Omelia sulle letture del giorno
Pubblichiamo l’audio di un’omelia sul Vangelo di Giovanni, capitolo 10 versetti 11-16.
Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD
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Testo della meditazione
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“Io sono il Buon Pastore” (Gv 10, 11)
Sia lodato Gesù Cristo!
Sempre sia lodato!
In questo Vangelo di San Giovanni, al capitolo X, il Signore si pone davanti agli occhi di tutti gli uomini, e ai nostri occhi questa sera, attraverso un contrasto, per far capire esattamente chi è Lui, chi è Gesù, e il contrasto che Lui ci pone dinanzi agli occhi è nel rapporto che esiste tra il pastore e il mercenario.
Forse a voi non è mai capitato di fare l’esperienza di pascolare un gregge, a me è capitato da piccolino di fare per diversi mesi in estate questa esperienza in montagna.
Non ero io ovviamente il pastore, ma ho accompagnato il pastore in questa esperienza sui monti con un grande gregge di pecore, più i cani pastore, che accompagnavano noi e il gregge in questo percorso per portare le pecore al pascolo a mangiare.
La vita del pastore è una vita completamente dedicata alle pecore ed è vero che il pastore conosce le pecore una per una; io mi ricordo che i pastori conoscevano esattamente le loro pecore, quasi che le identificassero e le distinguessero una dall’altra.
Per me erano tutte uguali, loro invece sapevano benissimo se qualcuna mancava, le conoscevano benissimo, conoscevano il loro carattere addirittura, il loro modo di fare, c’era la più testarda, la più docile, quella che stava sempre davanti e quella che stava sempre di dietro, quella che seguiva sempre tutti e quella che faceva sempre un po’ la ribelle.
Il pastore vive con loro e quando mangiavamo, mangiavamo in mezzo alle pecore.
Per me, che venivo dalla città, era una esperienza strana quella di trovarmi in un bellissimo bosco silenzioso, su un sasso, a mangiare con i pastori il nostro pasto frugale.
Il pastore mangia poco; quando sei in giro per gli alpeggi, non è che puoi mangiare chissà che cosa, il pasto è frugale perché il pastore è sempre attento alle pecore: si sveglia con le pecore, dorme con le pecore, mangia con le pecore, è sempre lì e i cani pastore sono lì con lui, delle bestie intelligentissime, basta un fischio che intuiscono tutto.
Questo dovrebbero essere i preti! I preti dovrebbero essere i cani pastore!
Se Gesù è il Pastore, i preti sono i cani pastore, che sanno esattamente, al fischio del Maestro, cosa devono fare e dove devono andare, perché c’è una tale sintonia tra il cane pastore e il pastore che è incredibile, c’è una intesa incredibile.
Quando io leggo questo testo, penso sempre a questa esperienza e dico: «Effettivamente se è stato così per me, che sono un uomo, chissà Gesù, che si è paragonato al pastore, che cosa interiormente vuole dire, che pregnanza ha per Lui il rapporto con le pecore».
Io non sono morto per quelle pecore, le portavo nell’alpeggio, poi si tornava a casa, loro facevano la loro vita e io facevo la mia.
Gesù invece per queste pecore è morto, non ha solamente mangiato, dormito, vissuto con loro, ma è morto per loro; il pastore sta, il pastore “vive per…”
Mi ricordo un pomeriggio in cui è venuto un temporale fortissimo su per i monti, mi ricordo che i pastori mi dicevano: «Presto, Giorgio, presto, presto! Bisogna correre, bisogna correre, bisogna portare giù tutte le pecore e metterle subito dentro nel recinto!»
Io dicevo: «Ma perché? È così bello!»
«No, No! Sta arrivando il temporale! Guarda i cani!»
Mi è rimasta impressa questa cosa: «Guarda i cani!»
Io vedevo questi cani, erano tutti agitati…
«Guarda! Loro ti dicono che sta arrivando il temporale, verrà un temporale terribile! Guarda i cani, guarda i cani!»
Quindi, dentro in questa cosa, mi son fidato di loro, ho tirato su tutto, ho messo tutto insieme, ho preso il bastone e giù di corsa per i monti…
Io ho ancora in mente l’immagine di queste persone che correvano, ma avevano più a cuore la vita delle pecore che la loro, correvano guardando sempre indietro per non lasciarne indietro nessuna, e continuavano a mandare i cani a prendere quelle che erano più lente, a morsicare loro il garretto per farle andare veloci.
È venuto un temporale pazzesco, incredibile, uno non avrebbe mai immaginato che sarebbe venuto un temporale così!
Questo è il pastore! Il pastore vive per le pecore, vive con le pecore!
Al mercenario non interessa niente, il mercenario non sta con le pecore, il mercenario è semplicemente uno che le vende, ma non è il pastore di un gregge; il mercenario potremmo dire che è il commerciante delle pecore, non ha a cuore la salvezza delle pecore, la salute delle pecore, ha solamente a cuore di tosarle, di fare la lana, di mungerle per il latte, di ricavarne la carne, basta. Non ha a cuore le pecore, non ha a cuore il suo gregge, gli agnellini, non ha a cuore la vita di questo gregge che si sussegue nel tempo.
Il mercenario, appena vede arrivare il lupo (Gesù dice bene), abbandona e fugge.
Il mercenario si preoccupa solo di se stesso.
Quante volte nella nostra vita, purtroppo, ahimè, senza neanche rendercene conto veramente fino in fondo, abbiamo fatto esperienza di avere accanto a noi dei mercenari, della gente a cui non interessa niente di noi, che fa finta di interessarsi dell’altro ma non ha un vero interesse per noi!
Quante volte nella vita abbiamo fatto esperienza di essere usati, speriamo non abusati, e non parlo solo fisicamente, perché l’abuso non è solamente fisico, anzi! C’è un abuso morale, spirituale, interiore della persona, che è molto più grave di quello fisico, perché non lascia segni visibili, eppure ti sfonda, ti sforma interiormente.
Il mercenario usa, il mercenario abusa, il mercenario sfrutta e poi getta via.
Il mercenario, quando arriva il momento della fatica, del pericolo, non c’è, se ne va.
Quando facevo servizio in carcere nei racconti dei detenuti questa cosa era frequentissima. Frequentissimo il fatto che loro, una volta in carcere, ripercorressero tutta la loro vicenda dicendo: «Ecco, vedi, qua sono stato tradito… Qua sono stato abbandonato… Qua contavo su quella persona e poi invece mi ha mollato… Questi credevo che fossero miei amici, invece poi mi hanno tradito e mi hanno portato via tutto quello che avevo».
Quante volte succedeva che loro raccontassero di quelle quattro cose che avevano in mezzo alla strada, bastava che fossero un po’ ubriachi, oppure si fossero appena fatti ed erano insieme ai loro “amici”, si svegliavano e non c’era più niente, né i loro “amici”, né le loro cose.
Chi vive in strada, chi non ha un gregge, non ha niente, perde tutto, gli portano via tutto.
Noi dobbiamo stare lontani dai mercenari, noi dobbiamo cercare di stare vicini a Gesù, che è l’unico che conduce, che pascola il Suo gregge con le mani e i piedi crocifissi, è l’unico che porta sul Suo corpo i segni di questo amore infinito per le pecore, di questo darsi.
Gesù, quando è arrivato il lupo, non è fuggito; Gesù, quando è arrivato il lupo, è rimasto lì col lupo ed è morto sbranato dal lupo, che è il diavolo, che è il peccato nel mondo, che è la nostra cattiveria.
Lui è rimasto lì e si è fatto sbranare per salvare noi.
Da questo sacrificio, da questa offerta, è nata per noi la possibilità della salvezza.
Solo che, nella nostra vita, questo sacrificio alle volte sembra come inutile, perché, chissà come mai, alla fine, si preferisce sempre qualcun altro o qualcos’altro a Gesù.
Non si capisce bene perché, ma alla fine va sempre a finire così, che, quando arriva il momento clou, noi per gli altri ci siamo sempre e diamo sempre tutto.
Quando invece si tratta di dare per Gesù, ci sono sempre e solo le briciole, sempre e solo gli avanzi.
Basta vedere la nostra preghiera come è fatta alle volte tanto male, tanto distrattamente, basta vedere come le cose del Signore rimangono sempre in coda, basta vedere il modo con il quale noi andiamo alla Messa, facciamo la Comunione, il modo con il quale ci confessiamo, il modo con il quale preghiamo, e si capisce che Gesù non è nella nostra vita il Buon Pastore.
Noi abbiamo tanti mercenari e i mercenari sono come delle bestie da sfamare, ciascuno da noi pretende qualcosa, ciascuno da noi vuole qualcosa.
Se noi solo ci fermassimo a pensare a quante pretese gravano sulla nostra persona, quante attese, che in realtà sono pretese, alle quali noi costantemente dobbiamo rispondere foraggiandole, ma che in realtà non sono lecite, appunto perché sono delle pretese…
Quanta incapacità che abbiamo di dire “Grazie”!
Siamo molto lesti e abbiamo molta memoria quando si tratta di chiedere, di avere e di domandare aiuto, di domandare di qui e di domandare di là, ma, quando si tratta di ringraziare, morisse che a uno venga nel cuore di dire: «Adesso vado a dire “Grazie”!», ma non semplicemente a parole — anche se a volte non diciamo neanche quello come se tutto fosse dovuto — ma con la vita, con i gesti, con qualcosa che esprima la nostra gratitudine per quello che abbiamo ricevuto, per quello che ci è stato fatto.
Pensate a quando vi confessate e finite la confessione, quando uscite dal confessionale… Spesse volte quando si entra neanche si saluta e io dico sempre: «Si saluta la prostituta quando si va e non si saluta il sacerdote, è incredibile!»
Non si dice neanche “Buon giorno” o “Buona sera”, niente. Si entra e subito: «Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo…» ma noi sacerdoti siamo persone, siamo persone! «Buon giorno…» «Buona sera…».
E quando si finisce neanche si dice “Grazie”, ma non è detto che quel sacerdote debba essere lì per noi, poteva essere altrove. Perché non imparare a dire: «Grazie del dono che ho ricevuto in questo momento. Grazie della disponibilità che Lei mi ha dato adesso di essere qua. Grazie che mi ha ascoltato e soprattutto grazie che mi ha dato il perdono di Dio. Buona sera», e me ne vado.
Ma noi, con questa logica del “Ciao” a tutti e dell’essere tutti compagnoni, abbiamo dimenticato che ciascuno ha le sue competenze, abbiamo dimenticato che la gratitudine è la memoria del cuore.
Se noi avessimo questa cosa, davanti a Dio avremmo un altro atteggiamento, avremmo l’atteggiamento della profonda gratitudine, del fatto che il Signore oggi ci ha tenuto in vita, del fatto che il Signore oggi ci ha accolto, del fatto che il Signore oggi ci ha chiamato alla Sua Mensa, del fatto che Lui oggi ci dà il Suo Corpo e il Suo Sangue nell’Eucarestia e via di seguito con tutti i doni che oggi abbiamo ricevuto.
Invece spesse volte, alla sera, tutto si conclude davanti al buco nero che è la televisione, che tutto ingoia e tutto massifica e quindi noi arriviamo alla fine che siamo sfiancati e andiamo a letto, diciamo: «Nel nome del Padre, del Figlio…» e ci addormentiamo…
Poi confessiamo: «Padre, sa, mi sono addormentato nel dire le preghiere».
«Figlio mio, se dalle 20.00 fino a mezzanotte sei stato a guardare la televisione… anche io mi addormento se a mezzanotte dico le preghiere… nel nome del Padre, del Figlio… e mi addormento, certo. Ma dalle 20.00 a mezzanotte cosa hai fatto?»
«Ma non ho guardato niente di brutto».
Ma il tema non è se hai guardato qualcosa di brutto o qualcosa di bello, il tema è: la gratitudine al Signore per quel giorno quando gliela dici? Quand’è che dici “Grazie”?
Poi, quando arriva il cancro, il tumore, la disperazione o qualcos’altro, prendiamo e andiamo a fare i pellegrinaggi, facciamo milleduecento chilometri per andare a chiedere alla Madonna la grazia e magari la Madonna ci dice: «Guarda non c’è bisogno che fai milleduecento chilometri per venire a chiedermi la grazia, prova a chiederla tutte le sere! Prova ad andare semplicemente centocinquanta metri fuori da casa tua in chiesa a dire: “Signore, grazie! Signore, ti affido la mia vita! Signore aiutami!”, però fallo tutti i giorni», perché il Cielo non è un grande supermercato dove noi entriamo e compriamo quello che ci serve, il Cielo è la nostra patria, è il luogo dove abita Dio.
San Carlo viveva proprio così, è morto giovanissimo a quaranta e rotti anni, viveva esattamente così, mettendo Dio al Centro e tutta la sua vita era completamente orientata a Dio.
Che lui ci ottenga questa grazia di questa radicalità evangelica!
Sia lodato Gesù Cristo!
Sempre sia Lodato!
Lettura
VANGELO (Gv 10,11-16)
In quel tempo Gesù disse: Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.