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Preghiera vocale – Cammino di perfezione, S. Teresa di Gesù pt.77

Gesù tende la mano ad un bambino

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: Preghiera vocale – Cammino di perfezione, S. Teresa di Gesù pt.77
Martedì 16 gennaio 2024

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Mc 2, 23-28)

In quel tempo, di sabato Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli, mentre camminavano, si misero a cogliere le spighe.
I farisei gli dicevano: “Guarda! Perché fanno in giorno di sabato quello che non è lecito?”. Ed egli rispose loro: “Non avete mai letto quello che fece Davide quando si trovò nel bisogno e lui e i suoi compagni ebbero fame? Sotto il sommo sacerdote Abiatàr, entrò nella casa di Dio e mangiò i pani dell’offerta, che non è lecito mangiare se non ai sacerdoti, e ne diede anche ai suoi compagni!”.
E diceva loro: “Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato! Perciò il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato”.

Testo della meditazione

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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a martedì 16 gennaio 2024. 

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal secondo capitolo del Vangelo di san Marco, versetti 23-28. 

Continuiamo la nostra lettura e meditazione del libro di Santa Teresa di Gesù, Cammino di perfezione. Siamo giunti al capitolo ventiquattresimo.

CAPITOLO 24

Quando l’orazione vocale è perfetta, e come deve unirsi alla mentale.

1 — Torniamo ancora a quelle anime che non possono raccogliersi, né fermare il loro spirito nell’orazione mentale, né esercitarsi in qualsiasi altra considerazione. Presentemente, dell’orazione mentale non voglio pronunciare nemmeno il nome, e nemmeno quello di contemplazione, non essendo cose per loro. Vi sono persone a cui queste parole pare siano di spavento; e siccome, ripeto, non tutte le anime vanno per la stessa strada, può darsi che alcuna di esse venga pure in questa casa

2 — Ecco ciò che voglio consigliarvi, e potrei anche dire insegnarvi essendomi ciò permesso come vostra madre, perché vostra priora: il modo di pregare vocalmente, essendo giusto che pregando si sappia quello che si dice. Non voglio parlarvi di certe preghiere assai lunghe, perché le anime incapaci di fissarsi in Dio può darsi si stanchino pur di quelle; ma soltanto delle preghiere che, come cristiani, dobbiamo necessariamente recitare: il Pater noster e l’Ave Maria. Non bisogna che si dica di noi che parliamo senza sapere quello che diciamo, a meno che non vogliamo essere persone a cui basta agire per abitudine, paghe soltanto di pronunciar parole. Non discuto se ciò basti o no: la decisione ai dotti. Quanto a noi, figliuole, vorrei che non ce ne contentassimo. Quando io recito il credo, mi pare ragionevole che mi renda conto e sappia ciò che credo; e quando dico il Pater noster, mi sembra che l’amore esiga che io intenda chi sia questo Padre e chi il Maestro che ci ha consegnata tal preghiera.

3 — Mi potreste obiettare che voi lo sapete e che è inutile ricordarvelo. Ma siete nel torto. Vi è maestro e maestro; e se per parlare di quelli della terra è un’ingratitudine non ricordarci di loro, a maggior ragione ciò si deve dire dei santi e dei maestri dell’anima, dei quali se siamo buoni discepoli, non dobbiamo mai dimenticarci. Ora, come dimenticarci di un Maestro che ci ha insegnato questa preghiera, e ce l’ha insegnata con tanto amore e con un così vivo desiderio che ci sia utile? Iddio non permetta che, recitandola, trascuriamo di ricordare spesso chi l’ha insegnata, benché qualche volta ce ne dimenticheremo ugualmente, a causa della nostra miseria.

Allora, vediamo un po’: Santa Teresa, in questo capitolo ventiquattresimo, a chi si rivolge? Si rivolge «a quelle anime che non possono raccogliersi, né fermare il loro spirito nell’orazione mentale, né esercitarsi in qualsiasi altra considerazione». 

Addirittura, lei dice che ci sono persone che si spaventano a sentir parlare di contemplazione o di orazione; e aggiunge: “io non voglio neanche pronunciare il nome”, neanche questo; perché lei sta parlando a persone che non seguiranno questa strada, perché — e questo è importante da sapere, da ricordare — non tutte le anime vanno per la stessa strada, ogni anima ha la sua strada. 

Quindi ci sono anime che avranno la strada della contemplazione, anime che seguiranno la strada dell’orazione, anime che seguiranno la strada della meditazione, anime che seguiranno la strada della preghiera vocale e basta; ognuno ha la sua strada, e sarebbe una tirannia pretendere che tutti praticassimo la stessa strada; è assurdo! Perché Dio conduce ciascuno per la propria strada.

Poi lei dice: quando si prega vocalmente, si sappia quello che si dice, cioè: partiamo dalla base. Quando si dice una preghiera vocale (già l’aveva detto, ma qua lo ripete) come il Credo, il Padre Nostro, l’Ave Maria, una preghiera vocale, lei dice: pregando, che tu sappia quello che dici. Se reciti un Salmo, devi sapere quello che stai dicendo, non puoi recitare un Salmo blablablà, muovendo le labbra, senza la testa, senza il cuore: devi sapere quello che stai dicendo. 

E lei dice: concentriamoci su due preghiere il Padre Nostro e l’Ave Maria, non andiamo a prendere preghiere molto lunghe. Se voi pensate, il Santo Rosario, da che cosa è fatto? Dal Padre Nostro e dall’Ave Maria, ed è una preghiera vocale. Interessante che lei dica: «che, come cristiani, dobbiamo necessariamente recitare»; e qui fa riferimento, ovviamente, al Santo Rosario, perché, se avesse detto il Padre Nostro e basta, uno avrebbe potuto pensare alla Santa Messa, ma, dicendo Padre Nostro e Ave Maria, e dicendo che necessariamente dobbiamo recitarle, allora qui è chiaro che fa riferimento al Santo Rosario. E aggiunge che quando, ad esempio, recito il Credo — ma questo vale per tutto, per qualunque preghiera — mi renda conto e sappia ciò che credo. Quando dico il Padre Nostro — lei dice — devo rendermi conto chi sia questo Padre e chi il Maestro che ci ha insegnato tale preghiera. E poi dice: certo, potrà succedere che ce ne dimentichiamo, a causa della nostra miseria; vabbè, capita! Però, la linea è: renditi conto di ciò che stai dicendo e tu sappia cosa stai dicendo. Andiamo avanti ancora un paragrafo:

4 — In primo luogo — come sapete anche voi — Sua Maestà ci insegna a pregare in solitudine. Così Egli faceva, benché non ne avesse bisogno, ma solo a nostro insegnamento. È chiaro, del resto, che non si può parlare con Dio nel medesimo tempo che con il mondo, come fanno coloro che mentre recitano preghiere, ascoltano ciò che si dice d’intorno, o si fermano a quanto vien loro nella mente, senza alcuna cura di raccogliersi. Ciò può passare quando si è indisposti, specialmente se si è portati alla malinconia o si soffre di testa, perché allora non ci si può raccogliere neppure volendolo. Passi pure quando Dio permette che per il maggior bene dei suoi servi si scatenino su di loro furibonde tempeste. Allora, per quanto l’anima si affligga e cerchi di raccogliersi, non saprà riuscirvi: sarà incapace di attendere a ciò che dice nonostante ogni suo sforzo, e andrà talmente stordita da sembrare in preda a frenesia.

5 — Alla pena che ne risente, vedrà che non è per sua colpa. Perciò non si inquieti, ché sarebbe peggio. Invece di affaticarsi per rimettere in carreggiata l’intelletto, preghi come meglio può. Anzi, poiché allora ha l’anima ammalata, invece di recitare cerchi di procurarle riposo, applicandosi a qualche opera buona. Così deve fare chi cerca la propria santificazione ed è convinto di non poter parlare con Dio e insieme con il mondo. Ciò che possiamo fare in tal caso è di mantenerci in solitudine; e piaccia a Dio che ciò basti per poter comprendere, come dico, con chi noi siamo e quali siano le risposte di Dio alle nostre domande. Credete forse che Egli non parli perché non ne udiamo la voce? Quando è il cuore che prega, Egli risponde. È bene inoltre considerare che il Signore ha insegnato e continua a insegnare questa sua preghiera a ciascuna in particolare. Il Maestro non è così lontano dal discepolo d’aver bisogno di alzar la voce. Anzi, gli è molto vicino, e io vorrei che per ben recitare il Pater noster, foste intimamente persuase di non dovervi mai allontanare da Chi ve l’ha insegnato.

Innanzitutto: l’importanza della solitudine, e questo l’abbiamo già visto; è importante avere un luogo per stare un po’ in pace, che sia la propria cameretta, che sia la propria sala, che sia la chiesa, che sia quello che volete voi, però ci deve essere un luogo dove si è un po’ in pace. Perché, lei dice: «non si può parlare con Dio e nel medesimo tempo che con il mondo, come fanno coloro che mentre recitano preghiere, ascoltano ciò che si dice d’intorno, o si fermano a quanto vien loro nella mente, senza alcuna cura di raccogliersi». 

È tipico, quando si sentono certe preghiere… “Ave Maria, grátia plena, Dóminus tecum, benedicta tu in mulieribus, — guarda che c’è l’altare che ha bisogno di candele — Sancta Maria, mater Dei, ora pro nobis peccatoribus — vai ad accendere tu, o le accendo io? — ora pro nobis peccatoribus, nunc et in hora mortis nostrae, amen — accendo io — Ave Maria, grátia plena, Dóminus tecum, benedicta tu — chi è quella lì che è appena entrata? — Sancta Maria, mater Dei, ora pro nobis peccatoribus — Ah, non lo so, non l’ho mai vista — ora pro nobis peccatoribus, nunc et in hora mortis nostrae, amen; Ave Maria, grátia plena, Dóminus tecum — l’ho vista al mercato l’altro giorno — Sancta Maria, mater Dei, ora pro nobis — Ah sì, è quella col cappellino bianco, la moglie, la figlia, la sorella — Sancta Maria, mater Dei, ora pro nobis …

Ecco, questa non è la preghiera vocale, questo non è il Rosario; questo è importante dircelo!

Se io vado a dire il Santo Rosario, mi raccolgo per dire il Santo Rosario! Non posso, nel medesimo tempo, dire il Santo Rosario e intanto guardarmi intorno, guardare il cellulare, parlare con la compagna della panca, andare a dire a Tizio di sistemare i fiori, dire a Caio… No, o dico il Rosario, o faccio le altre cose. Nel medesimo tempo, non puoi parlare con Dio e col mondo. E non posso neanche stare lì a dire il Rosario ascoltando quello che dicono quelli che stanno di dietro. Non si fa. 

Oppure — lei dice — non bisogna perdersi nella fantasia, con quanto ti viene nella testa, cioè, senza che ci sia un raccoglimento. Quando io vado a pregare, devo raccogliermi, ecco perché è importante la solitudine; tranne, lei dice, — e qui vedete sempre questo grande equilibrio, questa grande umanità di Santa Teresa — quando si è indisposti; tranne quando si è sotto l’effetto della malinconia, quando si ha mal di testa, lì non ci si può raccogliere neanche volendolo, quando si è così provati, non si riesce. Se uno ha la febbre a trentanove e mezzo, non riesce a fare il raccoglimento, ha la testa che gli esplode, come fa? Non riesce a stare lì raccolto, a stare lì a pensare, ha trentanove e mezzo. Oppure, aggiunge, quando si scatenano delle furibonde tempeste sulla persona, magari delle persecuzioni, delle sofferenze morali molto gravi, eh, insomma… Quindi, lei dice: anche se l’anima si affligge, cerca di raccogliersi, non ci riesce, rimane stordita; però, deve ricordarsi sempre che non è colpa sua, non è un peccato. Non è un peccato e non è colpa della persona, perché è una situazione di indisposizione, che sia spirituale, che sia fisica, non può farci nulla; “perché poi siete inquieti, è peggio”. Eh, allora, lei dice: preghi come meglio può.

Tra l’altro, qui lei dà un consiglio utilissimo — che peraltro non dà mai nessuno — molto importante, sul quale vorrei dire una parola. Lei dice: quando l’anima è ammalata — come nei casi che abbiamo detto — invece di cercare di recitare preghiere e quant’altro, la persona procuri di dare riposo all’anima, come? Si può, facendo delle opere buone: importantissimo! Cioè, siccome non riesce a pregare, almeno che faccia delle opere buone. 

Vi faccio un esempio: non sto bene, sono malinconico, ho un po’ di mal di testa, sono svogliato, oppure c’è una situazione grave, che mi fa soffrire tanto. Non riesco a mettermi lì a dire il Rosario, perché proprio non ce la faccio; che cosa faccio? Allora, invece di tormentare l’anima — dice Santa Teresa — falla riposare, lasciala stare, e fai delle opere buone. 

Per esempio: sono qui che sono tutto tormentato, che non sto bene, cosa posso fare? Stasera preparerò una bella cenetta alla mia famiglia. Tutti tornano a casa la sera, un po’ tardi, un po’ stanchi, io stasera preparerò qualcosa di buono per loro. È un atto di carità. So che quella persona è da sola, so che quella persona non sta bene, va bene: esco, io non ho la febbre, sono semplicemente un po’ provato interiormente, esco, vado a comprargli un gelato, vado a prendergli una fettina di torta, vado a fargli la spesa, se ne ha bisogno, ecco, e gliela porto, faccio un atto di carità. Oppure: so che quella persona ha piacere se la chiamo, la chiamo un attimo al telefono, sto lì un pochino a parlare con lei e l’ascolto. Sono degli esempi (poi ognuno di voi ce ne avrà mille in mente) di carità concreta, molto pratica, dove non ho fatto preghiere, ma ho fatto atti di carità, ho fatto opere buone. Dico: “Signore, guarda, io oggi non riesco a pregare, proprio non ce la faccio, allora faccio degli atti di carità”. Basta! Delle opere buone. Quindi, siccome non voglio mettermi lì, a fare finta di pregare e andare con la testa chissà dove, perché non sto bene — e lei dice: questo fa chi «è convinto di non poter parlare con Dio e insieme con il mondo» (ed è la convinzione giusta), allora va a fare le opere buone. Basta. Invece di dire cinque preghiere, farà cinque opere buone, per intenderci. Porto giù la pattumiera, perché so che non riesco a star qui a pregare e faccio quest’opera, che la dovrebbe fare qualcun altro; la faccio io. Vado a fare la benzina alla macchina, pulisco la casa, insomma, tutte quelle cose che richiedono un qualcosa di concreto da fare, che le posso fare, che un po’ mi aiutano anche a distrarmi, magari, dalla malinconia, a far passare un po’ il mal di testa. Ci sono tante opere buone che possiamo fare in quei momenti, guardate. 

S. Teresa dice: quello che conta, è cercare di mantenerci in solitudine, questo ci aiuta, perché, “quando il cuore prega, Gesù risponde sempre”. Quindi, uno dice: “Guarda, Signore, io adesso proprio non riesco a pregare, però il mio cuore lo vorrebbe, allora io faccio quest’opera di carità e cerco di mantenermi in solitudine, in silenzio”. Quindi, se devo fare un’opera di carità andando da una persona a trovarla, va bene, ma sennò, se devo fare una cosa pratica — andare a lavare la macchina, fare le pulizie, andare a fare la spesa — posso farlo in solitudine, in silenzio, rimanendo in ascolto, lasciando che il cuore preghi lui, senza dire parole, stando in un atteggiamento di silenzio.

Il Maestro non è così lontano dal discepolo d’aver bisogno di alzar la voce.

È molto vicino; stiamo vicini al Signore, il Signore ci parlerà.

Vedete quanta serenità dà Santa Teresa? Quanta serenità… tutto questo è profondamente rasserenante, sapete? Quante anime — sono sicuro — si sentiranno rasserenate sentendo queste parole, perché diranno: “Ah, ecco allora non mi devo torturare”; ma no! Non dobbiamo torturarci, dobbiamo amare il Signore e, sapendo che siamo fatti di carne, che siamo, come dire, un po’ fragili, un po’ deboli e magari, in questo periodo che girano le influenze, le febbri e quant’altro, e vabbè… non riesco a fare altro che stare nel mio lettino, nella mia casetta, al caldo, dire: “Signore, guarda, non riesco a fare niente; però questo riesco a farlo: Gesù ti amo, Gesù, Maria, vi amo, salvate le anime”. Guardate, abbiamo fatto la preghiera più bella del mondo, e ci è voluto un secondo, la posso fare anche se sono quasi in coma; “Gesù Maria, vi amo, salvate le anime”. Basta, cosa c’è di più bello?

Guardate, questa è una piccola chicca che mi riguarda: mi ricordo che tanti, tanti anni fa subii un’operazione chirurgica e mi fecero l’anestesia totale. Mi ricordo come se fosse oggi che, quando mi sono svegliato, proprio mentre loro mi chiamavano per riportarmi a coscienza, e mi ricordo che, mentre prendevo coscienza, stavo recitando l’Ave Maria, chissà nel mio inconscio cosa stavo… bah, chi lo sa! Non lo so, però io mi ricordo benissimo che mi sono ripreso… “Ave, Maria, grátia plena, Dóminus tecum…” stavo recitando l’Ave Maria. E, voglio dire, uno che si sveglia da un’operazione, dall’anestesia totale, non è proprio molto presente a sé stesso. Però dopo, col passare dei giorni, del tempo, ho detto: “Beh, quell’Ave Maria, quelle poche parole che ho detto dell’Ave Maria, sono state la mia preghiera di quel momento”. Ma io penso che il Signore le abbia gradite. Non ho potuto dire il Rosario, però, quell’Ave Maria l’ho detta; l’ho detta, e senza neanche volerlo, tra l’altro; boh, chissà come mai mi sono svegliato dicendo l’Ave Maria.

Finiamo il capitolo ventiquattresimo.

6 — Direte che questo è meditare, mentre voi non potete né volete far altro che pregare vocalmente. Vi sono infatti persone così amanti del proprio comodo da non volersi dare alcuna pena. Non essendo abituate a meditare, e trovando in principio qualche difficoltà a raccogliersi, preferiscono sostenere, per evitare la molestia, che esse non ne sono capaci e che sanno pregare soltanto vocalmente. Dite bene quando affermate che il metodo anzidetto è già meditazione; ma io vi dichiaro che non so comprendere come l’orazione vocale possa essere ben fatta, quando sia separata dal pensiero di Colui a cui ci rivolgiamo. O che forse non è doveroso, quando si prega, pregare con attenzione? Piaccia a Dio che riusciamo a dir bene il Pater noster anche con questi mezzi, senza cadere in mille pensieri stravaganti! Io ne ho fatto spesso l’esperienza, e so che il miglior rimedio alle distrazioni è di applicarmi a tenermi fissa in Colui a cui mi rivolgo. Abbiate dunque pazienza, e procurate di abituarvi a questa pratica che è tanto necessaria.

Importantissime queste ultime righe! Allora, lei dice: quando io prego vocalmente, pensare a quello che sto dicendo, esserne cosciente, sapere quello che dico, a chi lo dico, è già meditazione; certo! Però, lei dice, è una forma proprio minima, perché, se non c’è questa, che preghiera c’è? Lei dice: ma come possiamo avere un’orazione vocale che sia separata dal pensiero di colui a cui ci rivolgiamo? Non si può! Almeno pensare, che quello che sto dicendo è rivolto a Dio. E aggiunge: come si fa a pregare senza attenzione? Va bene, non faremo la contemplazione, non faremo l’orazione mentale, va bene, però la vocale: dico l’Ave Maria, devo pensare a quello che sto dicendo, a chi lo sto dicendo, almeno quello. E questo — lei dice — ci permetterà di evitare di cadere in mille pensieri stravaganti.

Il miglior rimedio alle distrazioni qual è? Ecco, questa è un’ottima cosa: «applicarmi a tenermi fissa in Colui a cui mi rivolgo». Questo è il rimedio delle distrazioni! Vogliamo evitare distrazioni? Tenetevi fissi, teniamoci fissi in colui a cui ci rivolgiamo. 

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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