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D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 33

Falò sulla spiaggia

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 33
Sabato 9 settembre 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Lc 6, 1-5)

Un sabato Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli coglievano e mangiavano le spighe, sfregandole con le mani.
Alcuni farisei dissero: «Perché fate in giorno di sabato quello che non è lecito?».
Gesù rispose loro: «Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? Come entrò nella casa di Dio, prese i pani dell’offerta, ne mangiò e ne diede ai suoi compagni, sebbene non sia lecito mangiarli se non ai soli sacerdoti?».
E diceva loro: «Il Figlio dell’uomo è signore del sabato».

Testo della meditazione

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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a sabato 9 settembre 2023. Festeggiamo quest’oggi San Pietro Claver, sacerdote. Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo sesto del Vangelo di san Luca, versetti 1- 5.

Continuiamo la nostra lettura del libro Sequela di Bonhoeffer. Ieri abbiamo concluso leggendo queste righe, le riprendo tanto per capirci:

Abramo discende dal monte con Isacco, come con Isacco vi era salito, ma tutto è cambiato. Cristo si è frapposto tra padre e figlio. Abramo aveva abbandonato tutto e si era messo alla sequela di Cristo, ed ora, nel pieno della sequela, può tornare a vivere nel mondo in cui viveva già prima.

Perché vedete, è così. Quando Gesù si mette tra padre e figlio — cioè sempre, perché Gesù media tutte le relazioni, tra noi e le persone, tra noi e la realtà — sembra chiedere un sacrificio: in realtà Gesù chiede la sequela. E quando noi veramente seguiamo il Signore, dopo questa sorta di esodo, fatto di purificazione, fatto di prova, fatto di fede, fatto di uscita da sé stesso, fatto di abbandono delle nostre schiavitù e tutto quanto, dopo si torna a vivere quelle relazioni, apparentemente come prima, ma in realtà non più come prima, perché abbiamo imparato, seguendo Gesù — ecco la sequela — a riconoscere concretamente la fondamentale, insostituibile mediazione di Gesù. Quindi sembra che tutto sia come prima, in realtà non è come prima. Perché è cambiato questo modo interiore. Infatti, lui scrive:

Esteriormente tutto resta come in passato. Ma il passato è passato, e tutto è stato fatto nuovo. Tutto è dovuto passare attraverso Cristo.

Adesso andiamo avanti:

Questa è la seconda possibilità di essere un singolo, di essere, in mezzo alla società, al popolo e nella casa paterna, nel possesso dei beni e della proprietà, seguace di Cristo. Ma a questa esistenza viene chiamato appunto Abramo, cioè colui che in precedenza aveva vissuto in prima persona la rottura visibile, la cui fede sarebbe diventata modello per il Nuovo Testamento. Sarebbe anche troppo facile generalizzare questa possibilità vissuta da Abramo, intendendola in modo legalistico, cioè riferendola senz’altro a noi stessi. Anche la nostra esistenza cristiana consisterebbe nel seguire Cristo e nell’essere dei singoli nel pieno possesso dei beni di questo mondo. Certo, la via più facile per il cristiano è quella di essere condotto alla rottura esterna, piuttosto che sopportare quella vissuta in segreto nel nascondimento della fede. Ma chi non è consapevole di questo, cioè chi non lo ha appreso dalla Scrittura e dall’esperienza, sicuramente inganna sé stesso nel seguire la via alternativa. Egli cadrà nuovamente nell’immediatezza, perdendo Cristo. Non è in nostro arbitrio scegliere l’una o l’altra possibilità. È in base alla volontà di Gesù che veniamo chiamati nell’uno o nell’altro modo a uscire dall’immediatezza, e noi dobbiamo diventare singoli, in modo visibile o in segreto.

Volevo riprendere un punto che vi ho letto poco tempo fa. Quando ha parlato della rottura con i rapporti immediati, dicendo che era inevitabile, Bonhoeffer diceva che:

… essa si compie in modo visibile come rottura nei confronti della famiglia e del popolo, se uno viene chiamato a sostenere visibilmente l’onta di Cristo, l’accusa di odiare gli uomini (odium generis humani), oppure se questa frattura dev’essere sopportata nel nascondimento, se è nota solo a colui che la vive, pronto però a renderla visibile in ogni momento. Abramo è diventato il modello di entrambe le possibilità. Egli ha dovuto abbandonare amici e casa paterna, Cristo si è interposto fra lui e i suoi. In questo caso la rottura si è resa visibile. Abramo si è fatto straniero per amore della terra promessa.

Quindi questo è visibile, però:

Successivamente Abramo viene chiamato da Dio a sacrificare il figlio Isacco.

Ma questa diventa invece una rottura nascosta. Vedete? Lui dice:

Cristo si pone fra il padre della fede e il figlio della promessa.

E badate che:

Nessun uomo ha sentore di questa chiamata di Dio, neppure i servi che accompagnano Abramo al luogo del sacrificio. Abramo resta del tutto solo.

E lui dice:

Egli porta il figlio al sacrificio. È disponibile a realizzare in modo visibile la rottura segreta…

Quindi di fatto sarebbe diventata visibile una volta fatto il sacrificio. Lui si rende disponibile perché diventi visibile, di fatto non diventerà mai visibile perché il sacrificio non avverrà e quindi rimarrà tutto interiormente. E lui le porta tutte e due queste cose, queste realtà.

Questo era il brano letto qualche giorno fa. In quello che abbiamo letto oggi lui dice:

Esteriormente tutto resta come in passato. Ma il passato è passato, e tutto è stato fatto nuovo. Tutto è dovuto passare attraverso Cristo.

Questa è la seconda possibilità di essere un singolo, di essere, in mezzo alla società, al popolo e nella casa paterna, nel possesso dei beni e della proprietà, seguace di Cristo 

Un discepolo di Gesù.

La via più facile è quella dell’essere condotto alla rottura esterna, piuttosto che dover sopportare nel segreto e nel nascondimento questa rottura, questa frattura. Però, dice Bonhoeffer, non tocca a noi. Noi non abbiamo l’arbitrio di scegliere qual è l’una e qual è l’altra. Noi sappiamo che siamo chiamati a uscire dall’immediatezza e a mettere Gesù come unico mediatore nella nostra vita e quindi diventare dei singoli. Poi, se questo deve essere fatto in modo visibile (come Abramo che rompe con la casa, con la terra, con la patria) piuttosto che nel segreto (come Abramo che deve prendere il figlio Isacco a salire sul monte, per sacrificarlo nel nascondimento e nel segreto) questo non dipende da noi, perché non decidiamo noi, questo dipende da Gesù. Sarà lui a chiamarci all’una e all’altra. 

Può darsi che faremo delle esperienze simili a quella di Abramo, cioè la stessa persona farà prima l’esperienza di una rottura visibile e poi l’esperienza di una rottura invisibile, oppure viceversa. Però magari le dovrà portare tutte e due. 

Se noi viviamo la rottura invisibile, nel nascondimento, l’importante è essere pronti comunque e sempre a renderla visibile. Ecco, questo è il punto. Nel nostro cuore ci deve essere disponibilità di dire: “Signore, io capisco che tu adesso mi chiedi di vivere questa rottura interiormente, però sappi che sono pronto anche a viverla visibilmente”. 

Perché, vedete, uno potrebbe dire: “Eh, ma se tu non la rendi visibile sei un vigliacco. Devi rendere manifesta la tua radicalità, la tua adesione al Signore, la coerenza con le tue idee. Devono essere manifeste!” Sì, è vero, diciamo che a livello, così, “di ragionamento” ha una sua sensatezza, però qui quello che conta non è la sensatezza di un ragionamento, ma è la volontà di Dio. Dio, oggi, cosa mi sta chiedendo? Ha una sua ragionevolezza questa volontà di Dio? Assolutamente! 

Quindi ad Abramo prima ha chiesto un determinato passo, non ha chiesto subito il sacrificio di Isacco. Prima Dio gli ha chiesto di abbandonare amici e casa paterna. E questa è la rottura visibile. E se Abramo avesse detto: “Ah vabbè, no, ma allora io per questo quindi già sacrifico Isacco, già faccio questo…”. No! No, perché non te l’ha chiesto il Signore, non è quello il momento. Qualcuno avrebbe potuto dire: “Ma tu Abramo, che fai questa scelta di abbandonare gli amici, la casa paterna, sei pronto anche ad abbandonare tuo figlio?” — “Ma questo il Signore non me l’ha chiesto” — “Eh, no, per dimostrare che tu veramente ami il Signore, tu devi dare una dimostrazione…” No! Perché noi non dobbiamo dimostrare niente agli altri. Questa non è una gara di atletica. Capite? Siamo su un altro livello: questo è obbedire alla volontà di Dio.

Quindi per qualcuno la volontà di Dio è immediatamente una rottura visibile, e dovrà farla; per qualcun altro, invece, è una rottura invisibile, magari all’inizio: esattamente il percorso inverso di quello che ha fatto Abramo. Non c’è una via uguale per tutti, perché il Signore ha una via per ciascuno.

Quindi stiamo attenti a giudicare le persone e a dire: “Ah, quella persona è incoerente, perché se fosse coerente dovrebbe fare così, così e così”. Sì, secondo la tua testa! Secondo il tuo modo di intendere la coerenza! Ma il tuo modo di intendere la coerenza non è “il modo” di intendere la coerenza, è “un modo” di intendere la coerenza. Per te “coerente” è questo, ma per Dio potrebbe non esserlo. Per Dio potrebbe essere più coerente — perché lui tiene insieme tutto — che quella persona adesso viva nel nascondimento la sua rottura. E quella persona è già pronta interiormente a manifestarla visibilmente questa rottura, però il Signore dice: “No, visibilmente adesso no. Non voglio, per ragioni mie, per ora tu vivilo nel segreto. Quando sarà il momento — e sii disponibile, pronto a — quando sarà il momento, se sarà il momento sarò io a dirti: «adesso deve essere visibile, adesso rendila manifesta»”.

Guardate, questo è un passaggio fondamentale di Bonhoeffer. E infatti vedete cosa scrive? È più facile — ma certo, è più facile! — passare per la rottura visibile, la rottura esterna. È molto più facile perché è tutto chiaro e uno può dirla tutta fino in fondo. Uno dice: “Bene, il Signore mi ha chiesto questo, questo e questo; e io faccio questo, questo e questo”. Compio delle scelte pubbliche davanti a tutti, tranquillo, sereno, affidato a Dio e dico: “Cari miei, io devo fare questo passo, mi sento in coscienza che Dio mi chiede di farlo; è una rottura, ma la devo fare perché non c’è alternativa, è quello che devo fare”. Quindi, nel caso di Abramo: abbandona la casa, abbandona la patria, abbandona… “mi dispiace, voglio bene a tutti, però devo andare”. Una rottura esterna visibile. Ed è molto liberante, perché uno non deve mostrare qualcosa che, tra virgolette, “non è ciò che ha dentro”. Perché, capite, Abramo che parte col figlio per portarlo sul monte e ucciderlo non lo ha mostrato, non è che è partito in una valle di lacrime, disperato, strappandosi i capelli dicendo: “Tu non sai cosa mi aspetta”, altrimenti sua moglie sarebbe impazzita dalla preoccupazione, dal dolore e li avrebbe seguiti. Quindi è chiaro che Abramo fa “buon viso a cattivo gioco” — passatemi il termine.  Quindi è chiaro che Abramo deve partire come sarebbe partito per andare a fare una passeggiata, come sarebbe partito per andare a fare una qualunque cosa, come fa un padre con un figlio. Non può dare ad intendere che sta andando a uccidere suo figlio. Quindi è chiaro che la sofferenza è doppia. Doppia perché? Perché da una parte deve portare dentro la rottura che ha capito che il Signore gli ha chiesto — quindi la decisione di sacrificare il figlio — in più è tutto solo, è completamente solo in questa cosa, deve viverla lui; dall’altra a questa rottura si aggiunge anche un’altra rottura, che è quella di non poterla dire, che è quella addirittura di dover far la parte di quello che fa il contrario, di quello che dice: “Noi andiamo a fare una passeggiata, andiamo a fare una cosa, ma poi torniamo”; non dà ad intendere a nessuno che va ad ammazzarlo, tanto che neanche i servi se ne accorgono. Capite che la sofferenza interiore è doppia per chi deve viverla nel segreto, nel nascondimento. 

E infatti Bonhoeffer dice:

Ma chi non è consapevole di questo, cioè chi non lo ha appreso dalla Scrittura e dall’esperienza, sicuramente inganna sé stesso nel seguire la via alternativa. Egli cadrà nuovamente nell’immediatezza, perdendo Cristo.

Però lui dice che nessuno di noi può decidere: a ognuno tocca ciò che Dio vuole. Quello che possiamo evitare noi è di giudicare le persone: “Perché hai fatto così? Perché non hai fatto cosà”. Perché magari c’è anche chi lo fa per vigliaccheria, non lo sappiamo, ma c’è anche chi lo fa perché deve farlo, perché in quel momento il Signore gli chiede quella cosa.

Pensate ai tempi dei regimi nei quali i cristiani venivano perseguitati, venivano incarcerati, torturati, ammazzati. Anche adesso ci sono nazioni che non permettono assolutamente neanche che un sacerdote vada in giro vestito da sacerdote, ma non permettono neanche che uno si riconosca e si definisca tale, perché se tu arrivi come sacerdote ti portano via. E quindi c’è tutto questo mondo della chiesa clandestina. E stiamo parlando di oggi, non del tempo di Diocleziano. E pensate che sofferenza, che fatica, che sacrificio enorme il dover far finta di essere ciò che non sei. Quindi abbiamo il sacerdote, che è sacerdote, che però deve fare il suo lavoro come tutti gli altri, che deve condurre una vita come se fosse un laico, che non può manifestare niente e che di nascosto va a celebrare i sacramenti nelle case, al buio. Uno dice: “Eh no, deve venir fuori per coerenza la sua fede, deve farsi riconoscere come sacerdote, deve manifestare e se c’è il martirio, vada incontro al martirio”. No, non è detto. Ad alcuni il Signore chiede direttamente la manifestazione, e quindi la persecuzione, e quindi l’esternazione della rottura, e quindi il martirio; ad altri il Signori dice: “No, tu no. Tu sii pronto”. Non è che questi misconoscono o tradiscono, però si nascondono. Tu vivi in nascondimento la rottura, tu sii pronto, se succederà sarai pronto a rendere ragione, e quindi a morire martire, va bene, ma per ora no. Per ora fallo nel nascondimento. Per ora questa rottura la porterai dentro di te, come Abramo con Isacco, e così intanto porterai i sacramenti, così intanto sarai di conforto ai cristiani, così intanto… e via di seguito, vedete? Stanno tutti e due. E magari in una persona, in un sacerdote come in un laico, si può realizzare prima il nascondimento, la rottura nel nascondimento, e poi la rottura esterna, che comporterà la prigione e che comporterà, spesse volte, anche la morte. “Ah, ma allora noi giudichiamo quelli che …” No, noi non dobbiamo giudicare nessuno e non dobbiamo mettere dei diktat, dei paletti, delle dogane da passare: “Tu devi, perché non l’hai fatto? Perché non lo fai? Perché non manifesti? Perché non esci? Perché qui, perché là…” Perché noi non sappiamo che cosa chiede il Signore. Probabilmente, magari quei sacerdoti direbbero: “Guardate, voi non avete idea di quanto io vorrei uscire allo scoperto come voi, dire che sono un sacerdote, fuggire come fuggite voi e poi, se mi prendono, morire come voi, andare in carcere come voi, essere perseguitato come voi, essere torturato come voi e morire come voi”. Magari noi neanche immaginiamo questi sacerdoti e questi laici che desiderio hanno di condividere la stessa sorte dei loro fratelli. Però capiscono che non è quello che vuole il Signore. Lo possono capire in tanti modi. E quindi serviranno il Signore in un altro modo. Perché non è nostro arbitrio scegliere. Non è una scelta che può venire da noi questa, assolutamente; su questo Bonhoeffer ha veramente tanta ragione: non sei tu che dici i tempi, i momenti di una possibilità piuttosto che dell’altra, nessuno! Adesso sentite cosa scrive:

E proprio lo stesso mediatore, che fa di noi dei singoli, costituisce anche il fondamento di una comunione completamente nuova’’. Egli è in mezzo fra me e l’altro uomo. 

Questa è la comunione nuova. Perché è lui che sta in mezzo.

Divide e riunisce al tempo stesso. È così esclusa ogni via immediata per raggiungere l’altro, ma a colui che si è posto nella sequela si mostra ora la nuova ed unica via che porti realmente all’altro, passando per il mediatore.

«Allora Pietro si mise a dirgli: ecco noi abbiamo abbandonato tutto e ti abbiamo seguito. Gesù rispose: in verità vi dico: non c’è nessuno che avrà abbandonato casa, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o moglie, o figli, o campi per me e per il vangelo, che non riceva il centuplo: ora, in questo tempo, case, fratelli, sorelle, madri, figli, campi, insieme a persecuzioni, e nel mondo futuro, la vita eterna. Ma molti, che ora sono i primi, diventeranno gli ultimi, e molti, che ora sono gli ultimi, diverranno i primi» (Mc 10,28-31)

Personalmente, questo passo del Vangelo di San Marco mi è sempre piaciuto tantissimo, perché ogni volta che lo leggo guardo il Crocifisso e dico: “Gesù, come sempre, mantieni la tua parola”. Veramente, perché è proprio così, succede esattamente così.

In questo passo Gesù parla a persone che sono divenuti singoli per amor suo, 

Che bella questa espressione: “Persone che sono divenuti singoli per amor suo”; io sono singolo per amore di Cristo, bellissimo.

che hanno lasciato tutto, quando egli li ha chiamati, che possono dire di sé stessi: ecco, abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito.

Qui mi rivolgo soprattutto ai confratelli sacerdoti, ma — mi verrebbe da dire — un po’ a tutti noi. Una parte del nostro esame di coscienza potrebbe proprio essere questo. Ogni sera possiamo dire di noi stessi: “Signore, ecco, io ho lasciato tutto e ti ho seguito?” Se noi morissimo in questo istante, potremmo dire, guardando il cielo: “Ecco, ho lasciato tutto e ti ho seguito?” Quando diciamo questo “tutto”, noi dovremmo sentire un grande silenzio. È il silenzio del vuoto, dello spazio vuoto che l’aver lasciato tutto ha creato e che è lì, pronto per essere riempito sempre e solo da Dio. È come se fosse la tenda del convegno dell’Antico Testamento, come se fosse il tempio di Gerusalemme: vuoto per accogliere la presenza della gloria di Dio. Perché, se lasciando tutto sentiamo degli urli, se quando diciamo: “Abbiamo lasciato tutto” sentiamo delle grida dentro di noi, degli urli, che dicono: “No, lasciato tutto? A me non mi hai lasciato, cosa stai dicendo? Ma no, ma io e te siamo assolutamente uniti, ma cosa stai dicendo? A me non mi hai lasciato, non mi hai mai lasciato”, ecco, allora bisogna partire da lì. Perché, se non abbiamo lasciato tutto — e io aggiungerei: se non siamo pronti ogni giorno a lasciare tutto per rispondere a quella chiamata — non possiamo essere suoi discepoli, non lo siamo proprio. E guardate, lasciare tutto vuol dire proprio lasciare tutto, essere pronti a lasciare tutto. 

Prosegue Bonhoeffer:

A loro viene data la promessa di una nuova comunione. Riceveranno, — sentite — secondo la parola di Gesù, il centuplo di ciò che hanno lasciato già in questo tempo. Qui Gesù parla della sua comunità, che si trova in lui.

Sentite che roba:

Chi ha abbandonato il padre per amore di Gesù, qui — su questa terra, non in cielo, qui, chi ha abbandonato suo padre quando se ne è andato — ritroverà certamente un padre, fratelli e sorelle: per lui sono preparati addirittura campi e case. Ognuno si pone da solo nella sequela, ma nessuno vi rimane da solo. A colui che osa diventare un singolo fidando sulla parola, è data in dono la comunione della comunità. Egli si ritrova in una fraternità visibile, che lo ripaga cento volte di ciò che ha perduto. Cento volte? Sì, appunto perché ora egli ha tutto solo per mezzo di Gesù, del mediatore; il che d’altra parte significa «insieme a persecuzioni». «Il centuplo» — «insieme a persecuzioni», questa è la grazia della comunità che segue il suo Signore sotto la croce. Dunque la promessa per coloro che sono nella sequela è di diventare membri della comunità della croce, di essere popolo del mediatore, popolo sotto la croce.

Dai, è bellissimo! Bellissime queste parole, bellissime, verissime; un breve commento, perché sono già trenta minuti che siamo insieme. Quindi, a questi che hanno lasciato tutto, Gesù dice che riceveranno una promessa di una nuova comunione.

Io ricordo benissimo, come se fosse adesso, il giorno nel quale ho comunicato ai miei genitori che avevo deciso di entrare in convento — io, maschio, figlio unico, immaginate. Era una sera. Me lo ricordo benissimo, non vi racconto i dettagli perché non è il caso, però me lo ricordo molto bene: il momento della rottura solenne, quando tu dici: “Io vado!”. Mi ricordo benissimo il momento nel quale ho portato le mie “valigine” nella mia camera da postulante in convento. Mi ricordo benissimo che mio papà mi ha aiutato a portare queste valigie in camera, mi ricordo ancora il colore di una delle valigie che avevo lì con me: era una sacca blu e gialla che non ho più, blu con le maniglie gialle. Mi ricordo poi che abbiamo lasciato tutto in camera, io poi sono risceso, l’ho riaccompagnato giù, ci siamo salutati, e mi ricordo poi il momento in cui sono risaliti in macchina. Questo convento aveva — e ha tutt’ora — un grande cancello, che si apre proprio come la porta di un castello, con le due metà che si aprono e si chiudono, fatto a sbarre dalle quali si vede fuori. Funziona col telecomando. L’ho schiacciato per farli uscire e li ho seguiti, li ho accompagnati. Poi il cancello ha deciso da solo di chiudersi al momento opportuno e ci ha proprio separati, ha rappresentato simbolicamente in modo molto forte questa rottura, perché loro erano fuori, io ero dentro e il cancello ha cominciato a chiudersi. Io li ho salutati, mi son girato, gli ho dato le spalle e ho cominciato a scendere verso la porta d’ingresso del convento. E interiormente ho detto: “Adesso non mi giro più. Non mi devo girare”. Perché mi viene in mente quella parola del Vangelo: “Chi mette mano all’aratro, ma poi si volge indietro…” ho detto: “No, basta, adesso li ho salutati, non mi giro più”. E dopo questa frase che ho detto ho sentito: stum! Proprio un colpo, che ho ancora adesso nelle orecchie, nella testa, un colpo potentissimo. Era il colpo del cancello che si chiudeva. Guardate, mi è sembrato come se veramente mi si spezzasse qualcosa dentro, come se ci fosse stata veramente una frattura, ma potentissima. Mi ha proprio tuonato dentro nella testa in un modo fortissimo. Io ho girato e sono entrato in convento, basta.

Quando lui dice:

Chi ha abbandonato il padre

E deve essere un vero abbandono, cioè questo è un vero abbandono, una vera rottura,

per amore di Gesù, qui ritroverà certamente un padre, fratelli e sorelle: per lui sono preparati addirittura campi e case.

Pochi giorni fa, vi ho detto, abbiamo ricordato questo momento per me così importante qual è stato, appunto, quello della mia professione del 1996. Io sono entrato nel 1995, il 9 marzo 1995, e ho fatto la professione di voti semplici l’8 settembre del 1996. Quindi sono passati un po’ di anni, no? Ebbene, devo dire che, nonostante tutti questi anni mai mi sono ritrovato a dover pensare che il Signore non ha mantenuto fede a quello che vi ho appena letto. Uno dice: “Beh, ma quanto tempo è passato? Non è tantissimo”. Beh, insomma, ventotto anni non sono proprio bazzecole, no? Nel 2025 saranno trent’anni che ho fatto questa scelta. Sì, certo, trent’anni non sono chissà che cosa, però, è una vita. Ma è vero che il Signore mi ha ridato un padre, dei fratelli, delle sorelle. Tutto quello che serviva, in abbondanza. E questo credo che sia capitato a tutti. Perché son sicuro che il Signore è fedele alla sua parola.

È vero che ognuno si pone da solo nella sequela. Ma nessuno rimane da solo. A meno che non tradisca la sequela, la vocazione, allora cambia tutto, anche la promessa di Gesù viene meno. Ma se ci sforziamo di rimanere fedeli, ci siamo posti da soli, ma non siamo rimasti da soli, non è possibile rimanere soli.

A colui che osa diventare un singolo fidando sulla parola, è data in dono la comunione della comunità.

Verissimo, verissimo.

Egli si ritrova in una fraternità visibile, che lo ripaga — guardate, queste parole sono verissime — cento volte di ciò che ha perduto.

Ha lasciato quelle tre, quattro, cinque relazioni importanti, ma poi trova…; ha lasciato quattro pepite d’oro, ma si trova coperto da…; ha lasciato quattro relazioni e poi si trova immerso in una rete di relazioni incredibili.

… egli ha tutto solo per mezzo di Gesù…

Verissimo: sempre, ogni giorno riconosco che la ragione di tutta questa abbondanza viene solo per mezzo di Gesù, solo per suo mezzo. Del resto, scusate, non è che voi ascoltate queste meditazioni perché io sono simpatico, carino e brillante, no? Voi le ascoltate perché qui in mezzo c’è Gesù. Noi neanche ci vediamo! Io tanti di voi, la stragrande maggioranza di voi, neanche li conosco. Magari non ci siamo neanche mai incontrati; con qualcuno di voi non ci siamo magari neanche mai incontrati, più di uno sicuramente. Che cosa spinge me — trecentosessantacinque giorni all’anno — a fare queste meditazioni e cosa spinge voi a usare il vostro tempo per ascoltarle? Una cosa, una realtà sola: Gesù Cristo, e questi crocifisso, punto. Basta.

Ci ritroviamo solo attorno a Gesù.

C’è «Il centuplo» — di cui abbiamo parlato — «insieme a persecuzioni»

Beh, certo, anche queste non mancano. Anche queste non mancano e si condividono. Io credo che il sacerdote condivida, come faceva Padre Pio, le sue piccole grandi persecuzioni con la sua comunità, che comprende, che gli sta vicino, che lo sostiene. Ed è bello, diventa così la comunità della Croce, bella questa espressione, il popolo sotto la Croce, il popolo del mediatore. Bellissimo, sono espressioni bellissime.

Ecco, io oggi vi lascio con queste riflessioni che abbiamo ascoltato che, sono sicuro, fanno tanto bene alle nostre anime.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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