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D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 77

Falò sulla spiaggia

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 77
Martedì 24 ottobre 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

VANGELO (Lc 12, 35-38)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.
E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Eccoci giunti a martedì 24 ottobre 2023. Festeggiamo quest’oggi Sant’Antonio Maria Claret, vescovo. Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal dodicesimo capitolo del Vangelo di san Luca, versetti 35-38.

Continuiamo la nostra lettura e meditazione del testo di Bonhoeffer, Sequela. Abbiamo concluso ieri dicendoci: “Andiamo verso l’altro insieme a Gesù”. Scrive:

Gesù lo precede nell’andare verso l’altro, ed egli lo segue. Per cui l’incontro del discepolo con l’altro non è mai il libero incontro di due uomini, che nell’immediatezza confrontano le proprie opinioni, i propri criteri, i propri giudizi. Viceversa il discepolo può incontrare l’altro solo come colui al quale Gesù stesso va incontro. 

Ecco, è bella questa immagine di Gesù che precede. Andiamo insieme, certo, e nello stesso tempo però Gesù precede nell’andare insieme, noi stiamo dietro. 

È importante uscire da questa idea di una immediatezza nei rapporti, per cui io e l’altro abbiamo le nostre idee, le nostre opinioni, i nostri criteri, i nostri giudizi e le confrontiamo. In realtà, Bonhoeffer ci dice che noi possiamo incontrare l’altro solo come colui al quale Gesù stesso va incontro; c’è sempre, vedete, questa mediazione di Gesù, questa presenza di Gesù.

Il discepolo dunque non ha occupato una posizione da cui attaccare l’altro, ma nella verità dell’amore di Gesù egli si presenta all’altro con l’offerta incondizionata della comunione.

C’è sempre questa bella offerta: andiamo incontro all’altro con questo desiderio bello grande di comunione.

Quando giudichiamo ci presentiamo all’altro con il distacco dell’osservazione, della riflessione.

Noi dobbiamo osservare; dobbiamo riflettere, certo, però, quando tutto questo avviene dentro il distacco, di fatto vuol dire che stiamo giudicando, altrimenti non c’è distacco.

Ma l’amore non lascia né luogo né tempo a tutto questo. Per colui che ama, l’altro non può mai diventare oggetto della considerazione distaccata propria dello spettatore, ma è sempre una pretesa vivente al mio amore e al mio servizio.

Io non posso guardare l’altro come uno spettatore: l’altro non è un’opera teatrale, ma è sempre una pretesa vivente. L’altro attende qualcosa da me. E poi Bonhoeffer pone una domanda:

Ma la malvagità dell’altro non mi costringe forse ad una necessaria condanna, proprio per amor suo? È facile vedere quanto sia sottile qui la linea di confine. Un amore malinteso per il peccatore — attenzione — è pericolosamente vicino all’amore per il peccato. Ma l’amore di Cristo per il peccatore è di per sé condanna del peccato, è la più netta espressione di odio per il peccato.

Capite? Stiamo attenti, questo ci serve per non cadere nel fraintendimento. Noi non dobbiamo mai vivere un amore sbagliato: amare il peccatore non è mai amare il peccato, non è mai amare il suo peccato. Noi siamo chiamati ad amare il nostro fratello e la nostra sorella, ma non il loro peccato. Bisogna scorporare, non bisogna mai identificare l’altro col suo peccato. Io non sono i miei peccati, perché sennò condannando i miei peccati, condannate anche me; invece no. I miei peccati vanno condannati, vanno odiati, ma io come peccatore, l’altro come peccatore, va amato. Quindi, Gesù ama il peccatore ma condanna il peccato e Bonhoeffer scrive che “l’amore di Gesù è la più netta espressione di odio per il peccato”.

Questa cosa la dobbiamo capire molto bene, perché è fondamentale. Noi rischiamo di dire: siccome amo il peccatore, allora amo anche il suo peccato, cioè, amando il peccatore tiro dentro anche il suo peccato. Ma questo è un amore malinteso. Non va bene, non è l’amore che ci insegna Gesù. Ama il peccatore, certo, ma non il suo peccato.

Ecco, anche qui:

Giudicare è inammissibile riflessione sull’altro.

Noi cosa possiamo sapere dell’altra persona? Chi di noi può vedere il cuore dell’uomo?

Giudicare comporta la disgregazione dell’amore semplice.

Dobbiamo stare molto attenti al giudizio, sentite:

Giudicare rende ciechi, l’amore vedenti.

Ci sono persone che continuano a condannare gli altri.

Oppure: abbiamo delle evidenze e, in base a quelle evidenze, sotto la pressione del sentimento, noi giudichiamo. Ma, prima domanda, le cose staranno veramente così? E fosse anche che queste cose stessero così, perché si sono verificate? Queste, capite, sono domande fondamentali, non possiamo giudicare gli altri, la realtà, in base semplicemente all’evidenza. Certo, l’evidenza ha il suo peso, nessuno lo mette in discussione, ma non è sufficiente, non basta l’evidenza. 

Guardate che questa cosa la possiamo evincere dalla nostra esperienza. Vi è mai capitato di dire: “Oh mamma, se qualcuno mi vedesse in questo momento penserebbe male di me”; perché vedrebbe un qualcosa che è evidente, ma che non è tutto perché c’è dietro magari un’intenzione che non è quella che quella realtà sta manifestando. Io credo che sia capitato a ciascuno di noi. Quindi bisogna stare attenti. 

Noi vediamo delle evidenze, ovviamente, ma dovremmo sempre chiederci: “Ma è tutto lì? È tutto lì? Perché questa persona ha fatto così? Perché questa persona si è comportata così?” — “Ah, perché questa persona è cattiva”; eh no, non basta, non è sufficiente, ci deve essere, c’è sempre almeno una ragione profonda. Quella persona si è comportata così per quel motivo, ed è per questo che io sempre vi ho detto e lo ripeto sempre a me stesso: andiamo a chiedere — dov’è possibile ovviamente — andiamo a chiedere, chiediamo: “Perché ti sei comportato così? Non ho capito. Cosa volevi dire con questo comportamento?” Capite, è fondamentale, perché sennò diventiamo ciechi. A furia di giudicare gli altri noi diventiamo ciechi. 

Scrive Bonhoeffer:

L’amore vede l’altro ai piedi della croce, e proprio per questo vede nella verità.

Bonhoeffer dice che l’amore vede l’altro ai piedi della croce, giusto, e noi diciamo anche: ai piedi del tabernacolo. Noi quando guardiamo l’altra persona, la dobbiamo sempre vedere ai piedi di Gesù, anche chi fa il male. Di fatto, siamo tutti sotto il dominio del crocifisso. 

Poi scrive una cosa importantissima:

Se il mio interesse nel giudicare fosse veramente di annientare il male…

se io veramente dicessi: “No, ma io voglio distruggere il male, io voglio annientare il male”. Se il mio interesse fosse veramente annientare il male:

…io cercherei il male là dove mi minaccia effettivamente cioè…

e dov’è che il male mi minaccia veramente?

in me stesso.

E noi invece lì non lo cerchiamo mai! O raramente… Ma è lì che il male ci minaccia: la vera minaccia che noi abbiamo da parte del male è sempre dentro di noi. Invece, scrive Bonhoeffer:

Ma se cerco il male nell’altro, proprio in ciò si rende manifesto che anche in tale giudizio cerco l’affermazione del mio proprio diritto, che voglio restare impunito nella mia malvagità, giudicando l’altro.

Quindi, nel momento in cui getto lo sguardo all’esterno, di fatto, io non voglio cambiare.

Il presupposto di ogni giudizio è dunque il più pericoloso autoinganno, il credere cioè che per me la parola di Dio valga in modo diverso che per il mio prossimo. Faccio valere un diritto speciale, nel dire: Per me vale la remissione, mentre per l’altro vale il giudizio di condanna. 

Eh no, infatti! Cioè, la parola di Dio vale per tutti uguale. Stiamo attenti all’autoinganno. 

E questo, che vi dico adesso, è un argomento importante:

Sono vani e pericolosi ogni forma di pressione, il correre dietro alla gente, il far proselitismo, insomma ogni tentativo di realizzare qualcosa nell’altro con le proprie forze.

Ecco, questo è il punto: le proprie forze! Tutte queste cose pretendono di fare qualcosa nell’altra persona attraverso le mie forze, no! È pericoloso! 

“Vai a messa, fai questo, non bestemmiare più, smettila di vedere quelle persone, tu devi avere fede, tu devi…” Capite? È tutto basato sulle nostre forze! 

Invece: pensate a Santa Monica! Ha consumato la sua vita piangendo e pregando per la conversione di suo figlio Agostino e l’ha ottenuta. Non ha fatto litigate, polemiche, pressioni, come facciamo noi. No, solo preghiera, preghiera, preghiera, preghiera, preghiera, preghiera e basta.

Sono vani, poiché i porci — ricordate il Vangelo che abbiamo letto? — non riconoscono le perle che vengono gettate davanti a loro; sono pericolosi, poiché in tal modo non solo viene dissacrata la parola del perdono, non solo l’altro, al quale vorrei servire, viene reso colpevole nei confronti delle realtà sante, ma anche i discepoli che predicano vengono esposti al pericolo di essere inutilmente e vanamente danneggiati dal furore cieco di chi è indurito e ottenebrato.

Capite? Quindi, da una parte sono vani perché i porci — lui dice i porci commentando il Vangelo — non riconoscono le perle, quindi è vano! Tu getti davanti all’altro qualcosa che non sa riconoscere. Ed è anche pericoloso, perché da una parte viene dissacrata la parola del Signore, e poi rendo l’altro colpevole nei confronti delle realtà sante. E poi chi predica corre il rischio di essere “inutilmente e vanamente danneggiato dal furore cieco di chi è indurito e ottenebrato”. Chi è indurito e ottenebrato, porta dentro di sé questo furore cieco.

La svendita della grazia a buon mercato — l’abbiamo già vista — genera disgusto nel mondo. Alla fine esso si rivolta contro chi vuol imporgli ciò che non desidera. Questo significa per i discepoli una seria limitazione della loro attività, in conformità all’indicazione di Mt 10.

Bisogna essere molto prudenti, molto prudenti. La grazia a buon mercato — l’abbiamo già vista — non produce niente, genera solamente disgusto, e poi il mondo si rivolta. 

Sentite:

L’inquietudine attivistica del gruppo dei discepoli, che non vuol riconoscere limiti alla propria operatività — eh, ci sono dei limiti — e lo zelo che non tiene conto della resistenza, scambiano la parola del vangelo con un’idea capace di imporsi.

Quindi, fare delle cose per Dio, deve comunque tenere in considerazione i limiti di questo fare, e lo zelo deve tener conto della resistenza che c’è negli altri.

L’idea esige dei fanatici, che non conoscono e non badano ad alcuna resistenza.

Chi segue l’idea è pericoloso, perché non tiene in considerazione la resistenza dell’altro: se l’altro non vuole, non vuole, basta! “Eh ma qui… ma io devo salvargli l’anima”. No! Noi dobbiamo limitarci a proporre, non dobbiamo imporre. Se l’altro dice di no, basta, impariamo a stare al nostro posto, sennò diventiamo fanatici. Il fanatico è colui che va oltre la libertà dell’altro, se l’altro non vuole, non vuole, basta. 

Poi dice:

L’idea è forte. La parola di Dio è invece così debole da lasciarsi disprezzare e respingere dagli uomini. Per la parola ci sono cuori induriti e porte chiuse; la parola prende atto della resistenza che incontra, e la patisce.

Dobbiamo imparare queste cose… dobbiamo imparare che, davanti al Signore, ci sono porte chiuse e cuori induriti. E dobbiamo patirlo, si patisce.

…per l’idea non c’è niente di impossibile, per il vangelo invece ci sono cose impossibili. 

Gesù non è riuscito a far cambiare idea agli scribi e ai farisei! Ha tentato in ogni modo ma non c’è riuscito. Perché Gesù non è un’idea, non presenta un’idea, Gesù è la Parola del Padre, è diverso. Quindi poi lui dice:

La parola è più debole dell’idea. Per cui anche i testimoni della parola nel portare questa parola sono più deboli dei propagandisti di un’idea. Ma in questa debolezza sono liberi dall’inquietudine morbosa dei fanatici, essi patiscono appunto assieme alla parola. I discepoli possono anche cedere, fuggire, purché cedano e fuggano solo con la parola, purché la loro debolezza sia la debolezza della parola stessa, purché essi, nella loro fuga, non abbandonino la parola. — mai lasciare la parola — Essi, infatti, non sono altro che servitori e strumenti della parola e non vogliono esser forti, là dove la parola vuol essere debole. Se volessero imporre al mondo la parola con qualsiasi mezzo, a qualsiasi condizione, trasformerebbero la parola viva di Dio in idea, e a buon diritto il mondo si difenderebbe da un’idea che non può giovargli. Ma proprio nella loro debole testimonianza, essi sono tra coloro che non cedono, che mantengono le posizioni.

Questo è importante.

Questa debole parola, che è capace di patire l’opposizione dei peccatori, è in effetti la sola parola forte e misericordiosa, che converte i peccatori nella profondità del cuore. La sua forza è nascosta nella debolezza; se la parola si presentasse scopertamente nella sua forza si avrebbe il giudizio finale. È un grande compito di cui viene fatto carico ai discepoli, quello di riconoscere i limiti del loro incarico. Ma l’abuso della parola si ritorcerà contro di loro. 

E arriviamo alla conclusione di questa parte:

Che dovrebbero fare i discepoli di fronte ad un cuore chiuso? Là dove l’accesso all’altro non riesce? Devono riconoscere di non possedere in alcun modo diritto o potere sugli altri, come pure di non avervi alcun accesso immediato, cosicché l’unico cammino che rimane loro è quello verso colui nelle cui mani stanno essi stessi come quegli altri… I discepoli sono guidati alla preghiera. Si dice loro che l’unica via verso il prossimo è la preghiera rivolta a Dio. Giudizio e remissione restano nelle mani di Dio. Egli apre e chiude. Ma i discepoli devono pregare, cercare, bussare, ed egli li esaudirà. Questo devono sapere i discepoli: la loro preoccupazione e inquietudine per l’altro deve condurli alla preghiera. La promessa data alla loro preghiera è il più grande potere di cui dispongano.

Vedete? Quindi cosa devo fare di fronte a un cuore chiuso, quando non c’è accesso? Pregare, pregare, è l’unica cosa. E quando sono preoccupato e inquieto, cosa devo fare? Queste preoccupazioni e inquietudini mi devono condurre alla preghiera.

La ricerca dei discepoli è distinta dalla ricerca di Dio dei pagani per il fatto che i discepoli sanno che cosa cercare. Può cercare Dio solo colui che già lo conosce. Come potrebbe costui cercare ciò che non conosce? Come dovrebbe trovare, se non sa cosa cerca? Perciò i discepoli cercano Dio, che hanno trovato nella promessa fatta loro da Gesù Cristo.

Quindi, quando ci troviamo di fronte a situazioni di grande, grande, grande, grande sofferenza, perché non c’è spazio, non c’è spazio e i cuori sono chiusi, preghiamo, impariamo a pregare. Facciamo passare tutto attraverso la preghiera.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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