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La bontà di Dio – Cammino di perfezione, S. Teresa di Gesù pt.76

Gesù tende la mano ad un bambino

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: La bontà di Dio – Cammino di perfezione, S. Teresa di Gesù pt.76
Lunedì 15 gennaio 2024

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Mc 2, 18-22)

In quel tempo, i discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Vennero da Gesù e gli dissero: “Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?”.
Gesù disse loro: “Possono forse digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora, in quel giorno, digiuneranno.
Nessuno cuce un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo porta via qualcosa alla stoffa vecchia e lo strappo diventa peggiore. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri, e si perdono vino e otri. Ma vino nuovo in otri nuovi!”.

Testo della meditazione

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Eccoci giunti a lunedì 15 gennaio 2024. 

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal secondo capitolo del Vangelo di san Marco, versetti 18-22. 

Continuiamo la nostra lettura e meditazione del libro di Santa Teresa di Gesù, Cammino di perfezione. Vediamo oggi il paragrafo quinto del ventitreesimo capitolo; siamo arrivati alla terza ragione.

5 — La terza ragione, molto importante per l’argomento che trattiamo, è la seguente. Quando si è certi che, qualunque cosa avvenga, non si deve retrocedere, si combatte con maggior coraggio. Infatti, quando uno è in battaglia e sa che, dandosi per vinto, non gli risparmieranno la vita, si batte con maggior energia; e siccome ha da morire ugualmente anche se non muore sul campo, vuol vendere la vita a caro prezzo, come suol dirsi, e non teme alcun colpo, avendo sempre innanzi l’importanza che ha per lui la vittoria, perché vincere è vivere. Se non si comincia con sicurezza e piena convinzione di riuscire, si finisce col lasciarsi vincere. È intanto fuor di dubbio che ne usciremo molto ricchi, anche se con il più piccolo vantaggio che ne possiamo ricavare. Non temete! Se il Signore ci chiama a bere a questa fonte, vuol dire che non ci lascerà morire di sete. Ve l’ho già detto e vorrei ripetervelo mille volte, perché so che quando non si conosce per esperienza quanto sia grande la bontà di Dio, è molto facile scoraggiarci. È vero che la si conosce per fede, ma non è a dire il vantaggio che se ne ha quando si è provato, anche per esperienza, con quanta dolcezza e amicizia Egli tratti le anime che seguono questa via, di cui sembra che paghi tutte le spese.

6 — Non mi meraviglierei se chi non ne ha esperienza volesse essere sicuro di averne poi qualche premio. Ma voi già sapete che vi attende il cento per uno fin da questa vita e che il Signore vi dice: Chiedete e vi sarà dato. Se non credete a ciò che Egli vi dice nel Vangelo, indarno, sorelle, mi rompo io la testa per persuadervene. Affermo tuttavia, per chi ne dubita, che a farne la prova non si perde nulla perché un tal viaggio ha questo di buono: che procura assai di più che non si sappia chiedere o desiderare. Questo è fuori di dubbio. Io lo so, e posso allegarvi in prova la testimonianza di quelle fra voi che per bontà di Dio ne hanno fatta l’esperienza.2

Nota 2

2 Se potete provare il contrario, non credetemi più in nulla. (Manoscr. Escor.).

Allora, vediamo questa terza ragione. Il tema è sempre quello, è un tema che è costante in Santa Teresa: non bisogna retrocedere. Quando si inizia a seguire il Signore, quando si inizia a percorrere la via della santità, appunto il cammino della perfezione, non bisogna mai retrocedere, qualunque cosa avvenga. E bisogna combattere, bisogna procedere con grande coraggio. 

Lei dice: «vincere è vivere», è interessante… vincere è vivere; sì, perché questo è un combattimento. Abbiamo visto ieri, nella seconda ragione, che noi siamo chiamati a combattere contro questi traditori codardi, che sono i diavoli. Quindi, capite: essere costanti, perseverare, non lasciarci distrarre… insomma, è un combattimento. 

E non dobbiamo dire: “Sì, no, vabbè, ma tanto il Signore è buono, ci perdona”. Questo è vero, sempre, senza condizioni, nel senso che l’unica condizione del suo perdono è il nostro pentimento. Se io non sono pentito e se non voglio essere perdonato, Gesù non mi obbliga! Ma se io sono pentito, se io voglio essere perdonato, tutti sappiamo benissimo che non c’è peccato — ribadisco “peccato”, non “errore” — che non possa essere perdonato.

Bisogna cominciare, però, con sicurezza e piena convinzione di riuscire, scrive S. Teresa. Cioè, se io comincio questa via col dubbio, con la perplessità, col “boh, ma, si, forse non lo so, vedremo. Forse sì, forse no, forse non lo so”, se non sono veramente convinto di arrivare in fondo, di potercela fare — che poi concretamente cosa vuol dire? Di amare Gesù, di servirlo, di pregare, di stare in sua compagnia — mi lascio vincere. E se vincere è vivere, perdere che cos’e? E noi non dobbiamo perdere.

E poi c’è questa sua riflessione — anche questa ritorna — sulla grande bontà di Dio; che, lei dice: è bene conoscerla per esperienza. Lei parla della bontà di Dio e poi parla della dolcezza e amicizia, con le quali il Signore tratta le anime che seguono questa via: bontà, dolcezza e amicizia. 

Ma noi, abbiamo mai fatto esperienza della bontà, della dolcezza, e dell’amicizia di Gesù? Perché sapete, questo è importante, sennò rischiamo di diventare un po’ i fratelli del figliol prodigo, che sono nella casa del padre, ma ci stanno inaciditi, ci stanno da risentiti. Il fratello del figliol prodigo, purtroppo, non ha mai fatto esperienza della bontà, della dolcezza e dell’amicizia di Dio. 

Guardate, si vede, si sente, quando un cristiano non ha mai fatto esperienza di questa dolcezza, di questa amicizia, di questa bontà, perché ha un modo di servire Dio che è acido, non è dolce. Non c’entra niente la severità, non c’entra niente la forza. 

Sto pensando a Padre Pio, perché lui sapeva essere forte, alle volte sapeva essere molto severo, molto esigente, molto intenso, però… aveva una dolcezza, esprimeva una bontà, sapeva vivere un’amicizia, incredibili. Perché? Perché lui, le ha sperimentate tutte queste cose, nel suo rapporto con Gesù, con la Vergine Maria, le ha vissute. 

Anche noi dobbiamo viverle, dobbiamo sperimentarle, non possiamo vivere una vita di fede da acidi, da mestieranti, da macchine, da esecutori di comandi; non si può. C’è un’umanità cristiana che ha bisogno di essere vissuta, ma solo se si è fatta esperienza, però; cioè, io non posso esprimere questa bontà, questa dolcezza, questa amicizia se non ne ho fatto esperienza a mia volta. 

Vedete come Santa Teresa sa parlare della radicalità che Dio chiede, anche della severità di Dio, da una parte, e dall’altra, come sa parlare della bontà, della dolcezza, dell’amicizia, perché queste realtà, fanno parte tutte dell’unica medesima realtà. Non esiste — ve l’ho già detto — un padre che sia solo buono, solo dolce, solo amico, non esiste, non è padre. Così come non può essere solo esigenza, solo severità, no. Un padre è l’uno e l’altro, così è Dio, in modo perfetto. 

Ecco, se non abbiamo fatto abbastanza esperienza di questa dolcezza, di questa amicizia, di questa bontà — sentirsi proprio avvolti della bontà di Dio e dire: “Mamma mia il Signore com’è buono; che padre buono, che padre dolce; Gesù come sa essere vero amico” — S. Teresa dice: cerchiamo di farne prova. Dobbiamo proprio chiedere questa grazia, questo dono, di questa terza ragione.

Quindi — lei scrive — avanti con coraggio, non retrocedere, bisogna partire con sicurezza e convinzione di vincere, e solo così, solo conoscendo per esperienza, non per studio, la bontà di Dio, la dolcezza, e l’amicizia, allora non ci si fa scoraggiare. 

Tante volte cadiamo nello scoraggiamento e diciamo: “No, ma allora cosa serve confessarsi se faccio sempre gli stessi peccati? Eh, ma non ci riesco, io ci ho provato ma…” perché? Perché non abbiamo sperimentato la bontà di Dio. Lui è buono, ma noi non l’abbiamo provata questa bontà? Questo è il problema, questo è il punto della questione, capite? Ciò che non ci fa cadere nello scoraggiamento, anche se cadiamo in qualche mancanza, in qualche imperfezione o, Dio non voglia, anche in qualche peccato grave, è proprio questo. Se non ho l’esperienza della bontà di Dio, quando io cado dentro qui, non riesco più a venirne fuori, non riesco più a rialzarmi, non riesco più a ricominciare, a riprendere. E invece, l’esperienza della bontà di Dio, dovrebbe farci sempre dire, qualunque cosa accada: “Tu ti rialzi, vai subito a chiedere perdono al Signore, e ti rimetti in piedi”. Per questo noi dovremmo confessarci spesso. 

Quando durante la Santa Messa distribuisco la comunione resto sempre e da sempre, molto colpito da questo fatto: tante persone, anche il giorno di Natale non fanno la comunione. Incredibile, io non so come facciano, veramente, credetemi, non riesco proprio a capirlo. Se qualcuno un giorno me lo spiegherà in modo convincente io lo ringrazio, perché, guardate, a cinquant’anni e con tutti gli studi che ho fatto, io non ho ancora capito… Sapete, una volta ti dicevano: “Con tutti i soldi che ho speso per farti studiare e ancora non hai capito, e ancora non sei arrivato, e ancora no…”. Ogni tanto i nostri genitori, o i nonni, dicevano: “Eh, ma con tutti i soldi che abbiamo speso per farti studiare, con tutto l’impegno che abbiamo messo e tu ancora, no…”. Sì, questo ve lo dico io, con tutta la fatica che ho speso per fare i miei quattro studi, i miei quattro esami, io non l’ho ancora capita questa cosa: quante persone che, anche il giorno del Natale, della Pasqua, del primo dell’anno, insomma, i giorni proprio quelli importanti, il giorno dell’Immacolata Concezione…, vanno a messa e non fanno la comunione! Al momento della comunione, si siedono. 

Io, credetemi, non riesco a capirlo il perché. Ma ci fosse una ragione… economica, che uno dice: “Costa troppo!”. “Voglio andarmi a comprare il caviale, ma costa talmente tanto che non me lo posso permettere”. “Devo andare a parlare con quello specialista medico così importante, quel guru della neurologia di cui ho bisogno, ma è talmente lontano, talmente irraggiungibile, talmente caro, che non me lo posso permettere”. Ci fosse una ragione del genere, capisco; ma, cos’è che ti impedisce di andarti a confessare? Non paghi niente, non costa niente, tutta la fatica l’ha fatta Gesù, che si è svenato e dissanguato per te, che è lì, pronto a inondarti col suo sangue per cancellare i tuoi peccati; e tu perché non ci vai? No, arriva la comunione, si siedono. Facciamo le ore in piedi, al freddo e al gelo, per andare in giro, nei pomeriggi di dicembre, a vedere le bancarelle, le luminarie di Natale, per comprare un cappellino in terital, e non riusciamo ad andare a fare una santa confessione.

Adesso non c’è neanche più il confessionale di una volta; fino a un po’ di tempo fa, quando mi confessavo, c’era il confessionale a muro, dove o c’era la grata o tu andavi davanti, però ti mettevi in ginocchio; andavi lì, ti mettevi in ginocchio e ti confessavi. Adesso ci sono questa sorta di stanze climatizzate: d’estate c’è l’aria condizionata, temperatura costante, deumidificante, ossigenante, rivitalizzante, ci manca solo che ci mettono dentro i sali aromatici, i tonici, e uno ha fatto anche la SPA! D’inverno, ovviamente, c’è dentro una temperatura media che ci potrebbero crescere le orchidee, temperatura e umidità costante, uno entra e dice: “Scusa, aspetta che mi spoglio, perché sennò qui mi sciolgo”, fuori c’è un freddo incredibile, ma dentro no. Se uno pensa a San Giovanni Maria Vianney, che confessava dodici ore con fuori il ghiaccio che cadeva, anzi in chiesa cadeva il ghiaccio dai muri, ecco, uno dice: “Vabbè, non vado a confessarmi, sennò mi viene la bronchite”. No, non c’è neanche questo problema, perché tu, se ti vai a confessare, ti fa bene anche al corpo, perché tu vai lì dentro ed è come entrare dentro una stanza iperbarica, fai proprio una sorta di ossigenazione del sangue, tonificazione dei polmoni, ti fa proprio bene alla circolazione, ti fa bene anche al corpo, perché proprio ti fa bene. No, non ci vanno, non ci vanno! 

Arriva Natale, messa di Natale della notte — perché bisogna andare tutti alla messa della notte — comunione: seduto. Che, in teoria, se uno che fa la comunione si deve mettere in ginocchio, uno che non fa la comunione si dovrebbe prostrare a terra, e supplicare perdono e pietà. Perché, se io che faccio la comunione mi metto in ginocchio, per ringraziare Dio del dono che ho ricevuto per fare la comunione con Dio, chi colpevolmente non la fa, dovrebbe prostrarsi a terra e supplicare il perdono di Dio. Questa è proprio l’applicazione del logos, no? Se noi dobbiamo seguire il logos, mi vien da fare questo ragionamento. No, all’ora della comunione, si siedono, braccia incrociate e guardano per aria. E questo cosa ci rappresenta? È un mistero, io non lo capisco; veramente, non lo capisco.

Ma Santa Pace, ma è Natale! Ma allora cosa siamo qui a fare? E che cosa ti tiene separato dall’Eucaristia? Che cos’è che vale così tanto, da doverti tenere quel blocco di cemento armato sul cuore, che ti soffoca? Che cosa vale di più di questo corpo dato e di questo sangue versato? Insomma, io butterei tutto fuori dalla finestra e direi: “Ma siamo impazziti? Ma io non devo andare a ricevere Gesù Eucarestia, perché c’è questa realtà che me lo impedisce? Ma mi taglio un braccio e una gamba e mi cavo un occhio! Butto tutto fuori dalla finestra; ma stiamo scherzando? Devo rinunciare all’Eucarestia per cosa? Per chi? No!”.

Ma poi, cosa diremo il Signore, che ci ha dato tutti i mezzi e gli strumenti? 

Perché, siamo onesti, un sacerdote lo trovi! Io, nella mia vita, ho confessato ovunque. Ma chi è quello che ti dice; “No! No, non ti confesso”. Magari in quel momento lì non può, perché l’hai preso in un momento un po’ così, e ti dice: “Guardi, adesso, in questo istante, non riesco, però, se viene oggi pomeriggio, se viene domani mattina, la confesso”. Santa pazienza, ma un sacerdote lo troviamo, non siamo mica in mezzo alla foresta con le liane, eh? Che tu abiti a Milano, che tu abiti a Roma, che tu abiti a Napoli, che tu abiti a Torino, un sacerdote lo trovi.

Ma il problema non è trovare i sacerdoti, il problema è che io non voglio, perché preferisco il peccato; perché non mi interessa veramente; perché va bene così. 

Peggio ancora se poi, nonostante io non possa fare la comunione, la vado a fare lo stesso. Questo è ancora il peggio del peggio, che così facciamo anche sacrilegio. Quando, invece, uno dovrebbe dire: “Signore, ho peccato, ma siccome so che tu sei buono, dolce, che tu sei un vero amico, vengo a chiederti perdono, vengo a fare una santa confessione e così poi posso fare tutte le comunioni che voglio. E, se per ritornare in amicizia con te e poterti ricevere nell’Eucarestia, io devo abbandonare quella via, devo rinunciare a quella strada, io devo fare un taglio netto con quella struttura di peccato, con quello status di peccato, e sia! “Meglio entrare in cielo zoppo, che con due gambe sane andare nella Geenna”, dice Gesù nel Vangelo.

E, ovviamente, questi che non ricevono l’Eucarestia, stanno in fondo, sono in fondo, nel loggione. Non stanno davanti, stanno in fondo; eh, certo. Capite, anche fisicamente, anche spazialmente, tutto dice di questa lontananza; anche se siamo in chiesa, tutto dice di questa lontananza da Dio. Chi non riceve l’Eucarestia, non sta al primo banco, lì davanti, per primo. No, non lo fa; giù, in fondo. 

Però, credetemi, non c’è una ragione per non confessarsi, non c’è. Cioè, ci son tante ragioni, ma nessuna valida, nessuna sufficiente. Che cosa diremo al Signore quel giorno, quando moriremo? “Io son stato trent’anni, quarant’anni, senza fare la comunione e da trent’anni, quarant’anni, non mi sono confessato perché: …” Io credo che non riusciremo a dire neanche una parola, perché davanti a questo Dio che ha dato suo figlio, che è morto in croce, che si è dissanguato, svenato per noi, che ha sofferto quello che ha sofferto, per liberarci dal peccato, non c’è una ragione sufficiente che ci possa tenere lontano dalla confessione e quindi dall’Eucaristia.

Ecco, e qui mi permetto di dire questa cosa, cioè, devo dirla, perché è fondamentale dirla: non tiriamo in ballo, in questa situazione, la comunione spirituale. Eh, no! Non si può. Non posso dire: “Ah, dunque, siccome tu, a motivo del peccato grave o mortale che hai commesso, non puoi fare la comunione sacramentale, allora fai la comunione spirituale”; Eh, no, no, no, no, no, no: non si può! Questa è una presa in giro. Già ve l’ho spiegato in tante altre meditazioni, ma qui lo ripeto nuovamente, perché vedo che c’è un po’ di confusione, su questa cosa. 

San Tommaso scrive che la comunione spirituale è il fondamento della comunione sacramentale. Cioè, qual è il fine, qual è la ragione, della comunione sacramentale? La comunione spirituale. Vedete che è la stessa parola? Comunione spirituale, comunione sacramentale, sempre di comunione si tratta, in due forme diverse. Però, la comunione spirituale è fondamentale anche per la comunione sacramentale. Se io faccio la comunione sacramentale, ma non c’è nessuna comunione spirituale, che comunione ho fatto? Ho ricevuto materialmente il corpo e il sangue di Cristo, ma non è successo niente, perché non c’è stata nessuna comunione spirituale. Viceversa, io posso, per “x” ragioni, non ricevere la comunione sacramentale, perché magari sono lontano dalla chiesa — come struttura; cioè, non so, mettiamo sono sul cucuzzolo di una montagna, oppure è notte, oppure sono ammalato, faccio degli esempi — e non posso fisicamente andare in chiesa a ricevere l’Eucarestia, però posso fare la comunione spirituale, sempre, sempre. 

Io posso sempre fare la comunione spirituale, però devo essere in grazia di Dio. La condizione perché si realizzi la comunione spirituale e la comunione sacramentale, qual è? L’essere in grazia di Dio. Se io non sono più in grazia di Dio… 

Peccato “mortale”, cosa vuol dire? Già ve l’ho detto: vuol dire che è un peccato che produce la morte, e infatti la confessione è chiamata, è detta, “sacramento dei morti”, l’Eucarestia è chiamata “sacramento dei vivi”. Quindi, se io ho fatto un peccato mortale e quindi sono morto, perché (mettiamo tra virgolette, ma per intenderci) ho “ucciso la grazia di Dio in me e quindi sono morto” — così ci capiamo — io non faccio la comunione con nessuno. Un morto con chi fa la comunione? Con chi entra in comunione un morto? Con nessuno, è morto! Se uno è morto, è morto, non può fare la comunione con qualcuno, ma non può entrare in comunione neanche con la moglie né con i figli, è morto! Non c’è niente! Un morto non può entrare in relazione con un vivo, è morto. Non posso dire: “Stasera vado a mangiare un gelato con un morto!”; ma, se è morto, come fa ad andare a mangiare un gelato? “Stasera — non so — ho avuto una bellissima discussione, relazione, con un morto”; ma se è morto, è morto. Puoi dire che, andando al cimitero, hai fatto una preghiera per lui e va bene, ma ti stai riferendo alla sua anima, ma non al cadavere. Quindi, una persona che è morta spiritualmente, non può fare né la comunione sacramentale né la comunione spirituale. Proprio perché non ci può essere nessuna comunione spirituale (perché è morto spiritualmente) quindi non può accedere alla comunione sacramentale: è morto. Prima, deve andare a ricevere il sacramento dei morti; quale? Appunto: la confessione.

Quindi, usciamo da questa favola che ci fa dire: “Eh, vabbè, sì, dai, non posso fare la comunione sacramentale, e vabbè, farò almeno quella spirituale!”; no, non puoi fare né l’una né l’altra, questa è la situazione super tragica di uno che sceglie di restare lontano da Dio, nel peccato grave. Questa è la situazione tragica: che in nessun modo può fare comunione con Dio, se prima non si va a confessare, a chiedere perdono a Dio, e a farsi perdonare i suoi peccati; se non c’è questo, non ci può essere nessuna comunione.

Ma, guardate che non sto scoprendo l’acqua calda, perché questa è una cosa logica; non è che vi sto dicendo una cosa che per la quale dire: “Eeeh, mamma, padre Giorgio deve vincere il Nobel della teologia! Ha scoperto oggi quello che nessuno aveva mai capito prima”; no, ma guardate che un bambino delle elementari, se voi gli date in mano un foglio, una matita, e gli fate fare: A, B e C.… e ci arriva da solo! (A) se per la comunione spirituale e sacramentale è necessario essere vivi, cioè in grazia di Dio, (B) se io sono morto: (C) non posso fare nessuna comunione. Punto! 

Infatti, anche fisicamente, anche parlando proprio fisicamente, materialmente, nessuno va a dar la comunione a un morto, anche il morto fisico, il cadavere, basta, non la può più ricevere, la comunione si dà finché una persona è fisicamente viva, a maggior ragione a livello spirituale, quella persona dev’essere viva spiritualmente, deve essere in grazia di Dio. Se non è più in grazia di Dio, non ha nessun senso né la comunione spirituale, né la comunione sacramentale. Perché è morta e deve prima andare a chiedere perdono a Dio. Che è la cosa più facile, più immediata, più bella da fare. 

Non serve scalare l’Everest! Le cose vengono dipinte come se fossero le cose più difficili al mondo, ma non c’è niente di difficile: è quello che si è sempre fatto, uno prende e si va a confessare. Punto, fine, ha risolto il problema, siamo qui che stiamo parlando, come se si stesse discutendo della cosa più complessa del mondo e che quindi uno è escluso; no, non è escluso nessuno, è la cosa più facile della terra

Chiarito il concetto, chiarita la logica, messo in atto il logos, basta, uno prende e si va a confessare. Certo, il problema, qual è? C’è un problema! È che se io non voglio rinunciare a quel peccato grave, o a quei peccati gravi, eh, allora qui nasce il problema. Non mi posso confessare, perché il sacerdote ovviamente ti dice: “Sei pentito di questi peccati?” — “Eh, no. Perché lì vivo ogni giorno. Perché io non voglio rinunciare a quello status di peccato” — “Eh, allora non ti posso assolvere”. 

Capite, io non posso andare a confessare che sono un ladro, che ho rubato, vado in confessione e dico: “Sia lodato Gesù Cristo” — “Sempre sia lodato” — “Buongiorno, mi dica i suoi peccati” — “Io sono un ladro, confesso di essere un ladro, che ho rubato” — “Va bene; è pentito di questi suoi peccati?” — “Mmm, no! Fuori ho il mio amico che mi sta aspettando, perché stasera andiamo a derubare a una banca. Fuori ho il mio amico che mi sta aspettando perché adesso, appena esce la signora anziana di chiesa, le rubiamo la borsetta; fuori c’è il mio amico perché adesso, tra poco, tra un’oretta, andiamo in quella villetta, che sappiamo che sono tutti via perché sono andati a fare la settimana bianca, e gli svaligiamo la casa; e sono venuto a chiedere l’assoluzione” — “Eh, non te la posso dare” — “Eh, come non me la può dare? Eh, ma io sono venuto in confessionale a chiedere perdono dei miei peccati!” — “Eh, ho capito, ma se non sei pentito, scusa! Io ti do l’assoluzione e tu mi stai dicendo che tra un’ora vai a derubare a una banca, che tra un’ora vai a svaligiare una casa, ma che cosa stai dicendo? Tu devi essere pentito!” — “E quindi, allora, cosa devo fare?” — “Allora, tu devi chiedere perdono a Dio che sei un ladro, che hai rubato; restituire tutto quello che hai rubato, primo; secondo: adesso tu devi rinunciare a tutti i tuoi progetti di male e non andare più a rubare. Sei disposto a fare questo? Sei disposto a dire al tuo amico: «Da oggi è finito ogni nostro rapporto, perché io non voglio più essere un ladro e, se noi siamo amici per essere ladri, è finito tutto. Noi potremo essere amici per qualunque altra cosa, ma non per essere ladri. Quindi, la nostra relazione come ladri è finita. E io non andrò mai più rubare e tu restituirai tutto» — ricordate Zaccheo — Ecco, allora, se questi sono i tuoi propositi, ti assolvo, certo, qualunque cosa tu abbia fatto di ruberie, sarai perdonato di tutto, ma tu devi essere pentito col proposito di non rubare più, di non cadere più in questa cosa e di restituire il maltolto” — “Si, va bene, allora accetto, farò così” — “Benissimo, allora ti assolvo”. 

Uno dice: “Eh sì, però poi io non posso sapere se tra un mese sarò capace — mettiamo un peccato di gola — di non ricadere nella gola”. Va bene, questo è un altro discorso, ma tu oggi fai un proposito fermo e deciso di non cadere più nel vizio capitale della gola? Fai un fermo proposito, veramente deciso, di uscire da questo peccato? Sì! Ecco, questo è quello che conta. Quindi, se hai a casa cinque chili di nutella, magari, come tuo proposito di serietà, puoi dire: “Stasera li prendo, faccio tanti vasetti e li regalo”. Adesso sto parlando così, per immagini, ma per farvi rendere conto, ecco. Testimoni, in questo modo, che: “Non comprerò più la Nutella perché, se so che questa cosa mi fa cadere nella gola, non comprerò più la Nutella”. E quella che hai a casa anziché buttarla via la regali. Fai dei vasetti piccolini, giusti, e la dai a tutte le persone che conosci, e così tu hai risolto il problema e ti tieni il vasetto per metterci dentro le monetine.

“E poi, tra un mese, ci son caduto dentro, adesso cosa faccio?” — “Adesso vieni a chiedere perdono al Signore, perché tu ti sei impegnato, hai fatto dei propositi sinceri, ti sei messo seriamente, d’impegno, va bene; e poi, perché ancora non hai veramente un cammino spirituale, intenso, vero, profondo, sei caduto e va bene, se vieni a chiedere perdono al Signore, ti impegnerai ancora di più”. 

Però è diverso da chi dice: “Questo è il mio peccato, ma io da qui non mi muovo. Io, non mi pento veramente, io stasera vado ancora a rubare, io sono venuto a chiedere il perdono, ma io non rinuncio a…”. Eh, questo è un altro discorso, sono due status diversi della coscienza. Quindi, questo qui che non si pente veramente, non può ricevere il perdono, l’altro che dice: “Io mi pento veramente e riparo il male che ho fatto, e mi impegno, e ci metterò dentro corpo e sangue per farlo bene”, ecco, che poi dopo un mese ci cade, è una situazione diversa, perché veramente si vuole impegnare e va bene, c’è caduto dentro, si impegnerà la prossima volta, passeranno due mesi, tre mesi e migliorerà sempre di più. Ma il primo non si confessa per questa ragione, perché non vuole uscire dal peccato, perché non vuole abbandonare quella situazione di peccato. Preferisce quello, all’essere in comunione con Dio. E allora, in questo caso, non ci sarà né la comunione sacramentale né la comunione spirituale, perché quella persona spiritualmente è morta, e quindi è una situazione molto, molto grave. Ecco perché la Chiesa, da sempre ha insegnato, che non bisogna morire in peccato mortale; per questa ragione.

Quindi preghiamo, come dice la Madonna a Fatima, per la conversione dei peccatori, e preghiamo per noi, perché non ci capiti mai questa disgrazia. 

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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