Meditazione
Pubblichiamo l’audio della meditazione: D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 32
Giovedì 7 settembre 2023
Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD
Ascolta la registrazione:
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VANGELO (Lc 5, 1-11)
In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.
Testo della meditazione
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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!
Eccoci giunti a giovedì 7 settembre 2023.
Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo quinto del Vangelo di san Luca, versetti 1-11.
Beh, subito diciamo che quello che quello che stiamo leggendo di Bonhoeffer trova proprio in questo testo del Vangelo un nuovo, ennesimo riscontro, vedete? Gesù dice a Simone:
«Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca»
Obbedienza, imperativo: fai questo. Simone che dice:
Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla
Che senso ha? Vedete? Umanamente, naturalmente, razionalmente non ha senso. E poi non si pesca di giorno, non ha senso! Vedete cosa dice:
Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti.
Quindi, era già finito tutto! La pesca al mattino finisce, quindi si tirano su le reti e si cominciano a lavarle per il giorno dopo, per la notte dopo, perché si pesca di notte. Quindi stavano già tirando su le reti, le stavano lavando, le stavano pulendo.
Gesù si siede e insegna. Quanto tempo avrà insegnato? Beh, certamente non cinque minuti. Quindi, quando ormai il sole era alto — non dico mezzogiorno, ma comunque… mettete le nove — Gesù dice di gettare le reti per la pesca. Uno dice: “Ma questo qui cosa sta dicendo? Ma quale pescatore va a pescare alle nove o alle dieci del mattino? Ma è la cosa più assurda del mondo!”. E Pietro glielo dice, Simone glielo dice: “Se non abbiamo preso nulla tutta la notte, che senso ha andare adesso?”
Ma sulla tua parola — ecco l’obbedienza — getterò le reti.
Lo fanno e sapete cosa succede: due barche piene di pesci, due barche quasi affondate dai pesci. Quindi, a seguito dell’obbedienza, che cosa nasce? Nasce la coscienza del peccato e matura la fede: da “Maestro”, adesso Simone dice “Signore”. È cambiato tutto: Gesù da Maestro è diventato il Kyrios. È diventato “il Signore”.
«Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore»
Vedete? La fede gli fa vedere Gesù per quello che veramente è: era Maestro, è il Maestro, certo, ma “il Signore” tiene dentro tutto, è ancora di più.
E poi la coscienza del proprio peccato: si riconosce peccatore. Ha fatto tutto quello che Gesù gli ha detto, ma l’obbedienza matura la fede e la coscienza del peccato.
E cosa fa l’obbedienza, oltre a questo? Fa diventare apostoli.
«Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini»
Capisco che per qualcuno è difficile riuscire a capire che questo è l’ordine giusto, non: “Io prima ho la fede, quindi obbedisco”. Non funziona così. Qui il Vangelo è chiaro.
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.
Ecco, a questo punto qui abbiamo l’atto supremo della sequela. Tutto a seguito di quell’atto di obbedienza. A seguito di quell’atto di obbedienza di San Pietro, guardate che cosa succede, a cascata. E, addirittura, parte la sequela.
Gesù qui non dice: “Seguitemi”, dice semplicemente: “Gettate le vostre reti per la pesca”. E non dice: “Raccoglierete tanti pesci”, “Sarà una pesca miracolosa”, “Farò qui, farò là …”. No:
«Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca»
Punto, fine della discussione. E San Pietro mostra la sua fatica, ma subito confessa anche la sua fede: “Ma sulla tua parola io lo farò”. E Gesù sta zitto. E, alla fine, si trovano apostoli — cioè mandati, inviati “d’ora in poi sarai pescatore di uomini”; apostoli vuol dire questo, vuol dire inviati, mandati — e suoi discepoli, proprio suoi apostoli nel senso di coloro che gli stanno più vicini. Quindi apostoli in quanto mandati ad essere pescatori di uomini e apostoli in quanto proprio il collegio dei Dodici, i suoi più intimi.
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.
Basta. Guardate un po’ l’obbedienza che cosa ha fatto! Questo a commento di quello che abbiamo già visto nei giorni scorsi.
Leggiamo un pezzettino ancora di quello che stiamo facendo. Scrive Bonhoeffer:
Non c’è autentico riconoscimento dei doni di Dio senza il riconoscimento del mediatore, per amore del quale soltanto essi ci sono dati. Non c’è vero ringraziamento per il popolo, la famiglia, la storia e la natura senza un profondo pentimento, che rende onore a Cristo, e solo a lui, al di sopra di tutto ciò.
È quello che abbiamo appena letto dal Vangelo di oggi: è il Vangelo di oggi. Lo stupore, il ringraziamento di San Pietro legato a un profondo pentimento. Vedete? È fondamentale. Il ringraziamento — come accade a San Pietro — lo stupore e la meraviglia per i doni ricevuti, si accompagnano con la profonda coscienza del peccato, dell’essere peccatore. E quindi? E quindi un grande pentimento: “Signore, allontanati da me perché sono un peccatore”. E questo cosa fa? Questo rende onore a Cristo. Rende onore a Cristo, lui solo che lo riconosce al di sopra di tutto ciò: “Signore”; vi ricordate che ve l’ho appena detto, “Signore”, non più “Maestro” o, meglio, non più solo “Maestro”, ma anche e soprattutto “Signore”.
Non c’è autentico legame alle realtà di fatto del mondo creato, non ci sono autentiche responsabilità nel mondo senza che si riconosca la rottura che già ci separa dal mondo. Non c’è autentico amore per il mondo, al di fuori di quello con cui Dio ha amato il mondo in Gesù Cristo. — Vedete? — «Non amate il mondo» (1 Gv 2,15). E però: «Dio ha tanto amato il mondo, da dare il Figlio unigenito perché tutti coloro che credono in lui non periscano, ma abbiano la vita eterna» (Gv 3,16). La rottura con i rapporti immediati è inevitabile.
L’abbiamo già detto, l’ha già detto tante volte, lo ripete: i rapporti immediati non possono esserci per il discepolo di Gesù, devono sempre essere mediati da Lui, dal mediatore.
Scrive Bonhoeffer:
Non fa differenza, in ultima analisi, se essa si compie in modo visibile come rottura nei confronti della famiglia e del popolo, se uno viene chiamato a sostenere visibilmente l’onta di Cristo, l’accusa di odiare gli uomini, oppure se questa frattura dev’essere sopportata nel nascondimento, se è nota solo a colui che la vive, pronto però a renderla visibile in ogni momento.
Quindi, Bonhoeffer dice che in ultima analisi non fa differenza se questa rottura si compie in modo visibile, come rottura nei confronti della famiglia o del popolo, se uno è chiamato a sostenere visibilmente l’onta di Cristo, l’accusa addirittura di odiare gli uomini, di incitare all’odio — incredibile — oppure se questa frattura è una cosa interna, se la persona la deve vivere internamente, pronto sempre a renderla visibile. E lui dice:
Abramo è diventato il modello di entrambe le possibilità.
Ci avevate mai pensato? Sentite cosa dice:
Egli ha dovuto abbandonare amici e casa paterna. Cristo si è interposto fra lui e i suoi. In questo caso la rottura si è resa visibile.
Abramo ha dovuto abbandonare tutto. Tutto: i suoi amici, la sua casa. Alla sua età, tra l’altro; non era mica un giovincello. Sentite che roba:
Abramo si è fatto straniero per amore della terra promessa.
Che sembra un paradosso: per amore della terra promessa, si è fatto straniero, è diventato straniero. Il Signore gli ha chiesto di vivere come straniero, in mezzo a un popolo, a una realtà che non era la sua.
Questa è stata la sua prima chiamata. Successivamente Abramo viene chiamato da Dio a sacrificare il figlio Isacco.
Mamma mia, sentite, delle espressioni incredibili:
Cristo si pone fra il padre della fede e il figlio della promessa
Lo ripeto:
Cristo si pone fra il padre della fede — Abramo — e il figlio della promessa — Isacco.
Cristo si mette in mezzo a questo.
Qui non è solo l’immediatezza naturale, ma anche l’immediatezza spirituale ad essere infranta.
Questo non l’avevamo ancora detto. Viene infranta l’immediatezza naturale, ma anche l’immediatezza spirituale, in Abramo.
Abramo deve imparare che la promessa non è legata neppure a Isacco, ma appunto solo a Dio.
Questo è il passaggio del sacrificio di Isacco. La promessa della discendenza non sta in Isacco; incredibile, no? E in che cosa sta? Se non sta in tuo figlio, la discendenza in che cosa sta? In Dio, sempre e solo in Dio e il sacrificio di Isacco vuole dire ad Abramo esattamente questo: “Guarda che la tua discendenza sono io, la promessa della tua discendenza sono io, non è tuo figlio”. Del resto è vero: la vita di Isacco sta nelle mani di Dio, come la vita di ogni uomo. È Dio che è la promessa di ogni bene per ogni uomo. Non le cose, non le persone. E Abramo ha dovuto impararlo sulla sua pelle, nella sua anima.
Nessun uomo ha sentore di questa chiamata di Dio, neppure i servi che accompagnano Abramo al luogo del sacrificio.
Nessuno si accorge.
Abramo resta del tutto solo.
È solo. Avevamo visto all’inizio: è una chiamata alla solitudine, ad essere solo.
Di nuovo è in tutto e per tutto un singolo, come quando è uscito dalla casa paterna. La chiamata è da lui accolta, così come è stata pronunciata, egli non la reinterpreta, non la spiritualizza, Dio è preso in parola, Abramo è pronto ad ubbidire.
È solo perché singolarmente interpellato. E lui questa parola la prende così com’è, non la spiritualizza, non la reinterpreta, niente: “Così ha detto, così faccio”.
Contro ogni immediatezza naturale, contro ogni immediatezza etica, contro ogni immediatezza religiosa, egli si fa ubbidiente alla parola di Dio. Egli porta il figlio al sacrificio. È disponibile a realizzare in modo visibile la rottura segreta, per amore del mediatore.
Io trovo che queste parole, queste frasi, siano veramente di una profondità, di una verità, di una sinteticità, di una bellezza incredibile.
È disponibile a realizzare in modo visibile la rottura segreta
quella che già c’era nel suo cuore.
Guardate che solo chi è veramente padre — perché si possono mettere al mondo dei figli, ma non essere padri — può capire questo discorso. Solo chi ha un figlio può capire questo sacrificio che rottura intima, spirituale, profonda, ha avuto nell’anima di Abramo. Una rottura segreta terribile! E chi è padre lo capisce, perché Isacco non gli dice niente, ma… guarda gli occhi di tuo figlio, guarda le sue mani, guarda il suo sorriso… pensa ai suoi abbracci, pensa ai suoi baci, pensa a quando ti dice: “Papà, ti voglio bene”. Pensa a quando giochi con lui, pensa a quando lo prendi in braccio, a quando gli fai le coccole. Bene, arriva Dio e ti dice: “Portalo sul monte e sacrificalo. Lo devi uccidere”. Guardate che c’è da andare fuori di testa! Abramo non sapeva come finiva. C’è da andare fuori di testa. Dio non dice altro. E Abramo non dice una parola. Niente, non dice niente neanche a Sara. Niente, a nessuno. Prende suo figlio, lo carica, carica la legna, prende il coltello e parte.
Quando mi ritrovo a meditare su questi passi biblici e a queste parole di Bonhoeffer, che vengono da un cuore che ha sicuramente toccato con mano la radicalità della sequela di Cristo e che ha vissuto in prima persona la rottura di cui sta parlando — perché solo chi l’ha vissuta in prima persona può scrivere queste parole, queste non sono semplici parole di un teologo, questa è la teologia che si fa col sangue — dico: “Signore, c’è veramente tanto da pregare per avere questa forza, per avere questa fede”; ecco perché è il padre della fede, ed ecco perché Isacco è il figlio della promessa. Quindi lui è disponibile a realizzare concretamente quella rottura che stava vivendo nel cuore e che neanche Isacco sa, perché neanche a lui l’ha detto.
Perciò nello stesso momento egli riceve di nuovo in dono tutto ciò che aveva sacrificato.
In un unico momento, il Signore gli ridà in dono tutto ciò che lui nel suo cuore aveva già sacrificato.
Abramo riceve di nuovo il figlio. Una vittima più adatta gli viene mostrata da Dio, per sostituirla a Isacco. È una svolta di 360 gradi, Abramo ha riavuto Isacco, ma ora lo ha in modo diverso da prima. Lo ha grazie al mediatore e per amor suo. Gli è consentito di avere Isacco perché è stato disposto a prendere alla lettera il comando di Dio e ad eseguirlo, gli è consentito di avere Isacco come se non lo avesse, gli è consentito di averlo per mezzo di Gesù Cristo.
Uno dice: “No, ma ce l’aveva già!”. Eh no, adesso ce l’ha in un modo nuovo. La Bibbia dice: “Lo riebbe come simbolo”. E qui ci sarebbe da scrivere un dottorato su questa espressione. Non è più come un figlio, adesso è come un simbolo. Però non ve lo commento, perché mi ci vorrebbero tre giorni minimo.
Gli è consentito di avere Isacco perché è stato disposto a prendere alla lettera il comando di Dio — ad obbedire — e ad eseguirlo, gli è consentito di avere Isacco come se non lo avesse, gli è consentito di averlo per mezzo di Gesù Cristo. Nessun altro uomo ne sa qualcosa.
Perché qualunque padre adesso non potrà mai più vivere la stessa esperienza, però ci possiamo avvicinare. Perché adesso tutti noi abbiamo nella mente che Dio può intervenire anche all’ultimo, può chiedere questo sacrificio, ma può anche intervenire all’ultimo e cambiare. E noi dobbiamo chiedere al Signore questo, sapete? Dobbiamo imparare a disturbare Dio, perché alle volte il Signore poi interviene, e vuole essere pregato. Vuole farti capire che è un dono che viene da Lui, che non viene da te, che non è opera tua, che è un dono di Dio, è Dio che può dire: “No, fermati, non stendere il coltello”.
Abramo discende dal monte con Isacco, come con Isacco vi era salito, ma tutto è cambiato. Cristo si è frapposto tra padre e figlio. Abramo aveva abbandonato tutto e si era messo alla sequela di Cristo, ed ora, nel pieno della sequela, può tornare a vivere nel mondo in cui viveva già prima. Esteriormente tutto resta come in passato. Ma il passato è passato, e tutto è stato fatto nuovo. Tutto è dovuto passare attraverso Cristo.
Certo, perché, capite: nessuno sapeva niente e nessuno saprà niente, rimane tutto nascosto nel cuore di Abramo, ma Abramo non è più quello di prima e anche Isacco non è più quello di prima per Abramo. Esteriormente tutto resta invariato: ho fatto una passeggiata. Ma in realtà tutto è stato fatto passare attraverso Gesù, attraverso il mediatore.
Mi fermo qua.
Quindi preghiamo per poter gustare qualche frammento di questa bellissima fede di Abramo. Certo, è irraggiungibile, però… Mi ha sempre colpito la Madonna che appare a Rue du Bac, la Madonna della Medaglia Miracolosa — sapete che sono tanto devoto della Medaglia Miracolosa — e m’ha sempre colpito questa scena dell’apparizione, quando Santa Caterina vede che la Madonna ha tanti anelli sulle dita, e ha delle gemme anche — mi sembra — sulla corona, però alcune sono spente. E Santa Caterina rimane perplessa e dice: “Scusa, ma come mai le tue gemme non risplendono tutte, perché alcune sono brutte, sono spente, non sono lucenti, altre invece sono bellissime?”. E la Madonna dice: “Perché queste sono le grazie che io avrei fatto agli uomini ma non me le hanno chieste”. Io aggiungo: magari le abbiamo chieste male. O magari le abbiamo chieste poco. Disturbiamo il cielo, preghiamo per tutti coloro che, nella nostra vita, hanno bisogno. Preghiamo per quelle situazioni tremende e complesse, complicate, preghiamo per tutti gli innocenti che patiscono l’ingiustizia e le cattiverie dei malvagi. Preghiamo, domandiamo questa grazia al Signore, il Signore ce la fa, la fa, io sono convinto che la fa. Però dobbiamo proprio chiederlo tanto, con tutto il cuore, con grande, grandissima fede. E con grande abbandono.
Domani è una grandissima festa della Vergine Maria. Prepariamoci con queste belle parole di Bonhoeffer, e supplichiamo la Vergine Maria — lei che ha superato di gran lunga Abramo — e preghiamola di essere la nostra maestra, la nostra educatrice nella fede. Ne abbiamo tanto bisogno.
Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.