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Card. Sarah: Luce nella notte. Al cuore della crisi degli abusi sui minori, lo sguardo di Benedetto XVI sulla Chiesa

Card. Robert Sarah e Il Papa Emerito Benedetto XVI

Riportiamo di seguito nella nostra traduzione la Conferenza tenuta a Roma al Centro Saint-Louis, il 14 maggio 2019, da S.E.R. il Cardinale Robert Sarah, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.

Di seguito il link all’originale: clicca qui

Luce nella notte. Al cuore della crisi degli abusi sui minori, lo sguardo di Benedetto XVI sulla Chiesa

Gentile Signora Ambasciatrice, Eminenze, Eccellenze, signori, signore, cari amici,

permettetemi innanzitutto di ringraziarvi per questo invito nel contesto così prestigioso dell’Istituto culturale francese Saint-Louis in occasione della pubblicazione in francese del mio libro “Le soir approche et déjà le jour baisse” (Si avvicina la sera e il giorno è ormai al termine). Questo libro analizza la crisi della fede, la crisi sacerdotale, la crisi della Chiesa, la crisi dell’antropologia cristiana, il crollo spirituale, la decadenza morale dell’Occidente e tutte le loro conseguenze.

Sono molto onorato di potermi inserire così umilmente nel novero dei teologi e dei pensatori cattolici di lingua francese che hanno illustrato la vita intellettuale romana.

Tuttavia, questa sera non vi parlerò di questo libro. Infatti, le idee più fondamentali che ho sviluppato si sono trovate illustrate, esposte e dimostrate con maestria nell’aprile scorso da papa Benedetto XVI nelle note che ha redatto in vista dell’incontro dei Presidenti delle Conferenze Episcopali sugli abusi sessuali convocato a Roma da Papa Francesco dal 21 al 24 febbraio scorsi.

Il Papa emerito ha pubblicato queste note in una rivista bavarese, con il consenso del Santo Padre e del Cardinale Segretario di Stato.

Ora, la sua riflessione si è rivelata un’autentica fonte di luce nella notte della fede che tocca tutta la Chiesa. Ha suscitato delle reazioni che hanno talvolta sfiorato l’isteria intellettuale. Personalmente sono stato colpito dalla povertà e stupidità di numerosi commenti. Bisogna credere che, ancora una volta, il teologo Ratzinger, la cui statura è quella di un vero “Padre e Dottore della Chiesa” abbia visto giusto e toccato il nucleo della crisi della Chiesa.

Vorrei dunque che questa sera ci lasciassimo illuminare da questo pensiero esigente e luminoso. Come potremmo riassumere la tesi di Benedetto XVI? Permettetemi di citare semplicemente: “perché la pedofilia ha assunto tali proporzioni? In ultima analisi la ragione risiede nell’assenza di Dio” (III, 1).

Questo è il principio attorno al quale si struttura tutta la riflessione del Papa emerito. Questa è la conclusione della sua lunga dimostrazione. Questo è il punto dal quale tutta la ricerca sullo scandalo degli abusi sessuali commesso dai sacerdoti deve partire per proporre una soluzione efficace.

La crisi della pedofilia nella Chiesa, la moltiplicazione scandalosa e spaventosa degli abusi ha una sola ed unica causa ultima: l’assenza di Dio. Benedetto XVI lo riassume in un’altra formula altrettanto chiara, cito: “è solo dove la fede non determina più le azioni dell’uomo che crimini di questo genere sono possibili” (II, 2).

Signore, signori, il genio teologico di Joseph Ratzinger unisce quindi non solamente la sua esperienza di pastore d’anime e di vescovo, padre dei suoi sacerdoti, ma anche la sua esperienza personale, spirituale e mistica. Risale alla causa fondamentale, ci permette di comprendere quale sarà la sola via per uscire dall’atroce e umiliante scandalo della pedofilia. La crisi degli abusi sessuali è il sintomo di una crisi più profonda: la crisi della fede, la crisi del senso di Dio.

Certi commentatori, per malevolenza o incompetenza hanno finto di credere che Benedetto XVI abbia affermato che solo i chierici dottrinalmente deviati siano divenuti abusatori di bambini. Queste sono scorciatoie semplicistiche. Quello che il Papa Ratzinger vuole mostrare e dimostrare è molto più profondo e radicale. Egli afferma che un clima di ateismo, di assenza di Dio, crea le condizioni morali, spirituali e umane di una proliferazione degli abusi sessuali.

Le spiegazioni psicologiche hanno certamente il loro interesse, ma permettono solo di identificare i soggetti fragili, disposti al passaggio all’atto. Solo l’assenza di Dio può spiegare una situazione di proliferazione e di moltiplicazione così spaventosa degli abusi.

Veniamo ora alla dimostrazione di Papa Benedetto.

Prima di tutto conviene sgomberare il campo da quei commenti approssimativi e superficiali che hanno tentato di squalificare questa riflessione teologica accusandola di fare confusione tra i comportamenti omosessuali e gli abusi sui minori. Benedetto XVI non afferma in nessun punto che l’omosessualità sia la causa degli abusi. Inutile dire che la stragrande maggioranza delle persone omosessuali non è sospettata di voler abusare di alcuno. Ma bisogna dire che le inchieste sugli abusi sui minori hanno fatto emergere la tragica ampiezza delle pratiche omosessuali o semplicemente contrarie alla castità in seno al clero. E questo fenomeno è esso  stesso una dolorosa manifestazione, come vedremo, di un clima di assenza di Dio e di perdita della fede.

D’altro canto, altri lettori troppo frettolosi o troppo stupidi – non saprei dire – hanno tacciato Benedetto XVI di ignoranza storica col pretesto che la sua dimostrazione incomincia ricordando la crisi del 1968. Ora, gli abusi erano cominciati prima – beninteso – Benedetto XVI lo sa e lo afferma. Egli vuole precisamente mostrare che la crisi morale del 1968 è già essa stessa una manifestazione, è un sintomo della crisi della fede e non una causa ultima. Di questa crisi del 1968 ha potuto dire: “è solamente la dove la fede non determina più le azioni degli uomini che tali cose diventano possibili”.

Quindi ora seguiamo passo passo la sua dimostrazione. Essa occupa la prima parte del suo testo. Egli vuole mostrare il processo profondo qui all’opera. Egli afferma, lo sottolineo, che questo processo è “preparato da lunga data” e che è “ancora in corso”.

Benedetto si serve quindi di un esempio, l’evoluzione della teologia morale, per risalire alla fonte di tale crisi. Egli individua tre tappe nella crisi della teologia morale.

La prima tappa è abbandono completo della legge naturale come fondamento della morale nell’intenzione – peraltro lodevole – di fondare maggiormente la teologia morale sulla Bibbia. Questo tentativo porta a un fallimento illustrato dal caso del moralista tedesco Schüller.

Questa tappa conduce inevitabilmente alla seconda, cioè ad “una teologia morale determinata esclusivamente in vista dei fini dell’azione umana”. Si riconosce qui la corrente teologista della quale il consequenzialismo fu la manifestazione più drammatica. Questa corrente, che si caratterizza per l’ignoranza della nozione di oggetto morale, va a ad affermare – usando le parole stesse di Benedetto XVI – che “niente è fondamentalmente cattivo”, “il bene non esiste ma esiste solo il meglio relativo a seconda del momento e delle circostanze” (I, 2).

Infine, la terza tappa consiste nell’affermazione che il magistero della Chiesa non è competente in materia morale. La Chiesa non può insegnare infallibilmente se non su questioni di fede. Tuttavia, come dice Benedetto XVI, ci sono “principi morali indissolubilmente legati ai principi fondamentali della fede”. Rifiutando il magistero morale della Chiesa, si rimuove dalla fede ogni legame con la vita concreta. Alla fine, è quindi la fede che viene svuotata del suo significato e della sua realtà.

Vorrei sottolineare quanto, fin dall’inizio di questo processo, è l’assenza di Dio che è all’opera. Nella prima tappa il rigetto della legge naturale manifesta la dimenticanza di Dio. Infatti la natura è il primo dono di Dio. Essa è in certo modo la prima rivelazione del Creatore. Rifiutare la legge naturale come fondamento della morale per opporla alla Bibbia manifesta un processo intellettuale spirituale già all’opera nelle mentalità. Si tratta del rifiuto da parte dell’uomo di ricevere da Dio l’essere e le leggi dell’essere che manifestano la sua coerenza.

La natura delle cose, dice Benedetto XVI, è “l’opera ammirevole del Creatore, che porta in sé una “grammatica” che indica una finalità e dei criteri”. “L’uomo inoltre possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacimento. L’uomo non è solamente una libertà che si crea da sola. Egli è spirito e volontà ma è anche natura e la sua volontà è giusta quando egli rispetta la natura, l’ascolta e quando si accetta per ciò che è, quando accetta di non essersi creato da solo”. Scoprire la natura come saggezza, ordine e legge vuol dire incontrare l’autore di questo ordine. “È davvero privo di senso riflettere per sapere se la ragione oggettiva che si manifesta in natura non supponga una Ragione creatrice, un ‘Creator Spiritus’?”, domanda ancora Benedetto XVI.

Io credo con Joseph Ratzinger che il rigetto di questo Dio creatore si faccia strada da molto tempo nel cuore dell’uomo occidentale. Questo rigetto di Dio è all’opera da molto prima della crisi del 1968.

Ma dobbiamo mostrare con Papa Benedetto XVI tutte le sue manifestazioni successive. Il rifiuto della natura come dono divino lascia il soggetto umano disperatamente solo. Da quel momento in poi non conteranno che le sue intenzioni soggettive e la sua coscienza solitaria. La morale si riduce a cercare di comprendere le motivazioni e le intenzioni dei soggetti. Essa non può più guidarli verso la felicità secondo un ordine naturale oggettivo che permette loro di scoprire il bene e di evitare il male. Il rigetto della legge naturale conduce ineluttabilmente al rigetto della nozione di oggetto morale. Ne consegue che non ci sono più atti oggettivamente ed intrinsecamente malvagi, sempre e a prescindere da quali siano le circostanze.

Di fronte ad un tale pensiero, San Giovanni Paolo II ha voluto ricordare in “Veritatis Splendor” l’oggettività del bene. Benedetto XVI lascia intuire quale lavoro di collaborazione questa enciclica magistrale abbia rappresentato tra il santo Papa polacco ed egli stesso e con i numerosissimi collaboratori che non si possono ricondurre ad una particolare corrente teologica.

“Veritatis Splendor” ha potuto così affermare con forza che ci sono degli atti “intrinsecamente cattivi, lo sono sempre e per sé, ossia per il loro stesso oggetto, indipendentemente dalle ulteriori intenzioni di chi agisce e dalle circostanze.” (n. 80)

Voglio sottolineare con Benedetto XVI che questa affermazione non è che la conseguenza dell’oggettività della fede e in definitiva dell’oggettività dell’esistenza di Dio. Se Dio esiste, se egli non è una creazione della mia soggettività, allora ci sono, secondo le parole del Papa emerito, “dei valori che non devono mai essere abbandonati” (II, 2). Per la morale relativista, tutto diviene questione di circostanze. Non è mai necessario sacrificare la propria vita per la verità di Dio, il martirio è inutile. Al contrario, Benedetto XVI afferma “il martirio è una categoria fondamentale dell’esistenza cristiana. Il fatto che il martirio non sia più moralmente necessario in questa teoria, mostra che qui è in gioco l’essenza stessa del cristianesimo” (I, 2). Per dirlo con un’espressione sintetica: se nessun valore è oggettivo al punto da dover morire per esso, allora anche Dio stesso non è più una realtà oggettiva per la quale valga la pena del martirio.

Al cuore della crisi della teologia morale, c’è dunque un rifiuto dell’assoluto divino, dell’irruzione di Dio nelle nostre vite che sorpassa tutto, che regge tutto, che governa la nostra maniera di vivere. La dimostrazione di Benedetto XVI è chiara e definitiva e si riassume con le parole dello scrittore Dostoevskij: “Se Dio non esiste, tutto è permesso”! Se l’oggettività dell’assoluto divino è messa in discussione, allora le trasgressioni più contrarie alla natura sono possibili, compreso l’abuso sessuale sui minori. Da altro canto, l’ideologia del 1968 ha talvolta tentato di fare ammettere la liceità della pedofilia. Abbiamo ancora per le mani i testi di questi eroi libertini che si vantavano dei loro amori trasgressivi con dei minori. Se tutti gli atti morali diventano relativi all’intenzione del soggetto e alle circostanze, allora niente è definitivamente impossibile e radicalmente contrario alla dignità umana. Questa è l’atmosfera morale del rifiuto di Dio, il clima spirituale di rifiuto dell’oggettività divina che rende possibile la proliferazione degli abusi sui minori e la depenalizzazione degli atti contrari alla castità presso il clero.

Secondo le parole di Benedetto XVI “Un mondo senza Dio non può essere che un mondo senza significato. Perché, allora, da dove viene tutto ciò che esiste? (…) Il mondo è lì, semplicemente, non si sa come e non c’è né un inizio né un senso. Di conseguenza non c’è più la norma del bene e del male e quindi solo chi è più forte dell’altro si può autoaffermare. Allora la forza è il solo principio. La verità non conta, non esiste nemmeno” (II, 1). Se Dio non è il principio, se la verità non esiste, conta solo il potere. Che cosa dunque impedisce l’abuso di questo potere di un adulto su minore? La dimostrazione di Benedetto XVI è chiara: “in ultima analisi la ragione [degli abusi] è l’assenza di Dio”, “è solo dove la fede non determina più le azioni degli uomini che tali crimini sono possibili”.

Dopo aver posto questo principio, il Papa emerito ne mostra le conseguenze. Sono stato personalmente molto colpito dal fatto che per lui, la prima conseguenza si manifesta nella “questione della vita sacerdotale” (II, 1) e della formazione dei seminaristi. Questo mi conforta in una delle intuizioni fondamentali del mio ultimo libro.

Benedetto XVI scrive: “Nel contesto dell’incontro dei Presidenti delle Conferenze Episcopali del mondo intero con Papa Francesco, la questione della vita sacerdotale come quella dei seminari è di un interesse primario”. Egli indica qui la conseguenza immediata della dimenticanza di Dio: la crisi del sacerdozio. Si può affermare che i sacerdoti siano stati i primi toccati dalla crisi della fede e che abbiano trascinato con sé il popolo cristiano. La crisi degli abusi sessuali è la punta emersa e particolarmente ributtante dell’iceberg della crisi profonda del sacerdozio.

In cosa consiste [la crisi del sacerdozio]? Riprendiamo qui le stesse parole del Papa emerito. Abbiamo visto, da molto tempo, diffondersi una “vita sacerdotale” che non è più “determinata dalla fede”. Orbene, se c’è una vita che dovrebbe interamente e assolutamente essere determinata dalla fede, essa è proprio la vita sacerdotale. Essa dovrebbe essere una vita consacrata, vale a dire donata, riservata e offerta a Dio solo e totalmente nascosta in Dio. Invece spesso abbiamo visto dei sacerdoti vivere come se Dio non esistesse.

Benedetto XVI riprende qui le parole del teologo Balthasar: “Non fate di Dio un presupposto” (III, 1). Vale a dire, non fatene una nozione astratta. Al contrario, secondo le parole di Papa Benedetto, “Dobbiamo soprattutto imparare a riconoscere Dio come fondamento della nostra vita anziché lasciarlo da parte come una parola che diviene inoperante” (III, 1).

“Il tema ‘Dio’ – prosegue – sembra così irreale, così lontano dalle cose che ci preoccupano.”

In definitiva, con queste parole, Benedetto XVI descrive uno stile di vita sacerdotale secolarizzato e profano. Una vita nella quale Dio passa in secondo piano. Egli ce ne dà degli esempi. Abbiamo voluto che la prima preoccupazione dei vescovi non fosse Dio stesso ma una “relazione radicalmente aperta al mondo” (II, 1), egli scrive. Abbiamo trasformato i seminari per farne dei luoghi secolarizzati dove, dice Benedetto XVI, “il clima non può dare sostegno alla vocazione sacerdotale”. Infatti la vita di preghiera e di adorazione sono state trascurate, il senso della consacrazione a Dio è stato dimenticato. Il Papa emerito cita i sintomi di questo oblio: la mescolanza con il mondo laico che introduce il rumore e nega il fatto che il sacerdote è interamente, a causa del suo sacerdozio, un uomo separato dal mondo, riservato per Dio (II, 1). Egli cita altresì la costituzione di club omosessuali nei seminari. Questo fatto non è tanto la causa ma il segno di un oblio di Dio già largamente instaurato. Infatti, dei seminaristi che vivono apertamente in contraddizione con la morale naturale e rivelata mostrano che essi non vivono per Dio, che non appartengono a Dio, che non cercano Dio. Forse cercano una professione, forse apprezzano gli aspetti sociali del ministero. Ma hanno dimenticato l’essenziale: un sacerdote è un uomo di Dio, un uomo per Dio.

La cosa più grave è forse che i loro formatori non hanno detto niente o hanno volontariamente promosso la concezione orizzontale e mondana del sacerdozio. Come se i vescovi formatori dei seminari avessero essi stessi rinunciato alla centralità di Dio. Come se anche essi avessero fatto passare la fede in secondo piano, rendendola inoperosa. Come se anche essi avessero rimpiazzato il primato di una vita per Dio e secondo Dio per il dogma dell’apertura al mondo, del relativismo e del soggettivismo. Si rimane colpiti nel vedere che l’oggettività di Dio si è ritrovata come eclissata da una forma di religione della soggettività umana. Papa Francesco parla con ragione di autoreferenzialità. Credo che la prima forma di autoreferenzialità sia quella che nega il riferimento a Dio, alla sua oggettività per non guardare che il riferimento all’uomo e alla sua soggettività.

Come è possibile vivere una vita autenticamente sacerdotale in tale clima? Come mettere un limite alla tentazione dell’onnipotenza? Un uomo che non ha che se stesso come riferimento, che non vive per Dio ma per se stesso, non secondo Dio ma secondo i propri desideri, finirà per cadere nella logica dell’abuso di potere e dell’abuso sessuale. Chi metterà un freno ai suoi desideri, anche i più perversi, se conta solo la sua soggettività? L’oblio di Dio apre la porta a qualsiasi abuso. L’abbiamo già constatato nella società. Ma l’oblio di Dio si è introdotto fin nella Chiesa e perfino tra i sacerdoti. Ineluttabilmente, gli abusi di potere gli abusi sessuali si sono diffusi in mezzo ai sacerdoti. Disgraziatamente ci sono dei sacerdoti che, praticamente, non credono più, non pregano più o molto poco, non vivono più i sacramenti come una dimensione vitale del loro sacerdozio. Sono divenuti tiepidi e pressoché atei.

L’ateismo pratico è alla base delle psicologie degli abusatori. La Chiesa si è lasciata da molto tempo conquistare da questo ateismo liquido. Non ci si deve stupire di scoprire nel suo seno degli abusatori e dei pervertiti. Se Dio non esiste, tutto è permesso! Se Dio non esiste concretamente, tutto è possibile!

Vorrei a questo proposito sottolineare la bella riflessione di Papa Benedetto XVI a proposito del diritto canonico in generale e del diritto penale in particolare.

Infatti, il diritto canonico è fondamentalmente una struttura che mira a proteggere l’oggettività della nostra relazione con Dio. Come sottolinea Benedetto XVI, “il diritto deve proteggere la fede, che è anche un bene legale” (II, 2). La fede è il nostro primo bene comune. Grazie ad esso, noi diveniamo figli della Chiesa. Essa è un bene oggettivo, e il primo dovere dell’autorità è di difenderla. Ora, come sottolinea il Papa emerito, “nella coscienza generale che abbiamo della legge, la fede non sembra più avere il rango di un bene che deve essere protetto. Si tratta – sottolinea – di una situazione allarmante che deve essere seriamente presa in considerazione dai pastori della Chiesa” (II, 2). I vescovi hanno il dovere e l’obbligo di difendere il deposito della fede cattolica, la dottrina e l’insegnamento morale che la Chiesa ha sempre e fedelmente insegnato.

Questo è un punto di capitale importanza. La crisi degli abusi sessuali ha rivelato una crisi dell’oggettività della fede che si manifesta anche sul piano dell’autorità della Chiesa. Infatti, così come i pastori si rifiutano di punire i sacerdoti che insegnano dottrine contrarie all’oggettività della fede, allo stesso modo si rifiutano di punire i sacerdoti colpevoli di pratiche contrarie alla castità o addirittura di abusi sessuali. È la stessa logica. Si tratta di un’espressione falsata di “garantismo”, che Papa Benedetto definisce anche in questi termini: “solo i diritti dell’accusato devono essere garantiti, al punto tale che, di fatto, ogni condanna è esclusa” (II, 2).

Troviamo ancora la stessa ideologia. Il soggetto, i suoi desideri, le sue intenzioni soggettive, le circostanze diventano l’unica realtà. L’oggettività della fede e della morale passano in secondo piano. Una tale idolatria del soggetto esclude di fatto qualsiasi pena o punizione, tanto per i teologi eretici che per i chierici abusatori. Rifiutando di considerare l’oggettività degli atti, come ribadisce Benedetto XVI, si sono abbandonati i “piccoli” e deboli ai deliri di onnipotenza degli aguzzini. Sì, sotto il pretesto di misericordia si è abbandonata la fede dei deboli e dei piccoli. Li si sono lasciati nelle mani degli intellettuali che godono all’idea di demolire la fede con le loro teorie fumose che ci si è rifiutati di condannare. Allo stesso modo, si sono abbandonate le vittime degli abusi. Si è trascurato di condannare gli abusatori, gli aguzzini dell’innocenza e della purezza degli bambini e talvolta dei seminaristi o delle religiose. Tutto questo col pretesto di comprendere i soggetti, di rifiutare l’oggettività della fede e della morale. Credo che condannare e infliggere una pena, tanto nell’ordine della fede quanto nell’ordine della morale, sia la prova di una grande misericordia da parte dell’autorità.

Come sottolinea Benedetto XVI, gli abusi sessuali sono oggettivamente “un delitto contro la fede”. Questa qualifica, egli dice, non è “un escamotage per poter comminare la pena massima, ma una con­seguenza del peso della fede per la Chiesa. In effetti è importante tener presente che, in simili colpe di chierici, ultimamente viene danneggiata la fede.”

Credo che l’atteggiamento dei sacerdoti che giocano, sia con la fede dei fedeli, sia con la loro vita morale, con un sentimento di impunità, sia il vero clericalismo. Sì, il clericalismo è questo atteggiamento di rifiuto delle pene e delle punizioni in caso di trasgressione contro la fede e la morale. Il clericalismo è il rifiuto dell’oggettività della fede e della morale da parte dei sacerdoti. Il clericalismo che Papa Francesco ci chiama a sradicare consiste, in definitiva, in questo soggettivismo impenitente dei sacerdoti!

Mi rimane da affrontare un’ultima conseguenza dell’oblio di Dio e dell’oggettività della fede. Se la fede non plasma più i nostri comportamenti, allora la Chiesa per noi non è una realtà divina ricevuta come un dono ma una realtà da costruire secondo le nostro idee e i nostri programmi. Sono stato profondamente scioccato e ferito da come taluni hanno accolto il testo di Benedetto XVI. Hanno detto che “questo messaggio non si può sentire”, che non è ciò di cui la Chiesa ha bisogno per essere nuovamente credibile.

Signore, signori, la Chiesa non ha bisogno di esperti di comunicazione. Non è una ONG in crisi che ha bisogno di rendersi nuovamente popolare! La sua legittimità non viene dai sondaggi ma da Dio!

Come ha detto Benedetto XVI, “la crisi causata dai numerosi casi di abuso commessi da sacerdoti ci spinge a considerare la Chiesa come qualcosa di miserabile: una cosa che dobbiamo ormai prendere in mano e ristrutturare. Ma una Chiesa fabbricata da noi non può continuare la speranza!”. Come sottolinea il Papa emerito, se vediamo oggi moltiplicarsi i casi di abuso è precisamente perché abbiamo ceduto alla tentazione di fare una Chiesa a nostra immagine e abbiamo messo Dio da parte. Non ricadiamo nella stessa trappola! Gli abusi rivelano una Chiesa che gli uomini hanno voluto prendere in mano! Sono dunque profondamente rattristato quando leggo una teologa scrivere che la Chiesa si è resa colpevole di un “peccato collettivo”, o che la Chiesa ha contribuito a una “struttura di peccato”. La stessa religiosa domenicana chiama a una rimessa in causa del concetto di verità proprio della Chiesa cattolica. Bisognerebbe, secondo lei, che la Chiesa rinunci a tutte le “pretese di competenza o di eccellenza in materia di santità, di verità e di morale”.

Un tale approccio non può che condurre al più puro soggettivismo. Questo ci riporta dunque alla causa stessa che ha prodotto la crisi. Perché se non c’è più una verità e una morale insegnata, chi dunque potrà affermare che ci sono delle cose che non si possono mai fare? Una volta ancora, se Dio non esiste oggettivamente, se la verità non si impone, allora tutto è permesso!

Qual è dunque la via che ci propone Benedetto XVI? È semplice. Se la causa della crisi è l’oblio di Dio, allora rimettiamo Dio al centro! Rimettiamo al centro della Chiesa e delle nostre liturgie il primato di Dio, la presenza di Dio, la sua presenza oggettiva e reale. Sono stato particolarmente toccato in qualità di Prefetto della Congregazione per il Culto divino di un commento di Benedetto XVI. Egli afferma che “i colloqui con le vittime della pedofilia l’hanno condotto a una coscienza sempre più stringente dell’esigenza di un rinnovamento della fede nella presenza di Gesù nel Santissimo Sacramento” e di una celebrazione dell’Eucarestia rinnovata dalla maggior riverenza (III, 2).

Signore, signori, lo voglio sottolineare, non si tratta della conclusione di un esperto in teologia ma della parola saggia di un pastore che si è lasciato profondamente toccare dalle storie delle vittime della pedofilia. Benedetto XVI ha compreso con la sua profonda delicatezza che il rispetto verso il corpo eucaristico del Signore condiziona il rispetto verso il corpo puro e innocente dei bambini.

“L’eucaristia è stata svalutata”, ha affermato. Si è diffusa una maniera di trattare il Santissimo sacramento che “distrugge la grandezza del mistero”. Come il Papa emerito sono profondamente persuaso che se non adoriamo il corpo eucaristico del nostro Dio, se non lo trattiamo con un timore gioioso e pieno di riverenza, allora nascerà tra noi la tentazione di profanare il corpo dei fanciulli.

Sottolineo la conclusione di Benedetto XVI: “quando pensiamo all’azione che più di tutte è necessaria, diviene evidente che non abbiamo bisogno di una nuova Chiesa di nostra invenzione. Al contrario, ciò che bisogna fare subito e prima di tutto è il rinnovamento della fede nella presenza di Gesù Cristo donato a noi nel Santissimo Sacramento” (III, 2).

Allora signore, signori, per concludere vi dico nuovamente con Papa Benedetto: sì, la Chiesa è piena di peccatori. Ma non è in crisi. Siamo noi ad essere in crisi. Il diavolo ci vuol far dubitare. Ci vuole fare credere che Dio abbandona la sua Chiesa. No, ella è sempre “il campo di Dio. Non c’è solamente la zizzania ma anche la semina di Dio. Annunciare in egual misura entrambe con forza non è falsa apologetica, ma un servizio necessario reso alla verità”, dice Benedetto XVI. Egli lo prova, la sua presenza orante e docente in mezzo a noi, nel cuore della Chiesa, a Roma, ce lo conferma. Sì, in mezzo a noi ci sono delle belle messi divine.

Grazie caro Papa Benedetto di essere, conformemente al suo motto, operatore di verità, un servitore della verità. Le sue parole ci confortano e rassicurano. Lei è un testimone, un martire della verità.

Grazie.

Card. Robert Sarah, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.

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