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D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 31

Falò sulla spiaggia

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 31
Mercoledì 6 settembre 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

VANGELO (Lc 4, 38-44)

In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei. Si chinò su di lei, comandò alla febbre e la febbre la lasciò. E subito si alzò in piedi e li serviva.
Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi affetti da varie malattie li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva. Da molti uscivano anche demòni, gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli li minacciava e non li lasciava parlare, perché sapevano che era lui il Cristo.
Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto. Ma le folle lo cercavano, lo raggiunsero e tentarono di trattenerlo perché non se ne andasse via. Egli però disse loro: «È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato».
E andava predicando nelle sinagoghe della Giudea.

Testo della meditazione

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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a mercoledì 6 settembre 2023. Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo quarto del Vangelo di san Luca, versetti 38-44.

Continuiamo la nostra lettura del libro di Bonhoeffer, Sequela. 

«Realtà donate da Dio» si hanno per colui che è alla sequela di Gesù solo per mezzo di Gesù Cristo. Ciò che non mi è dato per mezzo di Cristo, l’incarnato, non mi è dato da Dio. Ciò che non mi è dato per amore di Cristo, non viene da Dio. Il ringraziamento per i doni della creazione ha luogo attraverso Gesù la preghiera per la grazia della conservazione di questa vita ha luogo per amore di Cristo. Ciò di cui non posso rendere grazie per amore di Cristo, di ciò non posso rendere grazie in alcun modo: diverrebbe un peccato.

Quindi Bonhoeffer dice che è realtà donata da Dio, per colui che è alla sequela di Gesù, solo ciò che ci arriva per mezzo di Gesù. Quindi ciò che non mi è dato attraverso Gesù, non viene da Dio. Ciò che non mi è dato per amore di Gesù, non viene da Dio. Ricordate quando nel Vangelo Gesù dice: 

«E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa»

L’acqua fresca che diamo a motivo di Gesù a questi discepoli, per amore di Gesù. Esattamente quello che ha fatto Madre Teresa di Calcutta, lo abbiamo visto ieri. 

La stessa cosa vale per i doni della creazione: pensate alla Terra, al nostro mondo, il mondo inteso proprio come creazione. Pensate agli alberi, al mare, alle montagne, al sole, alla luce, al buio, alla luna — l’importanza della luna, incredibile — poi non so, pensate ai buonissimi prodotti della terra che ci sfamano, pensate ai prodotti del mare, il pesce, pensate a quei bellissimi posti di mare, ma anche di montagna, che esistono… Pensate a tutto ciò che è opera di Dio nella creazione e per cui devo certamente rendere grazie. Non posso vedere la creazione e non dire niente, oppure dire: “È opera mia”, perché io non ho fatto niente; quindi, nasce un ringraziamento. Uno vede una montagna, vede il Monte Bianco e rimane lì, vede l’Everest e rimane lì, no? Ma anche posti forse meno importanti, meno famosi, sono comunque molto belli, ci sono dei posti bellissimi: vedi un bellissimo lago e rimani esterrefatto, quindi ti nasce il ringraziamento nel cuore. 

Questo ringraziamento deve passare attraverso Gesù, è lui il mediatore. 

La stessa cosa vale per il ringraziamento per questa vita che abbiamo, per il fatto che ancora oggi siamo vivi, per tutto ciò che abbiamo ricevuto in questi anni, in questa settimana appena passata, in questi giorni, ieri. 

Questo ringraziamento deve passare attraverso Gesù, per amore di Gesù. Sia per la creazione, sia per la nostra vita, deve emergere costantemente il chiaro riferimento dell’insostituibile mediazione di Gesù. 

E allora Bonhoeffer scrive che se per qualcosa non posso rendere grazie per amore di Gesù, di fatto non posso rendere grazie in nessun modo, perché, se lo facessi, diventerebbe peccato. Perché? Perché sono caduto nell’immediatezza, che è un inganno, non ho riconosciuto la funzione del mediatore, l’opera del mediatore, e quindi diventa un’offesa a Dio. 

Prosegue:

Anche il cammino verso la «realtà donata da Dio» costituita dall’altro uomo, insieme al quale vivo, passa attraverso Cristo, altrimenti è una falsa strada.

Questo l’abbiamo già affrontato quando abbiamo visto Vita Comune, sempre di Bonhoeffer, un po’ di tempo fa.

Tutti i nostri tentativi di superare l’abisso che ci separa dall’altro uomo, l’insuperabile distanza, l’insuperabile diversità, l’insuperabile estraneità dell’altro uomo, ricorrendo a legami naturali o psicologici, sono destinati necessariamente al fallimento. Non esiste alcuna strada che conduca un uomo all’altro uomo. Neppure la più benevola immedesimazione, la più avveduta psicologia, la più naturale disponibilità riescono a raggiungere l’altro uomo, non c’è alcuna immediatezza psicologica. Cristo vi si frappone. Solo attraverso di lui passa la via che conduce al prossimo. Perciò l’intercessione è la strada più promettente per raggiungere l’altro, e la preghiera comune in nome di Cristo è la più autentica comunione.

Anche questo cammino verso la realtà donata da Dio costituita dall’altro uomo, quindi anche il cammino che riguarda il rapporto tra me e l’altro insieme al quale vivo — non stiamo parlando dell’eschimese, stiamo parlando delle persone con le quali siamo ogni giorno in relazione — anche questo cammino, anche questo rapporto, deve passare attraverso Gesù. Se cerca un’altra via, è una falsa strada.

Forse non lo è mai stato, ma oggi di sicuro non è più così scontato scrive, dire e credere queste cose. Questa mediazione, assolutamente necessaria e insostituibile di Cristo nel rapporto con l’altro, non è proprio così creduta e così predicata e così affermata. Sicuramente non in un modo così categorico, in modo così radicale, come fa Bonhoeffer. 

Lui scrive:

Tutti i nostri tentativi di superare l’abisso che ci separa dall’altro uomo…

(perché tra me e l’altro c’è sempre un abisso) di superare questa distanza, questa diversità, questa estraneità… che lui le definisce tutte insuperabili: umanamente non è superabile la distanza, la diversità, l’estraneità dell’altro, umanamente non ci si riesce. Non si riesce a superare questo abisso che mi separa dall’altro, non è umanamente superabile. E lui dice che tu non puoi superare tutto questo attraverso i legami naturali o psicologici. Non è in nome del fatto che è tuo padre, in nome del fatto che è tuo figlio, in nome del fatto che è tua madre, non è attraverso un lavoro psicologico che tu puoi superare questo abisso. Perché, facendo solamente così, e quindi escludendo la mediazione di Gesù, fallisci.

Non esiste alcuna strada che conduca un uomo all’altro uomo

“in modo immediato”, è sempre questo il tema! Non c’è questa strada! È un’illusione che ci sia, ma non esiste. E questa è esperienza di tutti noi: finché non mettiamo Gesù in mezzo, non se ne esce, non si riesce. Finché non lo mettiamo veramente e seriamente, eh… perché poi sapete, possiamo essere tutti cristiani, ognuno per conto suo. Quindi possiamo crederci cristiani, perché facciamo delle pratiche religiose, perché conduciamo una vita moralmente, diciamo così, evangelica, ma poi quando si tratta di entrare in relazione con l’altro, ce la sbrighiamo noi, è in autogestione; non chiamiamo in causa Gesù, non crediamo che Gesù fa la vera differenza nel rapporto con l’altro.

Un esempio: beh, quante volte o quando è stata l’ultima volta che abbiamo pregato il Signore perché intervenisse dentro a quella relazione così complessa? Che l’abbiamo pregato prima di andare a parlare o di incontrare quella persona? Quando è stata l’ultima volta che abbiamo pregato — laddove ovviamente è possibile perché, se l’altro non crede… — insieme a quella persona? “Ah no, ma io non ci riesco; ah no, ma a me non va; ah no ma io preferisco fare da solo”. Vedete? E poi ci illudiamo di poter incontrare l’altro. No! Non si può, non si riesce! E infatti falliamo! E infatti ogni volta litighiamo, e infatti ogni volta bisticciamo, e infatti ogni volta poi urliamo, poi mettiamo i musi, poi… è tutto un continuo, un continuo di questa musica che si ripete.

Una strada diretta tra me e l’altro non c’è. E la nostra vita è una conferma costante di questa verità.

Neppure la più benevola immedesimazione

“Eh, mettiti nei panni dell’altro!”. Quante volte si danno questi consigli inutili, dove diciamo: “Eh, insomma, per riuscire ad andare d’accordo con lui o con lei, mettiti nei suoi panni. Prova a metterti nei suoi panni, che magari così…” No! Non è questa la via. 

Oppure:

la più avveduta psicologia

Stessa cosa: “Allora vieni che iniziamo un percorso psicologico”. 

Guardate, in questa manciata di anni di sacerdozio — insomma, manciata… se venti e rotti anni si possono definire una manciata, va bene, definiamoli una manciata; certo, rispetto a cinquanta è un nulla, ma comunque — devo dire che ho visto tanti tentativi di incontro tra persona e persona, immediati, diretti, senza la mediazione di Gesù e fondati, ad esempio sulla “benevola immedesimazione”, oppure fondati sulla psicologia, fondati principalmente sulla psicologia. Esito: non hanno portato a nulla! Ma non perché quei mezzi non vadano bene in sé, ma perché fino a quando non si mette Gesù al suo posto, tutto il resto è come se fosse una realtà senza regista. Non esiste un film senza regista, non esiste un’opera teatrale senza regista, non esiste un’orchestra senza il direttore: non funziona! Anche se sono tutti i professionisti, ma il direttore d’orchestra ci vuole. Questo vuol dire che l’oboe, il corno, il clarinetto, l’arpa, non vanno bene, non funzionano? No, funzionano, ma se tu ci metti il direttore d’orchestra. Altrimenti ognuno suona per conto suo. Ma non puoi far venir fuori un concerto, capite?

Quindi, neppure la più “avveduta psicologia” sulla quale oggi, in realtà, noi scommettiamo tantissimo. Oggi c’è un problema: subito ricorrere allo psicologo. Eh, bisogna vedere!

Se leggete i libri di Larchet sulle malattie psichiatriche,  come abbiamo già fatto negli anni passati, potete vedere bene il giudizio di questo famoso autore ortodosso, non facilmente favorevole alla psicologia e alla psicoanalisi. Fa tutto un percorso storico che spiega un po’ da dove nascono, ne spiega le varie correnti e mostra anche la limitatezza di questi strumenti. Hanno un loro perché, hanno una loro utilità, certo, ma ci deve essere questa mediazione di Gesù, lo dice Larchet e lo dice qui adesso Bonhoeffer in modo ancora più forte. Altrimenti non si arriva da nessuna parte.

Questo forse è il momento di dirvi dell’esperienza che ho fatto in carcere. Ve l’ho già accennato nei giorni scorsi quando vi ho detto: “Io ho visto delle vere e proprie guarigioni psicologiche operate da coloro che hanno messo al centro della loro vita Gesù”. Io sono testimone e non posso dire che erano misticismi, che erano fuochi fatui, che erano inconsistenti, che erano devozionismi. Stiamo parlando di carcerati e sto parlando di crimini gravi. Non sto parlando di: “Ho rubato la caramella, ho mangiato tre fichi dell’albero del vicino, ho tirato una fiondata sulla coda del gatto del vicino, ho detto le bugie”. Stiamo parlando di carcerati, stiamo parlando di persone che hanno commesso reati gravissimi. Tra loro e Gesù non c’era nulla. Ebbene, io devo dirvi che quando alcuni di loro — non tutti — si sono impegnati a fare un certo percorso… 

Ricordo un ragazzo giovanissimo, non potrò mai dimenticarmelo —è ancora vivente — che non riusciva a camminare al centro di un corridoio. Per arrivare alla cappella doveva camminare appoggiandosi ai muri. Mi ha talmente impressionato questa cosa che sicuramente ve l’ho già raccontato. Non riusciva a guardare negli occhi niente e nessuno. Veramente, credetemi, è così! Lui stava a testa china, appoggiato al muro — avrà avuto a malapena venticinque anni, fisicamente era sanissimo — perché, se alzava lo sguardo per guardare in là, l’orizzonte, per guardare qualcuno, cominciava a piangere. Una situazione gravissima! Un avvilimento terribile! Certo, il reato commesso era indescrivibile… Ma una situazione terribile, bruttissima. 

Io ne avevo parlato con gli psicologi perché mi ero un po’ spaventato. Lui veniva alle catechesi, ma insomma, vedere questo ragazzo conciato in quel modo, che stava lì, in cappella, tutto ripiegato, tutto chiuso, tutto piangente, inconsolabile… E poi, soprattutto, quello che mi impressionava è che non riusciva a camminare in centro a un corridoio, doveva sempre essere appoggiato a un muro. 

Gli psicologi mi dissero: “Guardi, noi abbiamo fatto tutto il possibile, lo stiamo ancora seguendo, ma non se ne viene a capo, non si riesce. Non si riesce. È una situazione troppo grave, troppo complessa e non si riesce”. 

Non riusciva a parlare in pubblico, non riusciva ad alzare una mano, a fare una domanda, non riusciva a dire il suo nome, non era riuscito a dire il suo nome. Faceva quasi pena, paura a vederlo. Uno dice: “Mamma, adesso come mi rapporto con questo ragazzo? Non posso parlarci, perché se ci parlo lo mando in crisi, non posso quasi neanche guardarlo, non posso toccarlo perché sembrava di aver vicino un vaso di cristallo di Boemia. Quindi come mi rapporto con una persona così?” Sapete la paura di fare danni, anche senza volerlo, ovviamente era enorme.

Quindi ho chiesto agli psicologi e loro mi hanno detto: “Guardi, sì, lo lasci venire alla catechesi, che magari un po’ di bene gli farà, almeno esce dalla cella”. 

Con i suoi compagni… zero! Non parlava con nessuno, non entrava in relazione con nessuno. Capite: il carcere è il carcere. 

Allora ha cominciato a venire alle catechesi. Mi ricordo ancora che le facevo sul Vangelo di Marco, perché è il più breve. Portavo i vangelini con me, poi li distribuivo ai carcerati che li desideravano e durante tutto l’anno leggevamo il Vangelo di Marco. Lo leggevamo un pezzettino, poi glielo spiegavo e poi loro facevano le domande, questa era la catechesi. Lui ha cominciato a venire e io ho pregato tantissimo per lui. Alla fine della catechesi lasciavo un quaderno su un banco che era c’era in cappella, con un foglio e una penna: chi voleva essere chiamato per un colloquio, prima di ritornare in cella, dopo la catechesi, liberamente segnava il suo nome e il numero della cella, che poi dopo io, lungo il pomeriggio, lo andavo a chiamare. E passa un sabato e non mette il suo nome, e passa un altro sabato e non mette il suo nome insomma, passa un mese e questo ragazzo non mette il suo nome, più o meno quasi tutti mettevano il nome A me dispiaceva, perché mi sarebbe tanto piaciuto potergli parlare, però non potevo chiamarlo io, non volevo chiamarlo io, perché non volevo forzare la mano, non volevo essere invadente o inopportuno o anticipare i tempi. Sapete, ognuno di noi ha i suoi tempi. Mi ricordavo sempre l’adagio di quel santo sacerdote che ho conosciuto da ragazzo, che diceva: “Ricordati Giorgio, non anticipare mai lo Spirito Santo, seguilo sempre, ma non anticiparlo mai”; e quindi io stavo fermo. Un giorno, dopo che sono usciti, mi giro e vedo il suo nome — mi ricordo ancora la firma — e dico: “Non ci credo!!”. Sapevo come si chiamava ed era l’unico che si chiamava così. Così ho detto: “Non ci credo!”. Il nome era tutto fatto come se fosse un elettroencefalogramma, tutto mosso. Non è riuscito a scrivere il suo nome dritto con una scrittura lineare, era tutto a zig-zag. Io ovviamente quella volta non ho seguito la lista, perché era uno degli ultimi che si è segnato; io solitamente seguivo la lista, dal primo all’ultimo. Ma quel giorno ho detto: “No, stavolta Gesù, non posso, devo fare un’eccezione”. E infatti lui non era ancora arrivato in cella, che io subito sono andato e l’ho chiamato, ho detto: “Vieni” e lui ha detto: “No, ma io mi sono segnato per ultimo” — “No, no, la lista è cambiata. Tu vieni, vieni, vieni, vieni”. E quindi lui è venuto e ovviamente siamo andati a passo di lumaca, perché ha dovuto rifare tutta la strada appoggiato al muro, strisciando. Quando si è seduto — guardate, voi non ci crederete — era più sudato di me quando faccio la corsa di tre ore: sudato, bagnato da doccia. Io l’ho guardato e ho detto: “Ma cosa è successo?” Mi è proprio uscita, probabilmente non dovevo dirla, ma mi è proprio uscita e lui non mi ha risposto niente. Quindi abbiamo cominciato a parlare o, meglio, io ho cominciato ad ascoltare, lui piano piano ha cominciato a parlare. 

Per farvela breve, perché non voglio star qui troppo, vi ho già forse annoiato, in capo a circa tre mesi questo ragazzo leggeva in chiesa alla messa, faceva gli interventi alla catechesi alzandosi in piedi e parlando davanti a tutti, camminava nel centro del corridoio a testa alta, parlava con i suoi compagni, si è iscritto alle superiori per conseguire il diploma e lo ha ottenuto! 

Ovviamente, come potete immaginare, sono arrivati gli psicologi. Io ovviamente non ho detto niente a nessuno ma quando gli è arrivata notizia di questa cosa — perché era sotto osservazione, questo ragazzo — subito sono arrivati gli psicologi. Mi hanno detto: “Ma cosa è successo? Ma ha visto che è successo?” — “Eh, sì!”. Domanda degli psicologi: “Ma come ha fatto a tirarlo fuori da quel pozzo nero, come ha fatto, che protocollo ha usato, che strumenti ha usato?” — “No, guardate, mettiamo subito in chiaro le questioni. Io non ho fatto proprio niente, niente, io sono stato solo spettatore e non ho usato nessun protocollo”. Semplicemente noi parlavamo, io lo ascoltavo, pregavamo insieme, perché innanzitutto l’ho condotto alla confessione — e ce ne era motivo — innanzitutto l’ho preparato alla confessione passo dopo passo, così che lui ha potuto segnare tutti i suoi peccati e confessarli. E poi pregavamo insieme. Io toglievo il crocifisso che porto all’abito — quello che porto tuttora all’abito, bellissimo crocifisso che mi hai regalato una monaca anziana, cieca; porto ancora questo crocifisso — quindi toglievo il mio crocifisso dall’abito e lo mettevo tra la mia mano e la sua mano. Quindi: la mia mano, la sua mano, stringevano il crocifisso, poi la mia mano stringeva le nostre mani e l’altra sua mano stringeva le nostre mani e stavamo così con le mani strette a pregare insieme, a recitare il Padre Nostro, la preghiera finale che facevamo dell’incontro. Ma non solo con lui, lo facevo con tutti, con tutti quelli che vedevo che avevano una certa sensibilità religiosa, alla fine pregavamo insieme così. E ho detto agli psicologi: “Questo ha operato il miracolo che voi vedete!” — “Eh, ma non è possibile” — “Guardate” — mi sembrava di essere il cieco nato — “come sia possibile, io non lo so, perché gli psicologi siete voi, però sta di fatto che la realtà ci dice che è possibile, perché è avvenuto esattamente così, né più e né meno”.

Quindi l’opera, la guarigione, questo miracolo psicologico operato in questo ragazzo, è avvenuto per opera di Gesù Cristo. A ognuno il suo. Ecco perché ho voluto portarvi questo esempio di vita concreta, vissuta, estrema, liminale, di periferia, proprio per dirvi che ha ragione Bonhoeffer a scrivere quello che scrive. Se non c’è la mediazione di Cristo, neanche la più avveduta psicologia e la benevola immedesimazione possono qualcosa; neanche la più naturale disponibilità riescono a raggiungere l’altro uomo, cioè il fatto che mi rendo disponibile: anche gli psicologi erano disponibili, disponibilissimi, eppure non sono riusciti. Chi più di uno psicologo riesce a immedesimarsi nell’altro? 

Bonhoeffer scrive:

Non c’è alcuna immediatezza psicologica.

Perché? Perché non c’è alcuna immediatezza, punto! In quanto, ecco la frase fortissima di Bonhoeffer:

Cristo vi si frappone

Cristo sta in mezzo e vuole essere riconosciuto come l’unico vero mediatore. Solo attraverso di lui passa la via che conduce al prossimo. E io sono testimone di questo. Non posso non dirlo, perché l’ho visto con i miei occhi. Credo che commenterei peccato se non lo dicessi e se lo negassi, perché io ho assistito con i miei occhi a questa cosa. C’è chi ha assistito al miracolo del cieco nato, c’è chi ha assistito ad altri miracoli fisici, non so, una persona che guarisce da un tumore… io ho assistito alla guarigione psicologica di questa persona, che poi ha comportato anche la sua guarigione fisica. Voi direte: “Ma è stato l’unico?” — No! Non è stato l’unico. Così grave sì, è l’unico che ho visto così grave, perché era veramente gravissima la situazione, ma l’unico no.

Ecco perché Bonhoeffer dice: è l’intercessione, è la preghiera di intercessione «la strada più promettente per raggiungere l’altro», cioè il pregare per l’altro, supplicare Dio per l’altro, invocare lo Spirito Santo sull’altro. E poi:

la preghiera comune in nome di Cristo

questa è la più autentica comunione: la preghiera in comune in nome di Cristo. Impariamo a pregare assieme; impariamo a pregare insieme, in nome di Cristo: è così che noi affermiamo ed è così che noi cresciamo nell’autentica comunione tra di noi.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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