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La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia, di S. Pietro Giuliano Eymard. Parte 56

La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia, di S. Pietro Giuliano Eymard

Meditazione

La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia, di S. Pietro Giuliano Eymard di mercoledì 27 luglio 2022

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Mt 13, 44-46)

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:
«Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra».

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Testo della meditazione

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La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia, di S. Pietro Giuliano Eymard. Parte 56

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a mercoledì 27 luglio 2022.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo XIII di San Matteo, versetti 44-46.

Proseguiamo col testo di San Pietro Giuliano Eymard “LA PERFEZIONE RELIGIOSA ALLA LUCE DELL’EUCARISTIA”; siamo arrivati alla meditazione sul tema della carità fraterna.

Leggiamo:

“Nelle vostre preghiere, sì, siate universali; ma quanto all’azione restate nei limiti dell’obbedienza. E nelle stesse vostre preghiere dovete mettere innanzi tutto la vostra famiglia eucaristica; i vostri genitori stessi devono venire in appresso; perché voi appartenete alla vostra famiglia secondo la grazia più che a quella secondo la carne: voi vi dovete a quella con il sacrificio di questa. So bene che il cuore conserverà più sentimento naturale per la madre che vi ha messo alla luce; ma per la Congregazione, vostra madre adottiva, debbono essere i primi sentimenti ispirati dalla grazia, il primo amore sovrannaturale. Il vostro cuore dev’essere là ove sono le vostre relazioni e la vostra vita. «Lascerà l’uomo il padre e la madre e si unirà con la sua sposa» dice il Signore (Matt., 19,5): voi avete sposato la Congregazione, posponetele dunque tutto il resto”.

Quindi, le indicazioni che dà in questo momento, in questa parte del testo, sono indicazioni ben dedicate alla Famiglia religiosa dei Sacramentini, che lui aveva appena fondato, però, come sempre, cerchiamo di vedere se ci sono degli aspetti interessanti anche per coloro che fanno una vita diversa.

La prima cosa è la preghiera universale; impariamo a pregare per tutti, impariamo a pregare per tutti i bisogni.

Magari, un giorno possiamo concentrarci, non lo so, sul tema delle missioni (come preghiera, intendo), un altro giorno ci possiamo concentrare sui Sacerdoti, poi un altro giorno sulla conversione dei peccatori, poi sulla famiglia, insomma, la nostra sia una preghiera che abbia un respiro universale.

Per quanto riguarda l’azione, cioè le opere buone, impariamo a stare nei limiti dell’obbedienza, che, per un papà e per una mamma, per un Sacerdote diocesano, per un altro Frate che non è dei Sacramentini, cosa vuol dire?

Vuol dire restare nei limiti dettati dal suo stato di vita, dai suoi doveri di stato. È una cosa che ha già detto, che ha già spiegato, quindi, siccome non possiamo fare tutto il bene possibile di questo mondo, ognuno di noi faccia il bene legato al suo stato di vita.

Quindi, per il papà e la mamma, il primo bene qual è?

È quello della loro famiglia, quindi eserciteranno questa carità con il coniuge, con i figli, con i nipoti, quello è il primo luogo di applicazione.

Il Sacerdote, Parroco di una Parrocchia, lo farà con la sua Parrocchia, con i suoi fedeli, e via di seguito.

Poi, è interessante questo approfondimento che lui fa, questa esplicitazione, quando dice: “Il vostro cuore deve essere là, ove sono le vostre relazioni e la vostra vita” e cita Matteo 19,5.

Il concetto qual è? Il concetto è: le nostre relazioni più importanti, dove sono? Sono nella nostra famiglia, sono con la moglie, con il marito, con i figli; per un Sacerdote sono con i suoi parrocchiani, per un Frate con i suoi confratelli.

Va bene. Ma il nostro cuore è lì o è altrove?

Queste, che oggettivamente sono le relazioni più importanti, soggettivamente lo sono veramente?

Oppure il nostro cuore è altrove?

Noi viviamo queste relazioni, noi viviamo questa vita, ma non come le realtà o la realtà più importante, perché il nostro cuore batte altrove.

Quindi, cosa succede?

Succede che io faccio i miei doveri in modo puramente esteriore, meccanico, senza cuore, con poca testa, senza voglia, e via di seguito.

Invece no, non dobbiamo entrare in questa schizofrenia, il nostro cuore deve essere lì dove sono le nostre relazioni, la nostra vita, non ci deve essere separazione.

“All’anima dei vostri parenti date la preghiera: lo esige la riconoscenza; quanto al temporale, voi non dovete più occuparvene; e nel caso di necessità l’obbedienza vi dice quel che dovete fare”.

Quindi, vedete? Impariamo proprio a pregare per i nostri parenti, per le persone della nostra famiglia, perché dobbiamo essere riconoscenti; è una forma di riconoscenza far celebrare delle Messe, recitare il Rosario, pregare per loro insomma, fare la Lectio divina, ognuno come si sente meglio.

“Voi avete pure rinunziato a fare individualmente la carità ai poveri”.

Questo vale per i Religiosi.

“Degli infelici ricordatevi dinanzi a Dio, ecco tutto quello che potete fare. È un gran sacrificio il non poter dare, e lo sentono vivamente quelli che avevano l’abitudine di fare l’elemosina; lasciate gridare contro di voi e il vostro cuore e il mondo; voi siete poveri e non potete più disporre di un soldo. Il Superiore, per soddisfare al precetto della carità, farà l’elemosina anche per voi”.

Vedete? La carità è a tutto tondo e, come vi ho sempre detto, c’è la logica in tutto questo: se tu non puoi più disporre di niente, non puoi più disporre neanche per fare la carità.

“Quanto a voi, ricordatevi che è un male ogni buona opera che Iddio non vi domanda e che il vostro voto si oppone alla vostra liberalità. Dunque, i vostri fratelli anzitutto”.

Quindi, vedete, è la centralità della Volontà di Dio.

Il discriminante non è se ho fatto un’opera buona o un’opera cattiva, e quindi se ho fatto un’opera buona va sempre bene.

No, il discriminante è la Volontà di Dio, che cosa vuole Dio da me ora.

Quindi, se da me Dio ora vuole che io spazzi il pavimento, quello vale infinitamente di più che non se io vado a dare da mangiare ai carcerati.

Lo dice San Pietro Giuliano Eymard, ma lo dicono tutti i Santi, e lo dice la Scrittura: “In quel giorno direte: «Signore, Signore…»”

Lo dice il Vangelo: “Abbiamo compiuto miracoli, cacciato demoni, profetato nel tuo nome. E Gesù risponde: «Allontanatevi da me, non vi conosco, operatori di iniquità, perché non avete fatto la volontà del Padre mio»”. Questo è il punto!

Quindi il centro di tutto è la Volontà di Dio, che non è detto che corrisponda alla nostra volontà o all’idea che noi abbiamo di bontà.

Per il Signore ciò che è buono per noi, cioè che è veramente una cosa buona per la nostra vita, potrebbe non essere uguale a quello che noi reputiamo tale; quindi, dobbiamo sempre fare la Volontà di Dio.

In questo caso, per i Frati, dunque, sono i confratelli innanzitutto; per…, dunque, è la tua famiglia innanzitutto; per…, dunque, sono i tuoi parrocchiani innanzitutto; e via di seguito, secondo lo stato di vita.

“Ora, amate i vostri confratelli per amore di Dio e di essi in Dio, e non per avere la loro riconoscenza e il ricambio”.

Noi, perché siamo chiamati ad amare la nostra moglie, il nostro marito, i nostri figli? Non per la riconoscenza, non per il ricambio, ma per amore di Dio… è diverso.

Se lo faccio per amor di Dio, non avrò recriminazioni, non avrò acidità, non avrò sofferenze che mi faranno dire: «Ecco, ho fatto, però non vede, non si accorge», perché l’ho fatto per amor di Dio e non per amore di me stesso, di quello che mi ritorna indietro. Non dobbiamo cercare né riconoscenza né ricambio.

Invece noi vogliamo che l’altro si accorga quando noi facciamo il bene, noi vogliamo che l’altro ci dica “Grazie”, poi fa niente se noi non lo diciamo a Dio, però vogliamo che gli altri lo dicano a noi. Ecco, questo non è fare il bene per amor di Dio, non è amare per amor di Dio.

“Rendete loro tutti i servizi che potete, stando nell’ordine: e quando loro fate qualche servizio, non sia per altro motivo. Così non vi lagnerete che non vi siano riconoscenti. L’avete voi fatto per questo? Ma se è per Dio, che bisogno avete del ringraziamento degli uomini? Avete fatto quel che dovevate, e sarebbe un distruggere la vostra carità e privar Dio della sua gloria se voleste un ricambio personale”.

Vedete?

“Dico anzi che se vi si dimostrasse troppa riconoscenza voi dovreste averla in conto di un’ingiuria: rendendo servizio non avete fatto che il vostro dovere”.

Vi ricordate che vi raccontai di quando, da ragazzo, feci la maturità?

Tutti dicevano: «Ah, a me, per la maturità, regaleranno la moto (a quel tempo andava di moda la moto). A me, per la maturità, regaleranno la macchina. A me, per la maturità…»

Allora, io torno a casa e dico: «A me, per la maturità, cosa regalate?»

E la mia mamma e il mio papà mi risposero: «Niente, non ti regaleremo niente».

Io ho detto: «Come non mi regalerete niente?! A tutti regalano qualcosa, perché a me niente?»

«Perché hai fatto il tuo dovere».

In effetti, non è che, quando il papà e la mamma portano a casa lo stipendio, qualcuno regala loro qualcosa, hanno fatto il loro dovere.

Qual è il mio dovere?

Ognuno di noi ha un dovere da assolvere ogni giorno, ma il fatto di assolverlo bene non vuol dire che ho fatto qualcosa di speciale, non dovrebbe essere così. Sarebbe eccezionale se io non facessi bene il mio dovere, il mio dovere lo devo fare bene.

Se faccio la mamma, devo farla bene; se faccio il Sacerdote, devo farlo bene. Il farlo bene non è un merito, che chiede agli altri di essere riconoscenti.

Siccome noi, purtroppo, non siamo più abituati a vedere che qualcuno faccia bene il suo dovere, o poco abituati, allora ci teniamo che quando lo facciamo… eh no, però non è così, all’origine non era così, non deve essere così.

Infatti, lui dice: «Se l’hai fatto per amor di Dio, stai attento a non distruggere la carità e a non privare Dio della Sua gloria, se vuoi tu qualcosa in cambio; e stai attento a quando ti si mostra troppa riconoscenza, perché hai fatto il tuo dovere, appunto».

“La vostra carità deve abbracciare tutti i vostri confratelli senza distinzione: tutti vi sono fratelli e hanno uguali diritti al vostro affetto; ma non per questo dovrete darne a tutti le stesse dimostrazioni. — Ora sentite — I sacerdoti, per il loro carattere, hanno diritto a maggior onore e rispetto: sono sacerdoti e come tali rappresentano il sommo Sacerdote Gesù Cristo; dovete loro dunque un profondo rispetto. Essi sono buoni con voi e vi usano condiscendenza; ma giammai un laico si pensi di mettersi alla pari con un sacerdote e di trattarlo alla famigliare: non considerateli mai come compagni, ma teneteli in conto di superiori. State al vostro posto; e se si degnano di scendere sino a voi, non profittatene che per abbassarvi maggiormente”.

Mi sembrano parole che, suonate oggi, non so quanto risultino armoniche all’orecchio di tanti. Le ha scritte San Pietro Giuliano Eymard, quindi… Uno dice: «Sì, sì, vabbè, ma vanno bene per il suo tempo, ormai i tempi son cambiati».

Sì, sì, è vero che i tempi sono cambiati, è vero, però, io penso che anche dal Vangelo di Gesù i tempi sono cambiati e penso che sentire queste cose ci possa far riflettere.

Poi, magari, ognuno di noi dice: «Vabbè, è l’esperienza che fu, a me non interessa». Liberissimi. Io trovo alcuni spunti interessanti per la mia vita e li condivido con voi, poi, come sempre, se non vi piacciono, li buttate.

Dunque, innanzitutto la carità deve abbracciare tutti, tutti quelli a te più prossimi, ovviamente, siamo sempre al solito discorso, perché tutti quelli della tua famiglia sono i tuoi più prossimi fratelli e hanno uguali diritti al tuo affetto.

Ora, avere diritto all’affetto, cioè amare tutti, non vuol dire dimostrare a tutti, allo stesso modo, questo affetto.

Non so se è chiara la distinzione che fa San Pietro Giuliano Eymard.

Amare tutti, sì; tutti hanno uguali diritti al mio affetto, sì; ma non c’è la stessa dimostrazione a tutti, cioè le dimostrazioni dell’affetto dipendono dalla persona che ho davanti, perché al mio papà dimostrerò affetto in un modo diverso che alla mia mamma e a mio fratello.

Capite? Cioè, amo tutti, tutti loro tre o quattro che sono, ma la mia dimostrazione di questo amore a mia nonna è diversa da quella alla mia mamma, a mio fratello, a mio zio, a mio cugino, è diversa.

Quindi, dobbiamo stare attenti perché dimostrazioni diverse non vuol dire affetti diversi, no, non è detto; può essere, ma non è detto.

Dimostrazioni diverse vogliono dire dimostrazioni diverse, non vogliono dire altro; poi, se vengono da un amare diverso, questo è un altro discorso. Uno può amare tutti, con uguale carità, però lo deve dimostrare in modi diversi, perché le contingenze lo richiedono.

E qui lui fa l’esempio dei Sacerdoti.

Quindi, bisogna avere questa particolare riverenza verso il Sacerdote, questo particolare rispetto verso il Sacerdote, in quanto rappresentante di Gesù; è in funzione di questo suo ruolo, di questo suo compito, di questo suo essere, che si richiede maggior onore e rispetto, non per una sorta di clericalismo. È chiaro il testo, no?

Il cuore di tutto è perché lui rappresenta Gesù; è in funzione della sua Ordinazione sacerdotale che San Pietro Giuliano Eymard indica questo maggiore rispetto da dare.

Quindi, si può avere anche un bel rapporto familiare, amichevole, con un Sacerdote, però lui dice di fare attenzione che non ci sia un eccesso di confidenza.

Sapete il detto cosa dice, no?

La troppa confidenza toglie la riverenza”, quindi…

Poi, c’è questa frase, che a me piace tanto: “State al vostro posto”, cioè ciascuno di noi deve stare al suo posto, quello che Dio gli ha dato, per cui la mamma faccia la mamma, il papà faccia il papà, il figlio faccia il figlio, il Sacerdote faccia il Sacerdote, la suora faccia la suora, il laico faccia il laico.

Se no, cosa succede? Succede che abbiamo i laici che fanno i Preti, i Preti che fanno i laici, le suore che fanno le mamme, le mamme che fanno le suore, i papà che fanno i Preti. Non va bene!

Questo lo dice molto bene anche San Francesco di Sales, nel libro “Filotea”; ciascuno deve fare il suo, cioè ciascuno deve stare al suo posto.

Impariamo a stare al nostro posto!

Il posto della mamma non è quello del papà, e viceversa, no?

È bello che un figlio abbia una grande familiarità col suo papà, per esempio, o con la sua mamma, ma questo non lo può mai autorizzare a mancare di rispetto, così come un papà non deve mai mancare di rispetto a suo figlio, nonostante la sua autorità paterna; ci deve sempre essere un sacro rispetto, l’uno verso l’altro.

Voi capite come tutto il tema della dimostrazione di affetto è legato a questa questione così bella e così delicata, per cui non posso trattare la mia professoressa come tratto mia sorella o la mia amica, proprio per il ruolo che ricopre.

Posso avere tutto l’affetto del mondo verso questa professoressa o verso questo professore, posso rimanere in contatto tutta la vita, perché è nato un bel rapporto, va benissimo, è bellissimo, però sarà sempre la mia professoressa, sarà sempre il mio professore.

Ha ricoperto un ruolo particolare nella tua vita, quindi ci sarà sempre questo particolare rispetto, che è diverso dal rispetto che tu hai con un tuo compagno di giochi con cui sei cresciuto. Anche lui devi rispettare, ma le dimostrazioni sono diverse.

Spero di essere stato chiaro.

Domani vedremo un altro carattere della carità, che è l’umiltà.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.

Amen.

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

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