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La distanza – L’abbandono dei Tabernacoli accompagnati, S. Manuel González pt.14

L’abbandono dei Tabernacoli accompagnati - San Manuel Gonzales Garcia

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: La distanza – L’abbandono dei Tabernacoli accompagnati, S. Manuel González pt.14
Mercoledì 3 aprile 2024

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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PRIMA LETTURA (At 3, 1-10)

In quei giorni, Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera delle tre del pomeriggio.
Qui di solito veniva portato un uomo, storpio fin dalla nascita; lo ponevano ogni giorno presso la porta del tempio detta Bella, per chiedere l’elemosina a coloro che entravano nel tempio. Costui, vedendo Pietro e Giovanni che stavano per entrare nel tempio, li pregava per avere un’elemosina.
Allora, fissando lo sguardo su di lui, Pietro insieme a Giovanni disse: «Guarda verso di noi». Ed egli si volse a guardarli, sperando di ricevere da loro qualche cosa. Pietro gli disse: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!». Lo prese per la mano destra e lo sollevò.
Di colpo i suoi piedi e le caviglie si rinvigorirono e, balzato in piedi, si mise a camminare; ed entrò con loro nel tempio camminando, saltando e lodando Dio.
Tutto il popolo lo vide camminare e lodare Dio e riconoscevano che era colui che sedeva a chiedere l’elemosina alla porta Bella del tempio, e furono ricolmi di meraviglia e stupore per quello che gli era accaduto.

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a mercoledì 3 aprile 2024. 

Abbiamo ascoltato la prima lettura della Santa Messa di oggi, tratta dal terzo capitolo degli Atti degli Apostoli, versetti 1-10.

Continuiamo la nostra lettura del testo di san Manuel González, e adesso leggiamo finalmente la trascrizione di questa conferenza, di cui abbiamo ampiamente parlato in questi giorni. Titolo:

LA AZIONE SOCIALE DEL PARROCO

Conferenza tenuta da Mons. Manuel González alla III Settimana Sociale di Siviglia.

Presentazione della persona

Eccellentissimi e Reverendissimi Signori, Signori che partecipate alla Settimana, devo cominciare confessando un equivoco. Io immaginavo che avrei avuto un pochino di paura. Mi ero sbagliato. Quella che qui provo è una gran paura. Ed è da gran paura lo spettacolo che si presenta davanti ai miei occhi. Da una parte questi venerabili Prelati, maestri in Israele e giudici della dottrina, degni della nostra venerazione, non solo per la loro autorità, ma anche per le loro virtù e scienza. Dall’altra, voi, che siete lo stato maggiore della Azione Sociale Cattolica spagnola, apostoli dell’amore o in cammino per diventarlo. Dall’altra ancora io, cioè un povero “Lopez”, come erroneamente mi ha battezzato il programma, o un povero González, come mi chiamarono al fonte battesimale di S. Bartolomeo di questa città. Un povero parroco, più abituato a parlare con umili operai e bambini straccioni, che a mettersi in queste riunioni scientifiche, le quali, sia detto con onore della verità, le stanno piuttosto larghe e grandi. Tuttavia tutto quanto potrei dirvi per fare o scusare la mia presentazione è comunque in più, perché colui che comanda, e al quale ho sempre obbedito con piacere, mi ha detto: “parla!” e siccome l’ha detto, saprà lui il perché. Dopotutto, signori, essere l’Arciprete di Huelva non comporta avere o esercitare un potere. È una ragione sociale, dietro la quale si nascondono alcuni sacerdoti che amano molto, e non pensano né sognano altro che salvare il popolo che Dio ha loro affidato. Egli rappresenta un gruppo di uomini e uno di donne che sanno fare molto bene due cose: amare il Sacro Cuore di Gesù con tutto il loro impegno e obbedire ai loro parroci. E perché nulla manchi, essi contano su una “Banca infinita”, con più credito che la Banca Inglese, e su un Capo, un Padrone, che è, voi già lo conoscete, il Santissimo Cuore di Gesù. Quando poi vi si dice, che deve parlare l’arciprete di Huelva, non dovete pensare che sia un tizio qualsiasi che vi parla, ma vi parla per mezzo di lui un popolo nuovo, redento e rigenerato dall’amore, a cui piace dire ciò che ha ricevuto e ciò che ha fatto, per stimolare i suoi fratelli a fare molto per ricevere molto più.

Una bella presentazione, un bel parlare di sé, molto nobile, molto delicato, molto vero e anche molto umile. È bella questa parte finale, quando dice: «Quando poi vi si dice, che deve parlare l’arciprete di Huelva, non dovete pensare che sia un tizio qualsiasi che vi parla, ma vi parla per mezzo di lui un popolo nuovo…». Bello sarebbe se quando un sacerdote parla, attraverso di lui sta parlando «un popolo nuovo a cui piace dire ciò che ha ricevuto e ciò che ha fatto». Noi non dobbiamo avere vergogna di dire ciò che abbiamo ricevuto e ciò che abbiamo fatto, però con lo scopo di stimolare gli altri a fare molto di più «per ricevere molto più»; vedete che equilibrio?

Presentazione del tema

La Azione Sociale del parroco”, ecco qui il tema della relazione. Su di esso ho da dire innanzitutto che mi dispiacciono le mie inquietudini, perché sembra che dietro esso spuntino una serie di consigli e regole e che dandoli, io abbia una faccia seria di maestro che ammonisce e rimprovera, e in verità a me non è questo che interessa, né voi ne avete bisogno, tanto più che io qui non parlo solo a parroci, ma anche a molti uomini ormai già maturi. Se voi non la prendete a male e se non lo chiamate imbroglio, io intenderei rettificare il tema in questa maniera: “L’azione sociale cattolica come la concepisce un parroco” perché per me e più giusto così! — Ha fatto un piccolo cambio di tema — Procurerò di essere concreto e breve, e sarò contento se riuscirò a intrattenervi gradevolmente per un po’, servendo anche come se fossi un intermezzo di musica (benché questa musica non sia come quella di cui hanno trattato nell’ultimo convegno) per rendere piacevole la vostra permanenza in questa Settimana Sociale che celebriamo.

Una definizione.

Cosa sarebbe la “Azione Sociale Cattolica”? Lasciando il significato più ampio, ossia l’influenza che il cattolicesimo esercita sulla società con la sua dottrina, la sua morale, la sua gerarchia, i suoi sacramenti, la sua grazia e la sua storia, l’influenza importante e costante, io la limito qui alla sua accezione corrente, cioè essa è l’influenza che la Chiesa esercita sopra la parte più numerosa e disgraziata della società, cioè sul popolo. In questa accezione, si può definire la azione sociale cattolica come l’insieme delle opere che i cattolici devono realizzare per andare verso il popolo e attirarlo a Cristo. È come un viaggio di andata e ritorno, quello di andata comincia in Cristo e termina nel popolo, quello di ritorno comincia nel popolo e termina in Cristo. Intendo per popolo quella moltitudine di uomini che ribolle nei caffè e nei bar, che legge giornali e riceve a casa notiziari, che fatica lavorando con le macchine o nella scrivania del suo ufficio. Quel popolo che paga e si ribella quando è stanco di pagare. Questo popolo, io affermo essere il campo della azione sociale cattolica.

Vedete come è preciso nel portare avanti la sua relazione, la sua conferenza? Quindi il popolo è proprio il popolo; il popolo normale della gente comune a cui fa riferimento.

Dove è il popolo?

Per orientarci è necessario contestualizzare (come diceva ieri sera il vescovo di Vic). Sì, e siccome il nostro lavoro deve orientarsi verso il popolo, cominciamo a considerare quale sia la sua situazione. Dove è il popolo? Oh, Signori! Io non sono per grazia di Dio pessimista, io so che ci sono anche popolazioni cristiane, e che esse ci saranno sempre, perché la Parola di Cristo non mancherà mai, però so anche che c’è una grande parte del popolo che sta molto lontano da noi. Molto più lontano che gli antipodi, più che la luna e il sole, e se tra creature limitate si potessero misurare distanze infinite, io vi direi che questo popolo sta infinitamente distante da noi. Sono stato spesso tra operai, e ho potuto stringere le loro mani con le mie, fissare il mio sguardo nei loro occhi, mettere il mio pane nei loro stomaci e anche il mio affetto nei loro cuori. Però quanta pena ho sentito quando ho visto che non potevo mettere Cristo nella loro intelligenza e nel loro cuore! E chi è capace di misurare la distanza che c’è tra una anima che è con Cristo e una senza Cristo?

Ripeto la domanda, credo che ci faccia bene risentirla: «E chi è capace di misurare la distanza che c’è tra un’anima che è con Cristo e un’anima senza Cristo?»

E se dall’operaio-individuo passiamo all’operaio-massa, Dio mio, che spaventosa assenza di Cristo, che distanze orribili. Poveretti, non hanno né tutta la colpa, né la maggior parte di essa, la cattiva educazione è la prima colpevole! Come si educano i bambini poveri? Il bambino povero non incontra nel suo cammino se non calci minacciosi. I calci del maggiordomo perché rovina le pareti di casa, i calci del padre che sfoga su quella innocente creatura i rancori che ha con altri, i calci della guardia e del vigile, del maestro con la bacchetta, del caposquadra della sua fabbrica, e quando sarà cresciuto, non saranno calci quelli che vedrà ma penne che colano veleno… ogni colpo che riceve forma un callo nel suo cuore; quando arriverà a essere uomo quel cuore non sarà di carne ma di pietra, a meno che i vizi non lo abbiano già trasformato in un vermiciaio…

“La distanza… un popolo che sta infinitamente distante da noi”. C’è una distanza infinita tra le persone. “Si può mettere negli altri qualunque cosa, dargli la mano, dargli il pane, ma quanta fatica a mettere Cristo nell’intelligenza nel cuore delle persone”. «E chi è capace di misurare la distanza che c’è tra un’anima che è con Cristo e un’anima senza Cristo?»

C’è una distanza! “Distanze orribili, a motivo dell’assenza di Cristo”. E questa distanza… è una distanza, è così. Un’anima con Cristo e un’anima senza Cristo sono distanti, c’è poco da fare. Forse non abbiamo mai ragionato su questa domanda, su questa verità. C’è una distanza che probabilmente non si può misurare, e chi è capace di misurarla? Ecco perché in quei contesti, soprattutto, si realizzano profonde incomprensioni e anche antipatie; perché le anime non sono vicine. E poi è interessante questa domanda sui bambini poveri; guardate qui, si dice “bambini poveri” ma ormai mi viene da dire: i bambini.

Stiamo attenti, perché la sofferenza, la cattiveria, le ingiustizie, rischiano di formare un callo nel cuore dell’uomo, il cuore si indurisce, diventa di pietra, oppure diventa un vermiciaio di vizi. Stiamo attenti, perché la sofferenza è terribile. Quando non c’è un luogo, quando non c’è un volto dove andare a ripararsi, rifugiarsi, consolarsi, riposarsi, ritrovarsi, quando non c’è un volto che ti ridà le tue coordinate, che ti fa sentire essere umano, che ti fa sentire ed essere cristiano — perché capite che, se io non mi sento più cristiano, che cosa sono? — quando non c’è questo, è chiaro che poi il cuore diventa di pietra; è chiaro che poi diventa un vermiciaio di vizi, certo, funziona così. Funziona così perché le sofferenze, perché le minacce, perché le percosse, perché le persecuzioni, il dolore fisico e spirituale, se quelle persone che le subiscono non trovano un luogo, non trovano un volto, beh, poi si perdono. Si perdono dentro a una durezza di cuore, a una viziosità, da cui non escono più.

Ecco, quindi ci fermiamo e preghiamo perché chi soffre tanto abbia la possibilità di trovare qualcuno che lo aiuti, anche a non diventare un cuore di pietra. 

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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