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Le omelie del S. Curato d’Ars: l’esame di coscienza

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Colui che nasconde le sue colpe si perderà; ma chi le confessa e se ne ritrae otterrà misericordia
(Proverbi 28,13)

Abbiamo visto, fratelli miei, non molto tempo fa, che bisogna necessariamente e assolutamente confessare tutti i propri peccati mortali, secondo la loro specie, il loro numero e, infine, con le loro circostanze, se vogliamo ottenerne il perdono.
Lo Spirito Santo stesso ci dice che colui che nasconde qualche peccato, per vergogna o per negligenza, si perderà, cioè sarà dannato.
Nascondere i propri peccati per vergogna o per paura, deliberatamente, è un crimine che fa fremere.
Nascondiamo i nostri peccati per negligenza, invece, allorchè non mettiamo ogni cura e tutto il tempo che occorre, per esaminarci, affinchè possiamo conoscere i nostri peccati così come sono agli occhi di Dio, e come li conosceremo nel giorno del Giudizio.
Sarebbe una cattiva confessione se facessimo una confessione generale, per accusare i peccati commessi dopo l’ultima confessione, unendoli tutti insieme, per averne meno vergogna.

Ecco uno degli effetti più funesti del peccato: accecare colui che lo commette in una maniera così spaventosa, che questi non conosce affatto se stesso e, ancor più, non cerca neppure di conoscersi, o si conosce in una maniera così superficiale, che non vede affatto il vero stato della sua anima.

E’ questo, in primo luogo, lo stato di un cristiano che profana i sacramenti.
Si abituerà a una certa routine di esame di coscienza, si accontenterà di ricordare qualche gruppo di peccati più ordinari, come le bestemmie, i giuramenti e la collera, ma senza darsi la pena di discendere nel suo cuore per conoscerne il numero e la malizia.

E, in secondo luogo, ecco lo stato di un cristiano che moltiplica i suoi sacrilegi.
Costui esamina non ciò che ha fatto, ma ciò che dovrà dire, e cioè il modo in cui dovrà accusarsi, provandone meno vergogna; come se, ingannando il confessore, potesse ingannare Dio, che ha pesato e contato tutti i suoi peccati.

E, in terzo luogo, ecco lo stato di un peccatore che profana i sacramenti.
Costui si presenterà senza nemmeno essersi esaminato, pensando che il confessore l’interrogherà per fargli conoscere i suoi peccati: altra profanazione.
Quand’anche un sacerdote vi facesse conoscere i vostri peccati in maniera tale da non trascurarne nessuno, quand’è che andreste a chiedere a Dio la contrizione? Forse dopo la vostra confessione, o dopo aver ricevuto l’assoluzione?
Confessione sacrilega! O mio Dio! ci si può pensare e vivere tranquilli?
(intende dire che la contrizione deve precedere e non seguire l’accusa dei peccati e l’assoluzione, altrimenti quest’ultima non è valida; n.d.a.).

Qual è il mio progetto, fratelli miei?
Eccolo:
1°- mostrarvi che per fare una buona confessione, noi dobbiamo esaminarci seriamente e in buona fede;
2°- insegnarvi la maniera in cui dovete confessarvi;
3°- farvi conoscere quelli che fanno cattive confessioni;
4°- farvi vedere i mezzi che dovete usare per riparare quelle fatte male;

Poichè non desidero nient’altro se non la salvezza delle vostre anime e la vostra eterna felicità, comincio dunque, con la grazia di Dio, a “sbrogliarvi”, per quanto mi sarà possibile, lo stato di accecamento in cui il peccato ci ha ridotti, che ci impedisce di poterci conoscere così come siamo agli occhi di Dio, e come ci conosceremo nel grande giorno della vendetta.
Procediamo, fratelli miei, con la nostra solita semplicità.
Io vi chiedo: chi sa che cosa sia un esame?
Vi dirò che è la ricerca, con ogni cura possibile, dei peccati che abbiamo commessi dopo il Battesimo o dopo la nostra ultima confessione; e questa conoscenza di noi stessi è più difficile di quanto non pensiate.
Essa è, per chi la voglia fare bene, una faccenda che gli richiederà ogni sua cura e un po’ del suo tempo.

Se mi chiedete che cosa si debba fare per esaminarsi come si deve, e cioè per fare una confessione che ci meriti il perdono, occorre ritrarre il proprio cuore e il proprio spirito da ogni affare temporale, e cioè non pensare nè al proprio commercio, nè alla propria famiglia, ma scendere, con una specie di orrore e di indignazione, nel proprio cuore, con una fiaccola in una mano e una bilancia nell’altra, per esaminare rigorosamente il numero, tutte le circostanze e pesare tutta la malizia dei nostri peccati.
Ma poichè, da noi stessi non siamo che tenebra, siamo incapaci di poter penetrare nel fondo di quest’abisso di corruzione che non è conosciuto bene se non da Dio solo.
E’ dunque a Lui che dobbiamo rivolgerci con umiltà profonda, alla vista dei nostri peccati, e con una grande fiducia nella sua bontà che è infinita; dobbiamo implorare i lumi dello Spirito Santo con una preghiera fervente e animata della più viva fede, che tocca il cuore di Dio e attira su di noi le sue misericordie.
Essendo rientrati in noi stessi, fratelli miei, diciamogli dal profondo del cuore: «Mio Dio, abbi pietà di un miserabile peccatore tutto coperto di iniquità, che non ne conosce nè il numero nè la malizia.
Mi rivolgo a Te che sei la luce del mondo; mio Dio, fa’ discendere nel mio cuore un raggio della tua luce; mostrami, ti prego, i miei peccati, affinchè io possa detestarli e meritare il mio perdono».
Sì, fratelli miei, il peccato getta il nostro spirito nelle tenebre più spaventose, che tappano gli occhi della nostra anima.

Guardate, fratelli miei, cosa accadde a Davide il quale, prima che il peccato piombasse sulla sua anima, percepiva con tanta esattezza le minime colpe che faceva.
Ma poi, quando ebbe la disgrazia di cadere nel suo primo peccato grave, gli occhi della sua anima persero la loro lucidità.
Non contento di disonorare la moglie di Uria, lo fece anche morire, e restò un anno in questa condizione sciaguarata, senza rimproverarsi nè l’adulterio nè l’omicidio.
Egli non se ne accorse neppure; fu necessario che Dio gli inviasse il suo profeta Natan, per aprirgli gli occhi, e fu solo allora che si riconobbe colpevole.
Ecco un’immagine terribile di un peccatore che marcisce in qualche peccato abitudinario; occorre che Dio lo prevenga e vada a cercarlo, per così dire, in mezzo ai suoi disordini, altrimenti non ne usciremmo mai.
Questo ci dimostra, fratelli miei, che è impossibile riconoscere i nostri peccati e fare una buona confessione, se non imploriamo con tutto il nostro cuore la luce dello Spirito Santo, affinchè ci faccia conoscere il male che abbiamo fatto, e ci doni il dolore necessario per detestarlo.

Volete sapere a che cosa somigli un peccatore?
A una persona estremamente contraffatta e ripugnante, che si ritiene ben fatta e molto bella, perchè non si è mai guardata allo specchio; ma che poi, quando si guarda, si riconosce così laido, così orribile, che non riesce più a guardarsi nè a pensarci, senza provare orrore.
La stessa cosa accade al peccatore che sia rimasto per qualche tempo nel peccato, senza fare nessuna riflessione su se stesso.
Ma poi, quando rientra in se stesso, non riesce più a concepire come abbia potuto permanere in uno stato così deplorevole.
Che cos’è che fa versare tante lacrime ad alcuni peccatori?
Nient’altro se non il fatto di essere rientrati in se stessi e aver visto quello che non avevano mai visto fino ad allora.
Perchè tanti altri, anche più colpevoli, sono tranquilli, e non versano nessuna lacrima?
Ahimè! fratelli miei, è perchè hanno chiuso gli occhi sullo stato di disgrazia in cui si è ridotta la loro anima.

In secondo luogo ho detto che abbiamo molto bisogno della luce dello Spirito Santo per conoscere i nostri peccati, poichè il nostro cuore è la sede dell’orgoglio, che non cerca altro che i mezzi per farceli apparire minori di quello che sono.
Voi vedete che abbiamo assolutamente bisogno dell’aiuto dello Spirito Santo per conoscere i nostri peccati così come sono.

In terzo luogo ho detto che il peccatore, essendo ancora schiavo del peccato, ha bisogno di una grazia speciale per distaccarsi completamente dal peccato e dagli oggetti che lo hanno indotto a peccare.
Quanti ne troviamo ancora di quei peccatori che sembrano essersi convertiti, ma che sentono ancora una certa soddisfazione, pensando ai disordini ai quali si sono dedicati qualche tempo prima!
Abbiamo dunque molto bisogno della grazia di Dio, che ci ispiri un orrore profondo per i nostri peccati passati.

Ditemi, fratelli miei, nelle vostre confessioni, avete avuto cura di domandare a Dio le sue grazie e i suoi lumi, per non profanare questo sacramento di misericordia?
Sì, noi forse dimentichiamo che, senza Dio, non possiamo fare altro che il male.
Avete fatto come il cieco di Gerico, che, riconobbe il suo accecamento e che lo deplorò amaramente?
Avete fatto come lui, che si rivolse a Dio con tanta sincerità, animato da una fede così viva, che meritò di recuparare la vista?
«O Gesù! figlio di Davide, abbi pietà di me!».
E questo per molte volte di seguito: «O Gesù! figlio di Davide, abbi pietà di me!» (Luca 18,35-42).
Gesù, commosso, e sempre pronto ad ascoltarci e ad accordarci il buon esito delle nostre domande, si volta verso di lui dicendo: «Che cosa vuoi da me?».
«Mio Dio, gli risponde il cieco, fa’ che io veda».
«Ebbene! gli dice questo buon Gesù, vedi!».
Ahimè! fratelli miei, se quando siamo nel peccato noi siamo nelle tenebre, possiamo rivolgerci a Dio come il cieco: «Mio Dio, Tu sei la mia luce, rischiara le mie tenebre».
E, con il sant’uomo Giobbe: «Signore, mostrami i miei peccati e tutte le mie colpe».
Dio, che desidera mille volte di più la nostra salvezza, di quanto la desideriamo noi stessi, non mancherà certamente di accordarci la grazia che gli domandiamo.

E così, fratelli miei, essendo soli e alla Presenza di Dio, dobbiamo cominciare il nostro esame di coscienza e cercare tutti i nostri peccati; prendete i comandamenti di Dio e quelli della Chiesa, e i peccati capitali, e vedete come e in quanti modi avete peccato contro questi comandamenti.
Esaminate i doveri del vostro stato, confrontate la vostra vita con i vostri doveri; rimarcate con cura, senza fretta, in che cosa ve ne siete discostati con i pensieri, con i desideri, con le azioni e omissioni.
Per facilitarvi questa ricerca, esaminate quali siano le vostre occupazioni più ordinarie, i luoghi che frequentate, le persone che vedete.

Io non entrerò in tutti questi dettagli, altrimenti non finirei più; sta a ciascuno di voi esaminarvi su tutto ciò, e vedere in che cosa siete colpevoli.
Dapprima, esaminatevi sulle vostre confessioni passate e vedete se avete accusato abbastanza tutti i vostri peccati mortali, con un vero dolore per aver offeso Dio, e con un fermo proposito di correggervi e di lasciare non soltanto il peccato, ma anche l’occasione prossima del peccato; come, per esempio, se abitaste in una casa dove c’è qualche persona che vi solleciti al male, e avete mancato di dirlo per paura che vi caccino via: la vostra confessione non varrebbe nulla (cioè se si resta esposti all’occasione di peccare; n.d.a.).
Vedete se avete eseguito bene la vostra penitenza, nel tempo in cui vi è stata ordinata; se avete fatto tutte le riparazioni e le restituzioni che potevate e dovevate fare, e che vi erano state comandate dal vostro confessore.

In secondo luogo, esaminatevi sui doveri del vostro stato, su come li avete adempiuti, cosa alla quale molti non fanno attenzione, e che getterà molte persone all’inferno.
«Ma, mi direte voi, come bisogna esaminarsi sui doveri del proprio stato?».
Come? Non è molto difficile. Voi sapete bene qual è la vostra occupazione, chi sono quelli che a voi sottoposti, e di cui Dio vi chiederà conto un giorno.
Siete padri o madri di famiglia?
Ebbene! esaminatevi su come vi siete comportati verso i vostri figli.
Li avete istruiti su tutti i doveri della religione?
Vi siete presi cura di insegnare loro le preghiere, sin da quando hanno cominciato a parlare?
Avete ispirato loro il rispetto che dovevano avere alla santa Presenza di Dio?
Avete forse fatto pregare loro il buon Dio, senza prendere l’acqua benedetta, senza dire loro perchè si deve prendere l’acqua benedetta, e le grazie che essa ci procura?
Avete insegnato loro i principali misteri della religione, necessari per salvarsi?
O forse li avete lasciati in una ignoranza grossolana, non prendendovi a cuore la salvezza della loro anima, almeno tanto, quanto la cura delle vostre bestie?
Li avete forse fatti lavorare, prima di far pregare loro il buon Dio?
Avete riso di ciò, invece di castigarli cristianamente?
Avete dato loro il cattivo esempio, montando in collera. litigando con vostro marito, con i vostri vicini o vicine?
Avete forse parlato male o calunniato in loro presenza?
Avete insegnato loro a non disprezzare i poveri, facendogli fare l’elemosina?
Avete fatto tutto ciò che avete potuto, per renderli graditi a Dio e per assicurare loro la salvezza?
Avete forse mancato un giono di pregare il buon Dio per loro?
Avete forse mancato di metterli sotto la protezione della santa Vergine, quando sono venuti al mondo?

Se avete dei domestici, vi siete presi cura di istruirli o di farli istruire?
Li avete fatti assistere al catechismo?
Avete forse trascurato di far loro conoscere i mezzi necessari per salvarsi?
Li avete lasciati forse nell’ignoranza grossolana che, nell’ora della morte, li trascinerà all’inferno?
Avete forse preferito la cura delle bestie alla cura delle loro povere anime, che sono tanto costate a Gesù Cristo, e che voi lasciate perdere così miseramente, facendoli mancare agli uffici liturgici e alle istruzioni?
Avete pagato ad essi, nel giusto modo, i loro salari?
Ne avete avuto cura nelle loro malattie?

E voi, operai, che vi fate pagare bene, avete avuto cura di svolgere altrettanto bene la vostra opera, così come avevate promesso?
E voi, domestici, esaminate in che cosa avete mancato verso i vostri padroni: difetti nel rispetto, mormorii nell’obbedienza, tempo perso?
Avete forse disobbedito loro quando vi mandavano agli uffici sacri o al catechismo?
Li avete forse screditati agli occhi degli altri domestici, parlando male di loro, per rovinare la loro reputazione?

Che ciascuno, fratelli miei, sondi la sua coscienza, per potervi rendere conto da soli, e possiate riconoscervi, davanti al tribunale della penitenza, tanto colpevoli quanto realmente lo siete.

In terzo luogo, dico che bisogna esaminarsi anche sui peccati di omissione, ai quali quasi nessuno pensa.
Per esempio: potendo fare l’elemosina, avete trascurato di farla?
Potendo assistere alla Messa nei giorni lavorativi, vi avete mancato?
Potendo rendere qualche servizio al vostro prossimo, glielo avete rifiutato?
Avete dato il buon esempio ai vostri figli e ai vostri domestici?
Vi hanno forse visto mancare alla Messa, ai Vespri, alle vostre preghiere del mattino e della sera?
Siete stati fedeli nel fuggire le occasioni di peccato, come le danze, i cabarets e i giochi?
Avete faticato per rendervi graditi a Dio?

In quarto luogo dico che bisogna anche esaminarsi sui peccati abitudinari.
Su ogni peccato che si scopre, occorre anche esaminare le circostanze necessarie per farli conoscere bene, e il numero delle volte che vi si è caduti; dichiarare chi ci ha fornito l’occasione e quali sono state le conseguenze.
Come, per esempio: se vi è stato confidato un segreto, non basterà dire che avete violato il segreto, ma bisognerà anche dire quale male ciò abbia causato, e su quale persona questo male si sia abbattuto.
Se avete parlato male, dovete dire se è stato per odio o per risentimento, o semplicemente per leggerezza; se è stato in presenza di molte persone, se questo ha avuto il plauso di molti, se il vostro cattivo esempio li ha portati a parlare male, quante persone e per quante volte.
Se si tratta di un peccato abitudinario, dovete dire quanto è durata quest’abitudine, in quale tempo e in quale luogo la si è commessa, tutte cose necessarie per valutarne la malizia (non si tratta, in tutte queste raccomandazioni, di favorire una sterile analisi, incentivo per gli scrupoli tormentosi, ma di una auto-diagnosi accurata, per favorire un’auto-guarigione, col consiglio pertinente del sacerdote, e soprattutto con l’aiuto della grazia di Dio; n.d.a.).

Converrete con me, fratelli miei, che per un simile esame occorre tempo, applicazione e istruzione.
Quanto a conoscere quanto tempo ci voglia, è molto difficile stabilirlo: è indubbio che coloro che si confessano raramente, avranno bisogno di più tempo, rispetto a coloro che si confessano spesso.
«Ma, mi chiederete, quale applicazione o quali cure bisogna averne?».
Le stesse che avreste per un affare il cui successo vi stia molto a cuore, e che considerereste una grande disgrazia il fatto che finisse male.

Non è necessario, fratelli miei, parlarvi a lungo della felicità di una buona confessione, nè della disgrazia di una cattiva confessione.
Voi sapete che una buona confessione ci restituisce il cielo e l’amicizia del nostro Dio, mentre una cattiva confessione ci scaccia dal Paradiso e ci precipita nel più profondo dell’inferno.
Questo solo pensiero ci deve far comprendere il tempo e la cura che dobbiamo metterci, per farla santamente.
Ahimè! fratelli miei, quanti peccatori si accecano, quando pensano di non avere fatto, alla fine, grossi peccati, mentre neppure i pagani onesti ne commetterebbero di simili!
Dicono di non avere niente da dire!
Tuttavia li si vedrà, durante i sacri uffici, senza rispetto, senza devozione, vivendo in una negligenza abituale della loro salvezza: eppure non hanno niente da dire!
Ahimè! è che non vogliono prendersi la briga di scendere nel loro cuore, dove troverebbero di che morire di orrore!
Ahimè! quante menzogne dannose, quante ingiustizie, quanta usura nei loro prestiti!
Quanti torti e, di conseguenza, quante restituzioni da fare!
La stessa cosa vale per coloro che conducono una vita vile e sensuale; che credono che basti ascoltare una Messa, e Dio solo sa come l’ascoltano!
Nessuna difficoltà a mancare ai Vespri, al catechismo e agli altri esercizi di pietà!
Ahimè! non vogliono ricercare le loro colpe, perchè non vogliono cambiare vita, continuando a vivere in una ignoranza grossolana e fra le più criminali.
Ma, senza andare oltre, una parte dei cristiani non vedono i loro peccati, perchè non vegliano abbastanza su se stessi; essi non vogliono prendersi il fastidio di farsi istruire sui loro doveri e sulla loro religione.
Che ne segue da ciò, fratelli miei, se non una catena di sacrilegi?
O mio Dio! quanti cristiani dannati a causa della loro ignoranza! quanti, uscendo dal tribunale della penitenza, ne escono più colpevoli di quando vi sono entrati!

E cosa dovete fare, per evitare una tale disgrazia?
Fratelli miei, ecco: abbiate una grande cura di farvi ben istruire sui vostri doveri, e per questo, siate assidui e attenti ad ascoltare le istruzioni, i catechismi, le letture di pietà.
Siate sinceri con voi stessi, abbiate una volontà ferma di salvare la vostra povera anima.
Prendete l’abitudine di esaminarvi al mattino, a mezzogiorno e alla sera, su come avete trascorso la giornata.
La domenica, richiamate alla vostra memoria i peccati più gravi della settimana: seguendo questa strada non dimenticherete mai i vostri peccati, per poterli dichiarare; ve ne ricorderete e, ricordandovene, non potrete impedirvi di detestarli e di fare ogni vostro sforzo per correggervene.
Sì, fratelli miei, quando pensate di accostarvi al sacramento della Penitenza, dovete apportarvi, se potete, la stessa diligenza e lo stesso rigore di quelli con cui Gesù Cristo ci esaminerà nel grande giorno.
Oh! c’è di che tremare, poichè Dio ci chiederà conto anche di una parola inutile! (Matteo 12,36).
Ahimè! che ne sarà di quelli che saranno colpevoli di tante bestemmie, di giuramenti e di scandali?
Sì, fratelli miei, temete, col santo re Davide che, malgrado tutte le cure che prenderete per esaminarvi, non tralasciate ancora dei peccati che non conoscerete se non alla morte, per renderne conto.
Dite spesso, con il re Davide: « Mio Dio, perdonami i peccati che non conosco» (Salmo 19,13).
Sì, fratelli miei, siamo perfettamente sicuri che ci sono molti peccati che non conosceremo mai in questo mondo.
Come, ad esempio, un ubriaco che si dedica all’ubriachezza, non saprà se non nel giorno del Giudizio di Dio, tutte le conseguenze delle sue intemperanze e dei suoi eccessi (è comunque colpevole “in radice”; n.d.a.).
Colui che si sarà abbandonato al vizio infame dell’impurità, non saprà mai, se non nel momento in cui comparirà davanti al Giudice sovrano, i peccati senza numero che avrà commessi.
Una ragazza mondana non conoscerà bene, se non dopo la sua morte, tutte le conseguenze sciagurate della sua vanità, delle sue immodestie e del suo scarso pudore.
I genitori, i padroni, che avranno trascurato di vegliare sui loro figli e sui loro domestici, e non li avranno istruiti, che li hanno lasciati correre ai giochi, ai cabarets e alle danze, non sapranno, se non davanti al tribunale di Dio, le conseguenze funeste della loro negligenza, e tutti i disordini di cui sono stati la causa e l’occasione.
O mio Dio! quale sarà la loro sorpresa!
Quale disperazione terribile quella di un peccatore che non apre gli occhi sullo stato della sua anima, che dopo la morte, quando non c’è più rimedio!
Fratelli miei, non aspettiamo quel momento disgraziato che ci causerà tanti rimpianti; approfittiamo del tempo che Dio vuole ancora donarci per purificare la nostra coscienza, per farla conscere al ministro del Signore, così com’è.
Facciamo come dice san Paolo: giudichiamoci rigorosamente da noi stessi, affinchè Dio ci risparmi nel suo Giudizio.
Tuttavia, fratelli miei, malgrado sia così difficile conoscere le nostre colpe, se agiamo in buona fede, se facciamo ciò che possiamo per mostrarci così come siamo, stiamo tranquilli: Dio è un padre pieno di misericordia, che ci ama infinitamente, e che non ci chiederà conto mai, di ciò che non abbiamo potuto fare.

Che cos’altro dobbiamo fare, fratelli miei, dopo esserci ben esaminati?
Ecco: dobbiamo domandare a Dio, con tutto il nostro cuore, la contrizione delle nostre colpe e un fermo proposito, cioè una buona risoluzione di non ricaderci più.
Ecco, fratelli miei, ciò che riguarda l’esame di coscienza.

Che dobbimao fare dopo di ciò?
Ecco: dobbiamo accostarci al tribunale della penitenza, con rispetto e con una specie di tremore, e non fare come i bambini che girano la testa, che talvolta ridono e parlano.
Questo farebbe capire che voi non comprendete meglio di loro la grandezza dell’azione che state compiendo.
Al contrario, fratelli miei, imitate il pubblicano che si riteneva indegno di alzare gli occhi al cielo, ma abbassava lo sguardo verso terra, con una profonda umiltà.
Aspettando di confessarvi, ripassate nella memoria tutti i peccati che avete trovato nel vostro esame; rinnovate la vostra contrizione, prendete le buone risoluzioni di vivere meglio di quanto non abbiate fatto finora; pregate con fervore il buon Dio, che si degni di avere pietà di voi.
State attenti a non spingere mai, nè a mettere fretta alle persone che si confessano; non state troppo vicino al confessionale, per timore di ascoltare la confessione degli altri (si noti che il povero curato trascorreva circa dodici ore al giorno al confessionale, e che la coda dei penitenti in attesa, si era formata già dalla notte precedente; n.d.a.).
Se doveste ascoltare qualche peccato, non dimenticate che siete obbligati al medesimo segreto del sacerdote; ma se lo avete ascoltato espressamnete e lo riferite a un altro, è un grave peccato che vi farà dannare, se avrete la disgrazia di non accusarvene prima di morire.
Bisogna dire anche se avete avuto la volontà di ascoltare i peccati degli altri.

Allorchè siete nel confessionale, non guardate altro che Gesù Cristo, nella persona del sacerdote, che tiene il suo posto.
Fate il segno della croce con rispetto e un po’ inchinati, dicendo: «Padre, benedicimi perchè ho molto peccato»; e poi, penetrati dal dispiacere che vi devono ispirare i vostri peccati, e dalla grande carità di Gesù Cristo, che vuole, per quanto siate colpevoli, ammettervi ai suoi piedi, pensando che i vostri crimini vi meriterebbero di essere precipitati all’inferno, recitate il vostro Confesso a Dio, fino alle parole : Per mia colpa.
In seguito, senza attendere che il sacerdote vi interroghi, dite da quanto tempo non vi confessate, se avete ricevuto l’assoluzione o se non l’avete ricevuta, aggiungendo perchè vi sia stata rifiutata; dite se avete fatto la vostra penitenza nel tempo in cui vi è stata imposta; così anche se avete mancato di fare le elemosine, le restituzioni, le riconciliazioni, che dovreste aver fatto prima di venire a confessarvi; se avete trascurato qualche peccato mortale nelle ultime confessioni; se lo avete fatto volontariamente, per negligenza, perchè non vi siete esaminati bene, oppure se è stato per vergogna o per paura; dovete spiegare bene tutto questo.
In seguito, il meglio che potete, accusate tutti i peccati che avete commessi dopo la vostra ultima confessione, ricordandovi che bisogna confessarli umilmente, interamente, con semplicità e con prudenza; e dopo aver dichiarato, come meglio avete potuto, i vostri peccati, aggiungete: «Padre mio, mi accuso di tutti quei peccati, e di tutti quelli della mia vita, dei quali non mi ricordo; ne chiedo perdono a Dio con tutto il cuore, e a te chiedo la penitenza e l’assoluzione, se lo ritieni opportuno.

Quando avrete finito la vostra accusa dei peccati, il sacerdote vi farà le domande che riterrà necessarie.
Dovrete rispondergli con sincerità.
Se vi dà qualche consiglio, dovete ascoltarlo con attenzione, senza distrarvi per cercare qualche peccato che avreste potuto dimenticare, e senza interrogarlo a sproposito.
Quando ricevete la vostra penitenza, dovete riceverla con fermo desiderio di compierla meglio che vi sia possibile.
Se vi rifiuta l’assoluzione, dovete sottomettervi con umiltà, perchè se ve la desse, anche se non la meritate, vi farebbe perdere e si perderebbe egli stesso, e cioè vi dannereste entrambi.
Fate bene attenzione alle ragioni per le quali vi rifiuta l’assoluzione, affinchè impieghiate bene il tempo che dovrete passare, prima di ritornare a confessarvi, pensando a correggervi, in modo che egli non sia obbligato a rifiutarvela ancora un’altra volta.
Se invece riterrà opportuno darvela, terminate il vostro Confesso a Dio.
In quel momento prezioso, fratelli miei, rinnovate tutti i sentimenti di pietà di cui siete capaci; fate il vostro atto di contrizione con tutto il cuore, unite il vostro dolore a quello che Gesù Cristo ebbe per i vostri peccati, nel giardino degli ulivi.
Domandate ardentemente a Dio che voglia ratificare in cielo l’assoluzione che il sacerdote vi ha appena dato.

Dopo di ciò, bisogna ritirarsi dal confessionale con modestia, prostrarsi umilmente ai piedi del buon Dio, ringraziarlo della grazia che vi ha fatto.
Ricordatevi bene dei mezzi che il prete vi ha suggerito per correggervi, e poi fate buone risoluzioni di metterle in pratica.
Prima di uscire dalla chiesa, cominciate a fare la penitenza che vi è stata imposta.
Fate una buona risoluzione di vegliare di più su voi stessi, per non perdere la grazia preziosa che avete appena ricevuto.
«Ma che dobbiamo fare a tal fine?», mi chiederete.
Fratelli miei, ecco: dovete diffidare molto di voi stessi, e stare continuamente in guardia. Sì, la vista della nostra debolezza, ci deve far tremare. Non solo noi siamo continuamente portati al male, ma il demonio, dopo una buona confessione, raddoppia tutti i suoi sforzi per farci ricadere nei peccati che abbiamo confessati.
Questo solo pensiero faceva tremare i più grandi santi.
Ahimè! che cosa dobbiamo fare, noi, che cadiamo quasi ogni volta che il demonio ci tenta?
Che cosa dobbiamo fare ancora?
Dobbiamo evitare, più che possiamo, le occasioni e le persone che ci hanno indotto al male; senza di ciò, non eseguiremo mai le nostre buone risoluzioni.
Ahimè! fratelli miei, quanti peccatori che, aiutati dalla grazia, sono rientrati sulla strada della salvezza, ma che poi, non avendo fuggito le occasioni, sono ricaduti, e non sono usciti dal peccato, se non per andare a bruciare all’inferno!
In terzo luogo, dobbiamo fare ricorso grandemente alla preghiera; ce lo dice lo stesso Gesù Cristo: «Vegliate e pregate senza sosta, per non cadere in tentazione» (Matteo 26,41).
Infine, se aveste la disgrazia di ricaderci, affrettatevi a rialzarvi, perchè più resterete nel vostro peccato, più vi sarà difficile uscirne.
Sì, fratelli miei, se impieghiamo tutti questi mezzi, possiamo essere sicuri di correggerci, per quanto forte possa essere la nostra cattiva abitudine.
Per le malattie dell’anima non avviene come per quelle del corpo.
Queste ultime, a volte, non guariscono, ma quelle dell’anima non sono mai senza rimedio, se il peccatore lo vuole sinceramente; e questa guarigione vi sarà certamente accordata, se lo vorrete.
O mio Dio! quale felicità per un peccatore che desidera riguadagnare il cielo e l’amicizia di Dio, che ha perduto col peccato, essere certo di riuscire nella sua impresa!
Ecco dunque, fratelli miei, ciò che dovete fare, prima e durante la vostra confessione (può stupire l’eccessiva attenzione del curato a ogni dettaglio, e soprattutto l’atmosfera drammatica che egli sembra dipingere, per un sacramento di cui oggi si sottolinea giustamente il carattere gioioso e festoso; anche se alla fine, nonostante tutti i nostri espedienti per facilitare il ricorso alla confessione, la gente o non si confessa più oppure riduce questo sacramento a una mera devozioncella senza mordente e senza significato; nella parrocchietta del nostro curato, invece, le folle si accalcavano, da tutta la Francia, con code che, per smaltirle, non bastavano dodici ore quotidiane: perchè mai?… n.d.a.).

Vi ho promesso che vi avrei mostrato chi sono quelli che fanno una cattiva confessione, e che cosa si debba fare per riparare e non essere dannati.
Ho trovato sette specie di coloro che profanano questo sacramento e si inabissano nel più profondo dell’inferno.
Ascoltate bene, affinchè possiate conoscere se appartenete a questo numero.

Dapprima, sono sicuro che ci sono, fra quelli che mi ascoltano, alcuni che appartengono a questa categoria, che forse non apriranno neppure oggi gli occhi su questo stato orribile e disgraziato, perchè sono sordi e ciechi per comprendere; la Parola di Dio non li tocca affatto; e la luce dello Spirito Santo, al quale hanno chiuso la porta del loro cuore, non mostrerà loro lo stato spaventoso in cui il peccato li ha precipitati.
Essi moriranno così come sono vissuti, e cioè «vivranno da peccatori e moriranno da dannati».
Ascoltatemi bene, e in seguito discenderete nella vostra coscienza con la fiaccola in una mano e con la bilancia nell’altra: poi vi giudicherete voi stessi, prima che Dio vi giudichi e vi getti nell’inferno.

I primi sono quelli che per vergogna o per paura hanno volontariamente nascosto qualche peccato nelle loro confessioni, o qualche circostanza notevole; coloro che non hanno specificato il numero dei loro peccati mortali; quelli che non hanno dichiarato qualche peccato mortale; coloro che vanno a confessare a un altro confessore qualche grave peccato, e poi tornano dal primo a riferire i loro peccatucci; coloro che nella confesione, pensano che si avrà una buona opinione di loro se li conservano, poichè hanno trascurato di farsi istruire o di profittare delle istruzioni (pensiero poco chiaro; n.d.a.); coloro che non hanno dichiarato un peccato mortale se non perchè il confessore glielo ha chiesto, e che, senza quella domanda, non lo avrebbero detto (secondo le testimonianze dell’epoca, spesso il curato suggeriva egli stesso i peccati non detti dai suoi penitenti, avendo il dono dell’introspezione delle anime; n.d.a.).

Io affermo anche che fanno delle cattive confessioni, coloro che non si prendono tutto il tempo necessario per approfondire i loro peccati mortali; coloro che si confessano per abitudine, senza avere un sincero dolore dei loro peccati, nè un fermo proposito di non più commetterli, e di preferire la morte stessa, se necessario, piuttosto che ricaderci.

In terzo luogo, coloro che vanno a cercare i confessori per “passare” più facilmente.
O mio Dio! quante confessioni sacrileghe!
O mio Dio! quanti cristiani dannati!

In quarto luogo, fanno una cattiva confessione, quelli che, dovendo fare qualche restituzione (dei beni sottratti illecitamente; n.d.a.),non vogliono o non fanno ogni sforzo per eseguirla; come coloro (gli eredi) che siano stati incaricati di fare delle elemosine o di far dire delle Messe, e mettono da parte tutto ciò.

In quinto luogo, coloro che credono che non ci sia nessun male a riscuotere gli interessi del loro denaro, senza averne titolo legittimo.

In sesto luogo, coloro che hanno continuato a vivere nell’occasione di peccato, pur potendo fuggirla, che sarebbe come se una persona vivesse in una casa dove ci sia la peste, ma non vuole uscirne (non è alla peste materiale che si riferisce, ma a qualche insidia che induca al male; n.d.a.).
E’ il caso di coloro che vanno ai veglioni, dove sono sicuri di non sentire altro che cattivi propositi contrari alla religione e alla purezza; ma continuano ad andarci malgrado i loro stessi rimorsi di coscienza e il divieto del loro confessore.
E’ il caso anche di quelli che hanno continuato a vivere nelle abitudini peccaminose, come pensieri volontari, desideri, parole e azioni disoneste; che non fanno nessuno sforzo per correggersene, come un ubriaco che ci ricasca sempre allo stesso modo; coloro che bestemmiano il santo Nome di Dio, e così via, per gli altri peccati mortali.
Coloro che vivono senza riconciliarsi col loro prossimo, che non vogliono perdonare o che perdonano a metà.
Coloro che hanno offuscato la reputazione del prossimo, e non fanno ciò che possono per ristabilirla.
E’ il caso anche di coloro che non vogliono fare la loro penitenza, pensando che il prete non abbia sentito bene o compreso un peccato mortale.

In settimo luogo, tutti quelli che frequentano i sacramenti senza essere sufficientemente istruiti sui principali misteri della religione, o che ignorano, per loro colpa, ciò che riguarda i sacramenti che ricevono.
I padri e le madri, i padroni e le padrone, che non conoscono i loro doveri verso i loro figli e i loro domestici: tutte queste persone non sono degne dell’assoluzione, e tutte le assoluzioni che hanno ricevuto fino ad allora, sono altrettanti sacrilegi che non serviranno ad altro che a gettarli nel profondo dell’inferno.
Questo genere di cristiani hanno dunque, in quel momento, la coscienza carica di mille e mille sacrilegi, e sono ancora coperti di tutti i peccati che hanno commesso e confessato fino ad allora, come pure di quelli che non hanno confessato.

Che cosa concludere da tutto ciò, fratelli miei?
Nient’altro che, dopo tanti peccati nascosti o confessati senza contrizione nè risoluzione di preferire perfino la morte, piuttosto che commetterli di nuovo, costoro sembrano non temere che la morte li “agguanti” in questo stato sciagurato, e li precipiti nelle fiamme per tutta l’eternità!

O mio Dio! quanti cristiani che si trovano in quest’abisso ma non lo sanno, perchè non vogliono prendersi il fastidio di scendere all’interno del loro cuore, per riconoscere il male infinito che il peccato ha arrecato loro!
Ahimè! quanti sacrilegi farà vedere la luce del grande giorno delle vendette!

In base a tutto ciò, fratelli miei, vi è estremamente necessario esaminarvi con cura, per vedere se non vi trovate in qualcuno dei casi di cui vi ho parlato.
Se avete il minimo dubbio, non dormiteci sopra, sprofondati dentro voi stessi.
Forse, esaminando meglio, vedrete quello che non avete mai visto; forse al primo colpo d’occhio comincerete a fremere e a tremare nel trovare crimini ai quali non avevavte mai pensato.
Ritornate, fratelli miei, sui vostri passi; se dubitate di tutta la vostra vita rifate le vostre confessioni generali, o, almeno, considerate bene da quanto tempo eravate rimasti nella colpa: se è stato per tutta la vostra vita, dovete ridire tutti i peccati mortali che avete commesso, il numero e le circostanze, per quanto vi sia possibile; accusatevi per tutte le vostre confessioni e comunioni, che sono altrettanti sacrilegi.

Io non dubito, fratelli miei, che se non avete ancora perso completamente la fede, questo vi turbi e vi inquieti, mi riferisco alle vostre confessioni e comunioni passate.
«Come potrei ricordarmi di tutto ciò che ho fatto a quattordici o venti anni, e forse anche a cinquanta o sessanta?», voi mi potreste dire.
Fratelli miei, ciò che a noi potrebbe sembrare impossibile, non solo ci è possibile, ma facile, con la grazia di Dio.
E’ forse l’esame della vostra coscienza che vi spaventa?
Ora vedrete che non è tanto difficile come ve lo immaginate.
Vi dirò che per fare una confessione generale, non è necessario accusare i propri peccati veniali in particolare, cioè specificandone il numero, e tutte le circostanze, come sono le piccole disobbedienze, le bugie, le maldicenze che non recano danno a nessuno, perchè in materia leggera, le distrazioni nelle preghiere, per mancanza di preparazione adeguata, e altri peccati del genere.
Vi basterà accusarvene in maniera generale, alla fine della confessione.
Il vostro esame non dovrà dunque rivolgersi se non ai peccati mortali.
Tutti i vostri peccati o sono dei peccati che commettete raramente, oppure sono peccati abituali; o la vostra abitudine è durata solo un certo tempo, oppure essa dura ancora, da quando è iniziata.

Se avete commesso certi peccati solo raramente, come sarebbe, per esempio, bestemmiare il santo Nome di Dio, montare in collera, maledire il vostro lavoro, i vostri figli o le vostre bestie, non sarà difficile dire quante volte, più o meno, vi siete caduti nell’anno o nel mese o nella settimana.
Se si tratta di un peccato abituale, saprete bene per quanti anni è durata quest’abitudine, a quale età l’avete iniziata, quanto tempo, pressappoco, è durata, se l’avete perduta per qualche tempo, quando vi cadevate abitualmente; non è difficile dire quante volte avete commesso questo peccato se per mesi, o per settimane o per giorni.
Ebbene! fratelli miei, ecco tutto quello che bisognerebbe dire per avere la felicità di riparare a tutte le vostre confessioni e comunioni cattive, accusandole e dicendo: «Padre mio, mi accuso di aver fatto tante confessioni e comunioni durante la mia vita, o per anni, o per mesi».
Se non potete ricordarvi con precisione, dite soltanto: «Padre mio, mi accuso, pressappoco, tante volte»: Dio non chiede di più; Purchè abbiate dedicato al vostro esame tutto il tempo e tutte le cure necessarie, e che voi siate in buona fede, cioè sinceri nell’accusarvi e nel pentirvi, state certi che quand’anche tutte le vostre confessioni e comunioni fossero dei sacrilegi, il buon Dio vi perdonerà e voi vi salverete.
D’altra parte, il confessore, che desidera quanto voi la salvezza della vostra buona anima, non mancherà di fare tutto il possibile per aiutarvi, sia con le sue domande, sia con le sue preghiere, soprattutto durante la santa Messa, domandando a Dio per voi, le grazie e le forze che vi sono necessarie per fare bene la vostra confessione (il povero curato non si stava inventando nulla, ma stava, forse suo malgrado, applicando umilmente le rigide norme ecclesiastiche dell’epoca, più incline alla rigida casistica oggettiva e oggettivante, che al discernimento illuminato e creativo della guida spirituale; perciò nessuno se la prenda col povero e ossequiente Jean-Marie Viannèy; n.d.a.).

State bene attenti a non lasciarvi catturare in quella trappola del demonio, che fa perdere un gran numero di anime, e che consiste nel farvi cominciare la confessione, accusando tutte le piccole colpe, in modo da non avere poi più le forze di accusare i peccati più gravi.
Iniziate, fratelli miei, col dire, invece, tutti i vostri peccati più grossi per primi, e così vi sottrarrete del tutto all’insidia del demonio.
«Ma, mi direte voi, questo è molto facile a dirsi, ma a farlo, è tutta un’altra cosa. Come avere la forza di dire tanti peccati, così orribili, da far paura solo a pensarci?».
Volete, fratelli miei, una verità molto semplice?
E’ soltanto un orgoglioso che si vergogna a dire i suoi peccati, o che li nasconde.
Togliete quest’orgoglio dal vostro cuore, e vi accuserete dei vostri peccati così come vorreste averli accusati nell’ora della morte.
Chiunque abbia veramente a cuore la propria salvezza, non teme affatto di accusarsi.
Eccovi un esempio molto toccante, riportato da san Giovanni Climaco.
«Trovandomi un giorno, ci dice questo grande santo, in un monastero, venne un uomo a presentarsi, per trascorrere la sua vita nella penitenza; per tutta la vita non aveva fatto altro che brigantaggio.
Il superiore gli ordinò di passare sette giorni alla porta del monastero.
Vedendo che perseverava, gli ordinò di dichiarare davanti a tutti i peccati che aveva commessi.
Quel brigante confessò sinceramente tutto ciò che aveva fatto.
Il superiore, per provare se la sua conversione era del tutto sincera, gli ordinò di accusarsi di nuovo davanti a tutti i religiosi del monastero.
Quell’uomo, che era davvero pentito, che non cercava altro che i mezzi per piegare la giustizia divina, rispose al superiore che non soltanto era pronto a dichiarare i suoi peccati davanti ai religiosi, ma in mezzo a tutta la città di Alessandria.
Allora il superiore fece riunire tutti i religiosi che erano più di trecento.
Poichè era domenica, dopo il Vangelo, comanda che gli conducano quel colpevole, ormai giustificato, con le mani legate, vestito di cilicio, con la testa coperta di cenere, condotto da molti religiosi che lo percuotevano a colpi di verghe.
Questo spettacolo atterrì così fortemente i presenti, che tutti si effusero in lacrime.
Il superiore gli disse di restare alla porta della chiesa, perchè non meritava di entrarci.
Queste parole lo colpirono così fortemente che cadde con la faccia a terra.
Il superiore, vedendolo in questo stato, gli ordinò di dichiarare pubblicamente i suoi peccati. Quello lo fece con tante lacrime e dolore, che gli sembrava di perdere la vita, tanto il dolore dei suoi peccati era grande.
Alla fine si fu obbligati di dirgli di cessare».

Vedete ancora sant’Agostino: ha avuto forse paura di fare la confessione dei suoi peccati, non soltanto a un sacerdote, ma a tutto il mondo? (allude al suo libro intitolato appunto “Le confessioni”; n.d.a.).
Fratelli miei, no, non avremo alcuna vergogna nè paura, se avremo umiltà e conoscenza di noi stessi.

Da tutto ciò concludo che ogni cristiano che, dopo aver peccato, teme di accusarsi, non è che un orgoglioso.
Vi dico, fratelli miei, un motivo molto capace di impegnarci a una confessione di tutta la nostra vita, se vi sentite in colpa: è da ciò che dipende la vostra felicità o la vostra infelicità eterna.
Questa sera, quando sarete a letto, mettetevi nella posizione in cui sarete nella bara, col corpo disteso, le mani incrociate sul petto, gli occhi chiusi e tutti avvolti nel sudario, e poi dite a voi stessi: «Che cosa vorrei aver fatto, allorchè mi troverò in quel momento?
La mia anima è insozzata da tanti peccati che non mi sono stati perdonati, vorrei forse comparire davanti al tribunale di Dio in questo stato?
Troverò forse un confessore nell’ora della morte?
Se dovessi morire di morte istantanea, e non avessi il tempo di farlo, dovrei cadere nell’inferno!
No, mio Dio, non più ritardi, comincerò da oggi a prepararmi e lo farò fino a che possa riguadagnare la tua amicizia, e meritare il cielo, alla fine della mia vita, assicurandomi la salvezza. Amen».

fonte: https://jean-marievianney.blogspot.com

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