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La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia, di S. Pietro Giuliano Eymard. Parte 36

La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia, di S. Pietro Giuliano Eymard

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione sul testo “La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia” di S. Pietro Giuliano Eymard di giovedì 7 luglio 2022

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

VANGELO (Mt 10, 7-15)

In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli:
«Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni.
Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento.
In qualunque città o villaggio entriate, domandate chi là sia degno e rimanetevi finché non sarete partiti.
Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne è degna, la vostra pace scenda su di essa; ma se non ne è degna, la vostra pace ritorni a voi. Se qualcuno poi non vi accoglie e non dà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dei vostri piedi. In verità io vi dico: nel giorno del giudizio la terra di Sòdoma e Gomorra sarà trattata meno duramente di quella città».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione

La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia, di S. Pietro Giuliano Eymard. Parte 36

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a giovedì 7 luglio 2022.

Oggi è il primo giovedì del mese, quindi ricordo a tutti la bellissima pratica dei “Primi sei giovedì del mese”, richiesta da Gesù alla Beata Alexandrina Maria da Costa.

Come sempre, ricordo che io ho fatto un PDF, che raccoglie tutte le informazioni e le indicazioni necessarie per fare bene i primi giovedì, i primi venerdì e i primi sabati del mese, quindi, se qualcuno avesse necessità, io lo posso mandare per email, su WhatsApp, insomma, lo spedisco.

Non costa nulla, non chiedo soldi, non chiedo offerte, non chiedo nulla. Magari potete dire una preghiera, questo sarebbe un atto di carità gentile, ma comunque lo mando gratuitamente, così lo potete usare e tranquillamente lo potete diffondere.

Andiamo avanti con la nostra meditazione sugli Esercizi Spirituali di San Pietro Giuliano Eymard; la Santissima Eucarestia è centro di questi Esercizi Spirituali.

“Quand’anche non avessi peccati da espiare, voglio mortificarmi perchè Gesù Cristo me ne ha dato l’esempio: Egli fu flagellato e crocifisso, ha sofferto la fame e la sete, il freddo e la nudità, con gioia per l’amore di Dio suo Padre; voglio fare come Lui.

Ecco il bello, il vero motivo della mortificazione. Facciamolo nostro e rivestiamo le sacre divise di Gesù Cristo, sotto le quali soltanto potremo piacere al Padre celeste: la mortificazione e la croce”.

Quindi, il motivo della mortificazione, della penitenza, anche se non ci fosse una ragione legata all’espiazione dei nostri peccati gravi, è l’esempio che prendiamo da Gesù, il quale ha subito la flagellazione e la crocifissione, la fame e la sete, il freddo e la nudità, e tutto lo ha offerto con gioia al Padre.

“IV. – Ora in qual modo praticheremo noi questa virtù?

Non godendo mai di nulla; togliendo al nostro corpo tutto quello in cui vorrebbe prender piacere; non cercando il nostro appagamento né in noi né nelle cose; non cercando soddisfazione od applauso dagli uomini.

Mortificandoci nel mangiare, e più sulla qualità che sulla quantità”.

Qua dobbiamo dire delle paroline importanti.

Allora… ecco, anche le campane che stanno suonando ci dicono che sono importanti queste cose. Allora, in quale modo praticheremo noi questa virtù? Noi la praticheremo non godendo mai di nulla, cioè togliendo al nostro corpo quello in cui vorrebbe prendere piacere.

Questo discorso va capito molto bene, perché se no il prodotto qual è?

Di avere delle persone frustrate, che vivono sullo stile del fratello del figliol prodigo, e che si lamentano: «A me non hai dato… A me non hai fatto… Però io non ho avuto… Io ti ho fatto e tu non mi hai dato…», che vivono col broncio, incattivite con tutto e con tutti, perché vivono la mortificazione, vivono l’ascesi, vivono la penitenza, solo perché devono e non perché vogliono, solo perché hanno paura di non sentirsi a posto con la coscienza e non perché hanno capito che devono seguire l’esempio di Gesù. Il primo rischio è quindi quello di non capire perché si fanno le cose, e questo non va bene.

La ragione è l’espiazione dei nostri peccati e, se non ci fosse questo motivo, è l’imitazione di Gesù. Questo è il vero e bel motivo della mortificazione.

Ora, se la mortificazione, se la penitenza non ci appare bella, cioè, se noi, guardando la penitenza, non la vediamo bella, non facciamola… non facciamola!

Se non vediamo la bellezza di questa imitatio Christi, di questa imitazione di Gesù, allora vuol dire che, se anche dovessimo decidere di non bere neanche un sorso di acqua fresca, per penitenza, lo faremmo con il cuore sbagliato; allora, è meglio non farlo.

Cioè, con quale cuore? Con il cuore senza la gioia.

È questo il punto, perché Gesù è con gioia che ha patito tutto quello che ha fatto come penitenza, per amore del Padre Suo: la fame, la sete, la flagellazione, la crocefissione.

Con gioia, non vuol dire con il sorriso dell’ebete eh, non è questa la gioia! È la gioia del Vangelo, è un’altra cosa.

Noi non dobbiamo mai confondere i piani e applicare la categoria del mondo sulle realtà di Dio; quindi, essere gioioso non vuol dire essere un ebete, non vuol dire andare in giro ridendo come uno perso, no.

La gioia è proprio quella pienezza interiore, che viene dall’essere quello che sei, dove sei, dall’essere dentro la Volontà di Dio. Questa è la gioia!

Quindi, uno è gioioso anche se è inchiodato, perché questa non è la gioia del mondo, ma è la gioia di sapere che tu stai facendo, stai vivendo quella cosa, per amore del Padre, qualunque essa sia. Questa è la gioia!

Quindi, è in questo senso che dice: “Non godendo mai di nulla”.

Uno potrebbe dire: «Allora non posso neanche mangiare un buon gelato ai gusti più buoni del mondo?»

Certo che puoi mangiare quel gelato!

«Ma quando lo mangio ci devo mettere su l’assenzio per non gustarlo?»

 No, mangia questo gelato, e gustalo, però, che questo gelato non diventi il tutto, che per questo gelato tu non ti renda disponibile a sacrificare tutto, che non diventi l’oggetto dei tuoi pensieri, che, se per caso non lo puoi prendere, non ti disperi. È questo quello che vuole dire.

Poi, certo, l’espressione “Non godendo mai di nulla e togliendo dal nostro corpo tutto quello in cui vorrebbe prender piacere” ci sta, però non subito, non adesso, è una cosa in progressione.

Non partiamo con il pensiero che non dobbiamo godere mai di nulla e dobbiamo togliere il piacere in ogni cosa che facciamo. Non lo farei come primo passo. Questo è un po’ la vetta della penitenza, ma si arriva per gradi, e si arriva capendo il senso delle cose, se no, vi ripeto, ad un certo punto viene il rigetto, ed è peggio.

Cominciamo, come vi dicevo, a mettere ordine, a dare il peso giusto alle cose, a non farci rapire cuore e mente dalle cose che ci piacciono, a saperle anche sacrificare, a sapere magari anche solo temporeggiare, a dire: «Io ho desiderio di mangiarmi questo bel gelatone, ma vabbè, facciamo così: al posto di mangiarmelo alle 15.00, lo mangio alle 16.00», ecco, per esempio; oppure a dire: «Mi mangerei un bel gelatone con sopra la panna, ma vabbè, stavolta rinuncio alla panna; se mi mettono sopra tre cialde, ne prendo due».

Cominciamo dalle piccole cose a sottrarre un po’ di gusto, a iniziare a dominarci un pochino, un pochino alla volta, con molta sapienza, con molto equilibrio, e anche con molto rispetto.

Di che cosa?

Della nostra immaturità.

Noi dobbiamo avere rispetto della nostra immaturità, perché la nostra immaturità è un po’ come un corpo che è impreparato a fare una gara; tu non puoi prendere una persona, che non ha mai corso, e fargli fare la Maratona di New York, perché quello, dopo quindici minuti, è steso a terra con un infarto. Capite?

Se io prendo una persona, che sa nuotare ma non si è mai allenata, la butto in mare aperto e le dico: «Vai da qui a là», questa muore affogata, perché non ci riesce.

Bisogna avere rispetto della propria impreparazione, quindi dobbiamo saper dire: «Io fin qui posso arrivare; oltre, per oggi no. Mi preparo, mi alleno». Ecco l’ascesi (dal greco ἄσκησις, che vuol dire “allenamento”)!

Quindi, mi alleno per riuscire, pian pianino, a fare una vasca, a farne due, a farne tre, a fare prima cento metri, poi duecento, poi trecento, poi farò un chilometro, poi due chilometri…, nel tempo… nel tempo… ci vuole tempo! In queste cose ci vuole tempo e rispetto, rispetto della propria immaturità.

Evitiamo i confronti, evitiamo di guardare la vita degli altri, evitiamo di dire: «Eh… ma gli altri sono più bravi di me, gli altri sono già arrrivati qua, io sono indietro…»

Lasciamo perdere, non tocca noi giudicare, nel bene e nel male.

Non cercando il nostro appagamento né in noi né nelle cose”.

Ecco, questo già è un pochino più fattibile.

Non cercando soddisfazione od applauso dagli uomini”.

Su questo ci possiamo allenare molto di più, che non tanto sul gelato.

Voi direte: «No, ma non è vero il contrario?»

No, perché la dipendenza dalla gola è forte e lo spavento che la gola crea nell’uomo è altrettanto potente, quindi, su quello andiamo con i piedi un pochino più di piombo.

Sull’appagamento, sulla soddisfazione e sul plauso degli uomini possiamo incominciare a dire: «Beh, incominciamo a prendere quello che arriva e a non cercare altro», già questo potrebbe essere un inizio; e in questo che arriva ci saranno le lodi, ci saranno le soddisfazioni e gli appagamenti, ma ci sarà anche qualche fustigata che ci arriva addosso.

Ecco, incominciamo a prendere quella, senza dire una parola: incominciamo a ricevere una ingratitudine, una mancanza di rispetto o magari anche un insulto, senza ribellarci; proviamo ad essere contraddetti senza tirare fuori denti ed unghie; e questo può essere l’inizio per incominciare a vivere la penitenza.

Mortificandoci nel mangiare, e più sulla qualità che sulla quantità”.

Vedete quanto è saggio?

I maestri di spirito sono saggi.

Noi partiamo dal presupposto che la penitenza sul mangiare vuole dire “mangiare poco”, invece, questo Santo, San Pietro Giuliano Eymard, ci dice: «Guarda, a dire la verità, è meglio che ci concentriamo sulla qualità e non sulla quantità».

Infatti, la Vergine Maria, ad esempio, apparendo a Caravaggio, chiede il digiuno a pane e acqua il venerdì, ma la Vergine Maria, quando fa riferimento alle penitenze, per esempio del mangiare pane e acqua, non ha mai fatto la dietologa.

La Vergine Maria non ti dice: «Tu, se vuoi fare digiuno a pane e acqua mangerai 180 grammi di pane al mattino, poi ne mangerai 200 a mezzogiorno, poi farai un breve break di 50 grammi di pane, e poi alla sera mangerai ancora 200 grammi di pane; in totale, questa deve essere la somma».

La Vergine Maria non ha mai detto questo, la Vergine Maria chiede il digiuno a pane e acqua, punto.

Mi fa piacere leggere questa cosa in San Pietro Giuliano Eymard, perché vi confesso che non la sapevo; io mi sono sempre mosso con il buon senso e con la realtà, cioè guardando quello che diceva la Vergine Maria.

Tantissime persone chiedono al Sacerdote: «Padre, se io faccio il digiuno, ad esempio, a pane e acqua, quanto pane posso mangiare in un giorno? Se no, che digiuno è? Io mi compro tredici chili di pane e me li mangio tutti».

Sapete cosa io cosa rispondevo?

Così: «Va bene, fallo! Prova! Comprati tredici chili di pane e vediamo in un giorno quanti etti ne mangerai».

«Come etti?!»

Provare per credere… perché tu non riesci assolutamente a mangiare chili di pane; così, anche chi fa il digiuno a mele e acqua, perché magari è allergico al pane, non riesce a mangiare cinquanta mele, ne mangia un po’ e poi gli viene la nausea.

Voi capite che, a questo punto, vale molto di più come penitenza al venerdì scegliere una qualità di cose (c’è quello che digiuna coi pistacchi, c’è quello che digiuna con le mele, c’è quello che digiuna mangiando solo il legume, c’è quello che digiuna mangiando…), ognuno ha il suo digiuno, perché magari uno è allergico al glutine, quell’altro ha i problemi con la frutta, quell’altro ha i problemi con il legume, quell’altro ha problemi…

Allora io dico sempre: «Non fissiamoci sul pane».

Il concetto non è il pane, il concetto è scegliere un alimento (ecco la qualità) e quel giorno prendere solo quello, con un po’ di acqua, con l’acqua, e basta.

Quanto è difficile questo digiuno! È pesantissimo!

Chi lo fa, lo può testimoniare.

Mangiando le mele o mangiando le pere o mangiando il pane o mangiando i legumi, non è che tu non ti nutri, non è che muori di fame; tu ti nutri, ma arrivi ad un certo punto che non ce la fai più e dici: «No, guarda, piuttosto che mangiare un’altra mela o un altro cecio, rinuncio; bevo un po’ di acqua, perché adesso basta».

Vedete la gola quanto è capace di dare illusioni?

Ti fa aggravare la richiesta e pensare: «Ecco, devo digiunare a pane e acqua, potrò mangiare solamente uno o due panini, allora io non ce la farò mai…»

Invece no, mangia pure tutto quello che vuoi, di quell’alimento, perché la scelta di mortificarsi nel mangiare è più sulla qualità, che sulla quantità.

Scegli di prendere solo le zucchine al venerdì, e mangiati tutte le zucchine che vuoi, ma vedrai che tu ne mangerai di meno rispetto alla domenica, quando mangi le zucchine con l’arrosto.

Vale di più, appunto, questo digiuno di un alimento (vale di più, nel senso che mortifica di più), che non se io dicessi: «Va bene, nel giorno di digiuno al venerdì, io farò così: mangerò un caprino al mattino, un passato di verdura a mezzogiorno e un frullato alla sera».

È poco, ma cambia… cambia. Questo cambio di qualità, per la nostra gola, vuol dire tanto… vuol dire tanto. Anche quello è una forma di digiuno, ma è molto diverso da quel digiuno a pane e acqua, da quel digiuno di un alimento solo. Provare per credere!

Poi c’è magari quello che dice: «Sì, ma il pane, posso mangiarlo normale, appena comprato, e poi lo posso anche mangiare facendo il pancotto?»

Io rispondo sempre: «Guarda, lo puoi mangiare in tutte le forme che vuoi, tanto sempre pane è. Ti stai illudendo che tu, cambiando le forme, cambi la qualità. No, non si cambia niente, se non si cambia alimento.  Ma se tu ti tieni le tue mele, che tu le mangi al forno, che le mangi cotte nell’acqua, che le mangi crude, sempre mele sono e tu arriverai ad un certo punto che dirai: “Fine”, cioè non ce la farai più, perché non ne potrai più di mangiare mele».

Vi ricordate quando vi raccontai quell’aneddoto incredibile, no?

A me non piace il formaggio, non mi piace molto il formaggio, poi, se c’è un formaggio che proprio non mi piace, è il Taleggio, perché  puzza da morire, e quindi io non ho mai mangiato il Taleggio in vita mia. Sì, magari un assaggio, però non mi piace, mi dà fastidio questo odore che ha.

Allora, quando iniziai un po’ a destreggiarmi nella pratica del digiuno del venerdì (sapete, si comincia sempre un po’ facendo le “prime misure”, chiamiamole così), mi ricordo che ero arrivato a sera che avevo una fame, ma una fame, ma una fame… avrei mangiato qualunque cosa, tranne l’alimento che avevo scelto, perché non ne potevo più.

Avevo una fame da morire e, quella sera (mi ricordo come se fosse adesso e sono passati tanti anni), passa il carrello con su i formaggi, mi passa sotto al naso, e c’era una fettona enorme di Taleggio… una puzza… un odore terribile… Sapete che io ricordo ancora quel Taleggio?

Io ho guardato quel Taleggio e ho detto: «Mamma, che buono! Che buono… che voglia che ho di mangiare quel Taleggio…»

Sono morto dietro a quel Taleggio, l’ho guardato come non ho mai guardato niente in vita mia. Ero lì a un passo dal cedere e ingozzarmi di Taleggio, perché mi sembrava che fosse l’alimento più buono del mondo, anche se io l’ho sempre odiato. Capite le tentazioni?

Cioè, quando ti metti in questa logica della penitenza, il Taleggio diventa meglio del caviale!

Dopo questi inizi, dopo questi pasticcetti con il digiuno (proprio come fanno i bambini, che un po’ fanno e un po’ non fanno, che un po’ riescono e un po’ falliscono, insomma, così), mi ricordo che un giorno ero in cappella, anche lì con una fame…

Improvvisamente (ero in un centro abitato, non in cascina o in campagna), alla sera, arriva un profumo di costine alla brace… e io ho detto: «Non è possibile, non ho mai sentito il profumo delle costine alla brace in cappella, mai! Stasera, che è venerdì, mi arriva il profumo delle costine in cappella… non ci credo…»

Non vi dico cosa mi si è scatenato dentro…, poi mi sono fermato un attimo e ho detto: «Giorgio, ma a te pare una cosa normale che, esattamente adesso, con questa fame che hai, ti arriva il profumo delle costine? Ma è chiaro, è chiaro che c’è sotto qualcosa, lascia perdere!»

Poi, notate che, quando mi svegliavo il giorno dopo, tutta questa fame atavica era sparita. Non mi avventavo sulla colazione come non so che cosa, no, basta; lì, quando potevo, non avevo più questa fame potentissima.

Allora ho capito, e ho detto: «Giorgio, quando entri dentro a questa dinamica della penitenza, devi prepararti, perché la tua gola, il tuo corpo, la tua sensualità, il tuo essere carne, ti fanno guerra. Quindi, è chiaro che il Taleggio diventa il cibo più buono del mondo; è chiaro che sentirai l’odore delle costine, anche se sei dentro una camera iperbarica; è chiaro che avrai voglia di mangiare le cose più impossibili del mondo; è chiaro che tutto ti apparirà come se fosse la terra del Bengodi, ma è chiaro che è una illusione, perché, nella normalità, tutte queste cose tu non le vivi».

Quindi, impariamo. Io consiglio sempre di imparare a fare queste penitenze, perché non sono terribili.

Così come mangiare il riso o la pasta non conditi, senza sale, senza olio, senza niente… è dura. Se ti trovi davanti uno che si mangia la pasta all’amatriciana, eh insomma, mentre tu sei lì con il tuo riso scondito…

Se tu sei in mensa (anche questo me lo raccontano), al mercoledì e al venerdì le mense non hanno in mente di passarti il pesciolino, il nasello, perché tu stai facendo il digiuno. Fossi magari…, probabilmente lo farebbero, però siccome non sei…, allora ti trovi la braciola, ti trovi la cotoletta, ti trovi…

Allora, qualcuno mi dice: «Padre, ma io come faccio? Arrivo giù in mensa, ho fame (questo succede anche ai giovani in Università), come faccio?»

Io dico sempre: «Cosa proponi?», perché bisogna sempre partire da se stessi, misurarsi da se stessi.

Allora qualcuno dice: «Io ho trovato una soluzione».

Io dico: «Sentiamo!»

«Guardi, tanto, durante tutti gli altri giorni mangio il pesce, mangio la carne, mangio le uova, mangio tutto quello che voglio, allora, se faccio al venerdì il digiuno a pane e acqua, vabbè, taglio la testa al toro, mangio il mio pane (o la mia mela) e fine del discorso. Se magari al mercoledì faccio invece solo il magro, per ipotesi, allora mi faccio un panino con l’insalata, o con una verdura; se è cotta, cotta, se è cruda, cruda. Mi faccio solo un panino con la verdura e basta, fine».

Magari qualcuno mi dice: «Sì, sa, all’inizio un po’ mi spaventavo a mangiare un panino con la verdura senza dentro niente, poi l’ho provato, non è successo niente, e mi sono sentito come il Profeta Daniele che mangiava solo i legumi; sono stato tranquillo e sono arrivato alla sera tranquillamente».

Sì, è vero, dobbiamo imparare anche un po’ a provare le cose, a vedere che la nostra gola fa più vittime, che non la spada. È proprio vero, noi per gola facciamo veramente tanti eccessi, tanti sbagli, poi ci pentiamo, poi stiamo male, abbiamo lo stomaco sovraccarico, abbiamo mangiato troppo.

È esperienza di tutti che c’è una esagerazione, che la gola ti spinge a questo piacere che non finisce mai. Ecco, impariamo (ripeto, progressivamente), con le piccole cose, a prendere le distanze.

“Fatelo, dunque (cioè facciamo queste penitenze): altrimenti tutte le vostre proteste di amore di Dio non sono che illusioni, e se Dio non conoscesse la nostra ignoranza, sarebbero insolenze”.

Quindi dobbiamo imparare a fare le penitenze.

“Si dice che sempre mortificarsi è diffìcile. Lo credo. Bisogna portar la propria croce tutti i giorni, avere continuamente la spada in mano; ma non si soddisfa ai proprii debiti con sentimenti e parole di amore, sibbene con la penitenza (sentite che bella questa espressione): è questa la moneta del Calvario”.

Son bravi i Santi eh?

Mamma mia, sono bravi… ti fanno di quelle sintesi…

La penitenza è “la moneta del Calvario”.

Te lo dice lui (che chissà che penitenza faceva…) che la penitenza è difficile.

Certo, però, i tuoi debiti (o l’imitazione di Gesù), tu non li soddisfi (o la dimostri), con sentimenti di amore, con parole, con il cuore che batte, con le effervescenze spirituali e questo genere di cose.

No, tu soddisfi i tuoi debiti, o tu dimostri l’imitazione di Gesù, attraverso la penitenza.

Prendete qualsiasi genere di penitenza, dal digiuno, alla penitenza delle parole, alla penitenza del cellulare, alla penitenza del dormire, alla penitenza del correre, mettete tutte le penitenze che volete, ognuno ha le sue, però ci deve essere questa penitenza, perché altrimenti non va bene.

Domani andremo avanti, perché domani affronteremo una tematica veramente molto, molto , molto interessante, molto importante; sempre su questo tema della penitenza, ma vedrete che domani ci saranno degli affondi potenti, molto belli.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.

Amen.

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

 

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