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Fare verità – Cammino di perfezione, S. Teresa di Gesù pt.41

Gesù tende la mano ad un bambino

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: Fare verità – Cammino di perfezione, S. Teresa di Gesù pt.41
Lunedì 11 dicembre  2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Lc 5, 17-26)

Un giorno Gesù stava insegnando. Sedevano là anche dei farisei e maestri della Legge, venuti da ogni villaggio della Galilea e della Giudea, e da Gerusalemme. E la potenza del Signore gli faceva operare guarigioni.
Ed ecco, alcuni uomini, portando su un letto un uomo che era paralizzato, cercavano di farlo entrare e di metterlo davanti a lui. Non trovando da quale parte farlo entrare a causa della folla, salirono sul tetto e, attraverso le tegole, lo calarono con il lettuccio davanti a Gesù nel mezzo della stanza.
Vedendo la loro fede, disse: «Uomo, ti sono perdonati i tuoi peccati». Gli scribi e i farisei cominciarono a discutere, dicendo: «Chi è costui che dice bestemmie? Chi può perdonare i peccati, se non Dio soltanto?».
Ma Gesù, conosciuti i loro ragionamenti, rispose: «Perché pensate così nel vostro cuore? Che cosa è più facile: dire “Ti sono perdonati i tuoi peccati”, oppure dire “Àlzati e cammina”? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati, dico a te – disse al paralitico –: àlzati, prendi il tuo lettuccio e torna a casa tua». Subito egli si alzò davanti a loro, prese il lettuccio su cui era disteso e andò a casa sua, glorificando Dio.
Tutti furono colti da stupore e davano gloria a Dio; pieni di timore dicevano: «Oggi abbiamo visto cose prodigiose».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a lunedì 11 dicembre 2023. Oggi festeggiamo San Damaso I, papa. Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal quinto capitolo del Vangelo di san Luca, versetti 17-26.

Continuiamo la nostra lettura e meditazione del libro di Santa Teresa di Gesù, Cammino di perfezione.

6 — Vi prego di credermi. In caso contrario vi do il tempo in testimonio. La vita che qui intendiamo condurre non è tanto da monache ma da eremite, e per questo bisogna staccarsi da ogni cosa. Tale è la disposizione che, come ho constatato più volte, il Signore accorda alle anime che Egli sceglie per questa casa. Forse il loro distacco non è ancora perfetto; ma che esse vogliano perfezionarsi lo prova la pace e l’allegria di cui si sentono pervase al pensiero di non doversi più occupare delle cose della terra e alla soavità che sperimentano in tutte le pratiche della religione. Perciò, se una di voi è portata alle cose del mondo e non mostra di correggersi, se ne vada pure, altrimenti le può succedere di peggio! Vada in un altro monastero se vuole essere religiosa, ma non si lamenti di me, quasi non le abbia fatto conoscere il genere di vita che volli introdurre in questa casa.

7 — Se sulla terra vi può essere il paradiso, esso è in questa casa: vita felicissima vi conducono infatti le anime che, disprezzando ogni propria soddisfazione, non pensano che a contentare il Signore. Ma quelle che qui cercassero altra cosa, non solo non la troverebbero, ma perderebbero tutto. Un’anima scontenta è come chi soffre d’inappetenza: per quanto il cibo sia buono e mangiato dai sani con piacere, egli ne ha nausea e si sente rivoltare lo stomaco. In altri luoghi quell’anima si salverà più facilmente, e forse a poco a poco potrà arrivare a quella stessa perfezione che qui non sa sopportare perché abbracciata tutta in una volta. Per l’interiore, prima di giungere al pieno distacco e alla mortificazione perfetta, si suole accordare un po’ di tempo, ma per l’esteriore si esige che lo faccia subito. Se una religiosa vedendo come fanno le altre e trovandosi in così santa compagnia non fa progresso in un anno, temo che indietreggerà. Non esigo che la sua perfezione sia come quella delle altre, ma che almeno dimostri di far profitto, provando che il suo male non è mortale: cosa, del resto, che non si tarda molto a vedere.

E qui finisce il capitolo tredicesimo. Vi siete resi conto subito e meglio di me di quanto siano importanti questi ultimi due paragrafi: questo capitolo tredicesimo del Cammino di perfezione è veramente un capitolo densissimo e molto, molto importante.

Santa Teresa è assolutamente certa, è sicura, di quello che sta dicendo e di quello che sta chiedendo. Santa Teresa non fa sconti a nessuno. Ha un’idea chiara nella testa, la sua anima vede chiaramente qual è la via, ed è disposta a perdere tutto e tutti, ma non quella via. Perché sarebbe un tradire l’intuizione originaria che Dio le ha donato. Si può perdere tutto e tutti, ma non si può perdere quell’intuizione originaria. Lei dice: io vi chiedo di credermi; diversamente, sarà il tempo che vi dirà che avevo ragione. 

Nella vita dei santi, dei grandi amici di Dio, ci sono questi momenti in cui si acquisisce una certezza interiore; quei momenti nei quali — lo si legge bene, nei loro scritti — il santo in questione dice: “È così”. Ma non “è così” perché è frutto della sua testa, è così perché davanti a Dio ha capito che è così. Potrebbe essere in mille altri modi, ma non per lui (o per lei) e non per ciò che il Signore gli ha chiesto.

A Santa Teresa, Dio chiede qualcosa di ben preciso, quindi lei dice: io non voglio dire che questa mia intuizione è l’unica possibile — sto facendo una sintesi di tutto quello che verrà dopo, lo affronteremo passo, passo ovviamente — non sto dicendo questo, non sto dicendo che è quella che esclude tutte le altre, no; io sto dicendo che questa è l’intuizione che io ho avuto, che ho messo in pratica, che chiedo di vivere a chi viene qui. Se tu, chiunque tu sia, che hai avuto un pensiero di volerla condividere non la trovi adatta a te, se non ti sta bene, se non ti ritrovi in questa, se la trovi troppo “tutta in un colpo”, la trovi troppo dura, troppo esigente, tutto quello che vuoi, benissimo: vai altrove. Semplice! Invece di avere la superbia, l’orgoglio, la presunzione, la violenza e la malizia di voler mutare — che in questo caso è uno sfregiare, che in questo caso è un dissacrare, che in questo caso è un tradire — l’intuizione originaria, vai via, vai altrove; diventerai santo anche altrove. 

Non devi pensare che, siccome tu vuoi stare qui, allora deve cambiare l’intuizione originaria, no! Questa non può cambiare, questa non deve cambiare. Col passare dei secoli, poi, la si adatterà al tempo che evolve, alle dinamiche culturali, religiose, tutto quello che volete, ma quell’intuizione deve restare quella. È questo che Santa Teresa sta dicendo! 

Se invece tu “XY”, chiunque tu sia, poiché non riesci a viverla, poiché è troppo dura, poiché… tutto quello che ho detto prima, vuoi mettere la mano sul cuore, ecco che tu allora vuoi distruggere tutto il corpo. 

Questo, guardate, è importantissimo, perché noi abbiamo questa tentazione: siccome non riesco a vivere le esigenze di quell’intuizione originaria, qualunque sia nella mia vita, allora io cosa faccio? Non cambio io, non me ne vado io per non rovinarla, no, rovino lei, rovino l’intuizione, cerco di cambiare l’intuizione. Questo è terribile, perché in quella intuizione originale c’è dentro lo Spirito Santo, ci sta dentro l’opera di Dio, attenzione.

Allora lei cosa dice? Prima cosa che dice (ed è la prima volta che lo dice, fino adesso, ed è fortissima questa cosa):

La vita che qui intendiamo condurre non è tanto da monache ma da eremite, e per questo bisogna staccarsi da ogni cosa.

Al che uno dice: “Oh mamma, ho perso un pezzo! Mi devo essere addormentato e ho perso qualche pagina”; no no, non hai perso niente. Lei, per questi tredici capitoli, ti ha preparato, ci ha preparato, a questa sentenza, a questa sintesi: noi, qua, siamo monache, ma non intendiamo vivere come monache, ma come eremite. Ancora di più, eh? Quindi, questa sua intuizione originaria è molto forte, molto precisa, molto chiara, molto delineata: “eremite”, non monache. Siamo monache, ma che vogliono condurre una vita eremitica. Allora, voi capite che, stante questa intuizione, si capisce tutto il resto. Lei ha finalmente svelato qual è il progetto, qual è l’identità. E allora, stante questo, capite che tutti i discorsi che abbiamo fatto fino a qui, fino a questi tredici capitoli e cinque paragrafi, adesso, improvvisamente, è come se un fascio di luce li investisse e uno dicesse: “Ah, adesso mi è chiaro tutto il sistema!”. Eh, certo, esattamente.

Lei dice: allora siccome noi non siamo qui a vivere da monache, seppure siamo monache… questo guardate che è molto interessante, perché adesso ci apre alla possibilità di fare l’affondo sulla vita di tutti noi… sono monache, ma vivono da eremite. 

Capite che essere monaca non vuol dire essere eremita; il monaco non è un eremita; l’eremita non è un monaco, non è un frate; l’eremita è l’eremita, il monaco è il monaco, il frate è il frate, il laico è il laico, il presbitero è il presbitero. Sono stili di vita completamente diversi, hanno proprio uno statuto, un taglio, un’identità assolutamente diversa, radicalmente diversa. 

Questo cosa ci permette di capire, di dedurre? Che c’è — io ne ho già parlato, di questa cosa — una vocazione nella vocazione. 

All’interno del mio cammino vocazionale (si usa questo termine, anche se sarebbe più opportuno parlare di “stili di vita”, ma ormai è consuetudine dire che quando si parla di vocazione, si intende: matrimonio, monache, frati e quant’altro, va bene) io arrivo, ad esempio, a comprendere, in quel momento della mia vita, che sono chiamato al matrimonio, e mi sposo. Dopo dieci anni, vent’anni, avverto nel cuore una seconda chiamata, che, se non viene compresa bene, rischia di creare un dissidio, non solo interno, ma anche esterno, incolmabile, irrisolvibile. Rischia di diventare un disastro per me e per chi vive con me. Dopo dieci anni, vent’anni, può succedere che arrivi a dire: “Ma io mi sento chiamato anche ad altro; c’è qualcosa dentro di me… una sorgente che zampilla e che mi chiama”. Questo non vuol dire che io rinnego il mio matrimonio, non vuol dire che mi pento del mio matrimonio, non vuol dire che disconosco i miei doveri di marito e di papà, ma assolutamente no! Solo che è come se sentissi qualcosa di altro; è come se sentissi che Dio mi sta chiamando a una unione maggiore con lui, a una unione diversa, pur dentro il mio sacramento — il matrimonio è un sacramento — dentro questo sacramento, sento che Dio mi sta chiamando a qualcosa d’altro.

E allora capite che, purtroppo, di solito avvengono veramente dei disastri, perché uno comincia a sentirsi diviso. Siccome non puoi soffocare una sorgente, non puoi soffocare una fonte che zampilla, avvengono dei disastri, perché uno dentro si sente dilaniare, dice: “Sì, io sono sposato, però nel frattempo sento una chiamata maggiore ad amare il Signore, a servire il Signore, al distacco — come adesso vedremo — eh, però sono sposato, e allora che cosa devo fare? No, io devo rinnegare questa cosa, perché devo rispettare i miei doveri di stato”. Eh sì, però… però intanto, l’altro coniuge, che non ha fatto lo stesso cammino, che non ha la stessa chiamata, mi vede e dice: “No, ma io non ti riconosco più, mi sembra di aver sposato allora un prete”, “Dovevi fare la suora”, insomma, capite, si può arrivare a delle situazioni veramente drammatiche. 

Allora bisogna capire bene; bisogna capire bene, prima di tutto, se, questa chiamata della vocazione nella vocazione, è frutto della mia fantasia, del mio sentimento o se è veramente una chiamata, e in questo il padre spirituale è fondamentale. 

Capito questo, cioè fatta questa opera importantissima di discernimento, e arrivati alla conclusione che non è una fantasia, ma viene dal Signore, bisogna trovare il modo di rispondere a questa — chiamiamola — “seconda chiamata” senza che questo vada a creare un dissidio, un peso a coloro che hanno condiviso la mia prima chiamata. Non deve diventare un’occasione di divisione, di incomprensioni. 

Qui ci vuole molta, moltissima saggezza, moltissima prudenza, e moltissima intelligenza, ecco perché ci vuole un padre spirituale esperto. Voi direte: “Ma non ha nominato la santità, non serve la santità?”, certo che serve, ma innanzitutto serve questa virtù della prudenza, dell’equilibrio; serve il dono della sapienza per non cedere all’egoismo spirituale di voler fare tutto subito secondo quello che c’è nel mio cuore e nella mia testa, assolutamente! 

Dovrò rispondere a questa seconda chiamata, ma — passatemi il paragone — senza “svegliare nessuno”. È come se di notte uno deve uscire sul balcone perché sente che il Signore lo chiama — facciamo un’ipotesi — però non deve svegliare nessuno. Mi viene in mente Santa Caterina Labouré, che viene svegliata di notte dall’angelo e viene condotta in chiesa per incontrare la Vergine Maria, benissimo: ma lei non sveglia nessuno, non si sveglia nessuno, non disturba nessuno. Ecco, ci vuole questa prudenza, e questa intelligenza di non svegliare nessuno. 

“È possibile vivere una vocazione nella vocazione senza svegliare nessuno?”, si, certo che è possibile; “E quindi è possibile, senza creare situazioni di divisione, di incomprensioni?”, si, certo, ci vuole grande prudenza, grande intelligenza, grande sapienza; si può fare. Certo, può succedere che ci sia questa seconda chiamata, ma che uno la rovini. Può succedere, è molto facile che succeda. La rovina come? Con la fretta, con l’insipienza, con l’imprudenza, con la stoltezza e con la disobbedienza; non fidandosi dell’indicazione del padre spirituale, per esempio, e quindi rovina tutto. C’era quella chiamata, ma è stata rovinata, perché di fatto, non si è stati capaci di viverla nel modo giusto. 

Come ogni chiamata, richiede tempo, richiede cura, richiede gestazione, richiede preparazione, richiede luce, richiede pazienza, sacrificio.

Ecco, questo era importante dirlo, perché è quello che ha intuito Santa Teresa; sarebbe proprio da approfondire questo aspetto…

La vita che qui intendiamo condurre non è tanto da monache ma da eremite…

Siamo monache, ma vogliamo condurre una vita da eremite.

E questa cosa può succedere anche ad un sacerdote, la stessa cosa; un sacerdote che, a un certo punto, sente una chiamata a una maggiore, ulteriore, unione d’amore con Gesù. E quindi uno dice (parafrasando Santa Teresa): la vita che io intendo condurre non è tanto da sacerdote — facciamo un esempio — ma da monaco (per esempio); ma da eremita (per esempio). 

E uno pure dice: “Ma come fa un monastero di monache a condurre una vita da eremite? Sono chiuse dentro, sono lì, tutte insieme, non è che possono scappare chissà dove, e come fanno?” Eh, ma ci arriviamo! Pazienza, non bisogna avere fretta; poniamo le domande, poi le risposte arriveranno, intanto individuiamo le domande — alcune. 

“Come fa un sacerdote, che ha la cura d’anime, che ha la pastorale, che deve celebrare la messa, che deve predicare, che deve scendere in chiesa, che deve confessare, che deve dare i sacramenti, che fa il parroco, che, che, che… come fa a condurre una vita da monaco? Ma com’e possibile? Si può fare?” Certo! 

“Come fanno un papà e una mamma che hanno cinque figli, che hanno ricevuto qualcosa interiormente e desiderano condurre una vita monastica? Si può fare?” Certo! “Condurre una vita eremitica, si può fare? Ma come si fa?” È la stessa domanda di Santa Teresa. “Come fa un papà con cinque figli a fare una vita eremitica, in famiglia? Ma come è possibile?” 

“Come fa un sacerdote in cura d’anime, a condurre una vita eremitica che deve svolgere il suo compito?” 

È impossibile! Solo a dirlo, solo a pronunciare questa frase uno sta già pronunciando una contraddizione in termini e in contenuti. È impossibile! Come fa l’acqua a stare insieme al fuoco? Non ci stanno: o l’uno, o l’altro. O fai il sacerdote, o fai l’eremita; o fai il papà e la mamma, o fai il monaco e la monaca. 

Come fanno a stare insieme le cose? Ecco, è quello che adesso scopriremo; scopriremo esattamente questo, lo scopriremo grazie a Santa Teresa di Gesù; se vi ricordate, è quello che io vi dissi parecchie volte, quando vi dissi: “Il compito che mi sono prefissato, è quello di poter portare questo messaggio di una monaca, Santa Teresa di Gesù, a tutti: papà, mamme, figli, sacerdoti, laici, impegnati, soldati, militari, a tutti. Tutti devono potersi sentire chiamati, intersecati, dall’esperienza, dall’intuizione originaria di questa grandissima santa, di questo grandissimo dottore della Chiesa, tutti! Perché lei non ha scritto questo solo per le monache. Forse, può darsi, che nella sua intenzione ci fosse questo — lei lo dice: scrivo questo per le mie monache — può darsi, ma la Chiesa ha riconosciuto che questo messaggio non è solo per le monache, è per tutta la Chiesa. Ecco perché l’hanno fatta dottore della Chiesa. È un messaggio universale, cattolico, per tutti. E allora, il compito nostro, è andare a scoprire, dentro a questa miniera, tutte quelle vene d’oro che sono lì e che aspettano solo di essere trovate e prese, diffuse, mercanteggiate.

Credo che oggi mi sono superato: sono riuscito a fare ventisei minuti di meditazione su due frasi e mezzo! Quando ho iniziato, ho pensato: oggi finisco il capitolo tredicesimo, così domani inizio il quattordicesimo; impossibile! Va bene, non so quando lo finirò, ma non ha importanza, credo che siano cose troppo belle, troppo importanti, troppo utili per la nostra vita, da diffondere, sapete? Sono da diffondere, queste cose, perché portano pace, portano pace in tante anime, in tante situazioni. Io mi sono fermato alla parola eremita, perché la seconda parte non l’ho ancora affrontata, che sarebbe:

e per questo bisogna staccarsi da ogni cosa

questo non l’ho ancora affrontato, lo farò domani.

Ma fermiamoci qua; bisogna diffondere questa cosa e dire: guarda che Santa Teresa per prima era monaca, ma ha avuto l’intuizione originaria di pensare il suo monastero fatto da monache che vivono però da eremite. È un’intuizione incredibile, bellissima, quindi anche per noi c’è questa possibilità; quindi, ciò che tu provi nel cuore, nell’anima, questa chiamata, non è da soffocare, ma è da comprendere, ma è da canalizzare, non è da prosciugare. 

E allo stesso tempo non deve neanche esondare e spaccare tutto, va proprio canalizzata bene, va sfruttata bene, va accolta bene; non ti spaventare, non avere paura, è bellissimo ed è una grazia incredibile: dentro la propria vocazione, ricevere un’altra vocazione, bellissimo. 

Santa Teresa dice: monache/eremite; sono monache che, però, vogliono condurre una vita da eremite. Quindi: in tutto e per tutto sono monache, le vedi; vivono in un monastero — non ha un altro nome, si chiama monastero — e vivono da monache, e sono dentro come monache, in clausura, come monache, ma… ecco l’intuizione: noi viviamo come eremite, vogliamo vivere come eremite.

E allora vedremo — abbiamo già visto, abbiamo già letto, adesso nei prossimi giorni non leggeremo più, commenteremo solamente — cosa vuol dire vivere da eremite.

Quando nei tempi passati, ma anche il 27 di novembre, quando ci siamo visti in diretta su Telegram, vi ho parlato — e ho visto che ha riscosso, anche in passato, un grandissimo successo, perché tantissimi hanno scritto: che bello, che bello, che bello — vi ho parlato del monastero virtuale, è di questo che stavo parlando! Stavo proprio pensando a questa cosa, alla possibilità per tutti, qualunque sia la propria scelta di vita, qualunque sia la propria vocazione, di far parte di questo monastero virtuale, che raccoglie le persone più diverse, le età più diverse, le professioni più diverse, le culture più diverse, stili di vita diversi, tutta la diversità e la singolarità possibile, ma che vengono raccolte da questo desiderio, radicale e assoluto di essere “uno in Cristo Gesù”, di rifondare la propria vita in Cristo, di mettere l’Eucarestia al centro, insieme alla Vergine Maria, al suo Cuore Immacolato, alla Medaglia Miracolosa, al Salterio di Gesù e di Maria. Cioè, questa ri-centratura eucaristica e mariana. E tutte le vostre cose che mi avete scritto dicono proprio questo, dicono: sì, sì, che bello, che bello; ci piace questa idea, è bellissima. Certo che è bellissima! Ma non è mia, non è che io sono geniale, ho inventato una cosa geniale, ma no, ma viene da Santa Teresa.

Penso che — non credo di dire una sciocchezza — se lei avesse potuto sapere che questa sua idea di monastero di monache/eremite, potesse essere diffusa ovunque, beh, io credo che sarebbe stata felicissima, perché vedremo quali sono le caratteristiche! Adesso vedremo questa “chiamata nella chiamata”, vedremo che caratteristiche ha, vedremo che cosa vuol dire, di fatto, essere eremite, cosa Santa Teresa intende. Mi fermo qui. 

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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