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Beata Conchita Cabrera De Armida: Sacerdoti di Cristo, X parte

B. Conchita Cabrera De Armida

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di venerdì 30 luglio 2021

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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Beata Conchita Cabrera De Armida: Sacerdoti di Cristo, X parte

Eccoci giunti a venerdì 30 luglio 2021. Oggi festeggiamo San Pietro Crisologo, Vescovo e Dottore della Chiesa. Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi tratta dal capitolo XIII di San Matteo, versetti 54-58.  

Non dimentichiamo mai questa espressione di Gesù: “un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua”. Quindi tanti di voi che vivono in modo profetico la loro vita sperimentano nella propria casa, nel proprio luogo di lavoro, accanto alle persone più care, il disprezzo e l’incredulità. L’ha vissuto anche Gesù, non si può fare nulla, se non andar avanti, sempre andare avanti, mai fermarsi, mai andare indietro.  

Continuiamo la lettura del nostro testo “Sacerdoti di Cristo” della Beata Conchita Cabrera de Armida. 

Gesù sta continuando a parlare dei Sacerdoti tiepidi e, ripeto, io leggo queste parole di Gesù che possono essere applicate a chiunque, non solamente ai Sacerdoti — ai Sacerdoti a maggior ragione — e vedete quanto ritorna, quanto è lungo questo discorso sulla tiepidezza perché è un male diffuso, è un male molto grave, è un male difficile da guarire, da estirpare.

Dice Gesù:

“Ma il mio Cuore d’uomo soffre profondamente le indelicatezze dell’uomo, e poiché sono una cosa sola con la Divinità, essendo Dio e uomo, mi ferisce molto amaramente che amministri i sacramenti un sacerdote in stato di peccato, e provo una grande pena davanti al Padre mio per il fatto che le sue ricchezze sono distribuite da chi non meriterebbe nemmeno di toccarle.”

Quindi continua questo tema del: se sei in peccato mortale, prima ti confessi, poi amministri i sacramenti o li ricevi, ma prima c’è la confessione e questo ferisce il cuore del Signore.

“A volte i sacerdoti si fanno un’idea molto elevata di Me (come dev’essere), che però in un certo senso li danneggia. Mi vedono in alto, si sentono molto lontani da Me, mi contemplano lassù sul trono della Divinità. Tutto questo sta molto bene; ma non assimilano compiutamente l’idea che sono anche Uomo e Dio; che vivo in continuo contatto con loro, e non solo nell’Eucaristia, in una unione più che intima quando essi compiono i doveri del loro ministero; che so sentire le indelicatezze, l’abbandono, che soffro e mi rattristo quando mi pospongono a una creatura, a una vana occupazione, perfino a un peccato che la mia delicatezza copre.”

Capite? È giusto vedere il Signore nella sua trascendenza, diciamo così, ma non dimentichiamo che Lui ci è anche molto prossimo, molto intimo e soffre per le indelicatezze, per l’abbandono, quando noi lo abbandoniamo nel Tabernacolo andando a fare altro.

“Quando mi pospongono una creatura”. 

Quanto tempo passiamo al telefono? Quanto tempo stiamo con le persone? Quanto tempo a scrivere, a chattare e altre mille cose. E il rapporto con il Signore è sempre dopo e sempre poco. Preferiscono parlare con i “maramei” che stanno passando o con le varie Dalile di turno, che alla fine vi faranno cavare gli occhi dopo avervi tagliato le trecce come a Sansone. E finisco schiavo a fare il giullare di corte, a fare il pagliaccio, come lui, cieco, schiavo e incatenato. Una fine terribile. E perché? Notate… non è per lussuria o qualcosa di immorale che lui svela il suo segreto. L’unica ragione per cui lui finisce nel peggior modo possibile non è perché cade in chissà quale peccato di carne o di mondo, niente di tutto questo. Noi pensiamo sempre che la caduta di un grande uomo sia legata a fatti chiaramente e moralmente connotabili come peccati gravi — può anche essere quello — ma nel caso di Sansone non è così. La sua storia va sempre tenuta sotto gli occhi perché lui era un uomo fortissimo, già consacrato nel grembo di sua madre, il suo segreto erano le lunghe trecce, l’essere il consacrato del Signore che consisteva nel non tagliare mai i capelli. Che è un po’ la prerogativa di Gesù, il Nazireo, il consacrato del Signore che teneva i capelli lunghi. E quindi finché Sansone aveva le sue folte trecce, questi capelli lunghissimi che lui intrecciava, andava tutto bene. I filistei vanno da Dalila e, promettendole denaro, le dicono di scoprire il segreto di Sansone. La scrittura dice che Sansone cede a motivo del tedio di Dalila, della petulanza, dell’insistenza, dell’invadenza, del continuare come una forma di ossessione compulsiva a chiedere. Noi Sacerdoti siamo purtroppo circondati non da una Dalila, ma da tante Dalile e non solo donne, perché questa figura non è da vedere solo come figura femminile. Lì era una donna, ma può essere tranquillamente un uomo che porta in sé i tratti tipici di Dalila. 

Dicevamo, a motivo di questo sfiancamento di Dalila, Sansone non ce la fa più e le svela il suo segreto. Anziché darle un calcio, sta lì e, a motivo della sua insistenza, le svela il suo segreto e lei lo addormenta sulle sue gambe. 

Mi sembra di vedere il film su San Filippo Neri nella scena di quel ragazzo che muore, che si addormenta tra le braccia della bella mora. È terribile. Un film bellissimo, ma tremendo, sul quale ci sarebbe da fare un’analisi incredibile. Magari un giorno vi farò un’analisi di quel film, perché a livello di tattica del demonio, è veramente un’opera d’arte.

Quindi Sansone si addormenta sulle sue gambe e lei gli rasa tutte le trecce. Andate a leggere da lì in avanti cosa sarà la sua vita. Una catastrofe, una sciagura. Arriveranno i Filistei, gli caveranno gli occhi, cioè lo rendono cieco. L’aver svelato il suo segreto più intimo, ciò che lo legava a Dio, lo rende cieco, gli fa perdere tutta la forza che viene da Dio, lo Spirito di Dio si ritira da lui e lui rimane completamente solo, abbandonato nelle mani dei nemici che gli cavano gli occhi, lo rendono schiavo e lo rendono il loro giullare. Lo portano alla loro corte e lo rendono il loro pagliaccio. Guardate che è terribile. È una delle disgrazie più terribili che ci può capitare. Quelli che sono i segreti di Dio, quello che è il nostro rapporto con Dio, non deve essere svelato a nessuno e, quando abbiamo acconto le Dalile, mandiamole via. 

Oggi abbiamo telefoni che con le diverse funzioni ci permettono di renderci introvabili e così evitiamo di farci tagliare le trecce. Ci sarebbero da dire mille cose su questo, ma andiamo avanti.

“Mi pospongono ad una vana creatura, a una vana occupazione”

Non posponiamo Gesù a niente  e a nessuno.

Voi mi chiederete cosa ne penso di questo tedio, se veramente succede così. Guardate, ve lo assicuro, io sono di questo parere: quella più pericolosa non è la tentazione della donna nuda, la classica tentazione impura — adesso parlo degli uomini, ma vale anche per la donna — non è questa tentazione e il demonio lo sa benissimo, perché quando si è iniziato un certo cammino, quel tipo di tentazione è banale, non si rimane coinvolti. Non è attraverso la lussuria o tutti quei peccati lì che ci sono, ma il tedio sì, quella è una tentazione terribile, perché ci vuole una prontezza di riflessi, ci vuole una capacità di distacco, un’immediatezza di fuggire via, una capacità di dire “no”, di dare un taglio netto. E credetelo, la capacità di saper stare al proprio posto, di lasciare stare il Sacerdozio, di saper rispettare la necessità del silenzio è veramente il primo segno di carità. Capisci chi ti vuole bene davvero da quanto rispetta le esigenze del tuo Sacerdozio, così per uno sposato, da chi rispetta le esigenze del tuo matrimonio. 

Vi faccio un esempio: una volta mi capitò di dire ad una persona, che ero molto preso. Era un tempo di esami, molto denso e facevo fatica ad essere presente con la testa, quindi chiesi che non continuasse a chiamarmi, a questionare su cose stupide, ma di stare un po’ in silenzio affinché, magari, anche a lui si sarebbero chiarite le idee. Io avevo bisogno di questo tempo per finire le cose che dovevo finire secondo i doveri del mio stato. Niente da fare, come se avessi parlato al vento. Passa poco tempo e questa persona dice: “Sarà possibile in quell’occasione e in quella data poterla incontrare?” 

Io risposi: “Dipende dal tuo comportamento, dipende da quanto sarai stato capace di stare al tuo posto.”

Da quando ho detto questa frase, questa persona è sparita. 

Questo cosa vuol dire? Vuol dire che quando c’è di mezzo il mio interesse sono capace di fare quello che devo fare, quando c’è di mezzo la carità dell’altro, no. Vedete? 

Questo è “Dalila”, cioè il voler prendere la farfalla. Ma se io la prendo tra le due dita e tolgo la polverina, la farfalla non vola più. Questo voler possedere, questo voler toccare…

Ad un mio compagno un tizio una volta disse: “Oh, Padre, ero convinto che per quella ragazza lei avrebbe gettato la veste alle ortiche” e lui gli rispose: “io non ho gettato la veste nelle ortiche, ma ho gettato lei…”

Finiamo ora questa parte:

“Io voglio più dignità nei miei sacerdoti, maggiore delicatezza e fedeltà nei miei riguardi, un tratto più intimo e una santa familiarità con il loro Gesù. Voglio che i miei sacerdoti comprendano meglio che, se sono Dio, sono anche uomo, e con un Cuore che li ama teneramente e desidera unicamente il loro bene. Per questo chiedo la loro trasformazione in Me, per questo mi adopero per l’unità di tutti in Me, perché sia perfetta nella Trinità. Se i miei sacerdoti comprendessero a fondo la tenerezza e delicatezza con cui li amo, e perché li amo, e perché voglio farli felici, e perché desidero ardentemente la loro identificazione con Me! Al mio infinito amore non basta vedere i sacerdoti divenuti Me sull’altare, voglio vederli sempre così, voglio che siano compenetrati di Me, dal momento che Io stesso palpito, vivo, opero, amo in loro! 

In fondo, queste confidenze non hanno altro scopo che la trasformazione dei sacerdoti in Me, e la salvezza e la rigenerazione del mondo realizzata da Me attraverso di loro. Si tratta di un nuovo slancio della mia carità, di un nuovo stimolo del mio amore, di quell’amore che fa sì che un Dio si abbassi a mendicare l’amore delle sue creature.”

Maggiore dignità.

Quanto è difficile essere dignitosi. Quanto è difficile custodire la dignità sacerdotale perché tutti in ogni modo cercano di strappartela via, di renderti come loro. Togliere la tua sacralità il tuo rimando a Dio e si comincia dalla veste, ecco perché la Madonna alle Tre Fontane dice di metterla. 

“Ma no, noi dobbiamo essere mischiati nel mondo, non dobbiamo distinguerci, non dobbiamo creare paletti, non dobbiamo creare distanze”. 

Io sono un Sacerdote e vado avanti a portare la mia veste! Altrimenti il Beato Rolando Rivi è morto per cosa, per niente?  

Dignità!

Più noi siamo dignitosi, più anche gli altri saranno portati ad avere rispetto della dignità, ma non in quanto noi, ma in quanto ciò che noi portiamo, cioè Cristo. Questo è il punto della dignità. È da stolti dire che è un linguaggio ottocentesco, molto romantico, che sottolinea la dignità dei Sacerdoti a scapito della dignità degli altri. Questo è un ragionamento stupido. Non è a discapito di nessuno, è così, e così va trattato. 

“Maggiore delicatezza e fedeltà nei miei riguardi, un tratto più intimo e una santa familiarità con il loro Gesù.”

Chissà se Gesù è il nostro Gesù. “Jesu Jesu, Jesu esto mihi Jesus”.

Devo essere sincero, quando feci quella omelia a marzo ero convinto di aver trovato la frase più bella del mondo e da quel giorno l’ho sempre portata con me. Tutte le volte che celebro la Messa, appena effettuata la Consacrazione recito quella frase  perché mi sembra la più bella da dire in assoluto al Signore, ero convinto che mi sarebbero arrivati più riscontri, invece non ne sono arrivati molti, solo qualcuno.

Anche l’altra frase “Oh bone Jesu, esto mihi Jesus”, anche questa bellissima. 

Nella vita abbiamo questo. Cos’altro abbiamo di bello se non il nostro Gesù? “Il mio Gesù”. Se Gesù non è “il mio Gesù” non è niente, non è nessuno, è il nulla. Se io non posso guardare quest’Ostia santa e dirLe: “Tu sei il mio Gesù”, non è niente.

Quindi chiediamo al Preziosissimo Sangue di Gesù, in questi ultimi giorni e ore del mese di luglio, questa Grazia di un tratto più intimo e familiare con il Signore e chiediamogli questa Grazia di una grande delicatezza. Pensare a Gesù racchiuso in quel pezzettino di pane. A me che sono Sacerdote fa persino paura quando Lo devo toccare, paura nel senso di fragilità, paura nel senso dell’essere indifeso. Aveva ragione Madre Teresa di Calcutta quando disse che l’Eucaristia e i bambini nella pancia della loro mamma, sono le realtà più indifese in assoluto. È vero perché questo pezzettino di pane bianco è lì. È un mistero incredibile.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus. Amen.

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga. 

Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato.

 

VANGELO (Mt 13, 54-58)

In quel tempo Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi.

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