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“Le sofferenze del tempo presente” (Rm 8,18)

Soldati che si comunicano (Battaglia di Iwo Jima)

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: “Le sofferenze del tempo presente” (Rm 8,18)
Martedì 31 ottobre 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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PRIMA LETTURA (Rm 8, 18-25)

Fratelli, ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi.
L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio.
Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo stati salvati.
Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza.

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a martedì 31 ottobre 2023. Abbiamo ascoltato la prima lettura della Santa Messa di oggi, tratta dall’ottavo capitolo della lettera di san Paolo apostolo ai Romani, versetti 18-25.

San Paolo ci dice che le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria futura, che sarà rivelata in noi. 

Ecco, io vorrei proprio soffermarmi un pochino, un secondo, su questa frase, su questa espressione di San Paolo, perché non è facile, per nessuno di noi, credere di più alla gloria futura rispetto alla sofferenza del tempo presente. 

La sofferenza del tempo presente è qualcosa che ci cattura, che ci cattura tutti in un modo molto forte. Ci sono delle sofferenze personali e ci sono delle sofferenze più — diciamo così — pubbliche, più sociali o addirittura mondiali: sofferenze che investono tutti; ci sono oggi e ci sono state ieri e nel passato. 

Ma ogni giorno che ci svegliamo e dobbiamo iniziare una nuova giornata, questa sofferenza presente, sia nel suo risvolto personale, sia nel suo risvolto comunitario, è qualcosa che è lì; è lì e ci guarda, è lì e ci condiziona, perché se uno soffre, soffre; se uno è preoccupato, è preoccupato; se la nostra vita è condizionata da qualcosa che ci fa soffrire o da qualcuno che ci fa soffrire, la nostra mente è tutta catturata lì, è tutta ferma lì.

E quindi voi capite che parlare di gloria futura non è facile. È vero che c’è, ci sarà una gloria futura — speriamo per tutti, speriamo veramente che tutti possano godere della bellezza del paradiso — però è nel futuro, non è oggi, non è adesso. E allora come si fa? Come si fa ad attraversare questo tempo? Come si fa ad attendere questa gloria futura ritenendo che sarà sicuramente e infinitamente più grande e più bella delle sofferenze presenti? Ci vuole la speranza; è ciò di cui parla San Paolo in questi versetti.

Già abbiamo trattato, un po’di tempo fa, del tema della speranza: beh, non si può non parlarne, sappiamo tutti quanto la speranza sia — come dirvi — fondamentale. Se perdiamo la speranza, perdiamo tutto; veramente non ci rimane più nulla. Senza la speranza, non esiste una ragione per vivere, per essere, per esserci, per fare. Se non c’è la speranza, manca il senso, manca il perché. E allora mi verrebbe da dire che dobbiamo proprio fondare questa speranza — che ci fa andare oltre il momento presente e ci fa aprire gli occhi sulla gloria futura — come sempre, sull’Eucarestia. Nel tabernacolo è racchiusa la nostra unica speranza, non ne abbiamo un’altra. Gesù Eucarestia è la nostra speranza, il Cuore Eucaristico di Gesù che lì pulsa e batte, è la nostra speranza. Sennò, guardiamoci in giro, guardiamo intorno a noi: dove sta questa speranza? Di fatto, nessuno può darci questa speranza.

Credo che tutti noi percepiamo come la nostra vita sia veramente appesa a un filo; come il nostro presente è appeso a un filo. E, spesse volte, questo filo non dipende neanche da noi. Noi percepiamo che nella nostra vita non possiamo decidere tutto, c’è qualcun altro che decide per noi. È difficile, no? 

Pensate a quando nella storia ci sono state le grandi guerre, pensate alla Prima guerra mondiale — tanto per fare un esempio — alla Seconda guerra mondiale… Tutti quegli uomini, da ambo le parti, che hanno combattuto… Non è che ciascuno di loro ha deciso di andare in guerra, anzi, sicuramente tantissimi di loro non volevano andare in guerra, non volevano la guerra, non volevano vivere il momento della guerra. Altri hanno deciso questo, e magari poi la guerra, di fatto, non l’hanno vissuta in prima persona, magari sono stati dietro un tavolo mentre si consumavano queste vite — ripeto, da ambo le parti — dentro a delle situazioni veramente gravissime, con una quantità di morti; e ciò vuol dire una quantità di famiglie spezzate, vedove, orfani, genitori che perdono i loro figli. Pensate al dramma… E loro cosa potevano fare, poveretti… Non potevano dire: “Eh no, non l’ho scelta io, non l’ho voluta io, non ho deciso io di dichiarare guerra “a” o di dovermi difendere “da”. E quindi, magari, ragazzi giovani che non avevano mai imbracciato un’arma, mai avuto a che fare con le armi, a ritrovarsi al fronte a dover combattere qualcosa che magari non conoscevano neanche fino in fondo. Capite quanto è difficile in quei momenti — soprattutto in quei momenti — conservare la speranza…

Ho una foto veramente molto bella, che tengo come immagine di una playlist che ho fatto di preghiere, che adesso vi descrivo. Non so dirvi che guerra sia, se sia la Prima guerra mondiale o la Seconda guerra mondiale, da questa foto non riesco a capire molto bene; forse sono io che non sono esperto, magari un esperto di queste cose capirebbe subito, da come uno è vestito, in che guerra siamo. Vabbè, ma a me non interessa, è una guerra, punto. Le guerre sono sempre uguali, cambiano le epoche, ma non cambia il contenuto: c’è chi attacca, c’è chi si difende, ci sono persone che muoiono. E, in questa foto, si vedono tre giovani — forse la conoscerete già, è proprio una foto bellissima — tre giovani in ginocchio che ricevono l’Eucarestia dal cappellano che è seduto su una roccia. Due si vedono molto bene, uno in particolare si vede proprio mentre riceve l’Eucarestia sulla lingua, uno l’ha già ricevuta — e si capisce perché ha la testa chinata e si vede un po’ meno bene — e l’altro sta per riceverla. E poi dietro ci sono dei soldati che son lì che parlottano tra di loro. In fondo, sul mare, si vedono le navi, e poi c’è un soldato girato verso di loro che li guarda, chissà, come per dire: boh, cosa staranno facendo, oppure, chissà, colpito da questa scena. 

Ci sono tanti altri soldati che gli danno le spalle, tutti guardano verso il mare e loro tre, invece, sono lì in ginocchio che guardano verso l’Eucarestia. Devo dire che anche vederli vestiti, non so, esprimono — incredibile in un contesto così di morte — un decoro… Sono proprio belli da vedere, sono proprio belli, sono ordinati, sono diversi, si vede che sono diversi. E si capisce che gli è stata fatta una foto senza che loro se ne accorgessero. Ecco, loro lì hanno fatto la differenza, sicuramente. 

Non so se probabilmente saranno tutti morti, a quest’ora, ovviamente, però queste sono state sicuramente tre vite impostate in un modo completamente diverso. E io, ogni volta che prego ascoltando queste belle preghiere, guardo questa immagine e dico: lì in mezzo alla paura, non sapere se arriveremo a sera, potrebbe essere l’ultimo giorno, l’ultima mattina, non sapere quando finirà… perché il punto è questo: non si sa neanche quando finirà. Se uno potesse dire: “Mah, so con certezza che finirà tra un anno; vabbè, è lunga, però so che dura un anno, non di più”. Qui invece non si sa quanto dura, potrebbe durare fino a stasera, fino a domani, per cinque anni, non si sa. Ecco, la loro speranza è lì davanti a loro e loro sono in ginocchio, che sembrano fuori dal tempo, veramente proiettati in questa gloria futura. Tutti guardano verso il mare, tutti sono lì, rivolti verso le navi, c’è chi li guarda un po’ stranito, c’è chi gli dà le spalle, a cui non interessa niente. 

Tra l’altro, se voi guardate la foto, vedete che tutti hanno l’elmetto in testa — beh, certo, se ti arriva una bomba è importante avere l’elmetto in testa — loro tre, compreso il cappellano, no. Tutti gli altri hanno l’elmetto in testa, loro no, sono senza elmetto, in ginocchio e, se guardate bene, ci sono gli zaini dietro i loro piedi e l’elmetto è per terra, giù per terra, dove ci sono le loro ginocchia.

Ecco, se io penso alla speranza, penso a questa foto, penso a questi ragazzi. Mi piacerebbe tantissimo conoscere i loro nomi: chissà come si chiamano, chissà chi sono, chissà dove vivevano, chissà le loro famiglie, chissà se sono riusciti a salvarsi, chissà se invece sono morti in guerra, chissà se tutti e tre si sono salvati, chissà… Però certo è un’esperienza, questa, che ti parla, che anche a me, che sono qui ben lontano da loro, ben lontano da questo contesto terribile, a guardarli, continua a dire qualcosa.

Ecco allora l’augurio e la preghiera che faccio per me, per voi, è quella, in mezzo alle sofferenze presenti, di saper dare le spalle al mare da dove arriva la guerra, saper dare le spalle alla sofferenza, inginocchiarci e cercare l’unica speranza in colui che ce la può dare: Gesù Eucaristia.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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