta sperare, bisogna essere sicuri”.

Quante volte si dice: «Eh… speriamo…»

No, no! Che, “speriamo”?!

Non è un mistero magico eh… è una cosa che si può scoprire, non è riservata a pochi eletti: tutti possono sapere in quale stato versa la propria coscienza.

“Saprete la verità esaminandovi seriamente, al lume della grazia; poi con la confessione e la decisione del vostro confessore”.

Quindi, impara a fare un esame di coscienza fatto bene!

Ogni giorno.

L’esame di coscienza non è una seduta psicanalitica, l’esame di coscienza si fa davanti al Santissimo, si fa davanti al tabernacolo, si fa davanti al Crocifisso, è lì che si impara a fare l’esame di coscienza.

Non lo faccio così, come capita…

“Non stiamo abbastanza in guardia per non famigliarizzarci con i nostri difetti. Dinanzi a Dio bisogna sempre essere nuovi e non abituarsi a nulla”

Parole sante!

Purtroppo, noi, con una certa celerità e anche piacere, facciamo amicizia con i nostri difetti, diciamo: «Ma sì, vabbè… ma sì, vabbè… non esageriamo adesso, non sono mica perfetto».

Appunto, questo è il problema!

Tu ti sei adagiato sull’idea che i tuoi difetti vanno anche bene, quindi ti adegui al tuo male, perché sarebbe troppo pesante continuare a combatterlo, e poi temi che ti verrebbe la depressione, perché dovresti continuamente registrare dei fallimenti… eh sì, ma questa è la vita.

Siccome non voglio registrare i fallimenti, allora, invece di cambiare in meglio, cambio in peggio… è intelligente, molto intelligente questo modo di fare!

E non dimentichiamoci che (verissima questa frase) “dinanzi a Dio bisogna sempre essere nuovi”.

Non possiamo abituarci, è un cambiamento continuo stare davanti a Dio.

“Lo so che presto ci abituiamo a vivere in un’atmosfera di santità, e diveniamo facilmente inutili nello stato di maggior perfezione”.

Ci si abitua alla santità.

Sì, perché, dopo, uno dice: «Sì vabbè… a me va bene così e io vado avanti così».

“Oh, come bisogna vigilare per non essere che un sepolcro imbiancato! È molto più facile, quando non si è nulla affatto interiormente, comparire perfetto esteriormente, che non comparirlo all’esterno quando si è santi all’interno. Quelli che sono applicati al di dentro non fanno grande attenzione a certe miserie esteriori che loro restano: Dio permette che rimangano per umiliarli; mentre gli altri trascurano ogni diligenza al di dentro e non si occupano che di fingere e imbellettarsi all’esterno”.

Verissimo… mamma che parole!

Guardate San Pietro Giuliano Eymard è meraviglioso, è veramente un maestro di spirito… certo, è un adoratore…

Quindi, stiamo attenti a fare i sepolcri imbiancati, a sembrare tanti “santini” fuori, e poi dentro… te lo raccomando!

Stiamo attenti a fare tanti sorrisini, tanti salamelecchi, tante false cortesie, ad avere tanti modi sdolcinati fuori, mentre, invece, nel cuore siamo serpenti!

È molto più facile comparire perfetto esteriormente, e non esserlo interiormente, che non comparirlo all’esterno quando si è santi all’interno”.

Eh… certo.

Perché?

Perché, chi è santo all’interno, non fa grande attenzione a certe miserie esteriori che rimangono, perché dentro è conquistato, quindi…

Poi, il Signore permette che queste rimangano, perché così li umilia; mentre gli altri trascurano ogni diligenza nel di dentro e fanno di tutto per apparire belli fuori, eh beh però…

“Sono io così? Può essere. Osservate bene se progredite nello spogliarvi de’ vostri peccati. Crescete in purezza? Va bene”.

Quindi, devi vedere bene se sei in costante progressione, devi vedere bene se ti spogli dei tuoi mali.

“Crescete in purezza? Va bene. Siete sempre allo stesso punto? State in guardia, queste acque stagnanti si corrompono e genereranno la morte. Ma voi siete meno puri; voi peccate più facilmente? Oh sventurati! la vostra coscienza è addormentata in un sonno di morte!”

Quindi, impariamo a stare svegli, impariamo a continuare a guardarci.

“State attenti: vi si arriva insensibilmente. Niuno è così portato ad essere pigro e negligente nel vigilare sulla propria coscienza come le persone devote e i religiosi”.

Attenti, perché vi si arriva insensibilmente, non ci si accorge, e state attenti perché nessuno è così portato ad essere pigro e negligente, nel vigilare sulla propria coscienza, come coloro che più si sono dati a Dio.

“Quanti sono al servizio di Dio e non hanno alcuna volontà di correggersi e di progredire, e vivono intorpiditi nella loro coscienza!”

Terribile… terribile!

Quella vita è una contraddizione proprio, perché fai la parte di colui che si è dato a Dio e, in realtà, non hai nessuna volontà di correzione, la tua coscienza è intorpidita.

È terribile questa cosa, è una disgrazia terribile!

“Il buon cristiano esposto in mezzo al mondo veglia sulle menome cose, combatte sempre a causa dei pericoli che lo attorniano: quelli invece si lasciano portare dalla loro regola di vita che provvede a tutto, e dal loro stato che è in sé più perfetto: come un viaggiatore che si lasciasse portare sopra un bastimento senza informarsi della sua destinazione.

Bisogna dunque vegliare; tenere l’occhio aperto sui proprii peccati, sui loro principii, le loro occasioni; non amiamo Dio se non ci purifichiamo dei nostri peccati, almeno nella volontà; e non è un religioso chi non è un uomo puro e delicato per tutto ciò che tocca la coscienza”.

Quindi, noi dobbiamo stare molto attenti, dobbiamo vigilare molto bene, non dobbiamo lasciarci portare, come se fossimo affidati alle onde del mare; dobbiamo tenere gli occhi aperti sul perché ho fatto quel peccato, sulle occasioni per cui questo accade, e poi, almeno nella volontà, ci dobbiamo purificare, cioè dobbiamo dire: «Io questa cosa non la voglio più!»

E non dimentichiamo questa frase: “Non è un religioso chi non è un uomo puro e delicato per tutto ciò che tocca la coscienza”.

Se non c’è una delicatezza di coscienza, non sei una persona religiosa veramente.

Ed ecco la domanda importantissima, che vedremo domani, che è questa:

“Sapete che cosa è la delicatezza?”

Già ve l’ho letta questa cosa, ma domani la riprenderemo e la guarderemo bene.

Sapete che cosa è la delicatezza?”

Ecco, domani San Pietro Giuliano Eymard ci dirà che cos’è la delicatezza, la delicatezza di coscienza.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.

Amen.

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

 

VANGELO (Gv 17, 20-26)

In quel tempo, [Gesù, alzàti gli occhi al cielo, pregò dicendo:]
«Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.
E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me.
Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo.
Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro».

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