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Catechesi “La Fede” – ll vitello d’oro: tradimento e idolatria (Es 32, 1-6) lezione 9

Catechesi La Fede 2017-18

Catechesi di lunedì 30 ottobre 2017

Ciclo di catechesi “La Fede: dubbio o Abbandono? La Scelta di una vita

Relatore: p. Giorgio Maria Faré

Ascolta la registrazione della catechesi:

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Brano commentato durante la catechesi:

Esodo 32, 1-6

1 Il popolo, vedendo che Mosè tardava a scendere dalla montagna, si affollò intorno ad Aronne e gli disse: “Facci un dio che cammini alla nostra testa, perché a quel Mosè , l`uomo che ci ha fatti uscire dal paese d`Egitto, non sappiamo che cosa sia accaduto”. 2 Aronne rispose loro: “Togliete i pendenti d`oro che hanno agli orecchi le vostre mogli e le vostre figlie e portateli a me”. 3 Tutto il popolo tolse i pendenti che ciascuno aveva agli orecchi e li portò ad Aronne. 4 Egli li ricevette dalle loro mani e li fece fondere in una forma e ne ottenne un vitello di metallo fuso. Allora dissero: “Ecco il tuo Dio, o Israele, colui che ti ha fatto uscire dal paese d`Egitto!”. 5 Ciò vedendo, Aronne costruì un altare davanti al vitello e proclamò: “Domani sarà festa in onore del Signore”. 6 Il giorno dopo si alzarono presto, offrirono olocausti e presentarono sacrifici di comunione. Il popolo sedette per mangiare e bere, poi si alzò per darsi al divertimento.

Testo della catechesi

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Continuiamo il nostro cammino di catechesi e questa sera leggeremo un testo abbastanza famoso, probabilmente più famoso degli altri, un testo che ci riguarda personalmente tutti e che è anche molto triste perché, purtroppo, racconta la nostra storia, alle volte quotidiana, del nostro rapporto con Dio. Siamo al capitolo 32 del libro dell’Esodo: “Il vitello d’oro e l’alleanza rinnovata”. Vediamo un po’ che cosa succede con questo vitello d’oro.

1Il popolo, vedendo che Mosè tardava a scendere dalla montagna, si affollò intorno ad Aronne e gli disse: “Facci un dio che cammini alla nostra testa, perché a quel Mosè, l’uomo che ci ha fatti uscire dal paese d’Egitto, non sappiamo che cosa sia accaduto”. 2Aronne rispose loro: “Togliete i pendenti d’oro che hanno agli orecchi le vostre mogli e le vostre figlie e portateli a me”.

Il popolo è alle pendici del Monte Sinai e sta attendendo la discesa di Mosè. Mosè era salito, era su ormai da quasi quaranta giorni e quaranta notti — senza mangiare, senza bere — per ricevere le tavole dell’Alleanza, ma soprattutto, cosa più importante ancora, per parlare con Dio, per stare con Dio. Non era andato a divertirsi, non era scappato. Era lassù, sul monte — loro lo sapevano — per un compito preciso: il compito della mediazione tra Dio e il popolo. Non era andato su per un interesse suo personale. Ma tarda; cosa vuol dire che tarda? Vuol dire che non rispetta i tempi che loro avevano nel cervello. Noi abbiamo dei tempi, che sono i nostri tempi, e Dio deve uniformarsi ai nostri tempi. Siamo noi il metronomo e Dio deve stare al nostro tempo, sennò tarda.

Voi capite che l’uomo che detta il tempo a Dio, è follia pura. Dio, che ha creato il tempo e che vive nell’eternità, Lui che è il Signore, il padrone del tempo, deve farsi schiavo dei tempi degli uomini; perché loro hanno deciso che Mosè doveva essere già tornato. L’hanno deciso loro, con la loro testa, secondo i loro gusti, secondo i loro bisogni, le loro voglie e, probabilmente, ciò era dovuto al fatto che erano stufi di aspettare, stufi di star lì, volevano risposte, volevano certezze, volevano punti di riferimento, volevano vedere Mosè. Ma cosa è andato su a fare, Mosè? Perché tarda? Cosa sta facendo? Invece di avere come risposta: “Mosè è sul monte con Dio, e questo ci basta, e ci deve bastare; stesse su anche trent’anni, non ci interessa, ci ha detto di stare qui e noi stiamo qui, perché lui è sul monte con Dio per noi”; invece di avere questa risposta dentro di sé, loro hanno fretta.

Mosè tarda, allora che cosa fanno? Cercano un’alternativa umana a Mosè. Siccome Mosè — l’amico di Dio, il mediatore tra Dio e gli uomini — in questo contesto, tarda, io me ne vado a cercare un altro, più piccolo, ma comunque autorevole, perché così, da quest’altro, avrò qualcosa. E vanno a pescare Aronne. Voi sapete che il compito di Aronne era quello di parlare; siccome Mosè tartagliava, faceva fatica a parlare, Dio diede Aronne a Mosè. Aronne era un po’ il braccio destro di Mosè: Mosè colloquiava con Dio e poi Aronne trasmetteva quello che Mosè gli diceva. Una persona di tutto rispetto, un grande amico — almeno in apparenza — di Mosè, una persona di fiducia, una figura importante.

E cosa gli dicono, ad Aronne? Perché, vedete, noi non è che abbiamo il coraggio, immediatamente, di dire quello che abbiamo nel cuore, noi cerchiamo sempre qualcuno che sia una mediazione nel male, che medi il male che noi ci portiamo dentro, perché così, dopo, gli possiamo scaricare la responsabilità addosso. Perché, se il male lo facciamo noi direttamente, è tutta colpa nostra, ma se c’è qualcuno da cui andare, poi, male che vada, potremmo sempre dire che è stato lui. E poi, abbiamo bisogno di qualcuno di esterno che riconosca l’autenticità della nostra ribellione, qualcuno di esterno che ci confermi, che dica: sì, state facendo bene; è giusto quello che fate, è vero.

Loro dicono ad Aronne: «Facci un Dio…»; capite che già queste tre parole sono una voragine, un buco nero infinito. Solo a sentire queste parole c’è da tremare: «Facci un Dio…». Ma come si fa a fare un Dio? È possibile costruire un Dio? E che Dio è quello fatto dalle mani dell’uomo? Quale abominio di desolazione può essere? Quale tristezza infinita può essere? Un Dio fatto da un uomo… questa inversione di natura: la creatura che fa il creatore; pazzesco!

«Facci un Dio…», che, tradotto, vuol dire: noi diventiamo Dio! Adesso lo creiamo noi, Dio. Creandolo noi, sarà un Dio a nostro uso e consumo, sarà un Dio sul quale mettiamo le mani, un Dio che sarà esattamente la realizzazione di tutte le cose più meschine che io porto nel cuore. «Facci un Dio che cammini alla nostra testa …»; ma fino a qualche giorno fa, non avevano la colonna di nube e la colonna di fuoco? Fino a qualche giorno fa, non avevano questa colonna di fuoco che di notte era lì e poi diventava la colonna di nube, che li accompagnava e li ha accompagnati per tutto il tempo nel deserto? Ma come mai? Perché non è più sufficiente? È sempre la solita questione, è sempre quella, che si ripete: questi non si fidano mai, cascasse il mondo. Dio può fare tutto quello che vuole, ma chi non si fida, non si fiderà mai. Chi dentro non si vuol fidare, non si fida, qualunque opera incredibile Dio possa fare per lui.

“Facci un dio che cammini alla nostra testa, perché a quel Mosè, l’uomo che ci ha fatti uscire dal paese d’Egitto, non sappiamo che cosa sia accaduto”. 

Non è una frase logica! Qui c’è un grosso salto logico. Che rapporto c’è tra l’assenza di Mosè e il bisogno di un Dio che cammina alla nostra testa? Mosè tarda a venire; magari sarà morto, andiamo a vedere dov’è. Mosè tarda a venire; sarà scappato, sarà impazzito: tiriamo su baracca e burattini e andiamocene altrove. Questi sarebbero dei ragionamenti più naturali, più razionali. Oppure: Mosè è salito sul monte, magari avrà visto una bestia, sarà morto di sete, sarà successo qualcosa, avrà fatto arrabbiare Dio; quindi, noi prepariamo le tende, smontiamo tutto, anche i recinti, liberiamo le bestie, cominciamo a preparare le carovane, nel frattempo dieci o cinque di noi vanno su, sul monte, e vedono dov’è finito Mosè, non fosse altro che magari, poverino, se è morto, almeno lo seppelliamo, dopo tutto quello che ha fatto per noi.

Ma cosa c’entra Dio? Perché, se Mosè tarda, devono creare un Dio? Eh, perché, sapete, Mosè non ha portato sé stesso a queste persone, ha portato Dio, Mosè era l’amico di Dio; tradire Mosè, non credere a Mosè, è tradire Dio, è la stessa cosa. Siccome loro non avevano più fiducia in Mosè — ma, in realtà, non è che l’hanno mai avuta veramente — allora via Mosè, via Dio; non avendo più la voce concreta di Mosè, è l’occasione per far fuori definitivamente anche Dio. Perché di questo Dio siamo stufi, è una prova continua! E questo no, questo no, questo no, questo no, questo no, questo no. Poi le prove, poi prendi una manna sola e non due, e prendi le quaglie, e poi l’acqua dalla roccia, e poi i serpenti brucianti e poi… basta! Che calvario, questa cosa qui! Ma facciamoci un Dio che ci lascia in pace e stiamo tutti in pace!

Visto che Mosè è andato via, chi altri prende le difese di Dio? Chi altri si preoccupa del diritto, dello ius divinum? Chi altri richiama la nostra coscienza a ciò che è giusto e vero? Nessuno. La tristezza della vicenda è che, tolto Mosè, non c’è nessuno; nessuno che dica: “Ma scusate, cosa state facendo? Perché?” Nessuno. Perché solamente chi è amico di Dio si preoccupa di Dio, gli altri si preoccupano di sé stessi, questa è la verità, e questo è quello che accade a noi tutti i giorni, dove ciò che a noi sta a cuore siamo noi, non Dio. E quando viene a essere toccato il diritto di Dio, noi andiamo avanti a fare la nostra vita, come se niente fosse; andiamo avanti a fare le nostre assurde scelte, come se niente fosse. Mosè era sempre stato mosso, ed è sempre stato mosso, dalla volontà di Dio; loro no.

Voi fate questo esperimento; provate a pensare: ma se succedesse che Dio non è d’accordo con il modo con il quale io conduco la fede, Dio ha spazio nella mia vita per dirmelo? O siccome ho deciso che io vado qui, vado lì, faccio questo, faccio quello, faccio quell’altro, allora, fine, questo è giusto, perché l’ho deciso io! Ma vi siete mai chiesti se per caso Dio la pensa diversamente da noi? Dio approva? Sarà contento? Io, quella cosa lì, nella vita di fede, la faccio perché è volontà di Dio o perché piace a me? Che cosa mi muove a vivere in quel modo, a fare quella cosa, che cosa mi spinge a fare in un modo piuttosto che in un altro? Mi spinge la volontà di Dio, che io cerco costantemente ogni giorno, e dalla quale in tutti i modi cerco di farmi interpellare, o il mio gusto? Cioè: “A me piace così, io mi trovo bene così”?

Ecco, Mosè non faceva questo, i santi non fanno questo, Gesù non ha vissuto così, perché ha fatto solo quello che piaceva al Padre. E noi, cos’è che facciamo: quello che piace al Padre o quello che piace a noi? E se Dio dicesse: “No, a me non piace questa cosa”, io sarei disponibile a lasciare tutto? Tutto quello che piace a me, per Dio? Rinnegare il mio gusto radicalmente? Il mio gusto riposa sulla mia volontà o sulla volontà di Dio?

Quanti cammini di fede sgangherati perché il centro di quel cammino di fede non è “Dio”, ma “io”! E, quindi, mai che mi metto in discussione; mai che mi chiedo: “Ma sarà la volontà di Dio, questa? Dio dov’è che mi sta aspettando, dove mi chiama, Dio, oggi? E Dio, da me, si aspetta questi cinque grammi di cose che gli do, o se ne aspetta di più, o di altre?” Guardate che sono domande importanti, perché noi non saremo giudicati su quante cose buone abbiamo fatto, ma se avremo fatto o no la volontà di Dio. Questo è il tema del giudizio, lo dice Gesù nel Vangelo: in quel giorno molti diranno: “Signore, Signore ho profetato nel tuo nome, ho compiuto i miracoli e scacciato i demoni”. E io vi risponderò: “Allontanatevi da me, voi tutti operatori di iniquità, non vi conosco, perché non avete fatto la volontà del Padre mio”.

Poi: «quel Mosè, l’uomo che ci ha fatti uscire dal paese d’Egitto». Ma non è stato Mosè a farli uscire dal paese d’Egitto! Si è messo alla testa della carovana, ma chi li ha fatti uscire dall’Egitto, è stato Dio. È Dio che ha operato le dieci piaghe, non Mosè! Il bastone che ha usato Mosè aveva quel valore, perché glielo ha dato Dio, non perché era un bel bastone, altrimenti non sarebbe successo niente.

Vedete, quando la nostra testa perde il lume della fede, poi perde anche quello della ragione, si dicono cose che sono veramente insensate, assurde. Pur di avere quello che vogliamo, cioè un vitello d’oro, rinneghiamo tutto e tutti.

2Aronne rispose loro: “Togliete i pendenti d’oro che hanno agli orecchi le vostre mogli e le vostre figlie e portateli a me”.

È un Dio costoso, questo qui! Quando il Dio di Mosè ha chiesto loro oro o argento? Mai! Lui gli ha chiesto solo di essere fedeli alla sua legge, basta. L’idolo, invece, è caro. E il Dio d’Israele, o meglio, il Dio di Mosè, — perché adesso non è il Dio d’Israele, perché loro lo stanno abbandonando, lo stanno tradendo, se ne stanno creando un altro, perché quello è troppo pesante, troppo vero, per andar bene — che cosa, di concreto, ha mai chiesto a questa gente? Nulla, ha chiesto, solo l’obbedienza; basta. E invece, questo idolo è pesante, molto pesante. E devo rinunciare a qualcosa di personale, ai preziosi di famiglia, all’oro della mia famiglia. Loro, infatti, come tutti noi, avranno avuto dei nonni, dei bisnonni e quant’altro; quindi, ci sarà stata la collana, l’orecchino, l’anello della nonna, della zia, della mamma; ci sarà stato un grande valore affettivo, legato a questi preziosi. Bene, l’idolo che loro stanno creando azzera tutta la loro affettività, la loro memoria generazionale, l’appartenenza: tutto dentro un grande calderone, a sciogliere.

3Tutto il popolo tolse i pendenti che ciascuno aveva agli orecchi e li portò ad Aronne. 4Egli li ricevette dalle loro mani e li fece fondere in una forma e ne ottenne un vitello di metallo fuso.

Non dimenticatevi questa espressione: “li fece fondere in una forma”, perché poi, il caro Aronne, quando Mosè scenderà dal monte, cambierà versione. Perché Mosè arriva sempre; Mosè, dal monte, prima o poi, scende, e arriva sempre sul più bello, e quando arriverà, tutti, come i topi, ricominciano a saltare e a correre; ma dopo è troppo tardi, per correre. Il caro Aronne, come vi dicevo, poi cambierà la sua versione e dirà: “No, io no, non è colpa mia; è colpa di tizio, è colpa di caio. Io non volevo, ma lui mi ha detto, ma lui ha fatto…”; farà proprio come Adamo ed Eva.

Un’altra cosa altrettanto interessante da osservare è questa: come mai Aronne non si oppone? Ma non era l’amico di Mosè? Non è quello che faceva la voce a Mosè, che diceva tutte le cose che diceva Mosè, che stava sempre vicino a Mosè? E come mai questo Aronne, così, tranquillamente, senza battere ciglio, dice: portatemi tutto, che …?

Perché non tutti sono Mosè, perché ci vuole un gran fegato e un grande amore di Dio per mettersi contro tutto il popolo e rischiare di essere lapidati, come a Mosè è accaduto più di una volta. Ci vuole Mosè, che si sappia opporre a questo popolo stolto e perverso. Ci vuole Mosè, che abbia un’amicizia profonda con Dio, per dire: no! Chissà se avrebbero avuto il coraggio di andare da Mosè a dirgli una cosa del genere: “Senti, Mosè, facci un Dio che cammini alla nostra testa”. Sarebbe successo il finimento!

Ma loro sapevano bene cosa c’era nel cuore di Mosè; quindi, se ne guardano bene — i falsoni — dall’andare da Mosè a dirgli questa cosa; aspettano che Mosè vada via. E quando gli animi sono belli cotti dalla prova dell’assenza di Mosè, che è una prova al silenzio (l’assenza è una grande prova, capiterà anche a voi, tranquilli; capita a tutti, prima di quanto uno pensi), il fatto di non avere la presenza fisica di Mosè, crea lo spazio della prova, in cui si setaccia veramente quello che tu hai nel cuore, se tu veramente hai immagazzinato, imparato, hai metabolizzato, se hai fatto tuo tutto il bagaglio di quell’esperienza divina che Mosè era. Oppure se sei stato attaccato a Mosè come una bestia da soma, da tiro, e l’hai seguito obtorto collo, per forza. Ma non avevi voglia di farlo e, appena ti si presenta l’occasione (il silenzio, l’assenza di Mosè), vengono a galla tutte le “robe buone” che ti porti nel cuore e il vero stile che tu hai dentro, che è quello di fare quello che vuoi, quando vuoi, come vuoi; di seguire la tua testa, non l’obbedienza della fede, ma il tuo cervello.

Allora dissero: “Ecco il tuo Dio, o Israele, colui che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto!”

Ma, scusate: l’hanno fatto cinque minuti fa, e dieci minuti prima era alle orecchie di tutte le donne di Israele! Ma da quando degli orecchini, divisi in sé, fanno uscire un popolo dall’Egitto? Cioè: l’orecchino di mia moglie ha fatto uscire me dall’Egitto!? Ma per quanti anni quell’orecchino è stato all’orecchio di mia moglie e non ha mai fatto un miracolo? Ma se l’abbiamo appena fatto, come ha fatto a farmi uscire dall’Egitto nel tempo passato? Vedete? Il tradimento porta alla pazzia: questa è pazzia. Non sei più capace neanche di riconoscere la realtà. Perché non è vero, ma non per un discorso di fede, ma per un discorso oggettivo. Non è vero, l’hai appena fatto!

Ad esempio: questa tovaglia marrone è arrivata stasera, fino all’altra volta era bianca, io non posso dire a questa tovaglia: “Oh, la mia tovaglia, che io ho sempre usato per fare la catechesi!”; ma non è vero, me l’hanno appena data! È la prima volta che la vedete! Che ci fosse una tovaglia, è vero, ma non era questa qui. Ma è evidente, tutti noi lo sappiamo, che non era questa qui. E, se io dicessi che è la tovaglia che ho sempre usato, voi mi direste: “No, padre Giorgio, guarda che tu hai sempre usato la tovaglia bianca, ti hanno sempre messo quella bianca, è la prima volta che vedi quella marrone”; e io vi direi: “Ah sì, è vero”.

Per loro, invece, è evidente che questo oggetto, che fino a dieci minuti fa non c’era e adesso c’è, è Dio. Lui, che è fatto dall’insieme di tanti orecchini e collane, che fino a dieci minuti fa non aveva forma, improvvisamente ha preso una forma unica: la forma di un vitello. Non c’è niente di più domestico, di più asservito, di più innocuo di un vitello. Avete mai visto un vitello? Poverino, è lì con questi occhioni, con i ciglioni, che succhia il latte; non esiste niente di più tenero, di più dolce, di più carino, di più buono. Chissà come mai è saltato fuori proprio un vitello; interessante, questo Dio: proprio un niente, un inutile, senza gusto, senza senso; che non c’è mai stato prima, c’è da quel momento, e a lui attribuiscono l’onore della fuga dall’Egitto.

Ricordate: “Hanno scambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con la figura di un bue che mangia fieno”; che tristezza! Questi siamo noi, che scambiamo la gloria dell’incorruttibile Dio con la figura di un bue che mangia fieno. Con tutti i miracoli che Dio fa nella nostra vita, noi ci andiamo a creare gli idoli. Perché così non ci disturbano, non ci creano problemi e non ci mettono in discussione.

5Ciò vedendo, Aronne costruì un altare davanti al vitello e proclamò: “Domani sarà festa in onore del Signore”. — Sono tutti impazziti! Persino Aronne — 6Il giorno dopo si alzarono presto, offrirono olocausti e presentarono sacrifici di comunione. Il popolo sedette per mangiare e bere, poi si alzò per darsi al divertimento. 

È proprio un anti-Dio. C’è bisogno di una liturgia, capite? E questa liturgia, o la fai verso Dio, o la fai verso l’idolo, ma verso qualcuno bisogna farla. Hanno fatto questo Dio così concreto: il vitellone, con l’anello al naso; e il vitello (il bue) porta proprio questo anello al naso, perché tu lo tiri dove vuoi. È tanto grosso ma, con questo anello al naso, tu lo porti da tutte le parti. Ma il Dio di Israele non si fa portare da tutte le parti; nessuno ha messo l’anello al naso al Dio d’Israele; al vitello sì.

Aronne, vedendo questo, costruisce un altare; certo: è Dio, bisogna costruire un altare! È molto sacerdotale, questa cosa. E perché costruisci un altare? Perché bisogna fare i sacrifici, e poi bisogna fare festa. È il nostro signore, è il nostro nuovo Dio, bisogna inneggiare, bisogna glorificarlo. E, il giorno dopo, la Scrittura dice che si alzarono presto. Mamma mia, guardate: che tristezza!

Allora: quando facevo il male, andavo a letto alle quattro di notte, alle cinque di mattina, non mangiavo, non dormivo, non bevevo. Ci sono dei ragazzi che, in un giorno, mangiano un pezzo di pizza ghiacciato, si scolano giù litri di birra, di alcolici, di droghe e tutto va bene. Ballano con la musica che riuscirebbe a perforare il timpano di un rinoceronte, e ci ballano per sei/sette ore e non hanno neanche un grammo di stanchezza, niente. Bere acqua?! Cos’è l’acqua? Non si beve, l’acqua non esiste; loro sudano, perché ovviamente si suda, e continuano a bere alcolici, e stanno in piedi, tra un vomito e l’altro stanno in piedi e continuano a ballare; continuano! Poi escono, dopo tutta questa roba, e uno dice: beh, avranno un mal di testa! Ma che mal di testa, stanno benissimo, nessun mal di testa. Avranno sonno! Ma che sonno? Escono e vanno a far colazione alle cinque del mattino. Poi, siccome bevono, succede che magari vanno anche a casa, sennò si buttano per terra dove capita, e dormono su una panchina in mezzo a un prato. Qual è il problema? Fa freddo, fa caldo; ma che freddo! Ma che caldo! Giacconi? Ma che giacconi; una maglietta! Sudati, masarati, nessun problema. 

Quando si convertono a Dio, se non dormono dodici ore per notte, ti dicono: “Non ce la faccio, non ce la faccio, padre”; se non dormono dodici ore, come i bambini neonati ti dicono: “Non ce la posso fare, son distrutto. Guardi, padre, veramente, ho un mal di testa che mi uccide”; ma scusa, ma se non dormivi mai! Non hai mai dormito, quando andavi dietro agli idoli, e stavi benissimo, adesso, perché magari devi andare a una Messa prima, o ti si dice di svegliarti un po’ prima per pregare, se quel tempo lì viene scalfito da Dio allora: “Ho un dolore!”. Incredibile! Poi, dopo le loro dodici ore di sonno, con una bolla al naso grossa così, vanno in chiesa — ma non alle tre di notte, alle sette del mattino — si siedono e si addormentano; andati! Che uno dice: ma scusami un momento, tu dormivi dodici ore in una settimana, forse; uscivi dalla discoteca ed eri un grillo, io non ho capito perché tu, adesso, dopo dodici ore di sonno, vai in chiesa e dormi. 

Oppure: “Padre, in chiesa non si può stare, fa troppo freddo” — “Ma come, fa troppo freddo? Portati un giaccone!” — “No, ma io ho il giaccone, il panta-sci, il cappello, la sciarpa, i guanti e le cose termiche, ma io non ce la faccio, sto morendo dal freddo” — “Ma come stai morendo dal freddo! Ma se sei venuto a raccontarmi che fino a ieri stavi fuori a -10 gradi in camicia, ma come fai adesso a morir di freddo di giorno in chiesa?!”. Poi, non parliamo del digiuno, non apriamo questo capitolo. Quando erano con gli idoli, mangiavano una volta ogni tre giorni, se andava bene, ma “mangiavano” è un termine grosso, questi non è che mangiavano, morsicavano qualcosa ogni tre giorni, così, capitava che davano un morso da qualche parte. Fanno il digiuno, ma non il digiuno come San Pietro d’Alcantara, che non mangiava per otto giorni, semplicemente un digiuno a pane e acqua — e poi la Madonna non ha mai detto che tu devi mangiare un panino in un giorno, tu ti puoi mangiare trenta chili di pane, non c’è problema, è un digiuno del gusto, non è un digiuno della fame — arrivano le due: “Ho mal di testa, ma ho un mal di testa che non riesco a stare in piedi. Non ce la faccio assolutamente!” — “Ma scusa, ma quello che facevi prima, ma come facevi a farlo? E perché adesso non lo fai più?”. E poi, per essere perfetti col fisico, facevano una dieta da una foglia di lattuga divisa in quattro in un mese, e non c’erano problemi. Erano come un chiodo, un osso che cammina, ma tutto andava benissimo. Mai un mal di testa, senso di svenimento, mancamento; niente, perfetto. Fanno il digiuno e dicono: “Mi sento morire”.

Tutto questo cosa ci dice? Ci dice che il vitello, siccome ci fa fare quello che vogliamo noi, per quello che vogliamo noi, noi abbiamo tutte le energie della terra e siamo disposti a qualunque sacrificio (per quello che vogliamo noi, quanto ci piace a noi); ma, se Dio ci chiede qualcosa: “Non ce la faccio, no, non ce la faccio. Non ce la posso fare. È impossibile. Non ci riesco”.

Ecco perché San Giovanni Maria Vianney diceva che sono tre le penitenze che fanno effetto sul demonio: la penitenza del cibo, la penitenza del bere, la penitenza del dormire. Perché io non metto in discussione che veramente in chiesa a quello gli viene l’abbiocco, gli cade la testa e sviene! Io non dico che è falso, è vero. Ma questo ti dice tu dove sei; ed è importante che me ne renda conto, perché è strano che con Dio non riesco a fare un’ora di preghiera; non parliamo di una notte di preghiera, di adorazione eucaristica notturna! Quando facevamo l’adorazione eucaristica notturna, guardando il foglio con gli orari, tu vedevi che da mezzanotte all’una c’erano cinquanta nomi; poi, a mano a mano, diventavano sempre drasticamente di meno. Arriva il turno dalle due alle quattro, a trovarne due è un miracolo. Perché è l’orario più pesante, è più difficile, è quello che spacca il sonno. Poi ci sono quelli che dicono: “Io non capisco che senso abbia pregare di notte”; no, perché invece fare il male di notte ha senso? Stare su fino alle undici e mezza/ mezzanotte a guardare la televisione, questo ha senso! Poi il giorno dopo sono distrutto, ho mal di testa, non riesco a essere concentrato, sono tanto stanco. Però questo ha senso; stare su un’ora a pregare: no, mi fa male.

Questo è ciò che produce il vitello d’oro nella vita delle persone; questo è l’idolo, che ti fa completamente capovolgere la realtà, e ti fa diventare irrazionale. La cosa tristissima è che tu sembri pazzo, diventi profondamente irrazionale.

“Dopo aver fabbricato il vitello, si alzarono presto”; questo non è mai detto nella Scrittura nei confronti di Dio. Questi avevano da mangiare gratis, pane, carne, acqua, e mai una volta che abbiano detto: domani mattina ci svegliamo tutti presto per lodare il Signore. Mai, non l’hanno mai detto. Però, per andare in montagna a sciare mi sveglio presto al mattino. Per andare in vacanza, mi sveglio presto per prendere l’aereo. Per andare a trovare i miei amici, i miei parenti, mi sveglio presto il mattino, vero? Questo lo faccio! Mi sveglio anche alle quattro, se mi devo svegliare presto, non c’è problema. Ma per il Signore? Eh, per il Signore già le sette è un problema, le sei impossibile! Ma allora, di quale fede stiamo parlando? Tu in chi credi?

6Il giorno dopo si alzarono presto, offrirono olocausti e presentarono sacrifici di comunione.

Quindi questi pregano, ci mettono dentro anima e corpo. Peccato che pregano un idolo. Peccato che abbiano una fede falsa, è una pratica falsa. Poi, finalmente, arriva il momento del dunque: si siedono a mangiare, bere e divertirsi. L’idolo ti dà queste tre cose: mangiare, bere e divertirsi, questo è lo scopo. Loro hanno creato questo vitello per questo, e questo vitello non pone nessun problema.

Siamo arrivati al versetto sei; la prossima volta vedremo l’arrivo di Mosè. Perché, adesso che hanno costruito il vitello, fatti i sacrifici di comunione, che si sono alzati presto e che hanno fatto le liturgie, e che si sono messi a mangiare, bere e divertirsi, dentro tutta questa danza liturgica, arriva Mosè; e vedremo cosa succede. 

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

Informazioni

Padre Giorgio Maria Faré ha tenuto queste catechesi tutti i lunedì alle ore 21 presso il Convento dei Padri Carmelitani Scalzi di Monza.

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