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Beato don Giacomo Alberione: i Novissimi, l’Inferno, III parte

Novissimi: l'Inferno

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di giovedì 16 dicembre 2021

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

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Beato don Giacomo Alberione: i Novissimi, l’Inferno, III parte

Eccoci giunti a giovedì 16 dicembre 2021. Inizia oggi la Novena di Natale, mancano nove giorni e poi sarà Natale, e allora prendiamo questo Vangelo di oggi tratto dal capitolo VII di San Luca, versetti 24-30, prendiamo un pezzettino di frase di Gesù:

“Hanno reso vano il disegno di Dio su di loro”

Non rendiamo vano il disegno di Dio su di noi, mai, per niente al mondo, non dobbiamo mai vanificare le grazie di Dio, le opere di Dio per noi, e quindi dobbiamo saper cogliere tutte le occasioni che Dio ci offre. 

Stiamo affrontando questo tema dell’Inferno nel testo “I Novissimi” del Beato don Giacomo Alberione, siamo arrivati alla pena del senso. Andrei avanti ancora un po’ di giorni, in questa Novena per il Natale su questo tema dell’Inferno perché ci fa pensare che l’Incarnazione è stata veramente il dono più grande che potessimo ricevere. L’Incarnazione del Verbo, il dono di Gesù Bambino, è ciò che ci libera, che ci offre una possibilità di accedere al Paradiso.

XIX. INFERNO: PENA DEL SENSO

  1. Pena del fuoco

“Una delle pene per noi più impressionanti dell’inferno è quella del fuoco. Nell’inferno, vi è la pena del fuoco; certo essa non è la maggior pena, ma è quella che fa assai impressione. Il fuoco dell’inferno è ardentissimo, perché acceso dal furore di Dio, a castigo, non a comodo dell’uomo. Il fuoco dell’inferno è ragionevole, perché brucia di più il senso e la parte che è più colpevole, sia il cuore, siano gli occhi, sia un altro membro; fuoco eterno, perché mentre brucia, non consuma, conserva e arde senza fine. Che cos’è mettere una mano sopra un braciere ardente? Che cosa sarebbe morire arso vivo? Sarebbe grande pena, ma di pochi istanti. Il fuoco dell’inferno avvolge tutto il dannato, tutto lo penetra, e nelle viscere e nelle ossa, di modo che il dannato stesso sembra un carbone. Tu che non hai pazienza per un mal di denti, tu che non soffri una scottatura, tu che non sai sopportare il calore un po’ vivo dell’estate, tu potrai sopportare gli ardori dell’inferno? Chi pecca, accontentando il senso, sarà punito nel senso con «fuoco inestinguibile, con fuoco eterno», stagno di fuoco, fornace di fuoco, geenna di fuoco. Quante volte la Scrittura ripete press’a poco lo stesso pensiero e usando anche le stesse parole. «Chi vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24), ci dice Gesù Cristo da l’Ostia divina. E Gesù stesso a quali dolori si assoggettò e quale vita di fatiche volle condurre! «Tutta la vita di Cristo fu croce e martirio». Ma il mondo non vuol più ricordare questi principi e dichiara legittime tutte le voglie e le inclinazioni: il mondo è contrario a Gesù Cristo. 

Un’anima chiedeva: «In che cosa devo io mortificarmi?». La risposta è stata: «Sempre e in tutto, sia nel grande che nel piccolo». S. Paolo infatti avverte: «portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù» (2Cor 4,11). Qui però occorre una applicazione speciale all’accidia od oziosità, che sarebbe un risparmiare al corpo la fatica ed il dovere. Ed ancora: una mortificazione speciale su quello che chiamiamo il temperamento ed il naturale: esso deve correggersi se non è buono. Di più: una mortificazione speciale per quello spirito di comodità in cui la vita diviene schiava del senso, chiusa in un egoismo volgare, priva di idealità. La pena del fuoco colpisce questa specie di peccato: «L’uomo sarà punito per quelle cose in cui ha peccato».”

Interessante questo “egoismo volgare privo di idealità”. Quando si perde il gusto, la voglia dell’idealità si perde tutto, quando diventiamo cinici, quando non sappiamo più emozionarci, quando non siamo più in grado di elevarci all’idealità, di avere ideali, ecco che siamo chiusi dentro un egoismo terribile.

2. Pene della vista e dell’udito

“Ascoltiamo l’apostolo, e purifichiamoci da ogni bruttura e immondizia. La vista e l’udito sono strumenti di innumerevoli peccati, allorché vengono usati contro la Divina Volontà. Ma, in tal caso quanti tormenti accumulano al peccatore. Ogni senso avrà il suo tormento. La vista sarà tormentata con le tenebre. Quale compassione è il sentire che un uomo è diventato cieco! Se per un anno soltanto dovessimo restare senza sole, ed anche privati di qualsiasi lumicino; se chiusi in luogo pieno di serpi e di nemici ed attenderci continuamente o un morso o un colpo di spada… È detto del dannato: «Non vedrà più luce in eterno» (Sal 48,20).

Il fuoco, che sulla terra illumina, nell’inferno sarà invece oscurità. «La voce del Signore divide la fiamma dal fuoco» (Sal 28,7); e spiega S. Basilio che il Signore separerà il fuoco dalla luce: così che quel fuoco farà solo l’ufficio di ardere senza illuminare. S. Alberto Magno più brevemente dice la stessa cosa: Dividerà lo splendore dal colore. Lo stesso fumo che uscirà da tal fuoco comporrà quella procella di tenebre, di cui si parla nella Scrittura; essa accecherà i dannati, «ai quali è riservata la caligine della tenebra in eterno» (Gd 4,13). Di luce, secondo S. Tommaso, vedranno soltanto quello che è necessario per accrescere il loro tormento. Anche l’orecchio degli empi avrà il suo tormento. Urli continui e pianti disperati renderanno quel luogo il più orribile; ognuno quasi soffrirà i dolori di tutti e farà, a sua volta, soffrire tutti. «Sempre nell’orecchio strepiti spaventosi» (Gb 15,21). In un ospedale ove nella notte tutti mandassero gemiti e grida per dolori acutissimi, quale stringimento di cuore si proverebbe! Sarebbe una notte assai penosa, per una intera notte non poter prendere sonno a causa delle pietose grida ed invocazioni di un ferito, o di un bambino. Infelici dannati che per un’eternità dovranno soffrire tutto questo; e questo sarà moltiplicato di tanto quanto è capace la natura umana. I soldati che, durante la Grande Guerra, scrivevano e volevano mostrare un poco quanto fossero spaventose certe notti, dicevano con espressione viva: notti d’inferno. Infatti, il fuoco non cessava; da un momento all’altro una granata, un colpo di fucile o qualche ordigno micidiale poteva loro cadere addosso e frantumarli e sprofondarli nella terra. Quell’orrenda carneficina degli uomini ha però avuto fine; ma Iddio non metterà mai più fine ai dolori che si manifesteranno in urla e bestemmie, in quel carcere di fuoco. Mortifichiamo gli occhi e l’udito. Gli occhi: modestia, sempre, in ogni luogo, nel leggere e nell’andare, nel venire e nel diportamento con noi stessi. L’udito: non ascoltare mai canzoni o parole o discorsi peccaminosi, che sono di offesa a Dio. Pensiamo che è meglio mortificazione sulla terra che eterna dannazione nell’altra vita. Spesso il primo anello della catena dei peccati è venuto da qualche compagno cattivo. Ricordiamo che il dannato è molto tormentato dai compagni di dannazione. È ben stolta la espressione: Se mi danno, non sarò solo. Non importa che sia lusinghiero il parlare di chi ci vuole condurre al peccato. Lusinghiere erano le parole del serpente ad Eva, ma a quale rovina l’ha trascinata? Giobbe diceva: «Avevo stretto con gli occhi un patto: di non fissare neppure una vergine» (Gb 31,1); sguardo cattivo, infatti, dà pensiero cattivo. Gesù diceva: «Le mie pecore ascoltano la mia voce» (Gv 10,27); e prestare orecchio alla voce del Signore è segno di predestinazione.”

3. Pene dell’odorato, gola e lingua

“Sarà tormentato l’odorato. Il dannato dovrà stare, dal giudizio universale, per tutta l’eternità con migliaia e migliaia d’altri dannati: questi saranno deformi e fradici nel loro corpo, puzzolenti di un fetore indicibile. Dice San Bonaventura che se anche un dannato solo, col suo corpo uscisse dall’inferno, basterebbe ad appestare tutta la terra. Sarebbe una pena grande star chiuso in una camera con un cadavere in putrefazione avanzata; ma sarà una pena mille volte maggiore lo star nell’inferno tra cadaveri ammonticchiati e corrotti: «Come pecore sono ammassati nell’inferno» (Sal 48,15). Sarà tormentato il gusto. Una fame canina e continua soffriranno: «Patirà la fame come i cani» (Sal 58,7). Il paragone sembra quasi umiliante; ma il goloso, l’ubriacone, lo studioso della buona mensa ha posto la sua soddisfazione nel contentare la gola. Egli si è servito della ragione per più soddisfare il senso, si è abbassato al grado degli animali. L’animale segue il suo istinto; ma l’uomo avvilisce la sua anima: «Il loro dio è il ventre» (Fil 3,19). Soffrirà perciò una fame ed una sete indicibili. Diceva perciò il ricco epulone, che aveva banchettato a sua voglia: «Manda, o padre Abramo, Lazzaro che intinga il suo dito nell’acqua e venga a refrigerarmi la lingua…» (Lc 16,24). Sarà tormentata la lingua. La lingua è un riassunto od una manifestazione di tutti i peccati, dice lo Spirito Santo. Perciò nella lingua si manifesteranno e si riassumeranno tutti gli altri tormenti del dannato. Ario ebbe la lingua rosa dai vermi, perché aveva bestemmiato Gesù Cristo nostro Dio e la Santa Madonna.”

Ario, quello dell’eresia, dell’Arianesimo.

“La lingua del dannato sarà rosa da tanti vermi, griderà, urlerà, numerando i mali di tutte le membra e dello spirito… senza poterli esprimere pienamente. La lingua invocherà soccorso, pietà… ma il cielo sarà chiuso; bestemmierà e maledirà tutto, tutti e se stessa… ma non avrà che la risposta dei demoni pronti a più tormentarla. Però raccogliamoci: queste descrizioni sono come paragoni presi dalla terra; sono sempre insufficienti. Il tempo non si può paragonare all’eternità; i dolori della vita sono ben poco di fronte ai dolori dell’inferno; tutte le pene presenti messe assieme non equivalgono alla minima pena del dannato. O Signore, io condanno e detesto tutte le soddisfazioni nei cibi, nelle parole, nell’odorato. Io, così molle ed immortificato, come potrei restare fra tanti tormenti e per un’eternità? Esamino adunque me stesso, e voglio stabilmente proporre. Per la mia vita passata vi prego a darmi spazio e fervore di penitenza, o Gesù. «Qui bruciate, qui tagliate, qui non perdonate, perché mi possiate perdonare nell’eternità»,«Domine, hic ure, hic seca, hic non parcas, ut in æternum parcas».”

Questo era il motto di S. Agostino.

Vedremo domani: la pena del danno. Sono stato molto lungo nei giorni scorsi, oggi sto più breve.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus. Amen. 

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga. Amen. 

Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato.

 

 

VANGELO (Lc 7, 24-30)

Quando gli inviati di Giovanni furono partiti, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle:
«Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che portano vesti sontuose e vivono nel lusso stanno nei palazzi dei re. Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto:
“Ecco, dinanzi a te mando il mio messaggero,
davanti a te egli preparerà la tua via”.
Io vi dico: fra i nati da donna non vi è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui.
Tutto il popolo che lo ascoltava, e anche i pubblicani, ricevendo il battesimo di Giovanni, hanno riconosciuto che Dio è giusto. Ma i farisei e i dottori della Legge, non facendosi battezzare da lui, hanno reso vano il disegno di Dio su di loro».

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