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Il linguaggio – Cammino di perfezione, S. Teresa di Gesù pt.67

Gesù tende la mano ad un bambino

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: Il linguaggio – Cammino di perfezione, S. Teresa di Gesù pt.67
Sabato 6 gennaio 2024 – Epifania del Signore

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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SECONDA LETTURA (Ef 3, 2-3. 5-6)

Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero.
Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a sabato 6 gennaio 2024, Epifania del Signore.

Abbiamo ascoltato la seconda lettura della Santa Messa di oggi, tratta dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini, capitolo terzo, versetti 2 e seguenti.

Continuiamo la nostra lettura e meditazione del libro di Santa Teresa di Gesù, Cammino di perfezione. Abbiamo già letto gli ultimi paragrafi di questo capitolo ventesimo, ora dobbiamo commentare il paragrafo quinto e sesto. Santa Teresa scrive:

…questo è il vostro linguaggio…

Cioè, ci deve essere, c’è, un nostro linguaggio cristiano; c’è un linguaggio tipico di chi è una monaca, di chi è un sacerdote, di chi è un laico, ma tutti hanno in comune l’essere cristiani cattolici, l’essere discepoli di Gesù: c’è un linguaggio. Certo, il linguaggio che avrà il padre di famiglia sarà un po’ diverso dal linguaggio che avrà l’eremita, va bene, ma nella sostanza è quello, ci sono dei punti essenziali comuni per tutti. E, comunque, questo linguaggio, essendo dei discepoli di Gesù, deve far trasparire Gesù. Allora lei dice:

Chi vuol trattare con voi l’impari ma guardatevi bene dall’imparare voi il suo, ché sarebbe un inferno.

Capite, questa è la prospettiva, che ci piaccia o non ci piaccia, nella quale Santa Teresa colloca sé stessa e le sue monache: sono gli altri che devono imparare questo linguaggio, non le monache il loro, perché, sennò, sarebbe un inferno; verissimo. 

Bisogna che si abbia quella santa libertà e anche — mi verrebbe da dire — quel santo orgoglio, per cui uno dice: questa è la mia identità, questa è la nostra identità, questo è il mio linguaggio, e io non lo cambio. Esattamente — se vogliamo vederla in modo speculare — così come fa il mondo. 

Il mondo non cambia il suo linguaggio perché deve parlare con un sacerdote, ad esempio. Il mondo parla il suo linguaggio, se tu ci vuoi parlare insieme, devi imparare quel linguaggio. Il mondo non si adatta, il mondo ti costringe a adattarti. 

E, allora, ci troviamo delle scene proprio infernali, come dice Santa Teresa, dove si vedono cose mostruose, per cui si vedono persone che parlano in un modo che non è corrispondente, adeguato, al loro stile di vita. Per cui ci si chiede perché quella persona che ha fatto quella scelta, che ha quello stile di vita, perché parla in questo modo, che non c’entra niente con lui, con il suo stile di vita, con quello che ha scelto, perché parla così? Perché usa quelle espressioni? Ad esempio: perché usa queste volgarità? Perché fa questi discorsi così immorali? Perché non sceglie di seguire quel linguaggio che gli apparterrebbe per la scelta che ha fatto? E noi rispondiamo: “Eh no, bisogna dialogare col mondo e quindi bisogna assumere il linguaggio del mondo”. Non è vero, non è vero; non è assolutamente vero.

Quando San Francesco d’Assisi è andato dal sultano, non ha assunto il linguaggio del sultano, assolutamente! San Francesco d’Assisi ha parlato il suo linguaggio, San Francesco d’Assisi è andato dal sultano per convertirlo. È andato dal sultano per testimoniare Gesù, per morire martire; San Francesco d’Assisi era pronto a morire martire. Poi, in realtà il sultano è rimasto edificato, ovviamente, è rimasto edificato dalla fede incredibile di San Francesco, dal vedere San Francesco così, e quindi lo ha rispettato sommamente. 

Ma è sempre così, davanti a qualcuno che ci presenta un’identità formata. Non è giusto dire un’identità forte, no, è la sua; l’identità è quella. Uno che guarda la mia carta d’identità non dice: “Ah, lei ha una carta d’identità forte”, un altro la legge e dice: “No, lei ha una carta d’identità debole”. La carta d’identità è una, e non è né forte, né debole, è quella. Impariamo a uscire da questa terminologia veramente imprecisa e banale; ecco, l’identità è quella, uno ha una sua identità, la sua carta d’identità è quella, non è né forte, né debole, è quella lì. Quindi non è corretto dire che se io sono quello che c’è scritto nella mia carta d’identità — nome, cognome, indirizzo… — io sono forte, se non sono qualcosa di questo, sono debole, no! Se sono tutto questo, io sono quello che sono, se qualcosa qui non torna, io non sono quella persona, capite? Cioè, il tema è: lo sei o non lo sei, non forte / debole; o tu sei il signor Mario Rossi o tu non lo sei, punto. Capite? Fine della discussione.

Invece noi, quando uno è Mario Rossi, diciamo: “Eh sì, quella è un’identità forte, è una scelta identitaria forte”; e poi, subito dopo, aggiungiamo: “È rigido”. Siccome Mario Rossi è Mario Rossi, allora diciamo che è rigido. Allora, qual è la normalità? Ecco, la normalità oggi è: “essere liquido”, neanche molle, molle è già un po’ rigido. No, oggi devi essere liquido, allora va bene; quindi, vuol dire, senza identità, non devi avere un’identità, guai ad avere un’identità, sennò sei rigido, sennò sei forte, sennò sei impositivo, e non va bene.

Santa Teresa, purtroppo per qualcuno, non è liquida:

Chi vuol trattare con voi l’impari ma guardatevi bene dall’imparare voi il suo, ché sarebbe un inferno.

Chiaro? Questa è la forma suprema del “anti-liquido”, cioè più solido di così si muore. Poi va avanti:

Importa poco se per questo siete prese per villane…

Tipico, no? Eh, certo, quando uno non è liquido, ma è la sua identità, cosa gli viene detto: “Tu sei maleducato, tu sei villano”

…e meno ancora se per ipocrite.

L’altra frase che si sente dire è: “Ah, ecco, questa sarebbe la carità cristiana?” Che uno dice: “Cosa c’entra la carità cristiana con l’essere il signor Mario Rossi, non si capisce bene…”. Ma, appunto, oggi se tu non sei liquido, tu sei addirittura, oltre ad essere rigido, oltre ad essere forte, sei anche contro la carità. Infatti, villano vuol dire una persona maleducata, e lei dice: poco importa, non interessa niente se, per questo, venite definite maleducate, se, per questo, venite definite ipocrite. Pazienza, bisogna prepararsi. Già lo diceva Santa Teresa e già Santa Teresa vedeva questo rischio; e siccome è un rischio reale, allora come oggi, oggi più di allora, lei dice: non fatevene un problema. Sì, magari uno ci rimane un po’ male, ci soffre un pochetto, perché dice: “Vabbè, non è che mi piaccia proprio essere ritenuto un villano”; però, se hai una colonna vertebrale, se hai una spina dorsale, se cammini su due gambe… Oggi purtroppo è così. 

Otterrete che non vi verranno a visitare se non coloro che parlano come voi…

Eccola qui! Eccola qui!

…non potendosi concepire un individuo che, ignaro della lingua araba, prenda piacere nel trattare a lungo con chi non conosce che quella.

Che cosa otterremo seguendo questa indicazione di Santa Teresa? Che parleremo con chi parla come noi. Uno dice: “Ah, ma allora questa è una setta!”; no, questa è la vita umana, capite? Questo è il normale vivere civile: si parla con chi parla la stessa lingua. 

Io sono italiano, vado in Inghilterra, che cosa faccio? Devo imparare un’altra lingua, sennò non parlo con quelle persone; è chiaro, questo ce lo dice la vita. Se io sono italiano e vado in Cina, se voglio parlare con i cinesi devo imparare il cinese; “No, ma io vado in Cina e voglio parlare l’italiano”, benissimo, tranquillo che tu sarai un disadattato sociale da lì in avanti, non potrai avere nessun rapporto sociale con nessuno, il che vuol dire che, a un certo punto, o ti sbattono in galera o ti espellono dal paese, perché tu non puoi non avere rapporti sociali in una società, no? Quindi, se tu vuoi andare in Cina, impari il cinese, se tu vuoi andare in Italia, impari l’italiano. 

Poi abbiamo cercato di superare questo problema dicendo: “Vabbè, facciamo diventare l’inglese un po’ la lingua comune per cui, ovunque si va, più o meno, ci sia una lingua che si parla ovunque” ma, vedete, è la stessa cosa, non cambia niente. Questo sottolinea l’importanza che ci sia una lingua comune, altrimenti, non si può parlare. 

E lei dice: voi guadagnerete che chi verrà a parlare parlerà come voi, chi vi verrà a visitare parlerà come voi. Gli altri non ci vengono, perché dicono: “No, quel linguaggio li uhm… non ci piace”, e va bene che non vi piaccia, va bene, perché non è il vostro linguaggio, perché quello è il linguaggio del mondo. Ma Santa Teresa parla delle monache che hanno detto no al mondo. 

E poi dice (ah, quanto ha ragione Santa Teresa!):

Così eviterete di annoiarvi e di correre il non lieve pericolo di cominciare una nuova lingua, sciupando in questo il vostro tempo.

Quindi, primo, eviterai di annoiarti. A me cosa interessa di parlare di motori, parlare di non so che…? Cosa interessa! Parlare di quel parlare che è tipico di chi va a fare l’aperitivo; ma a me non interessa! A un altro interessa? Va bene, parla. Che cosa interessa a me parlare della teologia del calcio? Eh, ci sono i teologi del calcio, questi che stanno a parlare per un’ora di una partita di calcio che, tra l’altro, non hanno neanche giocato loro. Ci sarebbe tanto da dire, su questo. A me cosa interessa? Non mi interessa. Cosa mi interessa parlare degli ultimi pettegolezzi degli uomini di mondo, degli uomini potenti, ma cosa mi interessa? Cosa mi interessa spettegolare sugli altri? Cosa mi interessa il parlare frivolo? Posso dire che non mi interessa? Si, lo posso dire, perché non rispetta la mia identità, quindi non mi interessa. 

Santa Teresa dice che, in questo modo, tu eviterai di annoiarti — perché ti annoi a morte — e di perdere il tuo tempo. Perdere il tuo tempo, che non è una cosa da poco. Perché per parlare con loro dovresti iniziare a parlare un linguaggio nuovo ma io queste cose non ho mai parlato in vita mia, perché devo incominciare a parlarne adesso? E perché devo cominciare a usare espressioni che non ho mai usato, magari appunto volgari, perché fa moda? Perché, se tu non dici ogni quattro parole una parolaccia, eh, insomma… c’è qualcosa che non va; se tu non fai battutine volgari, allusioni impure, eh, non va bene… c’è qualcosa che non va. Sì, nel tuo mondo, ma non nel mio.

Voi non potrete mai conoscere, come lo conosco io che l’ho provato per esperienza, il gran male che ne viene facendo altrimenti.

Tutti coloro che hanno provato questo rischio, che sono caduti in questo pericolo, sanno di che cosa sta parlando Santa Teresa.

Imparando una lingua, si dimentica l’altra e si cade in una continua inquietudine…

Nel caso che vi ho fatto prima: se imparo l’inglese, ricordo il francese; in questo caso: se imparo la lingua del mondo, dimentico la lingua della vera identità cristiana, non sono più capace di parlarla. Perché quella lingua è legata all’appartenenza, all’appartenenza a Gesù. Di fatto, io parlo la lingua del mondo cui appartengo e, quindi, se incomincio a parlare un’altra lingua, è perché comincio a migrare l’appartenenza. Di norma, prima si inizia a parlare il nuovo linguaggio, e poi ci si trova, senza accorgersi, appartenente all’altro mondo. Funziona così; uno dice: “Ma io, qui, come ci sono finito?” Eh, ci sei è finito parlando quel linguaggio, parlando quella lingua, usando quel linguaggio.

Quindi, non bisogna mai cedere alla tentazione di quel linguaggio, quel linguaggio non mi appartiene e io non voglio impararlo; un linguaggio che è fatto di gesti, di simboli, di espressioni, di contenuti; è una cosa che non mi interessa; non mi interessa, perché non è la mia appartenenza. Perché tu non lo parli? Perché tu non dici le parolacce? Perché tu non bestemmi? Perché tu non fai discorsi impuri? Perché io non appartengo a quel mondo, semplice. Non è semplicemente perché io non sono un maleducato come voi, ma perché non appartengo a quel mondo. Quel mondo non è il mio mondo, fine. 

E quando noi dimentichiamo la nostra lingua, la nostra lingua d’origine, e impariamo quell’altra, migrando da un mondo all’altro, cadiamo nell’inquietudine; non c’è verso, non c’è pace, per chi ha migrato dal mondo della sua identità cristiana al “mondo”, inteso come mondanità.

Ecco poi dopo lei dice:

Se quelli che vi vengono a far visita vogliono imparare la vostra lingua…

beh, fategli vedere tutta la bellezza; magari non sei in grado di insegnargliela, fa niente, comincia a fargli vedere tutta la ricchezza e la bellezza di questo linguaggio, che vuol dire: di questa appartenenza; poi, quando loro avranno capito la bellezza di tutto questo, troveranno qualcuno che gliela insegni, e potrai dire: “Guarda, quello lì è un bravo maestro, ti può insegnare bene a parlare quella lingua”, che vuol dire: a vivere quell’appartenenza.

Ecco, io spero che, in questo giorno dell’Epifania, possa esserci davvero di grande aiuto questa sottolineatura fondamentale del linguaggio. 

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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