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La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia, di S. Pietro Giuliano Eymard. Parte 37

La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia, di S. Pietro Giuliano Eymard

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione sul testo “La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia” di S. Pietro Giuliano Eymard di venerdì 8 luglio 2022

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

VANGELO (Mt 10, 16-23)

In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli:
«Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe.
Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.
Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato.
Quando sarete perseguitati in una città, fuggite in un’altra; in verità io vi dico: non avrete finito di percorrere le città d’Israele, prima che venga il Figlio dell’uomo».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione

La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia, di S. Pietro Giuliano Eymard. Parte 37

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a venerdì 8 luglio 2022.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo X di San Matteo, versetti 16-23.

Proseguiamo la lettura e la meditazione del libro di San Pietro Giuliano Eymard sugli Esercizi Spirituali davanti all’Eucarestia.

Scrive:

“Innanzitutto bisogna praticare tutte le mortificazioni proprie del nostro stato; queste sono d’obbligo assoluto e prima di tutte le altre: sarebbe un grave errore ometterle per far luogo ad altre. Poi bisogna cercarne, e dobbiamo essere inventivi per punirci e immolare il nostro corpo a Dio con sacrifici sempre rinnovati”.

Quindi, lui dice: «La prima cosa da fare è non cercare chissà quali stravaganti penitenze. Ognuno, nel suo stato di vita (il Sacerdote come Sacerdote, la suora come suora, il papà, la mamma, i figli), avrà mille occasioni per potersi mortificare».

Se sei marito: non rispondere male a tua moglie, quando magari ti provoca, o viceversa; non lamentarti se la cena non è di tuo gradimento; porta giù tu la pattumiera, invece di farlo fare sempre a lei…

Se sei figlio: imparare ad ascoltare un rimprovero senza subito reagire, scusarsi, giustificarsi, e via di seguito…

Sopportare le persone moleste, sopportare i disguidi…

Poi, come lui dice, dopo che abbiamo fatto quelle proprie del nostro stato, allora possiamo anche, nel caso, aggiungerne qualcuna di nuova, di diversa, però prima quelle.

“Ci sarebbe di che disperarci se non avessimo amore per la mortificazione”.

Beh, non è che ci disperiamo così tanto ad essere sinceri eh, perché non è che proprio la penitenza sia uno dei nostri primi pensieri…

“— Si cercano innanzitutto i propri comodi; e così non si parte subito al suono della campana; …”

Qui sta parlando ai frati e alle suore, o ai monaci, o ad un Sacerdote che fa il Parroco, anche in quel caso.

Non si parte subito al suono della campana”, cosa vuole dire?

La campana, in convento, soprattutto a quel tempo (adesso un po’ meno), scandiva i vari momenti della giornata. Quindi, suona la campana per la sveglia, suona la campana che ti chiama ad andare in coro a pregare, suona la campana per il termine del lavoro, suona la campana per l’Ora media di mezzogiorno, suona la campana al pomeriggio, alla sera, insomma scandisce i vari momenti.

“… quando si riceve un’obbedienza si ha sempre tant’altro lavoro; …”

Ci viene detto di fare questa cosa e noi diciamo: «No, ma io devo fare questo… No, ma io devo fare quello…»

“… si ritarda la levata; si resta ancora qualche minuto nel letto”.

Questo è frequentissimo, cioè il dire: «No, vabbè, aspetta ancora cinque minuti». E razionalmente uno dice: «Ma cinque minuti, nel sonno, che cosa cambiano? Il fatto che io dorma cinque minuti di più o cinque minuti di  meno, cosa cambia razionalmente?». Niente.

Invece, arrivare a qualsiasi appuntamento cinque minuti prima, o cinque minuti dopo, fa la differenza. Se io ho la metropolitana o il treno, lo perdo. Se il treno parte alle 7.30 e io arrivo alle 7.35, il treno non c’è più (o la metropolitana, o l’aereo, o quello che è); se io devo essere al lavoro alle 8.00 e arrivo alle 8.05, sono in ritardo.

Cioè, cinque minuti, nel dormire, non fanno la differenza; in tutto il resto della nostra giornata, fanno la differenza, soprattutto in certe situazioni.

Anche questa è una cosa abbastanza incredibile da credersi, eppure succede: ci sono persone che devono svegliarsi, per ipotesi, alle 7.00, e la sveglia incomincia a suonare alle 6.00.

Uno dice: «Scusami, perché la punti un’ora prima?»

«Perché a me piace stare un po’ lì».

«Ma allora dormi! Dormi tranquillo fino alle 6.55, poi ti suona la sveglia e tu ti alzi. Che senso ha continuare ad essere svegliato ogni sette, otto minuti, dalla sveglia che suona, e tu la spegni, poi ti riaddormenti, risuona, e tu la spegni, poi ti riaddormenti, risuona, e tu la spegni, poi…?»

Sapete, la nostra pigrizia, però, è capace di tanta fantasia eh… tantissima!

Infatti, sentite cosa scrive San Pietro Giuliano Eymard:

“Che cosa ci guadagnate?”

A fare così, cosa ci guadagni?

Ad arrivare in ritardo al suono della campana, a non vivere nell’obbedienza, a ritardare la levata, a stare nel letto ancora un po’, cosa ci guadagni? Cosa ci guadagni a vivere così?

“Si arriva quando l’Uffizio è cominciato; …”

L’Ufficio è l’Ufficio delle letture, sono le preghiere del Breviario.

Si arriva quando l’Ufficio è cominciato”. Quindi, se l’Ufficio inizia alle 6.00 e tu arrivi alle 6.05, gli altri sono già al primo Salmo… cosa hai guadagnato?

“… accompagnandovi il demonio, vi presenta a Nostro Signore e gli dice con derisione: …”

Pensate a tutte quelle volte che siamo arrivati in ritardo alla Messa… anche solo di cinque minuti, pensando: «Vabbè, cosa vuoi che siano cinque minuti!»

Accompagnandovi il demonio…”: Quindi, non siamo più accompagnati dall’Angelo custode, ma dal demonio, il quale ci presenta a Gesù e Gli dice con derisione:

“… ecco uno schiavo che vuol essere nutrito e perciò viene all’Uffizio; ma io vi ho preso tutto il merito che avrebbe potuto offrirvi”.

Scriviamocelo eh! Scriviamoci questa sentenza infernale.

Ecco uno schiavo”, un suo schiavo, che vuol essere nutrito, e quindi va all’Ufficio o alla Messa o a quello che è; “ma io vi ho preso tutto il merito che avrebbe potuto offrirvi”.

Cioè, tutto il merito che tu avresti avuto e che avresti potuto dare al Signore, andando a recitare l’Ufficio, andando alla Messa, andando…, è tutto andato nelle mani del diavolo. Capite?

Pensiamoci a queste cose!

Per me, come Sacerdote, sono veramente confortanti queste parole, mi rincuora davvero molto leggere queste cose (anche quello che adesso vi dirò), perché vuol dire che non vi dico cose peregrine.

San Pietro Giuliano Eymard scrive:

“Oh, è un’onta essere poco esatto con Nostro Signore, con il nostro Re!”

Esattamente quello che vi dicevo pochi giorni fa, parlandovi della puntualità.

Vi ricordate, quando vi dicevo: «Siamo puntuali con tutti, siamo rigorosi con tutti (e guai a non esserlo), ma con Gesù, vabbè, fa niente»?

 Vi ricordate quando vi dicevo: «Pensate al fatto che non diciamo mai: “Io sono arrivato in ritardo all’incontro con il Signore”»?

Per esempio, all’appuntamento delle 20.00 del giovedì, che Don Tomaselli ci ha insegnato a dedicare all’incontro con Gesù (ogni giovedì alle 20.00, “L’appuntamento con Gesù”, si chiama così), c’è chi arriva alle 20.01, chi alle 20.02, chi alle 20.05…

Oh, è un’onta essere poco esatto con Nostro Signore, con il nostro Re!”

Ma come si fa ad arrivare in ritardo a un appuntamento con il Re dei Re? Se arrivi in ritardo al treno, lo hai perso! Ma Gesù vale di meno di un treno?

Se arrivi in ritardo dalla parrucchiera, quella mette i bigodini ad un’altra… ma Gesù vale meno dei bigodini?

Bisogna prendere l’appuntamento per fare le mèche al cane… ma io mi domando: «Se devo prendere l’appuntamento per andare a lisciare il pelo di un cane… ma Gesù vale di meno?»

Prendo l’appuntamento per ogni cosa, e lo devo rispettare, e corro come un matto in macchina se sto facendo un po’ di ritardo, ma con Gesù va bene tutto…

No, non va bene tutto, perché, o è il Re dei Re, oppure vale meno dei bigodini della parrucchiera.

Anche dal meccanico devo prendere l’appuntamento, se voglio portare la mia macchina ad aggiustare. Gesù vale di meno?

Mai nessuno, però, dice: «Sono arrivato in ritardo all’appuntamento con Gesù», non si sente questo peccato. Ed è un peccato!

Certo, perché è una mancanza di rispetto!

Essere puntuali in ogni cosa, nell’arrivare, nel consegnare le cose, nella parola data, a cena, è importante.

Se tu prenoti il ristorante alle 20.00, e arrivi in ritardo, perdi il tavolo; se vai a pranzo da una famiglia che ti invita, se quelli ti dicono: «Ci vediamo domenica alle 12.00 e pranziamo alle 12.00», e tu arrivi alle 13.00, non fai una bella figura, o arrivi alle 12.10, non è bello.

È proprio una questione di logica: se è…, allora, va da sé che il comportamento deve essere adeguato.

Mi fa molto pensare questo fatto: se noi abbiamo degli ospiti, oh… c’è tutto un protocollo, un protocollo profano da seguire.

 Quindi, bisogna preparare il mangiare per quel giorno, bisogna prepararlo prima, organizzare tutto; oh… si mette in piedi una cosa che non è più finita: si sta in cucina una giornata, per preparare un pranzo del giorno dopo.

Se hai ospiti (poi non saranno due persone sole, probabilmente, quindi…), devi preparare il primo, devi preparare il secondo, gli antipasti, il contorno, poi c’è la frutta, e non porterai mica in tavola una mela gialla, no?

Non dirai: «Buon giorno,  siete miei ospiti, e oggi, come frutta, vi offro una mela gialla», perché uno dice: «Ti prego… come una mela gialla?!»

  «Sì, oggi sono andato dal fruttivendolo e ho comprato una mela gialla». Una cosa così non la fa nessuno, non la fa nessuno!

Già, se ti danno un’arancia, ti sembra di essere in carcere, comunque, vabbè, un’arancia ancora può passare, ma la mela gialla non la dai; quindi, devi preparare una macedonia, devi preparare qualcosa, no?

Poi devi offrire il dolce, no?

Non puoi dire: «Bene, sono contento, e allora oggi, per dolce, vi offro le fette biscottate integrali», perché uno dice: «Ma questo sarebbe il dolce?!»

E tu: «Eh certo, non è dolce? Certo che sono dolci, e sono anche integrali, ti fanno bene alla pancina…»

Questo non lo fa nessuno!

Nessuno apre le fette biscottate integrali e le mette sul piatto agli ospiti, lì, secche, nude e crude, così, come dolce; come frutta, la mela gialla, e come dolce, la fetta biscottata.

Altrimenti uno dice: «Guarda, forse è meglio che vada in ospedale, così magari mi arriva anche la torta al cioccolato e come frutta mi arriva la mousse».

Questo cosa vuol dire?

Vuol dire che non solo dovrò dedicare il tempo a preparare tutta questa roba (quindi, prepara la torta, prepara i dolci… perché poi a noi piace che ci dicano: «Oh… che buono! Come sei stato bravo! Oh… ma quante cose buone! Oh… ma che cosa speciale! Oh… che roba!», a noi piacciono queste cose, perché il nostro io zzzzz, monta come la panna! Vabbè…), ma queste cose vanno anche comprate.

Siccome non arrivano con il telepensiero, quindi, le devo andare a comprare, per cui va via il tempo per andare a fare la spesa (voi immaginatevi le code, poi parcheggia, prendi, apri, poi torna a casa, prendi le borse, portale su, sistema la roba…), e ci vogliono due giorni per preparare un pranzo che sia una cosa bella, preparata bene, importante.

 Tra la spesa e poi la cucina, eh?, vanno via due giorni… un giorno e mezzo tutto.

Poi, in tavola cosa metti? Un pezzo di foglio di giornale?

No! Tirerai fuori la tovaglia, quella bella, col servizio bello…

Insomma, guardate, circa due giorni vanno via tutti… e poi, in un’ora, è finito tutto… e poi, vabbè, poche ore dopo, è andato tutto…

Invece la Messa, la Santa Eucarestia: più è sciatta, meglio è.

Oggi la sciatteria si chiama “semplicità”.

Non si capisce perché, col Signore e con le “cose” del Signore, più si è sciatti, e più si è semplici. Col Signore, più si è poveri, meglio è, ma con Lui eh, con le Sue “cose”, non con le nostre, con le Sue “cose”.

Quindi, l’altare, le tovaglie, le candele, i vasi sacri, la Messa take away (celebrata il più velocemente possibile, più è stile fast food meglio è), vanno sempre bene.

È tutto giusto, anzi, è un punto di onore!

Quando si tratta di organizzare i nostri banchetti, invece, ci vogliono le preparazioni della Regina di Saba.

Ma voi non vi rendete conto che c’è una sproporzione?

A me sembra evidente.

Non so quante volte ci è capitato nella vita di impiegare, almeno tanto tempo per preparare una Messa, quanto ne impieghiamo per preparare un pranzo di Natale… però la Messa è di più di un pranzo di Natale!

Eppure… l’importante è che non sia troppo solenne, l’importante è che non ci sia troppo incenso, l’essenziale è che duri poco… poi il pranzo, vabbè, quello è senza una fine.

“Quando sì è in conversazione in parlatorio, vi si resta alcuni minuti dopo il suono della campana, per non parere sgarbato o per dar prova di maggior riguardo. — Ma il buon Dio che vi chiama? — Ebbene, aspetterà!”

Si fa così eh… si fa così! Guardate, è così! Ha ragione.

Noi sappiamo che la campana ci chiama all’incontro con Dio (non abbiamo la campana, ma abbiamo l’orologio), e noi diciamo: «Sì, vabbè… non posso piantare qui la persona così, è mancanza di carità».

Ma scusami, verso Dio non c’è la carità? No?

Solamente verso le persone?

Hai tutta la giornata, quel tempo è consacrato al tuo rapporto con il Signore, è il tuo καιρός, perché devi arrivare in ritardo?

Tu pensi: «Così do prova di essere una persona garbata, riguardosa, attenta». Sì, alla persona… e davanti a Dio, che figura fai?

Tu dici: «No, ma il Signore mi capisce…»

Te l’ha detto Lui?

Hai avuto un dialogo privato?

Ti ha spiegato Lui che funziona così?

No, perché i Santi non dicono così, però, se a te risulta così…

Non diamo per scontate cose che scontate non sono!

Se è attento e delicato il cuore di un essere umano, che cosa sarà del Cuore di Dio?

Quando è il tempo di dire “Fine”, si dice “Fine”.

Uno ti dice: «Eh ma io ho bisogno…»

Pazienza… adesso c’è una priorità, questo è l’orario!

Poi, le persone lo capiscono e, guardate, più noi siamo fedeli con Dio, più le persone alla fine ci apprezzano, perché è apprezzabile un uomo che è fedele ai suoi doveri primari, desta ammirazione il vedere che è rigoroso e che il tempo di Dio è per Dio, e il tempo per gli altri è per gli altri. Dà sicurezza, è una prova di garanzia, perché uno dice: «Questa è una persona seria».

A Padre Pio, quando finiva di celebrare la Messa, nessuno si poteva avvicinare, per almeno trenta minuti o un’ora. Lui era completamente sigillato, stava in coro e nessuno si avvicinava. Dopo passava dieci ore in confessionale, sì, ma dopo; in quel tempo lì del ringraziamento, Padre Pio non c’era per nessuno.

Nel tempo prima della Messa (a parte che era alle 4 del mattino, ma, al di là di questo), lui non c’era per nessuno, perché era il tempo della preparazione. Lui celebrava alle 5.00, e lui si svegliava alle 3.00 per prepararsi alla Santa Messa.

Il Cardinal Schuster… stessa cosa, poi stava tutta la mattina in Episcopio a ricevere le persone senza appuntamento, sì, ma il tempo della preghiera era intoccabile! Poi lui era monaco, immaginatevi…

Non c’era per nessuno, nessuno poteva avere udienza prima delle 9.00, se non ricordo male. Quando lui finiva la sua Messa (e aveva già fatto tutte le sue preghiere personali, era andato giù in Capitolo, in Cattedrale, aveva letto l’Ufficio con i Canonici), poi usciva, andava in Episcopio e riceveva le persone, ma fino a quel momento, fino alle 9.00 circa, non c’era per nessuno… però, il Cardinal Schuster, quanto bene ha fatto a Milano!

“È possibile? Non è vero che le passioni sono spaventose, quando vi si riflette? E tuttavia io non dico che la verità e neppure tutta intiera”.

Capite? San Pietro Giuliano Eymard dice: «Io dico la verità, e non la dico neanche tutta!»

“Poi si vorrebbe essere trattati come principi; che nulla manchi; si pretende essere serviti all’ora precisa e in modo confortevole”.

Capite? Ma è vero eh… è vero!

Siamo dei piccoli principi, non ci deve mancare nulla, e in quell’ora precisa deve essere fatto il servizio, a noi, o ai nostri ospiti… ma non c’è un’ora precisa in cui bisogna servire il Signore…

“Alla vita religiosa, che è la scuola del patire ed un Calvario, si viene per farsene un letto di pigrizia: appena manca qualche cosa si dà nell’impazienza e si mormora; si parla de’ propri diritti; si mettono sempre innanzi come uno scudo. Eh! sappiate dunque che come religioso non avete diritto che al pane, all’acqua e ad un letto da campo: ricordatevi che siete peccatori e avete meritato di passare alle assisi della giustizia di Dio!”

Eh, sì… perché si perde il senso delle cose, quindi uno dimentica.

Chissà cosa scriverebbe San Pietro Giuliano Eymard per una vita matrimoniale…

Tu hai scelto di rinunciare ad una vita da solo e, in una vita in due, che poi diventa in tre, quattro e cinque, spesse volte, capite che è un po’ più difficile riuscire a tenere insieme tutti i diritti e tutti i doveri.

Alle volte, si cade nella pigrizia, si cade nel cercare questi conforti, si cade nell’impazienza se manca qualcosa, se non c’è più il sale o non so che cosa, se la forchetta è messa a destra piuttosto che a sinistra, e poi si mormora, e poi si dice: «Ecco, però io… Ecco, però io…  Ecco, però io…»: E tutto viene coperto da questo scudo del “È mio diritto che…”, “Anch’io ho diritto a…”

Adesso inizierebbe una parte… vabbè, la facciamo perché poi è finito. È una riflessione veramente forte, veramente forte e veramente importante, vera, verissima!

“[…] E di fatto, prima di entrare in religione  — e io aggiungo: prima di sposarti, per esempio — ci trovavamo forse noi tutti così bene che nulla mai ci mancasse?”

Vi prego, fermiamoci un secondo e ciascuno torni con la sua memoria a quando viveva in famiglia, cioè prima della scelta fondamentale della sua vita (che sia il Sacerdozio, che sia l’essere frate, suora, sposo), ritorniamo indietro a quel tempo là… “Ci trovavamo forse noi tutti così bene che mai nulla ci mancasse?”

“Chi è uscito da una famiglia di operai; chi è stato pastore: da fanciullo bisognava aiutare a guadagnare il pane per la famiglia; siete dunque venuti in religione — o ti sei sposato — per essere trattati meglio che a casa vostra? Era cento volte meglio rimanere ove eravate”.

Ditemi se questo ragionamento fa una piega!

Ogni tanto, pensiamo da dove veniamo!

Pensiamo da dove veniamo… pensiamo cosa saremmo, se fossimo rimasti là…

Non è che tutti siamo figli di baroni, conti, contesse e regine!

Uno si ferma un attimo, e dice: «Ma cosa vuoi?»

Dovremmo dirlo noi a noi stessi: «Ma cosa vuoi? Cosa stai cercando?»

Forse ci siamo troppo abituati bene, troppo abituati al nuovo stile di vita che abbiamo, a questo stato di vita, che spesse volte ci permette una vita più decorosa e più dignitosa… sì, ma non dimenticare da dove arrivi, da dove sei stato raccolto!

A casa tua, forse, eri trattato un po’ diversamente, che non adesso che sei qui o lì o là. E quante cose hai imparato? Quante cose hai potuto fare entrare in te, grazie al nuovo stile di vita?

Se tu oggi non fossi sposo o sposa, se tu oggi non fossi Sacerdote, ma fossi rimasto là dove eri, sicuramente, tante, tantissime cose, oggi, non solo non le sapresti, ma neanche le avresti.

“Ecco, bisogna che ci mettiamo davvero. E’ cosa seria; non guardate alla forma delle mie parole ma al fondo”.

Cioè, alla sostanza. Ve l’ho tante volte detto, negli anni passati: «Non state a dire: “Oh, Padre Giorgio, come è severo! Come è duro!”»: Non guardate la forma delle parole, guardate il contenuto, guardate la sostanza!

“Tali cose non si dicono tutti i giorni né dinanzi a tutti, anche perché chi le dice comincia col fare il processo a se stesso; ma la verità è questa”.

Le cose che sentiamo dai Santi, le cose, che io cerco di spiegarvi, sono cose che noi non sentiamo tutti i giorni. Forse non le sentiamo neanche una volta al mese, forse non le sentiamo neanche una volta ogni sei mesi… forse non le abbiamo mai sentite in vita nostra!

È questo il punto!

Forse, queste cose non ce le ha mai dette nessuno… poi diciamo: «Oh… ma come sono dure! Ma come sono severe!»

Ma se non le hai mai sentite? Anche sentirle una volta sola nella tua vita è un problema?

Queste cose, probabilmente, non ci sono state neanche mai dette davanti a tutti gli altri!

Perché?

Perché queste cose non si dicono?

Perché queste cose non si predicano?

Perché queste cose non si annunciano?

Perché chi le dice, se ha due grammi di coscienza, comincia lui per primo l’esame di coscienza, il processo lo comincia lui a se stesso; lo comincia lui, è lui il primo imputato! È inevitabile.

Quando uno deve leggere queste cose per prepararsi, per prepararle, per cominciare a metterle dentro nella testa e nella preghiera, è chiaro che rimane sconvolto, perché dice: «Oh… ma queste cose parlano innanzitutto a me! Io devo andare a fare la predica a questo, a quello e a quell’altro, in chiesa, nella Messa, agli Esercizi, ma innanzitutto, adesso che le leggo, le sento urlare, le sento gridare dentro di me, sono innanzitutto un processo a me!… Ma questa è la verità».

Ha ragione San Pietro Giuliano Eymard: questa è la verità!

Lascia perdere il duro, il molle, il severo e il dolce, io domando: «Sono vere, sì o no?»

Io sfido chiunque a dire che queste cose non sono vere, lo sfido!

Voglio vedere chi può dire che queste parole che vi ho appena letto, di San Pietro Giuliano Eymard, sono false. Nessuno lo può dire, nessuno!

Conclude:

“Orsù, la vita religiosa è una morte, ma una morte che dà la vita: così intendetela e l’amore che ha crocifisso Nostro Signore vi attacchi alla croce con Lui”.

Capite?

La vita cristiana è un morire, la vita religiosa ancora di più, però non è un morire fine a se stesso, è un morire che apre alla vita, è un morire per risorgere creature nuove.

Così va intesa la vita cristiana, la vita di consacrazione… e l’amore?

L’amore è ciò che ci deve tenere attaccati alla croce, con Gesù.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.

Amen.

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

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