Pubblichiamo un documento di riflessione di S.E. Mons. Athanasius Schneider, Vescovo Ausiliare dell’Arcidiocesi di Maria Santissima di Astana, in Kazakhstan, riguardo l’esortazione apostolica post-sinodale di Papa Francesco, «Amoris Laetitia».
Il paradosso delle interpretazioni contraddittorie di «Amoris laetitia»
L’Esortazione Apostolica «Amoris Laetitia» (AL) pubblicata di recente, che contiene una grande ricchezza spirituale e pastorale per la vita nel matrimonio e nella famiglia cristiana della nostra epoca, purtroppo ha già in poco tempo provocato interpretazioni contraddittorie perfino nell’ambiente dell’episcopato.
Vi sono vescovi e preti che avevano pubblicamente e apertamente dichiarato che AL avrebbe fornito un’apertura evidente alla Comunione per i divorziati-risposati senza chiedere loro di vivere in continenza. In quest’aspetto della pratica sacramentale, che secondo loro sarebbe ora significativamente cambiato, consisterebbe il carattere veramente rivoluzionario dell’AL. Interpretando AL in riferimento alle coppie irregolari, un Presidente di una Conferenza episcopale ha dichiarato in un testo pubblicato sul sito web della stessa Conferenza: «Si tratta di una misura di misericordia, di un’apertura di cuore, ragione e spirito per la quale non è necessaria alcuna legge, né bisogna attendersi alcuna direttiva o delle indicazioni. Si può e si deve metterla in pratica immediatamente».
Tale avviso è confermato ulteriormente dalle recenti dichiarazioni del padre Antonio Spadaro S.J., che dopo il Sinodo dei Vescovi del 2015 aveva scritto che il sinodo aveva posto i «fondamenti» per l’accesso dei divorziati-risposati alla Comunione, «aprendo una porta», ancora chiusa nel sinodo precedente del 2014. Ora, dice il Padre Spadaro nel suo commento ad AL, la sua predizione è stata confermata. Si dice che lo stesso padre Spadaro abbia fatto parte del gruppo redazionale di AL.
La strada per le interpretazioni abusive sembra esser stata indicata dallo stesso Cardinale Christoph Schönborn il quale, durante la presentazione ufficiale di AL a Roma, aveva detto a proposito delle unioni irregolari: «La grande gioia che mi procura questo documento risiede nel fatto che esso supera in modo coerente la divisione artificiosa, esteriore e netta fra “regolari” ed “irregolari”«. Una tale affermazione suggerisce l’idea che non vi sia una chiara differenza fra un matrimonio valido e sacramentale ed un’unione irregolare, fra peccato veniale e mortale.
Dall’altra parte, vi sono vescovi che affermano che AL debba essere letta alla luce del Magistero perenne della Chiesa e che AL non autorizza la Comunione ai divorziati-risposati, neanche in caso eccezionale. In principio, tale affermazione è corretta ed auspicabile. In effetti, ogni testo del Magistero dovrebbe in regola generale, essere coerente nel suo contenuto con il Magistero precedente, senza alcuna rottura.
Tuttavia, non è un segreto che in diversi luoghi le persone divorziate e risposate sono ammesse alla Santa Comunione, senza che esse vivano in continenza. Alcune affermazioni di AL possono essere realisticamente utilizzate per legittimare un abuso già praticato per un certo tempo in vari luoghi della vita della Chiesa.
Alcune affermazioni di AL sono oggettivamente passibili di cattiva interpretazione
Il Santo Padre papa Francesco ci ha invitati tutti a offrire il proprio contributo alla riflessione e al dialogo sulle delicate questioni concernenti il matrimonio e la famiglia. «La riflessione dei pastori e dei teologi, se fedele alla Chiesa, onesta, realistica e creativa, ci aiuterà a raggiungere una maggiore chiarezza» (AL, 2).
Analizzando con onestà intellettuale alcune affermazioni di AL, viste nel loro contesto, si constata una difficoltà di interpretarla secondo la dottrina tradizionale della Chiesa. Questo fatto si spiega con l’assenza dell’affermazione concreta ed esplicita della dottrina e della pratica costante della Chiesa, basata sulla Parola di Dio e reiterata dal papa Giovanni Paolo II che dice: «La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia. C’è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio. La riconciliazione nel sacramento della penitenza – che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico – può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione, «assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» (Familiaris Consortio, 84).
Il papa Francesco non aveva stabilito «una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi» (AL, n. 300). Però nella nota 336, dichiara: «Nemmeno per quanto riguarda la disciplina sacramentale, dal momento che il discernimento può riconoscere che in una situazione particolare non c’è colpa grave». Riferendosi evidentemente ai divorziati risposati il papa afferma in AL, al n. 305: «A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa.» Nella nota 351 il papa chiarisce la propria affermazione dicendo che «in certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti».
Nello stesso capitolo VIII di AL, al n. 298, il Papa parla dei «divorziati che vivono una nuova unione, … con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe. La Chiesa riconosce situazioni in cui «l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione». Nella nota 329 il Papa cita il documento Gaudium et Spes in un modo purtroppo non corretto, perché il Concilio si riferisce in questo caso solo al matrimonio cristiano valido. L’applicazione di quest’affermazione ai divorziati può provocare l’impressione che il matrimonio valido venga assimilato, non in teoria, ma in pratica, ad una unione di divorziati.
L’ammissione dei divorziati-risposati alla Santa Comunione e le sue conseguenze
AL è purtroppo priva delle citazioni verbali dei principi della dottrina morale della Chiesa nella forma in cui sono stati enunciati al n. 84 dell’Esortazione Apostolica Familiaris Consortio e nell’Enciclica Veritatis Splendor del Papa Giovanni Paolo II, in particolare sui seguenti temi d’importanza capitale: «l’opzione fondamentale» (Veritatis Splendor nn.67-68), «peccato mortale e peccato veniale» (ibid., n.69-70), «proporzionalismo, consequenzialismo» (ibid. n.75), «il martirio e le norme morali universali ed immutabili» (ibid., nn.91ss). Una citazione verbale di Familiaris consorzio n.84 e di talune affermazioni più salienti di Veritatis splendor renderebbero peraltro AL inattaccabile da parte di interpretazioni eterodosse. Delle allusioni generiche ai principi morali e alla dottrina della Chiesa sono certamente insufficienti in una materia controversa che è di delicata e di capitale importanza.
Alcuni rappresentanti del clero e anche dell’episcopato affermano già che secondo lo spirito del capitolo VIII di AL non è escluso che in casi eccezionali i divorziati-risposati possano essere ammessi alla Santa Comunione senza che venga loro richiesto di vivere in perfetta continenza.
Ammettendo una simile interpretazione della lettera e dello spirito di AL, bisognerebbe accettare, con onestà intellettuale e in base al principio di non-contraddizione, le seguenti conclusioni logiche:
Il sesto comandamento divino che proibisce ogni atto sessuale al di fuori del matrimonio valido, non sarebbe più universalmente valido se venissero ammesse delle eccezioni. Nel nostro caso: i divorziati potrebbero praticare l’atto sessuale e vi sono anche incoraggiati al fine di conservare la reciproca “fedeltà”, cfr. AL, 298. Potrebbe dunque darsi una «fedeltà», in uno stile di vita direttamente contrario alla volontà espressa di Dio. Tuttavia, incoraggiare e legittimare atti che sono in sé e sempre contrari alla volontà di Dio, contraddirebbe la Rivelazione Divina.
La parola divina di Cristo: «Che l’uomo non separi quello che Dio ha unito» (Mt 19, 6) non sarebbe quindi più valida sempre e per tutti i coniugi senza eccezione.
Sarebbe possibile in un caso particolare ricevere il sacramento della Penitenza e la Santa Comunione con l’intento di continuare a violare direttamente i comandamenti divini: «Non commetterai adulterio» (Esodo 20, 14) e «Che l’uomo non separi quello che Dio ha unito» (Mt 19, 6; Gen 2, 24).
L’osservanza di questi comandamenti e della Parola di Dio avverrebbe in questi casi solo in teoria e non nella pratica, inducendo quindi i divorziati-risposati “ad ingannare se stessi (Giacomo 1, 22). Si potrebbe dunque avere perfettamente la fede nel carattere divino del sesto comandamento e dell’indissolubilità del matrimonio senza però le opere corrispondenti.
La Parola Divina di Cristo: «Colui che ripudia la moglie e ne sposa un’altra, commette un adulterio nei suoi confronti; e se una donna lascia il marito e ne sposa un altro, commette un adulterio» (Mc 10, 12) non avrebbe dunque più validità universale ma ammetterebbe eccezioni.
La violazione permanente, cosciente e libera del sesto comandamento di Dio e della sacralità e dell’indissolubilità del proprio matrimonio valido (nel caso dei divorziati risposati) non sarebbe dunque più un peccato grave, ovvero un’opposizione diretta alla volontà di Dio.
Possono esservi casi di violazione grave, permanente, cosciente e libera degli altri comandamenti di Dio (per esempio nel caso di uno stile di vita di corruzione finanziaria), nei quali potrebbe essere accordato a una determinata persona, a causa di circostanze attenuanti, l’accesso si sacramenti senza esigere una sincera risoluzione di evitare in avvenire gli atti di peccato e di scandalo.
Il perenne ed infallibile insegnamento della Chiesa non sarebbe più universalmente valido, in particolare l’insegnamento confermato da papa Giovanni Paolo II in Familiaris Consortio, n.84, e da papa Benedetto XVI in Sacramentum caritatis, n,29, secondo il quale la condizione dei divorziati per ricevere i sacramenti sarebbe la continenza perfetta.
L’osservanza del sesto comandamento di Dio e dell’indissolubilità del matrimonio sarebbe un ideale non realizzabile da parte di tutti, ma in qualche modo solo per un’élite.
Le parole intransigenti di Cristo che intimano agli uomini di osservare i comandamenti di Dio sempre e in tutte le circostanze, anche accettando a questo fine delle sofferenze considerevoli, ovvero accettando la Croce, non sarebbero più valide nella loro verità: «Se la tua mano destra ti è causa di peccato, mozzala e gettala via da te, perché è meglio per te che un tuo membro perisca, piuttosto che tutto il tuo corpo sia gettato nella Geenna» (Mt 5, 30).
Ammettere le coppie in «unione irregolare» alla santa Comunione, permettendo loro di praticare gli atti riservati ai coniugi del matrimonio valido, equivarrebbe all’usurpazione di un potere, che però non compete ad alcuna autorità umana, perché si tratterebbe qui di una pretesa di correggere la stessa Parola di Dio.
Pericoli di una collaborazione della Chiesa nella diffusione della “piaga del divorzio”
Professando la dottrina di sempre di Nostro Signore Gesù Cristo, la Chiesa ci insegna: “Fedele al Signore, la Chiesa non può riconoscere come Matrimonio l’unione dei divorziati risposati civilmente. “Colui che ripudia la moglie per sposarne un’altra commette adulterio contro di lei. Se una donna ripudia il marito per sposarne un altro, commette adulterio” (Mc, 10, 11-12). Nei loro confronti, la Chiesa attua un’attenta sollecitudine, invitandoli ad una vita di fede, alla preghiera, alle opere di carità e all’educazione cristiana dei figli. Ma essi non possono ricevere l’assoluzione sacramentale, né accedere alla Comunione eucaristica, né esercitare certe responsabilità ecclesiali, finché perdura la loro situazione, che oggettivamente contrasta con legge di Dio” (Compendio di Catechismo della Chiesa Cattolica, 349).
Vivere in un’unione maritale non valida contraddicendo costantemente il comandamento di Dio e la sacralità e indissolubilità del matrimonio, non significa vivere nella verità. Dichiarare che la pratica deliberata, libera ed abituale degli atti sessuali in un’unione maritale non valida potrebbe in un caso concreto non essere più un peccato grave, non è la verità, ma una menzogna grave, e dunque non porterà mai una gioia autentica nell’amore. Permettere dunque a queste persone di ricevere la Santa Comunione significa simulazione, ipocrisia e menzogna. Resta valida infatti la Parola di Dio nella Sacra Scrittura: “Chi dice: «Io l’ho conosciuto», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui.” (1 Gv, 2, 4).
Il Magistero della Chiesa ci insegna la validità universale dei dieci comandamenti di Dio: “Poiché essi enunciano i doveri fondamentali dell’uomo verso Dio e verso il prossimo, i dieci comandamenti rivelano, nel loro contenuto primordiale, delle obbligazioni gravi. Essi sono fondamentalmente immutabili e il loro obbligo vale sempre e ovunque. Nessuno può dispensare da essi.” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2072). Coloro che hanno affermato che i comandamenti di Dio ed il particolare il comandamento “Non commetterai adulterio” possono avere delle eccezioni, ed in taluni casi la non imputabilità della colpa del divorzio, erano i Farisei e poi gli Gnostici cristiani nel secondo e terzo secolo.
Le seguenti affermazioni del Magistero restano sempre valide perché fanno parte del Magistero infallibile nella forma del Magistero universale e ordinario: “I precetti negativi della legge naturale sono universalmente validi: essi obbligano tutti e ciascuno, sempre e in ogni circostanza. Si tratta infatti di proibizioni che vietano una determinata azione semper et pro semper, senza eccezioni, … ci sono comportamenti che non possono mai essere, in alcuna situazione, la risposta adeguata … La Chiesa ha sempre insegnato che non si devono mai scegliere comportamenti proibiti dai comandamenti morali, espressi in forma negativa nell’Antico e nel Nuovo Testamento. Come si è visto, Gesù stesso ribadisce l’inderogabilità di queste proibizioni: «Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti…: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso» (Mt 19,17-18)” (Giovanni Paolo II, Enciclica Veritatis Splendor, 52).
Il Magistero della Chiesa ci insegna ancor più chiaramente: “La coscienza buona e pura è illuminata dalla fede sincera. Infatti la carità sgorga, ad un tempo, “da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera” (1Tm 1,5 ): [Cf 1Tm 3,9; 2 Tm 1,3; 1794 1 Pt 3,21; At 24,16] (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1794).
Nel caso in cui una persona commetta atti morali oggettivamente gravi in piena coscienza, sana di mente, con libera decisione, con l’intento di ripetere quest’atto in futuro, è impossibile applicare il principio della non-imputabilità della colpa a causa delle circostanze attenuanti. L’applicazione del principio della non-imputabilità a queste coppie di divorziati-risposati rappresenterebbe una ipocrisia ed un sofisma gnostico. Se la Chiesa ammettesse queste persone, anche in un solo caso, alla Santa Comunione, essa contraddirebbe a ciò che professa nella dottrina, offrendo essa stessa una contro-testimonianza pubblica contro l’indissolubilità del matrimonio e contribuendo così alla crescita della “piaga del divorzio” (Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes, 47).
Al fine di evitare una tale intollerabile e scandalosa contraddizione, la Chiesa, interpretando infallibilmente la verità Divina della legge morale e dell’indissolubilità del matrimonio, ha osservato immutabilmente per duemila anni la pratica di ammettere alla Santa Comunione solo quei divorziati che vivono in perfetta continenza e “remoto scandalo”, senza alcuna eccezione o privilegio particolare.
Il primo compito pastorale che il Signore ha affidato alla sua Chiesa è l’insegnamento, la dottrina (vedi Mt 28, 20). L’osservanza dei comandamenti di Dio è intrinsecamente connessa alla dottrina. Per questa ragione la Chiesa ha sempre respinto la contraddizione fra la dottrina e la vita, qualificando una simile contraddizione come gnostica o come la teoria luterana eretica del “simul iustus et peccator”. Tra la fede e la vita dei figli della Chiesa non dovrebbe esserci contraddizione.
Quando si tratta dell’osservanza del comandamento espresso di Dio e dell’indissolubilità del matrimonio, non si può parlare di interpretazioni teologiche opposte. Se Dio ha detto: “Non commetterai adulterio”, nessuna autorità umana potrebbe dire: “in qualche caso eccezionale o per un fine buono tu puoi commettere adulterio”.
Le seguenti affermazioni del papa Francesco sono molto importanti, laddove il Sommo Pontefice parla a proposito dell’integrazione dei divorziati risposati nella vita della Chiesa: “questo discernimento non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa. … Vanno garantite le necessarie condizioni di umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa e al suo insegnamento, … Si evita il rischio che un determinato discernimento porti a pensare che la Chiesa sostenga una doppia morale” (AL, 300). Queste affermazioni lodevoli di AL restano tuttavia senza specificazioni concrete riguardo alla questione dell’obbligo dei divorziati risposati di separarsi o almeno di vivere in perfetta continenza.
Quando si tratta della vita o della morte del corpo, nessun medico lascerebbe le cose nell’ambiguità. Il medico non può dire al paziente: “Dovete decidere l’applicazione della medicina secondo coscienza e rispettando le leggi della medicina”. Un comportamento simile da parte di un medico verrebbe senza dubbio considerato irresponsabile. E tuttavia la vita dell’anima immortale è più importante, poiché dalla salute dell’anima dipende il suo destino per tutta l’eternità.
La verità liberatrice della penitenza e del mistero della Croce.
Affermare che i divorziati risposati non sono pubblici peccatori significa simulare il falso. Inoltre, essere peccatori è la vera condizione di tutti i membri della Chiesa militante sulla terra. Se i divorziati-risposati dicono che i loro atti volontari e deliberati contro il sesto comandamento di Dio non sono affatto peccati o peccati gravi, essi s’ingannano e la verità non è in loro, come dice San Giovanni: “Se diciamo di essere senza peccato inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli che è fedele e giusto, ci perdonerà i nostri peccati e ci purificherà da ogni iniquità. Se diciamo “Non abbiamo peccato”, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi” (1 Gv 1, 8-10).
L’accettazione da parte dei divorziati-risposati della verità che essi sono peccatori ed anche pubblici peccatori non toglie nulla alla loro speranza cristiana. Soltanto l’accettazione della realtà e della verità li rende capaci di intraprendere il cammino di una penitenza fruttuosa secondo le parole di Gesù Cristo.
Sarebbe molto salutare ripristinare lo spirito dei primi cristiani e del tempo dei Padri della Chiesa, quando esisteva una viva solidarietà dei fedeli con i peccatori pubblici, e tuttavia una solidarietà secondo la verità. Una solidarietà che non aveva nulla di discriminatorio; al contrario, vi era la partecipazione di tutta la Chiesa nel cammino penitenziale dei peccatori pubblici per mezzo delle preghiere d’intercessione, delle lacrime, degli atti di espiazione e di carità in loro favore.
L’Esortazione apostolica Familiaris Consortio insegna: ” Anche coloro che si sono allontanati dal comandamento del Signore e continuano a vivere in questa condizione (divorziati-risposati) potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità” (n. 84).
Durante i primi secoli i peccatori pubblici erano integrati nella comunità orante dei fedeli e dovevano implorare in ginocchio e con le braccia alzate l’intercessione dei loro fratelli. Tertulliano ce ne dà una testimonianza toccante: “Il corpo non può rallegrarsi quando uno dei suoi membri soffre. È necessario che tutto intero esso si dolga e lavori alla sua guarigione. Quando tendi le mani alle ginocchia dei tuoi fratelli, è Cristo che tocchi, è Cristo che implori. Parimenti, quando loro versano lacrime per te, è Cristo che compatisce” (De paenitentia, 10, 5-6). Nello stesso modo parla Sant’Ambrogio di Milano: “La Chiesa intera ha preso su di sé il fardello del peccatore pubblico, soffrendo con lui per mezzo di lacrime, preghiere e dolori” (De paenitentia, 1, 81).
È vero che le forme della disciplina penitenziale della Chiesa sono cambiate, ma lo spirito di questa disciplina deve restare nella Chiesa di tutti i tempi. Oggi, alcuni preti e vescovi, basandosi su alcune affermazioni di AL, cominciano a far intendere ai divorziati-risposati che la loro condizione non equivaleva allo stato oggettivo di peccatore pubblico. Essi li tranquillizzano dichiarando che i loro atti sessuali non costituiscono un peccato grave. Un simile atteggiamento non corrisponde alla verità. Essi privano i divorziati-risposati della possibilità di una conversione radicale all’obbedienza alla volontà di Dio, lasciando queste anime nell’inganno. Un tale atteggiamento pastorale è molto facile, a buon mercato, non costa niente. Non costa lacrime, preghiere ed opere diintercessione e di espiazione fraterna in favore dei divorziati-risposati.
Ammettendo, anche solo in casi eccezionali, i divorziati-risposati alla Santa Comunione senza chieder loro di cessare di praticare gli atti contrari al sesto comandamento di Dio, dichiarando inoltre presuntuosamente che l loro atti non sono peccato grave, si sceglie la strada facile, si evita lo scandalo della croce. Una simile pastorale dei divorziati-risposati è una pastorale effimera e ingannatrice. A tutti coloro che propagandano un simile facile cammino a buon mercato ai divorziati-risposati Gesù rivolge ancora oggi queste parole: ” Vattene via da me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini! Allora Gesù disse ai suoi discepoli: “Se qualcuno vuol seguirmi, che rinunzi a se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16, 23-25).
Riguardo alla pastorale dei divorziati-risposati, oggi bisogna ravvivare anche lo spirito di seguire Cristo nella verità della Croce e della penitenza, che solo porta una gioia permanente, evitando le gioie effimere che sono in fin dei conti ingannatrici. Le seguenti parole del papa San Gregorio Magno si rivelano veramente attuali e luminose: “Non dobbiamo abituarci troppo al nostro esilio terreste, le comodità di questa vita non devono farci dimenticare la nostra vera patria così che il nostro spirito non divenga sonnolento in mezzo alle comodità. Per questo motivo, Dio unisce ai suoi doni le sue visite o punizioni, affinché tutto ciò che c’incanta in questo mondo, divenga per noi amaro e si accenda nell’anima quel fuoco che ci spinge sempre di nuovo verso il desiderio delle cose celesti e ci fa progredire. Quel fuoco ci ferisce in modo piacevole, ci crocifigge dolcemente e ci rattrista gioiosamente” (In Hez, 2, 4, 3).
Lo spirito dell’autentica disciplina penitenziale della Chiesa dei primi secoli è perdurato nella Chiesa di tutti i tempi fino ad oggi. Abbiamo l’esempio commovente della Beata Laura del Carmen Vicuna, nata in Cile nel 1891. Suor Azocar, che aveva curato Laura, ha raccontato: “Mi ricordo che quando spiegai la prima volta il sacramento del matrimonio, Laura svenne, di certo avendo compreso dalle mie parole che sua madre era in stato di peccato mortale finché fosse rimasta con quel signore. A quell’epoca, a Junin, una sola famiglia viveva in conformità alla volontà di Dio.” Da allora, Laura moltiplica preghiere e penitenze per la sua mamma. Il 2 giugno 1901 fa la sua prima comunione, con grande fervore; scrive le seguenti risoluzioni: “1. Voglio, o mio Gesù, amarti e servirti per tutta la vita; per questo ti offro tutta la mia anima, il mio cuore, tutto il mio essere. – 2. Preferisco morire piuttosto che offenderti col peccato; perciò voglio allontanarmi da tutto quello che potrebbe separarmi da te. – 3. Prometto di fare tutto il possibile affinché tu sia sempre più conosciuto e amato, e al fine di riparare le offese che ogni giorno ti infliggono gli uomini che non ti amano, specialmente quelle che ricevi da coloro che mi sono vicini. -Oh mio Dio, concedimi una vita di amore, di mortificazione e di sacrificio!” Ma la sua grande gioia è oscurata nel vedere che sua madre, presente alla cerimonia, non fa la comunione. Nel 1902, Laura offre la propria vita per sua madre che convive con un uomo in una unione irregolare in Argentina. Laura moltiplica le preghiere e le privazioni per ottenere la vera conversione della madre. Poche ore prima di morire la chiama vicino a sé. Capendo di essere al momento supremo, esclama: ” Mamma, sto per morire. L’ho chiesto io a Gesù e gli ho offerto la mia vita per la grazia del tuo ritorno. Mamma, avrò la gioia di vedere il tuo pentimento prima di morire?” Sconvolta, la madre promette: “Domani mattina andrò in chiesa e mi confesserò”. Laura cerca allora lo sguardo del prete e gli dice: “Padre, mia madre in questo momento promette di abbandonare quell’uomo; siate testimone di questa promessa!” E poi aggiunge: “Ora muoio contenta!”. Con queste parole spira, il 22 gennaio 1904, a Junin delle Ande (Argentina), a 13 anni, nelle braccia della madre che ritrova allora la fede ponendo fine all’unione irregolare nella quale viveva.
L’esempio ammirevole della vita della giovane Beata Laura è una dimostrazione di quanto un vero cattolico consideri seriamente il sesto comandamento di Dio e la sacralità e indissolubilità del matrimonio. Nostro Signore Gesù Cristo ci raccomanda di evitare persino l’apparenza di un’approvazione di una unione irregolare o di un adulterio. Quel comando divino la Chiesa l’ha sempre fedelmente conservato e trasmesso senza ambiguità nella dottrina e nella pratica. Offrendo la sua giovane vita la Beata Laura non si era certo rappresentata una delle diverse interpretazioni dottrinali o pastorali possibili. Non si dà la propria vita per una possibile interpretazione dottrinale o pastorale, ma per una verità divina immutabile e universalmente valida. Una verità dimostrata con l’offerta della vita da parte di un gran numero di Santi, da san Giovanni Battista fino ai semplici fedeli dei giorni nostri il cui nome solo Dio conosce.
Necessità di una “veritatis laetitia”
Amoris laetitia contiene di sicuro e per fortuna delle affermazioni teologiche e indicazioni spirituali e pastorali di grande valore. Tuttavia, è realisticamente insufficiente affermare che AL andrebbe interpretata secondo la dottrina e la pratica tradizionale della Chiesa. Quando in un documento ecclesiastico, che nel caso nostro è sprovvisto di carattere definitivo e infallibile, si rinvengono elementi di interpretazioni ed applicazioni che potrebbero avere conseguenze spirituali pericolose, tutti i membri della Chiesa, e in primo luogo i vescovi, quali collaboratori fraterni del Sovrano Pontefice nella collegialità effettiva, hanno il dovere di segnalare rispettosamente questo fatto e di chiedere un’interpretazione autentica.
Quando si tratta della fede divina, dei comandamenti divini e della sacralità e indissolubilità del matrimonio, tutti i membri della Chiesa, dai semplici fedeli fino ai più alti rappresentanti del Magistero devono fare uno sforzo comune per conservare intatto il tesoro della fede e la sua applicazione pratica. Il Concilio Vaticano II ha in effetti ha insegnato: “La totalità dei fedeli, avendo l’unzione che viene dal Santo, (cfr. 1 Gv 2,20 e 27), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo, quando « dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici » (S. Agostino, De Praed. Sanct, 14, 27) mostra l’universale suo consenso in cose di fede e di morale. E invero, per quel senso della fede, che è suscitato e sorretto dallo Spirito di verità, e sotto la guida del sacro magistero, il quale permette, se gli si obbedisce fedelmente, di ricevere non più una parola umana, ma veramente la parola di Dio (cfr. 1 Ts 2,13), il popolo di Dio aderisce indefettibilmente alla fede trasmessa ai santi una volta per tutte (cfr. Gdc 3), con retto giudizio penetra in essa più a fondo e più pienamente l’applica nella vita” (Lumen gentium, 12). Il Magistero, per parte sua, “non è al di sopra della Parola di Dio, ma è al suo servizio, poiché insegna solo ciò che è stato trasmesso (Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 10).
Fu proprio il Concilio Vaticano II a incoraggiare tutti i fedeli e soprattutto i vescovi a manifestare senza timore le loro preoccupazioni ed osservazioni in vista del bene di tutta la Chiesa. Il servilismo ed il politicamente corretto causano un male pernicioso alla vita della Chiesa. Il famoso vescovo e teologo del Concilio di Trento, Melchior Cano, O.P., pronunciò questa frase memorabile: “Pietro non ha bisogno delle nostre menzogne e adulazioni. Coloro che ad occhi chiusi ed in modo indiscriminato difendono ogni decisione del Sommo Pontefice, sono quelli che maggiormente compromettono l’autorità della Santa Sede. Essi ne distruggono le fondamenta invece di consolidarle”.
Nostro Signore ci ha insegnato senza ambiguità spiegando in cosa consistano il vero amore e la vera gioia dell’amore: “Colui che ha i miei comandamenti e li osserva è colui che mi ama” (Gv 14, 21). Dando agli uomini il sesto comandamento e l’osservanza dell’indissolubilità del matrimonio, Dio li ha dati a tutti senza eccezione e non solo ad un’élite. Già nell’Antico Testamento Dio ha dichiarato: Questo comandamento che ti prescrivo oggi di sicuro non è al di sopra delle tue forze, né fuori della tua portata” (Deuteronomio 30, 11) e “Se vuoi, osserverai i comandamenti;
l’essere fedele dipenderà dal tuo buonvolere.” (Siracide, 15, 15). E Gesù disse a tutti: “Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti. Quali? E Gesù rispose: Non ucciderai; non commetterai adulterio” (Mt 19, 17-18). L’insegnamento degli Apostoli ci ha trasmesso la stessa dottrina: “Poiché l’amore di Dio consiste nell’osservare i suoi comandamenti. E i suoi comandamenti non sono gravosi” (1 Gv 5, 3).
Non vi è una vita vera, soprannaturale ed eterna, senza l’osservanza dei comandamenti di Dio: “Ti prescrivo di osservare i suoi comandamenti. Ho posto davanti a te la vita e la morte. Scegli la vita!” (Deuteronomio 30, 16-19). Non vi è dunque una vera vita e una vera gioia d’amore autentica senza la verità. “L’amore consiste nel vivere secondo i suoi comandamenti” (2 Gv 6). La gioia d’amore consiste nella gioia della verità. La vita autenticamente cristiana consiste nella vita e nella gioia della verità: “Per me non c’è gioia maggiore di quella che provo nel sapere che i miei figli vivono ubbidendo alla verità.” (3 Gv 4).
Sant’Agostino ci spiega l’intimo legame fra la gioia e la verità: “Chiedo a tutti loro se non preferiscono la gioia della verità a quella della menzogna. Ed essi non esitano qui più che per la risposta alla domanda sulla felicità. Perché la vita felice consiste nella gioia della verità, noi tutti vogliamo la gioia della verità” (Confessioni, X, 23).
Il pericolo di una confusione generale per quanto riguarda l’indissolubilità del matrimonio
Ormai da tempo, nella vita della Chiesa, si constata in alcuni luoghi, un tacito abuso nell’ammissione dei divorziati-risposati alla Santa Comunione, senza chiedere loro di vivere in perfetta continenza. Le affermazioni poco chiare nel capitolo VIII della AL hanno dato nuovo dinamismo ai propagatori dichiarati della ammissione, in singoli casi, dei divorziati-risposati alla Santa Comunione.
Possiamo ora constatare che l’abuso ha iniziato a diffondersi maggiormente nella pratica sentendosi in qualche modo legittimato. Inoltre vi è confusione per quanto riguarda l’interpretazione principalmente delle affermazioni riportate nel capitolo VIII della AL. La confusione raggiunge il suo apice poiché tutti, sia i sostenitori della ammissione dei divorziati-risposati alla Comunione sia i loro oppositori, sostengono che « La dottrina della Chiesa in questa materia non è stata modificata ».
Tenendo debitamente conto delle differenze storiche e dottrinali, la nostra situazione mostra alcune somiglianze e analogie con la situazione di confusione generale della crisi ariana del 4° secolo. All’epoca, la fede apostolica tradizionale nella vera divinità del Figlio di Dio fu garantita mediante il termine “consustanziale” (“homoousios”), dogmaticamente proclamata dal Magistero universale del Concilio di Nicea I. La crisi profonda della fede, con una confusione quasi universale, fu causata principalmente dal rifiutare o dall’evitare di utilizzare e professare la parola “consustanziale” (“homoousios“). Invece di utilizzare questa espressione, si diffuse tra il clero e soprattutto tra l’episcopato l’utilizzo di formule alternative che alla fine erano ambigue e imprecise come ad esempio “simile nella sostanza” (“homoiousios“) o semplicemente “simile” (“homoios“). La formula “homoousios” del Magistero universale di quel tempo esprimeva la divinità piena e vera del VERBO in modo così chiaro da non lasciare spazio ad interpretazioni equivoche.
Negli anni 357-360 quasi l’intero episcopato era diventato ariano o semi-ariano a causa dei seguenti avvenimenti: nel 357 papa Liberio firmò una delle formule ambigue di Sirmio, nella quale era stato eliminato il termine “homoousios”. Inoltre, il Papa scomunicò, in maniera scandalosa, sant’Atanasio. Sant’Ilario di Poitiers fu l’unico vescovo ad aver mosso gravi rimproveri a Papa Liberio per tali atti ambigui. Nel 359 i sinodi paralleli dell’episcopato occidentale a Rimini e di quello orientale a Seuleukia avevano accettato delle espressioni completamente ariane peggiori ancora della formula ambiguo firmata da Papa Liberio. Descrivendo la situazione di confusione dell’epoca, san Girolamo si espresse così: « “il mondo gemette e si accorse con stupore di essere diventato ariano. » («Ingemuit totus orbis, et arianum se esse miratus est » : Adv. Lucif., 19).
Si può affermare che la nostra epoca è caratterizzata da una gran confusione riguardo alla disciplina sacramentale per i divorziati-risposati. Ed esiste un pericolo reale che questa confusione si espanda su vasta scala, se evitiamo di proporre e proclamare la formula del Magistero universale e infallibile: « La riconciliazione nel sacramento della penitenza – che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico – può essere accordata solo a quelli che, (…) assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi” (Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, 84). Questa formula è purtroppo incomprensibilmente assente da AL. L’AL contiene invece, in maniera altrettanto inspiegabile, la seguente dichiarazione: . « In queste situazioni (di divorziati risposati) , molti, conoscendo e accettando la possibilità di convivere “come fratello e sorella” che la Chiesa offre loro, rilevano che, se mancano alcune espressioni di intimità, «non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli» (AL, 298, n. 329). Tale affermazione lascia pensare ad una contraddizione con l’insegnamento perenne del Magistero universale, come è stato formulato nel testo citato della Familiaris Consortio, 84.
Si rende urgente che la Santa Sede confermi e proclami nuovamente, eventualmente sotto forma di interpretazione autentica di AL, la citata formula della Familiaris Consortio, 84. Questa formula potrebbe essere considerata, sotto certi aspetti, come l’”homoousios” dei nostri giorni. La mancanza di conferma in maniera ufficiale ed esplicita della formula di Familiaris Consortio 84 da parte della Sede Apostolica potrebbe contribuire ad una confusione sempre maggiore nella disciplina sacramentale con ripercussioni graduali e inevitabili in campo dottrinale. In questo modo si verrebbe a creare una tale situazione alla quale si potrebbe in futuro applicare la seguente constatazione: « Tutto il mondo gemette e si accorse con stupore di aver acettato il divorzio nella prassi.» («Ingemuit totus orbis, et divortium in praxi se accepisse miratus est »).
Una confusione nella disciplina sacramentale nei confronti dei divorziati-risposati, con le conseguenti implicazioni dottrinali, contraddirebbe la natura della Chiesa cattolica, così come è stata descritta da sant’Ireneo nel secondo secolo: « La Chiesa, avendo ricevuto questa predicazione e questa fede, benché dispersa nel mondo intero la conserva con cura come abitando una sola casa; e allo stesso modo crede in queste verità, come se avesse una sola anima e un solo cuore; e le proclama, insegna trasmette, con una voce unanime, come se avesse una sola bocca» (Adversus haereses, I, 10, 2).
La Sede di Pietro, cioè il Sovrano Pontefice, è il garante dell’unità della fede e della disciplina sacramentale apostolica. Considerando la confusione venutasi a creare tra di sacerdoti e vescovi nella pratica sacramentale per quanto riguarda i divorziati risposati e l’interpretazione di AL, si può considerare legittimo un appello al nostro caro papa Francesco, il Vicario di Cristo e « il dolce Cristo in terra » (Santa Caterina da Siena), affinché ordini la pubblicazione di una interpretazione autentica di AL, che dovrebbe necessariamente contenere una dichiarazione esplicita del principio disciplinare del Magistero universale e infallibile riguardo l’ammissione ai sacramenti dei divorziati-risposati, così come è formulato nel n. 84 della Familiaris consortio.
Nella grande confusione ariana del IV secolo, san Basilio il Grande fece un appello urgente al papa di Roma affinché indicazze con la sua parola una chiara direzione per ottenere finalmente l’unità di pensiero nella fede e nella carità (cf. Ep. 70).
Una interpretazione autentica di AL da parte della Sede Apostolica porterebbe una gioia nella chiarezza (« claritatis laetitia ») per tutta la Chiesa. Tale chiarezza garantirebbe un amore nella gioia (« amoris laetitia »), un amore e una gioia che non sarebbero secondo la mente degli uomini, ma secondo la mente di Dio (cf. Mt 16, 23). Ed è questo ciò che conta per la gioia, la vita e la salvezza eterna di divorziati-risposati e di tutti gli uomini.
+ Athanasius Schneider, Vescovo Ausiliare dell’Arcidiocesi di Maria Santissima in Astana, Kazakhstan