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Manuel Foderà pt.4 – I bambini eucaristici pt. 24

Bambini Eucaristici

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: Manuel Foderà pt.4 – I bambini eucaristici pt. 24
Martedì 23 luglio 2024

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Gv 15,1-8)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a martedì 23 luglio 2024. Oggi festeggiamo santa Brigida di Svezia, compatrona d’Europa.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal quindicesimo capitolo del Vangelo di san Giovanni, versetti 1-8.

Continuiamo la nostra lettura e meditazione della vita di Manuel Foderà, il “Guerriero di luce di Gesù”.

All’inizio dei suoi colloqui con Gesù, Manuel parlava solo con la mamma, poi sempre più spesso lo fa anche con don Ignazio. Un giorno Gesù gli dice: «Manuel, il tuo cuore non è tuo, ma è mio e io vivo in te». Glielo dice più volte, soprattutto quando la sofferenza è più dura e lui Gli offre tutto. Ma Manuel non capisce subito e lo chiede a don Ignazio: «Che cosa vuole dire Gesù?». Il Sacerdote cerca di rispondergli, poi si rende conto che quelle parole rispecchiano il grido di san Paolo: «Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me» (Gal. 2,20).

Manuel racconta ai suoi cari e al Sacerdote: «Gesù mi ha dato la sofferenza perché ha bisogno del mio soffrire per salvare con me il mondo. Gesù mi ha proclamato “guerriero della luce” per vincere il male e le tenebre del mondo». Ed è così: da quando per una grazia singolare, ha scoperto Gesù – Gesù crocifisso e vivo –, a imitazione di Lui, ha sempre lottato come un vero guerriero, fino al dono di tutta la vita per la salvezza e la conversione dei lontani a Dio.

Attorno a lui, a casa o all’ospedale, si raccolgono tanti amici, attirati dal suo stile e dalla gioia che irradia, dalla pace che diffonde, mentre il suo corpo si consuma lentamente. Vengono i sacerdoti che lo conoscono e, con loro, altri sacerdoti e suore, anche da lontano, come padre Carlo M. Laborde, che Manuel ha visto a Tele-Padre Pio, unendosi a lui, alla sera, per la preghiera del Rosario. Padre Carlo gli porta, tra gli altri doni, anche un guanto “usato” da san Pio, che Manuel indossa chiedendo di guarire allo “Stimmatizzato” di San Giovanni Rotondo. A ciascuno, soprattutto ai sacerdoti, dice e ripete: «Ti voglio bene. Prego per te. Porta Gesù ai piccoli, ai sofferenti, ai malati, porta Gesù a chi incontri».

Tra quei sacerdoti, a trovare Manuel, vengono anche il suo Vescovo e l’Arcivescovo di Palermo. Manuel è raggiante di gioia e dice a ciascuno di loro: «Ti voglio bene. Offro per te e per i tuoi sacerdoti… ma tu fammi un regalo: di’ ai tuoi sacerdoti che ricordino ai fedeli di ricevere Gesù sempre in grazia di Dio, senza peccato, e che dopo averlo ricevuto facciano sempre almeno cinque minuti di ringraziamento a Lui. È troppo grande Gesù, è Dio, e dev’essere trattato da Dio». Non è forse vero che Dio spesso parla attraverso i piccoli? «Dalla bocca dei bambini ti sei cercato la lode» dice il Profeta (Sal 8,3) e Gesù ripete ai grandi del mondo (cf. Mt 21,16).

Con la mano nella mano di Gesù, anzi stretto al suo Cuore, Manuel, nonostante i dolori in aumento, ha una grande capacità di sopportazione della sofferenza «solo per amore di Gesù», e un grande altruismo. La mamma e il sacerdote vorrebbero che prendesse il calmante, ma Manuel non vuole, o almeno indugia e rimanda a prenderlo. E spiega: «Voglio aspettare ancora un po’ di tempo, prima di prendere la Tachipirina, perché oggi Gesù ha bisogno della mia sofferenza per salvare le anime». Durante le feste di Pasqua del 2009 scrive a suor Teresa del Monastero di Giacalone (Monreale): «Questa mattina, nella Comunione, Gesù mi ha detto: “Ho bisogno di te solo pochi giorni perché sei forte e ne ho bisogno per i bambini dal cuore indurito”».

All’inizio d’estate 2010, dopo aver ricevuto Gesù nella Comunione, scoppia a piangere. A chi gli chiede perché, risponde: «piango di gioia perché Gesù mi ha fatto dono di due spine della sua corona». Successivamente i medici si accorgono di due masse tumorali nella testa del piccolo, che lamenta atroci dolori. Così a soli 8 anni è configurato a Lui crocifisso, nello spirito e nel corpo, fino a identificarsi con Lui.

Il 21 giugno 2010, Manuel con familiari e amici, festeggia il suo nono e ultimo compleanno, nella gioia. Confida agli amici: «Gesù mi ha fatto vedere il Paradiso ed è un luogo meraviglioso, bello come un convito preparato da Gesù». «Gesù mi ha detto che morirò a nove anni, che devo soffrire ancora un po’ per Lui». Ha detto pure alla mamma di voler indossare, al momento della sua morte, la tunica della prima comunione e come cuscino la Bibbia aperta al passo di Geremia 17,14. Manuel voleva e desiderava che quando lui morisse non ci fossero schiamazzi e pianti ma che si pregasse tutti insieme. Così pure la Messa e i funerali dovevano rispecchiare la grande festa che lui viveva in Cielo. E così tutto si è compiuto.

Il 20 luglio 2010 è il suo ultimo giorno sulla terra. Disteso sul letto tiene stretta la corona del Rosario tra le mani, talmente consunta dall’uso che qualche grano è andato perduto, e uno dei guanti di padre Pio, portatogli da padre Carlo. Viene celebrata la Messa nella sua camera. Dopo aver ricevuto la Comunione, dice con un fil di voce: «Ho finito». Pochi istanti dopo il “guerriero della luce” contempla Dio, la vera, unica Luce. «Tutto è compiuto», come Gesù.

Bene, vediamo un po’ di dire qualcosina. Gesù ha bisogno della nostra sofferenza, offerta liberamente, per salvare il mondo. 

Cosa vuol dire offrire la sofferenza? 

Allora: la sofferenza è sofferenza, non è che quando io la offro cessa di diventare sofferenza, di essere sofferenza; la sofferenza è sofferenza; il dolore è dolore; quando sto male, sto male. 

Offrirlo a Gesù cosa vuol dire? Vuol dire rinunciare a lamentarsi, che, quando si soffre, è la cosa più difficile, perché si ha l’illusione che lamentandosi la sofferenza diminuisca; è come uno sfogo. 

E soprattutto perché, lamentandomi, cosa ottengo o spero di ottenere? La compassione delle creature, delle persone, che è pari a zero. La compassione, la consolazione che mi possono dare le creature, non allevia in niente la mia sofferenza, è un’illusione, il dolore resta tale. 

E, in più, cercando questo conforto, perdo questo frutto della sofferenza unita, donata al Signore. 

Infatti, vedete che Manuel non cerca il conforto delle persone, e infatti non cerca il conforto neanche della tachipirina. Cioè: quando posso arrivare a non cercare il conforto dell’antidolorifico? Quando mi sono abituato a non avere il conforto delle creature; allora, abituato a quello, riesco anche a rimandare, o addirittura a non prendere, il sollievo dell’antidolorifico.

Le persone, cosa capiscolo del dolore che stai vivendo? Non lo vivono loro! Alle volte, senza volerlo e senza cattiveria, ti prendono anche in giro e ti dicono, magari: “Ma non è che sei tu che ti inventi ‘ste cose? Ma non è che sei tu che la fai più grande di quella che è? Ma non è che sei tu che stai esagerando? Ma non è che sei tu che vedi un male che non esiste? Eh, ma dai, ma sempre a lamentarti!”. Magari, tu sei lì che stai morendo dal male. Allora lì capisci che hai sbagliato a rivolgerti alle creature; perché sono creature!

Noi dobbiamo rivolgerci sempre e solo al Creatore, a Gesù, a Dio Padre, allo Spirito Santo, alla Vergine Maria, solo lì, sia per le sofferenze spirituali, sia per le sofferenze fisiche. 

Così come quando noi polemizziamo; questo è un altro modo di cercare conforto, di ribellarci alla sofferenza e di non offrire la sofferenza; perché se io comincio: “Ecco, mi hanno fatto; ecco, mi hanno detto…” e una, e due, e tre, e ogni giorno, e continuo: “Ecco, mi hanno fatto; ecco, mi hanno detto; ecco, non mi capiscono; ecco, mi maltrattano; ecco…”.

Sarà anche vero, nessuno lo mette in discussione; ma il punto della questione è: e dopo che l’hai detto che cosa hai risolto? Niente! Niente, al massimo, forse, qualcuno ti dirà: “Oh poverino, oh, come mi dispiace; oh, ma che bravo che sei, che sopporti questi dolori”. Ma guardate che, dopo venti minuti, non c’è più niente! E tu rimani peggio di prima, con il tuo dolore devitalizzato del nervo (importantissimo) dell’offerta a Dio. Se invece tu fossi stato zitto… 

Per esempio: succede un fatto, resti vittima della situazione, subisci un torto (magari neanche grave), se è grave, okay, vuoi chiarire, vuoi dire: “Guardate, è successo che hanno detto che mi hanno visto mangiare un gelato con un marziano. Allora, vi posso assicurare che io non mangio il gelato e non conosco nessun marziano”; ma questo lo si fa per un discorso di evitare lo scandalo, perché sennò uno potrebbe pensare: questo, non ha detto niente, allora vuol dire che è vero; o per evitare che magari, le persone più deboli nella fede dicano: “Ma come, questo va a mangiare il gelato con i marziani!?” Ecco, va bene, lo dici una volta, basta, l’hai detto, fine. Non che ogni giorno, ogni volta: e avanti, e tira fuori; e avanti, e tira fuori; e mi hanno detto; e mi hanno fatto; e non mi vogliono bene; e non mi capiscono; e mi maltrattano; e mi fanno, e mi dicono; non ha senso! Non ha senso in questa logica dell’offerta, basta. Il rischio dello scandalo l’hai evitato, l’abbiamo evitato, hai detto come stanno le cose? Basta. 

Se non c’è rischio dello scandalo, lascia perdere, lasciamo perdere, andiamo oltre! Perché sennò, è un cercare conforto nelle creature e non c’è più questa offerta così verginale a Dio della sofferenza. 

È come se io prendessi la tachipirina, è come se io prendessi il tachidol; sto impazzendo dal dolore, prendo l’antidolorifico, è uguale! L’antidolorifico ce l’abbiamo “formato corpo” – fisico – ma l’abbiamo anche “formato spirito”: c’è anche la tachipirina per lo spirito, che è la consolazione che viene dalle creature che, peraltro, noi non confessiamo mai. Non andiamo mai a confessare: chiedo perdono a Dio perché ho cercato conforto e consolazione nelle creature, non nel Creatore, per esempio, e neanche lo diciamo agli altri, come cosa dalla quale guardarsi.

Ecco, invece è importante questa cosa che dice lui: «porta Gesù a chi incontri». Questo dovrebbe essere il nostro scopo. Non andare in giro a cercare il raccoglitore delle nostre lacrime, ma portare Gesù agli altri, basta. Poi dicano e facciano quel che han voglia, non ha importanza; noi siamo chiamati a portare Gesù alle persone.

Poi, ai due vescovi, dice: “Di’ ai tuoi sacerdoti che ricordino ai fedeli di ricevere Gesù sempre in grazia di Dio sempre, senza peccato” – specifica senza peccato, che vuol dire: in grazia di Dio. Lo facciamo, oggi? Noi sacerdoti ricordiamo ai nostri fedeli di ricevere Gesù sempre in grazia di Dio, senza peccato? Ricordiamo noi sacerdoti ai fedeli di confessarsi frequentemente, nel senso che noi siamo i primi a farlo, per esempio? E poi ricordiamo di fare almeno cinque minuti di ringraziamento? O prendiamo e scappiamo via subito? Che, per l’amor del cielo, magari uno deve andare a lavorare, magari uno deve andare a fare non so che cosa, e va bene, però posso fare il ringraziamento anche in macchina, posso fare il ringraziamento anche a piedi, posso fare il ringraziamento anche in moto, posso fare il ringraziamento in bicicletta; non devo essere per forza fisicamente fermo, in ginocchio, davanti a Gesù, davanti al Tabernacolo, davanti alla statua della Vergine Maria. Ho un’emergenza devo correre, ho il lavoro, va bene, l’importante è fare il ringraziamento.

Tutto questo perché? Non per uno sterile moralismo, ma perché, come dice Manuel, “è troppo grande Gesù; è Dio! E deve essere trattato da Dio”.

Mi ricordo che, in passato – non chiedetemi dov‘è, cercatelo voi, perché non me lo ricordo – feci delle catechesi un po’ di anni fa, proprio sulla “Messa strapazzata”. Andate a rivedere se ritrovate queste catechesi, credo fosse quando feci un ciclo di catechesi di un anno, il lunedì sera, sull’Eucarestia, e lì trovate tutto quello che Sant’Alfonso diceva.

Quindi, offriamo questa sofferenza, non perché amiamo la sofferenza ma, come dice Manuel, per salvare le anime; esattamente come dice la Madonna a Fatima, a Lourdes, a Caravaggio, ricordate? Cosa facevano i pastorelli di Fatima, cosa faceva Giacinta?

Poi Gesù dona a Manuel le due spine, arrivano altri dolori… 

È molto bella questa richiesta che lui fa di essere vestito della tunica della Prima Comunione, quando sarà morto, e di avere come cuscino una Bibbia aperta al passo di Geremia 17, 14; andate a leggerlo.

Ed è molto bello anche il fatto che non ci fossero schiamazzi e pianti, ma preghiera. Guardate, credo che sia la grazia delle grazie, quando uno è morto o sta morendo: preghiera. Evitiamo altro, soprattutto le chiacchiere – e faceva, e diceva, e su, e giù – preghiera, preghiera, preghiera. 

E poi la sua bella corona del Rosario consunta. Un bambino di dieci anni: consunta!

Bene, abbiamo finito Manuel, domani vedremo un giovanotto di 19 anni, un’altra bellissima figura anche questa; un martire dell’Eucarestia, domani vedremo. 

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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