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D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 69

Falò sulla spiaggia

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 69
Domenica 15 ottobre 2023 – Santa Teresa di Gesù, Vergine e Dottore della Chiesa

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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SECONDA LETTURA (Fil 4, 12-14. 19-20)

Fratelli, so vivere nella povertà come so vivere nell’abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la forza. Avete fatto bene tuttavia a prendere parte alle mie tribolazioni.
Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù.
Al Dio e Padre nostro sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Testo della meditazione

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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a domenica 15 ottobre 2023. Oggi ricordiamo e festeggiamo Santa Teresa di Gesù, vergine e Dottore della Chiesa. Rimando a quanto già ho predicato negli anni scorsi sulla figura di Santa Teresa. E quindi rimando un po’ a queste meditazioni perché vorrei andare avanti e concludere questo percorso ampio che abbiamo intrapreso sullo scritto Sequela di Bonhoeffer. Chiedo però a tutti un ricordo e una preghiera per tutti i Carmelitani e le Carmelitane scalze in questo giorno così importante per noi.

Abbiamo ascoltato la Seconda Lettura della Santa Messa di oggi, tratta dal quarto capitolo della lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi, versetti 12 e seguenti. Ecco, veramente possiamo dire che «tutto posso in colui che mi dà la forza» è la sintesi, mi vien da dire, dell’esperienza umana e spirituale di Santa Teresa di Gesù: ha potuto veramente tutto in colui che le ha dato la forza.

Per quanto riguarda il testo Sequela, oggi iniziamo un nuovo paragrafo, intitolato: “Il nascondimento dell’ascesi devota”. Bonhoeffer cita e poi commenterà Matteo capitolo sesto versetti 16-18: 

«Quando poi digiunate, non prendete un’aria inacidita come gli ipocriti, i quali sfigurano la loro faccia, per mostrare alla gente che digiunano. In verità vi dico che questa è già la loro ricompensa. Ma tu, quando digiuni, profumati con olio il capo e lavati la faccia, per non mostrare agli uomini che digiuni, ma al Padre tuo, che è nascosto; e il Padre tuo, che vede nel nascondimento, te ne darà pubblicamente la ricompensa» (Mt 6,16-18).

Scrive:

Gesù presuppone come ovvio il mantenimento da parte dei discepoli della ascesi devota del digiuno. Alla vita dei seguaci appartiene la rigorosa ascesi della continenza. Tali pratiche ascetiche hanno l’unico scopo di rendere più pronti e più lieti coloro che sono nella sequela nell’intraprendere il cammino loro comandato e l’opera loro prescritta. Si impone una disciplina alla volontà egocentrica e pigra, che non vuol lasciarsi indurre al servizio, la carne viene mortificata e castigata.

Bonhoeffer ci dice che Gesù dà per ovvio che, per chi è discepolo, ci sia questa ascesi, questa «ascesi devota del digiuno». Oggi, grazie al cielo, tante persone di buona volontà vivono ancora questo momento dell’ascesi, perché possiamo dire che l’ascesi conosce, diciamo, varie sfumature, come se fossero varie manifestazioni nelle quali il Signore ci invita a farle nostre, a viverle. Il digiuno è uno di questi aspetti dell’ascesi: àskesis in greco — già ve l’ho detto tante volte — vuol dire “allenamento”. E Gesù dà per dato che ci sia questa forma di àskesis, che è quella del digiuno. 

Ecco, qui teniamo ben presente che, quando parliamo di digiuno, noi spesse volte diciamo che non esiste solo il digiuno del cibo: esiste il digiuno dalle televisioni, il digiuno delle parole, il digiuno… okay, e anche a me è capitato più di una volta di parlarvi del digiuno sotto questi altri aspetti, però, riflettendo ultimamente mi sono reso conto che questo modo di intendere, e quindi di parlare, è improprio. Non è che sia sbagliato, però è improprio, e noi dobbiamo sempre cercare ciò che è più proprio, ciò che maggiormente corrisponde alla realtà dei fatti, alla realtà delle parole, alla realtà degli insegnamenti… alla realtà. 

Quindi, quando noi parliamo di digiuno, quando qui si parla di digiuno, si parla di digiuno del cibo e dell’acqua, quindi non della televisione. Credo che dobbiamo capire meglio questo tema dell’ascesi, come poi Bonhoeffer spiegherà in tutto il testo che adesso affronteremo, lo spiegherà molto bene. Però ecco, ripeto, il digiuno è un aspetto dell’ascesi; per esempio, il decidere di — non so — non vedere la televisione forse è meglio chiamarlo di più come una penitenza, come una disciplina, un disciplinarsi, un fare penitenza per disciplinarsi, un disciplinarsi che comporta una penitenza, per chi è molto legato alla televisione. 

Per esempio, proprio oggi qualcuno mi faceva degli esempi di questa possibilità dell’ascesi intesa nella sua forma della penitenza, della disciplina. Non so, il decidere, alla sera — faccio un esempio — di non guardare i social, non mettersi a guardare video su YouTube, film e quant’altro, per dedicarsi maggiormente, al termine della giornata, al silenzio, alla preghiera, al raccoglimento prima di andare a dormire, all’esame di coscienza, per esempio. 

Oppure qualcun altro, ad esempio, tempo fa mi diceva: “Ma guardi padre, io avevo l’abitudine in macchina di ascoltare la radio, però poi ho fatto una scelta e al posto di ascoltare la radio, nei miei tragitti in macchina, dico il Salterio di Gesù e di Maria. 

Queste sono scelte forti, sono penitenze, perché è chiaro che se uno ascolta la radio è perché gli piace: ascolta la musica, ascolta le notizie… insomma, questa è una penitenza forte. Fare un viaggio in macchina per lavoro e decidere di dedicare quel tempo al posto che allo svago, lecito, alla preghiera, questa è una penitenza che però è anche una disciplina, è un disciplinarsi, perché poi dopo appunto lui mi diceva: “Ecco, facendo questo ho notato questo cambiamento, questo miglioramento”. Ecco, sono degli esempi. 

Quindi anch’io quando vi ho parlato del digiuno, ad esempio delle parole, della televisione… ecco, ripeto, sono stato improprio nella mia espressione, nella mia concettualizzazione anche. Ed è bene quindi riportare i termini al loro vero significato.

Qui stiamo parlando del digiuno dal cibo e del digiuno dal bere: quindi, nel campo dell’alimentazione. E allora, appunto, Bonhoeffer dice: «una rigorosa ascesi della continenza». Ecco, vedete, anche la continenza ci sta col mangiare, ma non solo. In questo caso la continenza sta con il mangiare, quindi mangiare in modo contenuto senza esagerare, però sta anche con tante altre cose. Non so, ho un momento di svago, di divertimento, in modo contenuto; devo parlare, lo faccio in modo contenuto, e via di seguito… “la continenza”.

Oggi, in questa riflessione che faremo, ascolteremo dei termini che forse per qualcuno sono nuovi o poco conosciuti o poco ascoltati, oppure per qualcun altro sono conosciuti, ma magari non con una tale distinzione tra l’uno e l’altro.

Qual è lo scopo di tutte le pratiche ascetiche? Quindi, ad esempio, del digiuno piuttosto che la continenza, la disciplina, la penitenza… ecco, qual è lo scopo? Perché non sono mai fine a sé stesse: il digiuno non è mai fine a sé stesso, nessuna pratica ascetica è fine a sé stessa. Come l’allenamento non è fine a sé stesso: non mi alleno per allenarmi, mi alleno sempre con uno scopo che potrebbe essere migliorare il mio tono muscolare, migliorare la mia attività cardiaca, perdere peso, aumentare la massa magra, essere più tonico, essere più elastico, insomma c’è uno scopo, non è che uno va ad allenarsi per allenarsi. No, c’è uno scopo! E così in tutto, anche nella vita spirituale. 

Perché mangio? Perché mi devo nutrire, non mangio per mangiare, sennò poi nascono i problemi. 

Quindi c’è uno scopo, quale? «Rendere più pronti e più lieti coloro che sono nella sequela». I discepoli grazie all’ascesi, alle pratiche ascetiche, sono portati a essere resi più pronti e più lieti. Queste pratiche ascetiche che cosa vanno a correggere, a educare? «La volontà egocentrica e pigra»: le pratiche ascetiche servono proprio per educare la volontà. 

La volontà purtroppo, dopo il peccato originale, tende con facilità a mettere l’io al centro e quindi a non guardare l’altro, il servizio all’altro e a impigrirsi, che è in un certo senso, un chiudersi su sé stessi, è il non percepire la necessaria utilità della mia presenza nella realtà che abito. E quindi questa volontà egocentrica e pigra non si vuole lasciare condurre/indurre al servizio. 

Chi è egocentrico, chi è pigro non serve, proprio non ce l’ha dentro il servizio. Ecco, rimanendo sull’argomento della mensa, del cibo: uno che vede che c’è da preparare la tavola, ci sono da mettere i piatti, c’è da cucinare, ci sono da lavare le pentole, c’è da servire, c’è da ritirare ma non lo fa, sta seduto. Non si pone neanche il problema, è pigro, si fa servire, e quindi si concentra solo su sé stesso.

Bonhoeffer dice che questa disciplina serve anche per mortificare e castigare la carne. La carne che vuol dire: tutto ciò che in noi si oppone a una vera maturazione umana e spirituale, la carne intesa come quella parte segnata dalla ferita del peccato originale e che quindi — vedremo bene in che senso e perché — va mortificata e castigata. Cioè, va a tal punto rieducata, costantemente e progressivamente, che questa resistenza, inerzia, alla maturazione umana e spirituale dell’uomo, deve essere mortificata, cioè deve fare un’esperienza di morte, di rinuncia il più possibile radicale a sé stessa. Vedersi castigata vuol dire vedersi messa all’angolo, vuol dire vedersi taciuta. 

Andiamo avanti:

Nell’ascesi della continenza risulta chiaramente l’estraniamento della mia vita cristiana nei confronti del mondo. 

Quando io vivo la continenza, l’ascesi nella sua forma della continenza — come vi ho detto prima si può applicare a tanti campi questa continenza — è evidente che c’è un estraniamento, un chiamarmi fuori, un essere estraneo, un non condividere, cioè nel senso proprio, di “dividere con” la mia vita cristiana con il mondo, il mondo inteso — come abbiamo già detto — in senso giovanneo, come ciò che si oppone a Cristo, al messaggio del Vangelo, allo Spirito. Quindi, nel momento in cui io vivo questa continenza, io sto affermando e sto vivendo una estraneità, un chiamarmi fuori, un dire: “No, io vivo per altro, io cerco altro. E quindi vivo la continenza”. 

Scrive:

Una vita del tutto priva di esercizio ascetico

se nessuna forma delle pratiche ascetiche è presente nella mia vita — io credo proprio che per voi non sia così, non tutti faremo tutto, però, chi più una forma, chi più un’altra, sicuramente vivrete queste pratiche ascetiche — ecco lui dice però: attenzione, che una vita che è del tutto priva di esercizio ascetico, cioè che non conosce nessuna pratica ascetica — né la penitenza, né la disciplina, né la continenza, né il digiuno — e quindi:

che si concede tutti i desideri della carne, nei limiti in cui sono «permessi» secondo la iustitia civilis

cioè, nel momento in cui viene un desiderio, io lo devo soddisfare istantaneamente, «nei limiti in cui sono “permessi” secondo la iustitia civilis» (quindi non il desiderio di far del male ad un’altra persona, o di compiere un reato, ma i desideri che vengono dalla carne e che rientrano in quelli consentiti dalla legge civile) nel momento in cui uno si concede tutti questi desideri senza nessuna opposizione, rieducazione, ascetica, Bonhoeffer dice che:

è difficilmente disponibile al servizio di Cristo.

Quindi voi notate che c’è un legame significativo, stretto, tra queste pratiche dell’ascetica e il servizio di Cristo. C’è proprio un legame indissolubile. Sentite questa frase:

La carne — come l’abbiamo già descritta — soddisfatta non prega volentieri e non si dedica ad un servizio che chiede rinuncia.

Questo è verissimo, credo che sia l’esperienza di tutti noi. Quando noi viviamo una pratica ascetica, o più pratiche ascetiche, e quindi non diamo soddisfazione alla carne sotto diversi aspetti, noi vediamo che siamo più portati a pregare volentieri: ci viene proprio voglia di pregare. Siamo come maggiormente raccolti, mi verrebbe da dire che sentiamo come una naturalezza che ci porta gioiosamente a pregare. 

Diversamente, quando invece soddisfiamo la carne, c’è una svogliatezza nella preghiera, non si va a pregare volentieri. Si prega volentieri e si prega bene con lo stomaco a digiuno o che ha vissuto la continenza, che ha mangiato, ma in modo continente, contenuto e continente.

Quando abbiamo esagerato non riusciamo a pregare, non riusciremmo mai a metterci a pregare. Tra un po’ è Natale e segnatevi per il giorno di Natale nel vostro calendario: dopo il pranzo di Natale — o dopo la cena di Natale, che probabilmente è la cosa meno necessaria di tutto l’anno — di provare a mettervi a fare un’ora di Adorazione Eucaristica. Non riuscite, non si riesce, ma non ti viene proprio. Per cui vedete, uno dice: “Facciamo così, facciamo tutto prima: facciamo la preghiera prima, il Rosario prima, l’Adorazione Eucaristica prima, tutto prima, così dopo posso dare soddisfazione sfrenata al piacere della carne, in questo caso nella sregolatezza e nell’incontinenza del mangiare. A quel punto si pone una domanda: ma a cosa è servita tutta quella preghiera precedente? È stata fatta quindi per assolvere a un compito, non per educare una persona, non per formarla, non per darle uno stile, ma solo per dire: “l’ho fatto”. Come l’alunno che dice: “Io ho fatto tutti i compiti, adesso sono libero”. Ma lo scopo non è fare tutti i compiti, lo scopo è imparare un metodo e un contenuto; lo scopo è esercitarsi, applicarsi. 

Quindi uno dovrebbe prepararsi al Natale dicendo: “Bene, cosa vuol dire per me fare Natale?”.  Già ve l’ho detto — ogni anno ve lo dico — vuol dire certo fare festa — ci mancherebbe, il giorno di Natale non è il giorno del digiuno, ci mancherebbe — vuol dire anche fare una festa più importante e più bella di tutti gli altri giorni dell’anno, verissimo, però sempre contraddistinta in modo cristiano dalla continenza. Fare senza strafare, gioire senza cadere nell’eccitazione, nella sregolatezza, nella scompostezza: non serve. 

Se io soddisfo la mia carne, non prego volentieri, certo, e non mi dedico a nessun servizio che richiede una rinuncia. Cioè, non sono capace di fare qualcosa per cui devo rinunciare a me stesso, non posso e non voglio, perché mi sono abituato a soddisfarmi. 

Capite, delle due una: o mi soddisfo, o rinuncio. Se sto entrando nella logica del soddisfarmi, non potrò fare nulla che mi porti a rinunciare a niente, devo solo unicamente soddisfarmi, in tutto. Il rischio qual è? È che la soddisfazione non ha un fondo. Capite? Non arriva il momento in cui posso dire: “Sono soddisfatto”. Ecco perché si perde la continenza e si esagera in tutto, perché non sono mai soddisfatto del gusto, non sono mai soddisfatto del piacere, non sono mai soddisfatto del bere, non sono mai soddisfatto… Non c’è un momento in cui entro in uno stato di soddisfazione, e quindi esagero esagerando. 

E quindi Bonhoeffer dice:

La vita dei discepoli abbisogna pertanto di una rigida disciplina esterna.

Non solo interna, ma anche esterna. Si deve vedere esternamente, vedere nel senso che deve essere reale, che c’è questa disciplina, è fondamentale. E deve essere rigida, Bonhoeffer non ha paura di usare questa parola, neanche noi abbiamo paura di usare questa parola, nessuno deve aver paura di usare questa parola. Voi vi immaginate un bastone non rigido? Vi immaginate le colonne di un ponte non rigide? Cosa succede? Vi immaginate i muri che non sono rigidi? Cade tutto. Serve una disciplina rigida; rigida vuol dire: così ho deciso, così ho pensato, così ho meditato, ho pregato, così faccio, senza se e senza ma, senza eccezioni. Lo faccio bene e lo faccio fino in fondo.

Non posso non pensare a questo vizio molto brutto e molto dannoso, per sé e per gli altri, del fumo. Se uno che fuma dicesse: “Ma, io non so che penitenza fare, che pratica ascetica fare”, ecco, io gli direi: “Guarda, comincia da lì, comincia dal fumare”. 

Ricordo dai tempi in cui andavo in carcere che i detenuti — non dico tutti, ma quasi, moltissimi — fumano e fumano tantissimo: i pacchetti di sigarette in carcere valgono più dei lingotti d’oro. E io mi ricordo che, a coloro con i quali iniziavo un certo cammino, dicevo: “Guarda, è giunto il momento che cominci a riflettere sulla necessità di fare questo passo ascetico: rinunciare al fumo”. E loro dicevano: “Eh ma padre, questo è un passo proprio grosso, perché…” e io dicevo: “Si, infatti, e perché? Perché tu a quel pezzo di carta con dentro un po’ di erbetta, di tabacco che brucia tu dai un significato che lei non ha. Tu le attribuisci un potere che non ha”. E quindi noi fumiamo per rilassarci, noi fumiamo per distrarci, noi fumiamo per occupare quel tempo, noi fumiamo in pausa dal lavoro quando andiamo a bere il caffè, poi fumiamo, “esco a fumare una sigaretta” e via di seguito. Ma tutti ormai sanno che il fumo reca un danno importante alla salute. Non c’è nessun dottore, non esiste un medico che dica che fumare fa bene, addirittura è scritto sui pacchetti delle sigarette che il fumo uccide, te lo scrivono! E noi, incuranti, compiamo costantemente questo attentato alla nostra vita (che è un dono Dio) e alla vita degli altri, perché il fumo passivo fa più male di quello attivo — così dicono. Pensate ai bambini che devono respirare il fumo passivo dei genitori.

“Non so che penitenza fare”: cominciamo da qui, cominciamo da questo, dal non dare a quella sigaretta il potere che non ha e il senso che non ha. È un qualcosa che brucia! Come può qualcosa che brucia darmi quello che io sto cercando? Non me lo dà! Infatti, ne fumo una e poi ne devo fumare un’altra, e poi un’altra ancora e poi un’altra ancora e poi un’altra ancora… vedete: la carne non è mai soddisfatta, e io continuo dentro a ricadere in questo vizio, terribile! (Senza contare l’incidenza economica incredibile, perché le sigarette costano tantissimo). 

San Giovanni della Croce diceva che non importa ciò che tiene l’uccellino legato alla terra, se è una catena o un filo, ciò che conta è che è legato. Quindi non importa se quel vizio o quel peccato è una cosa enorme oppure piccola: ciò che conta è che è legato. Il fumo, poi, non è una cosa proprio così piccola perché, come ho detto, fa male, fa molto male. E soprattutto cerco lì ciò che dovrei cercare altrove. 

Dopo sapete che ci sono quelli che “va bene, non fumo più”, allora comincio a mangiare le gomme da masticare fino ad usurarmi i denti. Ecco no, neanche. 

O come quelli che dicono: “Ah sì, giusto, drogarsi è sbagliato, quindi divento alcolizzato”. Eh no, cioè non è che drogarmi fa male, quindi scambio l’eroina con l’alcol. Capite? Non funziona così. 

“Eh, ho smesso di fumare e sono aumentato di dieci chili”. Eh appunto, perché hai scambiato la sigaretta con il cibo. No! Cioè, non si fa in questa linea. 

La linea è: che senso io sto dando a quello strumento? Che sia il cibo, che sia il fumo, che sia qualunque cosa. Che senso sto dando? Che senso sto caricando su quella realtà? Ma quella realtà è capace di darmi quello che io cerco? È capace di portare quel senso, cioè, è capace di ridarmi quel senso che io le sto chiedendo? No! Non è capace. Infatti, non acquisto quel senso, non lo ricevo. Allora devo dire: “Beh, allora non mi serve: oltre che farmi male, non mi serve”. Devo cercare quel senso dove lo trovo. Quindi dovremmo abbandonarlo. 

Poi arriva qualcuno che dice: “Beh, allora facciamo così: io fumo sessanta sigarette al giorno, allora adesso comincio a scalarne una alla settimana”. No, guardate, non funziona così. Quando un dottore deve amputare un arto, non fa un taglietto ogni tre giorni, capite? Prende la sega e lo taglia, punto. Non si può stare lì a girare. Devo amputare un arto? Lo taglio, fine. “No, ma…” eh no, allora, o lo taglio o non lo taglio: se lo taglio lo taglio, lo taglio subito e bene, sennò niente. Quindi, quando taglio un ramo non ci impiego due settimane per tagliarlo: lo taglio, adesso. Hai capito che, hai compreso che, Dio ti ha fatto la grazia di capire che quello è un vizio e ti devi liberare? Basta, prendi e butta, fine. “Ma ce la farò?” — certo che ce la farai — “Ma la dipendenza…” — è una questione di testa, è una questione della mia testa. Chiedi aiuto a Gesù. Invece di attaccarti al pacchetto delle sigarette o qualsiasi altra cosa, attaccati alla corona del Rosario, attaccati alla parola di Dio, invoca la Vergine Maria, lo Spirito Santo, vai da Gesù Eucarestia.

Guardate che veramente il Signore sa fare miracoli in questo senso! Io in carcere, ma non solo in carcere, ho visto tantissime persone fare questo salto incredibile e dire: “Ce l’ho fatta!” — “Certo che ce l’hai fatta, io non avevo dubbi che tu lo potessi fare. Hai voluto farlo (ma non è volontarismo)?” — “Sì” — “Hai cercato chi ti poteva aiutare?” — “Si” — “Chi?” — “Gesù” — “È esatto! Lui sì che ti dà il senso. L’hai chiamato in aiuto?” — “Sì”. E questi magari arrivavano dopo una settimana e mi dicevano: “Fra Giorgio, ma sai che adesso mi dà fastidio sentire l’odore del fumo?” — “Eh, certo, non dirlo a me, non dirlo a me” — “Adesso non posso più sopportare chi fuma. Prima fumavo cinquanta sigarette al giorno e adesso non riesco neanche più a stare vicino a uno che fuma e dico al mio compagno di cella di non fumare” — “Eh, visto? Hai visto? Adesso hai scoperto il vero volto di quel vizio. E hai capito che ti teneva schiavo e ti illudeva di darti qualcosa che non ti dà”.

Ecco perché serve una rigida disciplina, come dice Bonhoeffer. 

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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