Meditazione
Pubblichiamo l’audio della meditazione: Fare verità – Cammino di perfezione, S. Teresa di Gesù pt.39
Sabato 9 dicembre 2023
Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD
Ascolta la registrazione:
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VANGELO (Mt 9, 35-10,1.6-8)
In quel tempo, Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità.
Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!».
Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.
E li inviò ordinando loro: «Rivolgetevi alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».
Testo della meditazione
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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!
Eccoci giunti a sabato 9 dicembre 2023. Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal nono capitolo del Vangelo di san Matteo, versetti 35 e seguenti.
Continuiamo la nostra lettura e meditazione del libro di Santa Teresa di Gesù, Cammino di perfezione.
Come ho detto ieri, oggi non leggo il paragrafo quinto, perché questo paragrafo, con la nota annessa, l’ho letto ieri, quindi oggi inizio subito il commento.
Che cosa ci dice Santa Teresa? Ci dice che la religiosa che si sente incapace di seguire le costumanze di questa casa, sarebbe opportuno che lo riconoscesse e uscisse dal monastero; questa, Santa Teresa la definisce:
…la bellissima carità e il gran servizio che farebbe a Dio…
Quindi ciascuno di noi deve guardarsi davanti a Dio, mettendosi davanti a Gesù Eucaristia, deve proprio guardare dentro di sé, deve chiedere consiglio. Perché, sapete, alle volte, noi non abbiamo il coraggio della verità, purtroppo; sarebbe bello averlo tutti, ma non lo abbiamo, non tutti ce l’hanno, non tutti sanno fare verità. E uno deve imparare a fare verità, dovrebbe imparare, dovrebbe avere il coraggio di fare verità, costi quel che costi.
Questo che dice Santa Teresa, guardate, lei lo applica al monastero, ma io, personalmente, credo di non fare una forzatura ad applicarlo a qualunque stile di vita, qualunque.
Uno si mette davanti a Gesù Eucarestia, inizia un percorso di discernimento, fatto di preghiera di silenzio, di supplica, magari utilizzando la bellissima preghiera del Salterio di Gesù e di Maria, il Santo Rosario, e inizia un percorso. Non è detto che lo capisca dopo un giorno, ovviamente, ma il Signore io non credo che mancherà di aiutare una persona che, sinceramente, vuole fare verità su di sé.
Io non credo che il Signore lasci qualcuno nell’incertezza e nel dubbio, se uno veramente vuole fare verità. Quale verità? Quella di cui parla Santa Teresa: la verità che porta a una bellissima carità, e a un grande servizio a Dio.
Uno pensa allo stile di vita che vorrebbe intraprendere; facciamo un esempio: un seminarista che si sta preparando a diventare sacerdote, un religioso che si sta preparando alla professione solenne; una religiosa che si sta preparando anche lei alla sua professione solenne, un diacono (oggi c’è il diaconato permanente) quindi un uomo che si sta preparando al diaconato permanente; poi pensiamo a due fidanzati, che si stanno preparando al matrimonio, oppure due persone che stanno verificando se sono chiamate al fidanzamento. Vedete, anche questo è un passo che non si considera mai abbastanza, no? Cioè, si passa dall’amicizia al fidanzamento; è strano questo passaggio, è un po’ repentino. Invece uno dovrebbe dire: “Siamo amici?” — “Sì” — “Siamo amici??”; non diciamo sì troppo velocemente. “Siamo amici?”; non si diventa amici dopo tre mesi. “Siamo amici?” — “No, noi non siamo ancora amici, non ci conosciamo! Come facciamo a diventare amici se non ci conosciamo?” — “Ah no, ma noi ci siamo visti!” — “Quante volte?” — “Eh, tre, quattro mesi”; ma questo non è sufficiente per dirsi amici. Un tempo si diceva che per diventare amici, bisognava mangiare insieme un chilo di sale. Va bene, “Siamo amici?” — “No” — “Allora cominciamo a diventare amici”: ecco il tempo del pre-fidanzamento, un tempo importantissimo, dove cominciamo a vedere se siamo capaci di essere amici. Poi, dopo un tempo congruo di verifica, allora si può pensare al fidanzamento, e vediamo se siamo capaci di essere fidanzati, e poi, quindi, il matrimonio. E questa cosa la potete applicare anche all’ambito lavorativo: “Vorrei fare il dottore”; non è che basta studiare i libri di medicina per diventare un bravo dottore, devo vedere se sono capace di essere empatico, di saper guardare la sofferenza dell’altro, di saperla gestire. Cioè, mi devo mettere alla prova, devo verificare.
Benissimo, allora Santa Teresa dice: la religiosa (e noi diciamo: la persona) che in questa verifica davanti a Gesù Eucarestia — e, bontà di Dio voglia, avendo accanto un bravo padre spirituale — la persona che, in questa verifica, dovesse vedere che ci sono delle prove provate della sua incapacità di seguire quella strada, di stare dentro al “costume” — potremmo dire: alla regola di quel tipo di vita, di quella scelta di vita — farebbe una bellissima carità e un grande servizio a Dio, se lo riconoscesse e lasciasse.
Nella vita è grande saggezza, saper dire: rinuncio. Proprio in nome della carità, e in nome del servizio di Dio, ho capito che io sono incapace: di poter diventare una brava suora; di poter essere una brava moglie, una brava mamma; ho capito all’interno del mio tempo di formazione, di verifica, di essere incapace di poter diventare un bravo sacerdote, e via di seguito. Magari lo voglio; capite? È questo il grande atto eroico, il grande atto di coraggio, il grande atto di amore, ecco perché Santa Teresa la chiama:
la bellissima carità e il gran servizio
è qui che si vede il discriminante tra colui che è attaccato a sé stesso, e alle sue idee, e alla sua affermazione, e al suo successo, e colui che invece è attaccato alla realtà e alla volontà di Dio.
Io posso avere un desiderio enorme di essere un marito e un bravo padre, posso avere un grande desiderio, enorme, eppure, arrivare a dire: sì, il desiderio c’è, ma io non sono in grado, io non sono capace di fare questo. Non sono capace, non ci riesco, lo vorrei, ma non ci riesco.
Per esempio: io non sono in grado di essere fedele — faccio un esempio — non sono capace di essere fedele, e quindi l’infedeltà è sicuramente una prova provata che non sono adatto di certo al matrimonio; ma neanche al fidanzamento, ma mi verrebbe da dire neanche all’amicizia. Bene: lo riconosco, io sono così, lascio; guarda, mi dispiace, mi dispiace, ma io sono incapace, non ci riesco.
Ci sono delle situazioni, proprio delle parti della nostra struttura psicologica, spirituale, caratteriale, che, almeno in quel momento, e fino a quel momento, non sono variabili, non sono correggibili e quindi uno deve dire: “Guarda, per ora…” perché poi, chissà cosa può succedere, Dio può sempre fare un miracolo, per l’amor del cielo, ma siccome devo ragionare sul presente, non sul futuro, quindi, al presente, io devo riconoscere che non sono capace. Lo diventerò? Voglia Dio! Sarebbe bellissimo, ma io per ora non sono capace.
Allora, detta in modo così teorico, uno dice: “padre Giorgio, non fa una grinza, bellissimo ragionamento”, ti viene anche proprio voglia di farlo, di viverlo. In realtà, questa credo che sia una delle cose più difficili in assoluto, una delle più difficili. Infatti, volete la prova? Ve ne faccio una per tutte; sono tante, ma io ve ne faccio una per tutte: Santa Gemma Galgani, tutti la conoscete! Questa grandissima, meravigliosa, stupenda e potentissima santa. Ha vissuto un’esperienza umana, cristiana e mistica di altissimo livello, eppure c’è voluto Gesù in persona per dirle, un giorno: “Gemma, adesso basta, adesso basta. Tu non entrerai mai in monastero da viva”. Lei voleva farsi monaca, aveva questo desiderio enorme di entrare in monastero, ma Gesù non voleva. Non era la sua strada; lei entrerà nel monastero… ma da morta! Se voi andate a Lucca, trovate la sua salma sotto l’altare del monastero, ma da morta. Da viva, non ci fu verso. Lei dovette vivere la sua santità da laica. E c’è voluto Gesù in persona, per mettere un punto a questa sua pretesa, perché lei non si arrendeva; e stiamo parlando di Santa Gemma Galgani, Santa Gemma Galgani! Ecco perché dico: quando noi ci mettiamo in testa qualcosa, guardate, è quasi impossibile, cioè, ci vuole Gesù in persona, forse — e poi non è detto che sia sufficiente per tutti, perché poi uno è libero, può dire no — Gesù in persona per dire: no, questa non è la tua strada. “Ma io sento che…”, ma questo non vuol dire niente; “io sento che, io penso che, a me sembra che, io provo che”, questo non è sufficiente per dire che quella è la tua strada.
Ecco perché Santa Teresa dice:
sentendosi incapace
Uno lo vede! Cioè, scusatemi, perché non è così facile, uno “dovrebbe vederlo”; guardando sé stessa o sé stesso, uno dovrebbe vederlo che non è capace, non può seguire quella via. Quanti altri santi… mi è venuta in mente adesso Santa Gemma, ma ce ne sono tanti altri che hanno tentato di entrare in convento, di entrare in monastero e non c’è stato verso. La loro strada era un’altra. Oppure che sono entrati in un ordine e poi sono andati a finire in un altro; pensiamo a Sant’Antonio da Padova, che inizia come agostiniano e finisce come francescano, vedete? E via di seguito. Ma ce ne sono tantissimi.
Uno crede convintamente di essere capace di compiere tutto ciò che è richiesto da quella scelta di vita, e in realtà non è così; ecco che entra in gioco, in questi casi, l’importantissima figura del padre spirituale. Beh, noi non possiamo ingannarci, sapete? Perché, se io mi inganno, se io non voglio cercare la verità sulla mia vita, poi non ne va di mezzo solo di me, ma anche degli altri.
Una donna che al terzo figlio capisce di essere incapace di fare la mamma, ma vi rendete conto cosa vuol dire? Idem dicasi di un papà.
Un sacerdote, che dopo dieci, quindici, venti anni di ordinazione, arriva a capire: “No, io non sono capace di fare questa cosa, non sono adatto per questa strada…”, cosa può succedere? Che cosa può accadere nella sua vita, da quel momento in avanti, e nella vita di tutte le persone che Dio gli ha affidato, che ha conosciuto? Ci rendiamo conto?
“Dopo dieci anni di matrimonio, vent’anni anni di matrimonio, ho capito che tu non sei la donna/l’uomo giusto della mia vita, io ho capito che non ti amo più, me ne vado”, quattro figli a carico… Ci rendiamo conto?!
È fondamentale questo paragrafo quinto; prima di compiere una scelta di fronte alla quale, poi, tornare indietro è “praticamente impossibile”, salvo creare disastri e distruggere la propria vita e quella degli altri, devo avere la certezza interiore assoluta che sto facendo la cosa giusta, per cui sono capace di farla, cioè: Dio mi ha dato tutti quegli strumenti necessari — uso la parola strumenti per dire: tutto ciò che serve — per poter fare, per poter vivere in quella scelta.
Quindi, capite, il tempo del discernimento, il tempo della prova, non è il tempo del nascondersi, non è il tempo del mentire, non è il tempo del non dire le cose all’altro; non è il tempo del: “Vabbè, ma si, ma dai, facciamo finta di niente, andiamo oltre, ma poi lo supereremo, ma no, ma queste cose non contano, ma no, ma poi il nostro amore copre tutto”; no! Non funziona! E la vita di tante altre persone ce lo testimonia: non si va molto avanti su quella strada.
Quindi, «sentendosi incapace»… ma uno lo vede, capite, uno lo sente che non è capace. Poi uno se la può raccontare, uno può dirsi quello che vuole: “No, ma io cambierò; no, ma io mi impegnerò; no, ma io lo so che non sono adatto per questa strada, però io ci credo, però l’altro mi aiuterà, però Dio interverrà, però…” No, no.
E poi, soprattutto bisogna avere la benedizione — veramente la benedizione — del padre spirituale che dica: “Sì, io ti conosco, tu sei stato/sei stata sincera, sempre disponibile, onesta, vera, hai cercato veramente la verità, ti sei veramente aperta come un libro e in coscienza, davanti a te, davanti a Dio, posso dire, posso attestare, che questa è la tua strada”. Capite quanto è fondamentale? Perché poi, nei momenti della prova, nei momenti della fatica, nei momenti delle cadute, nei momenti dei dubbi atroci, nei momenti dei dolori terribili — e tutti questi momenti ci saranno! — se io non ho quella roccia sulla quale aggrapparmi, io vengo portato via dalle onde del mare, come la sabbia. Di me non resterà neanche l’ombra, sicuro! Perché in quei momenti potrò andare aventi solo se mi attacco a quella roccia, per cui potrò dire: “Non solo io, ma qualcun altro ha detto sì: un sì vero, un sì pieno, un sì totale”. Certo, per quello che in quel momento si poteva vedere, ovviamente, perché nessuno ha la palla magica, però, per quello che in quel momento si poteva vedere quella persona ha detto sì, un sì totale. Bene, allora vuol dire che io sono capace.
Questo essere capace o essere incapace non è una questione di essere già perfetti, essere già santi; no, no, no. È proprio come vi dicevo prima: è verificare se c’è la struttura interiore per poter seguire quella via.
Diversamente, uno lo deve riconoscere e andarsene, e questo è uno dei più grandi atti di carità e una delle più grandi forme di servizio.
Purtroppo, vi dico che raramente accade così, molto raramente, molto raramente. Perché uno vuole fare quello che vuole, quando vuole, come vuole. E quando uno si mette nella testa una cosa, non gliela toglie nessuno.
Dopo vent’anni: “Eh, ho sbagliato, avevi ragione tu”; ma dell’“avevi ragione tu” non se ne fa niente nessuno. Intanto ci sono i figli, intanto ci sono quei fedeli, intanto ci sono le persone che, adesso, a causa del fatto che tu dici: “Eh no, non sono capace, non ce la faccio; ho trovato un’altra persona; no, ma il ministero non posso portarlo avanti”, tu molli tutto e quelli rimangono lì, con la candela in mano, con un buco nel cuore grande come il mondo. Perché quei figli, quei fedeli, non hanno nessuna colpa.
Perché poi uno non è capace di fare dei sacrifici pazzeschi, di dire: “Eh, ma ormai io il passo l’ho fatto, eh, ma ormai io sono qui; non ho voluto ascoltare ragioni un tempo, ho voluto fare di testa mia, bene: adesso porto la responsabilità di questa cosa in una buca, fino a morire. Perché è giusto che sia così! Perché non è giusto che gli altri innocenti paghino la mia superbia, la mia testardaggine, la mia superficialità, il mio essere pressapochista e quant’altro. No, adesso io rimango qui; a costo di morire in piedi, per il bene delle altre persone”. Eh sì, perché capite, cioè uno non è che può fare e disfare la sua vita come vuole, perché tanto “sono io che comando”; e no! Ma agli altri? E delle altre persone che sono collegate a questa scelta di vita, che cosa ne sarà?
Ecco che allora Santa Teresa dice: se ne vada, se ne vada, per il bene suo e degli altri.
Ecco, mi fermo qui. Vedete che ho fatto solamente due righe, ve l’ho detto ieri che era troppo denso, devo ancora fare tutta la nota, che è molto lunga, e poi dovrò fare la parte finale del paragrafo quinto. Abbiate pazienza, ma questo paragrafo quinto è veramente molto, molto, molto importante.
Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.