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“Quando sono debole è allora che sono forte”

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di domenica 4 luglio 2021

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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Scarica il testo della meditazione

“Quando sono debole è allora che sono forte”

Eccoci giunti a domenica 4 luglio 2021. Abbiamo ascoltato la seconda lettura della Santa Messa di oggi, tratta dalla seconda lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi capitolo XII, versetti 7-10.

Ho scelto, tra le tre letture possibili da commentare oggi, questa seconda di San Paolo perché mi sembra che sia una delle parti più conosciute e una delle più disattese. Noi diciamo queste cose, leggiamo queste cose, conosciamo queste cose ma non ci crediamo. La nostra vita non è questa. Qui non si parla di peccati e di virtù, si parla proprio di una prospettiva, non so quanti di noi vivano in questa prospettiva, innanzitutto la superbia, in una frase San Paolo ripete due volte la parola superbia. 

Quand’è stata l’ultima volta che abbiamo confessato il peccato della superbia? Il peccato della superbia è il peccato capitale per eccellenza. Tutti i peccati sono atti, forme di superbia. La superbia è il peccato di Lucifero. 

Ma noi sentiamo la superbia nella nostra vita? Ci accorgiamo di essere superbi? Nella nostra vita la superbia che forme assume? Perché la superbia assume tantissime forme, tante quanti siamo noi. Ognuno di noi ha le sue forme di superbia, non sono tutte uguali. Le mie quali sono?

Io penso che al Signore non potrà mai piacere una preghiera, un’adorazione, il rosario, la meditazione fatte da un cuore superbo. E penso che nella nostra vita ci sia tanta superbia. 

Quanto siamo disponibili ad essere corretti dagli altri? Quanto siamo disponibili ad essere corretti da un inferiore? Per esempio sul mondo del lavoro, ma non solo. Quanto siamo disponibili ad essere presi in giro? L’ironia. Quanto noi sappiamo fare ironia di noi stessi? E quanto accettiamo, di buon grado, che gli altri la facciano su di noi? Siamo permalosi? Ci sono delle cose che non vogliamo che vengano toccate? Per esempio l’aspetto fisico ma non solo, l’aspetto morale. Ci sono persone che hanno sempre in bocca il nome di Gesù e di Maria, che sembra che vivano una vita di profonda santità, ma che fanno sempre, solo, ovunque, totalmente, quello che vogliono loro. 

E qui dove la mettiamo l’umiltà? Persone incapaci di affidare la propria vita veramente a Dio. Persone che sono attori, registi, e pubblico della propria vita.

“È stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi”

Chissà noi che versi faremmo se ci dovesse succedere una cosa del genere. Noi le nostre spine le benediciamo e le accettiamo?

Anche a noi Gesù dice:

«Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza».

È la forza di Dio che si manifesta nella debolezza. 

Sapete, l’inviato di Satana può essere uno e possono essere tanti, può essere puro spirito come per i mistici che venivano percossi dal demonio oppure possono essere persone, situazioni. È umiliante essere percossi, è umiliante avere una spina nella carne, fa male. 

Il Signore dice: “Non ha importanza se c’è un inviato di Satana che ti percuote, non ha importanza se c’è una spina nella tua carne, quello che conta è che c’è la mia grazia, quindi non mi devi pregare che io te l’allontani, devi pregare di saper usare bene la mia grazia.”

 “La forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”

Che cosa vuol dire? Vuol dire che nel momento in cui io sono debole e sperimento la mia debolezza, quello è il momento in cui il Signore ha la possibilità di mostrare che Lui è Dio. Quindi dentro ad una grande debolezza il Signore abita e sa prendere le redini in mano: “Nonostante la tua grande debolezza e fragilità guarda cosa il Signore ha potuto fare con te”.

 “Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo.”

Noi ci vantiamo del nostro essere deboli? Del nostro essere bisognosi? A me non sembra molto. Noi facciamo di tutto per non apparire deboli e per non essere deboli, non vogliamo essere deboli e non vogliamo apparire deboli. 

Volete un esempio? Ne ho uno fresco, fresco. Quando un bambino cade per terra, che cosa fa? Cade per terra, resta per terra, si mette a piangere nell’attesa che la mamma venga e lo rialzi in piedi. Questo è un bambino piccolo. Cade, si guarda in giro e piange, e aspetta. Quando un bambino si fa male ad una mano, un dito, un braccio scoppia a piangere e va dalla mamma o aspetta che arrivi la mamma o il papà che sappia trattare il suo dolore, poi cinque minuti dopo che il papà gli ha dato qualche bacio, o qualche carezza, tutto sparisce. 

Un adulto fa esattamente quello che a un corso basic del 118 ti dicono di non fare mai, perché al corso basic del 118 ti dicono di fare esattamente come fa il bambino: se cadi, se hai un trauma, resta fermo, perché se per disgrazia ti sei rotto qualcosa e non stai fermo, quel danno può diventare un danno molto grave. Invece l’adulto, quando cade per terra, la prima cosa che fa è tirarsi in piedi come un grillo e dire: “Tutto bene, tutto bene, non è successo niente, sto benissimo”. Traduciamo l’atteggiamento: “non ho bisogno di nessuno, non ho bisogno di aiuto, non è successo niente”.

Capite la differenza? È una differenza sostanziale: noi non vogliamo essere deboli.

Che poi, se per disgrazia, quello si è spaccato una gamba, un piede, un femore, si alza in piedi e ci cammina sopra, viene fuori veramente un macello. Lui dovrebbe stare fermo e aspettare che arrivino i soccorsi. 

“Riesci a tirarti in piedi?”

“No, non voglio tirarmi in piedi, perché se mi sono spaccato e mi tiro in piedi, il danno da 2 diventa 2.000.”

Ma noi, per non apparire deboli, ci tiriamo in piedi. È una questione molto delicata, sembra una cosa banale, in realtà qui dietro ci stanno tante cose. 

Non è stato facile, ad esempio per me, ma non lo è ancora tutt’ora, dover oppormi alla tentazione di essere Dio.

Voi direte: “Padre Giorgio è impazzito completamente, è andato in una forma di narcisismo ipocondriaco, assoluto, autoavvitante, è andato fuori di testa. Di cosa sta parlando?”

Ve lo spiego. Vi spiego la tentazione di essere Dio. Mai io ho la tentazione dell’impurità, della gola, di andare dietro alle donne nude… Beati voi che avete queste tentazioni, io ho la tentazione di essere Dio. 

Come si concretizza questa mia tentazione di essere Dio? Nel sentirmi un superuomo, nel sentirmi super intelligente? No. Allora come si concretizza la tentazione di essere Dio? La tentazione di essere Dio, nel mio caso, si concretizza nella tentazione di non riconoscere che, su questa terra, c’è un limite a tutto. Che c’è un limite, un confine, uno stop, una soglia, c’è una porta chiusa. 

Faccio un esempio: nonostante l’abbia detto, ridetto, a qualcuno l’ho anche scritto, tante volte la gente non ha un limite legato al rispetto — oltre che alla buona educazione — per cui se vede il post dell’ultima profezia apocalittica, e sono le 23.30 di sera, lo prende e lo inoltra a Padre Giorgio. Se gli è venuto un foruncolo sul naso e ha bisogno di qualcosa lo scrive: “magari mi dà qualche consiglio, sapete quei consigli un po’ da monaci che fanno intrugli con le erbe, sapete tra frati, monaci, magari ha qualcosa di un po’ esoterico, qualche zampa di drago da darmi per farmi guarire il foruncolo”. Ma che ore sono? Sono le 2.00 di notte. “Ma si che vuoi che sia, io glielo mando, mica posso aspettare fino a domani.” 

Se ha avuto un litigio con la suocera, è un caso di stato, se non è stato capito perfettamente da qualcuno, è un crimine contro l’umanità quindi, che ore sono? Mezzanotte e quindici, “io glielo scrivo”. Che ore sono? Le 23, le 22? “Ma io glielo scrivo. A me cosa mi interessa.”

Dall’altra parte il delirio, perché poi diventa un delirio, questo delirio di essere Dio — che non è proprio assimilabile al delirio di onnipotenza, non è proprio la stessa cosa, sfocia anche in quello ma in prima istanza non è la stessa cosa — inizia a configurarsi nella vita quando tu vedi questi benedetti numerini rossi che cominciano a moltiplicarsi sulle app e ti viene un po’ di panico quando vedi che le mail diventano 40-50, e tu dici: “Ma come è possibile?”. Quando i messaggi di whatsapp diventano 62, quando i messaggi di Messenger diventano 35, ti senti come soverchiato da tutto questo mondo al quale tu non puoi mettere un limite, perché i numerini rossi continuano ad aumentare. Il delirio, la tentazione di essere Dio ti fa dire: “No, non vorrai mica fare brutta figura e non rispondere alle persone che hanno bisogno? Non vorrai mica lasciare lì queste richieste? Non vorrai mica essere così stupido da aspettare a rispondere così domani mattina quando ti svegli anziché trovartene 50 te ne troverai 180 di mail da rispondere? Fallo subito, così sei a posto.”

La mia coscienza dice: “Sì ma devi anche pregare, devi anche stare con Gesù, non avranno mai fine questi numerini rossi, si moltiplicheranno in continuazione.” 

Che poi, per che cosa sono? Perché ti devo mandare l’immagine della rosa, la foto del sole, della nuvola, del quadro a cui io sono devoto. Ma possibile, me la devi mandare a mezzanotte? Io non mi sognerei mai, ci penso 25 volte prima di scrivere a un mio professore di università, e mai scriverei dopo le 17 di sera, mai scriverei prima delle 8.30-9.00 del mattino. Mai. Se non voglio finire giù dalla finestra, non lo farei mai. Se devo scrivere ad un dottore, non gli scriverei mai alle 2.00 di notte.

Se uno non vuole perdere il senso della realtà, deve guardare quei numerini rossi e dire: “Ciao, ciao”. E lasciarli lì.

“Ti basta la mia grazia”

“Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze“

Esatto, io non sono Dio. Mi spiace, forse qualcuno pensava diversamente. Diciamolo: “Io non sono Dio”. Quindi non posso comportarmi da Dio, quindi c’è un orario, l’orario del rispetto prima di tutto, e l’orario del Sacerdozio perché devo anche pregare, soprattutto devo pregare, perché Dio non mi ha chiamato per rispondere ai messaggi di whatsapp e per mandare le mail. No. 

Poi queste mail lunghe come non so dire che cosa. Ma la capacità di sintesi, possibile che alle elementari non abbiamo tutti imparato a fare il riassunto? Ed è possibile che il mio pensiero sia talmente importante che per dirlo devo impiegarci 12.000 caratteri?

Adesso mi sto ingegnando, adesso metterò un limite, ve lo dirò tra un po’, vi assicuro che ve lo dirò: io leggerò le mail che hanno un determinato numero di caratteri, un po’ come i nostri professori all’università che ti dicono: “voi dovete fare un elaborato su questo tema di teologia — che sono temi grossi — il vostro elaborato deve essere al massimo di 8.000 battute, spazi inclusi. E tu devi imparare a vedere come sono 8.000 battute perché se ne scrivi 8.001 il professore non lo legge. Bisogna fare così. Tu mandi una mail, io vi avviso che leggerò le mail che hanno, ipotizzo, cento caratteri spazi inclusi. Sono 101 caratteri? Cestino. Perché la capacità di sintesi, credetemi, è fondamentale. Mi ricordo quando a qualcuno dicevo: “Ma professore, non riesco a scrivere una cosa così importante in 8 pagine”

“Non riesci? Impari” 

Mi ricorderò sempre questa risposta: “È una forma di ascesi”. 

Anzi, 8 pagine sono troppo poche? Allora lo devi fare in 5, perché ciò che è importante tu devi essere capace di dirlo in una frase, altrimenti non si cresce. E poi per rispetto dei professori, perché se hanno 100 alunni, sono 100 elaborati da correggere, immaginatevi cosa sono 8 pagine moltiplicate per 100. È una questione di rispetto. 

Sono debole? Esatto. Non sono Dio. E uno lo deve riconoscere, innanzitutto a se stesso, e dire: io non sono Dio, non posso fare tutto, ho un limite. Ha 40 mail a cui rispondere? Pazienza, risponderò. Sarebbe giusto rispondere entro sera, sì ma la giornata è fatta di 24 ore e c’è anche uno spazio che si chiama letto, e per quanto poco uno lo usi, lo deve comunque usare. 

Altra cosa i vocali… almeno scrivile le cose, così la sintesi è maggiore, scrivi e vedi… invece arrivano vocali che vanno a prendere storie da Adamo ed Eva fino ad arrivare ad oggi. Vocali di 25 minuti. Ma chi è che ha 25 minuti? Per dire che cosa? 

Il rispetto e la concezione corretta della debolezza.

Io sono debole, sono un essere umano, sono limitato, e non ho tutto il tempo che voglio a disposizione, esaurito quel tempo, basta. Ciascuno di noi ha la responsabilità sugli altri. La colpa non è mia se io ho ancora 40 mail a cui rispondere, non posso farci niente, il Signore mi è testimone, quel tempo che ho più usato di così, lo consumo più che bruciarlo. 

Mi hanno scritto delle mail lunghe non so quanto? Chi le ha scritte ha la sua responsabilità perché per leggere quelle ho dovuto non leggerne altre. Se voi notate le mie risposte alle mail sono circa, più o meno, di una frase e mezza — quando sono logorroico — diversamente sono nell’ordine di 7-8 parole, compresi anche gli articoli, quando metto la firma. Non servono miliardi di parole, non servono. Serve l’ascesi. 

Il bello è che me lo scrivono: “Padre lo so che lei vuole le cose sintetiche, però…” e giù una spatafiata che sembra di leggere l’Eneide. Omero a confronto sbiadisce. Chi è Dante? Nessuno, è un poverino. “Io lo so che… però…” 

Allora io devo dire: “Io ho un limite, quindi da quest’ora a quest’ora io non rispondo più” e questo lo dico soprattutto ai Sacerdoti, a chi come me condivide questo Ministero. A mio giudizio bisogna mettere un limite. Oltre qui non si va. Perché? Perché c’è uno spazio per Dio. E questo spazio deve essere rispettato. 

“Mi compiaccio delle mie debolezze”

Diranno che non sono un bravo prete, pazienza. 

“Mi compiaccio delle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo”

Noi non ci compiacciamo mai di queste cose, noi le odiamo queste cose, gli oltraggi, le difficoltà, le persecuzioni, le angosce sofferte per Cristo, noi non le vogliamo, altro che dire:

“Quando sono debole è allora che sono forte”

Non ci crediamo in queste cose, noi facciamo esattamente il contrario, infatti, la maggior parte di queste mail e di questi messaggi cosa dicono: “Ecco, mi trattano male, non mi capiscono, non mi rispettano, per la Comunione, per la Messa succedono queste cose, vengo maltrattato, vengo umiliato…”

Ma tu dovresti essere contento, io dovrei essere contento, noi dovremmo essere contenti, perché le soffriamo per Gesù, perché è quando siamo deboli che siamo forti, ma siccome in queste cose non ci crediamo, allora facciamo miliardi di parole, miliardi di compensazioni, e chi si butta sul cibo, chi sul sesso, chi sulle parole inutili, chi su Facebook, chi a perdere tempo, e chi dice che non può studiare perché ha la testa che gli esplode, perché queste situazioni lo fanno soffrire così tanto che è disperato. 

Ma noi non abbiamo detto “Parola di Dio” qui?

“Mi compiaccio delle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo”

Non è vero, noi non ci crediamo. Fine del discorso. Non è vero che quando sono debole, sono forte.

Una persona, mi ricorderò sempre, una volte mi prese in giro perché non ero capace di fare una cosa:

“Non sei capace di fare questa cosa?”

“No, non sono capace, e allora? Perché tu sei capace di fare tutto? Beato te, io no. Non sono Dio, e quindi non so fare tutto, so fare poche cose, limitate ai miei doveri.”

“E il resto?”

“E il resto chiedo aiuto, e non lo ritengo essere un peccato mortale, anzi, se non sono capace chiedo aiuto, chiedo aiuto al Signore prima di tutto, e se non sono capace chiedo aiuto a qualcuno che ho accanto, ci sono tante persone buone a questo mondo”. 

Concludiamo. Adesso ogni giorno, quando mi ricorderò, vi leggerò un pensiero di Suor Maria Antonietta Prevedello delle suore di Maria Bambina. Pensate che il testo che abbiamo commentato fino a ieri, la Lettera Pastorale “Il Sangue di Cristo” che il Cardinale Adeodato Piazza pubblicò per la Quaresima del 1538, lui la fece dietro insistente suggerimento di Suor Antonietta Prevedello, che lui conobbe. Di questa suora devotissima del Sangue di Gesù il Cardinale Piazza dice che ci sono manoscritti autografati con il sangue, tre sono interamente scritti a lettere di sangue: La piccola riparatrice, L’offerta di vita del Sangue prezioso e La conferma dei voti. Sangue per Sangue. “Con il sangue delle mie povere labbra” scrisse nell’ultimo documento, nella Conferma dei voti.

“Intendo confermare i miei voti, i miei propositi, tutti i miei desideri, intendendo rinnovarli ogni volta che ripeterò “Sanguis Christi, descendi, illumina, sanctifica, purifica, inebria me ed omnes. Amen”

Vedete come poi i Santi si ritrovano. 

Adesso andiamo a sentire queste meraviglie, un pensiero come abbiamo fatto nei giorni scorsi. 

Lei scrive:

La Croce è il mistico altare 

“La Croce! è il mistico altare, più regale dei troni, più prezioso dei regni! Il Sangue di Gesù, che stilla dalle piaghe sacrosante, purifica, corrobora, divinizza l’anima, la inebria di soavità,  le è caparra del Cielo e fonte di benedizione. Oh! Siamo felici di starcene ai piedi della Croce di Gesù, e il nostro sospiro angoscioso sia di amore, e l’amore sia abbandono al Cuore di Gesù.”

“Sangue Divino di Gesù dona fede e forza all’anima mia”

San Gaspare del Bufalo scrive:

“In questa devozione noi abbiamo i tesori della Sapienza e della Santità, in questo il nostro conforto, la pace, la salute.”

Nel Sangue di Gesù vi benedico.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus. Amen. Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato.

 Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.

XIV Domenica del Tempo Ordinario – Anno B

SECONDA LETTURA (2 Cor 12, 7-10)

Fratelli, affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia.
A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”.
Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte.

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