Meditazione
Pubblichiamo l’audio della meditazione: Uniti a Gesù – La mistica della riparazione, di don Divo Barsotti pt.7
Martedì 13 agosto 2024 – San Ponziano, papa e Ippolito, sacerdote, Martiri
Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD
Ascolta la registrazione:
Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.
VANGELO (Mt 18,1-5.10.12-14)
In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è più grande nel regno dei cieli?».
Allora chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse:
«In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me.
Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli.
Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita? In verità io vi dico: se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda».
Testo della meditazione
Scarica il testo della meditazione in formato PDF
Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!
Eccoci giunti a martedì 13 agosto 2024. Oggi ricordiamo san Ponziano, papa e Ippolito, sacerdote; martiri.
Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal diciottesimo capitolo del Vangelo di san Matteo, versetti 1 e seguenti.
Noi dobbiamo testimoniare la verità di Gesù, proprio perché neanche uno di questi piccoli si perda. Chi sono questi piccoli? Beh, certamente possiamo pensare i bambini, certo, ma non solo i bambini, ma anche a tutti coloro che credono in modo bello, in modo genuino, in modo pulito, in modo semplice, in Gesù. Sono tanti i piccoli a questo mondo, tante persone belle, tante persone veramente innamorate del Signore, che hanno una fede genuina, semplice, una fede proprio pulita, bella; e neanche uno di questi si deve perdere.
Dobbiamo stare attenti a non disprezzare, a non scandalizzare, a non essere d’inciampo, non solo con gli scandali e con atti peccaminosi — certamente, con quelli, assolutamente — ma anche non dobbiamo scandalizzare, disprezzare la loro fede, la loro bellezza, la loro innocenza, la loro semplicità, insegnando cose sbagliate, portandoli a perdersi, sfigurando la loro fede o, peggio ancora, sfregiandola, oppure portarla a dei mutamenti che sono più mutazioni genetiche che non una normale e bella crescita nella grazia.
E, per questo, continuiamo la lettura del testo di don Divo Barsotti. Siamo arrivati a questo capitolo che si intitola:
SIAMO UNITI A CRISTO
Dio vuole da noi che compiamo quello che non potremo mai fare senza di lui. Eppure è questo che ha voluto il Signore: che noi, rovinati dal peccato, nell’abisso del male, collaborassimo alla nostra salvezza. Non solo Dio ci salva: se dobbiamo espiare è perché lui ci fa capace di essere uniti a Cristo nell’atto supremo con cui egli ha salvato il mondo e ha reso a Dio una gloria immensamente più grande di quella che gli uomini gli avevano usurpato. Noi dunque siamo presuntuosi se vogliamo espiare senza prima espiare per noi, e pazzi se vogliamo espiare con le sole nostre forze. Ma la vita cristiana che cos’è se non in vivere in noi stessi la vita del Cristo? Il Padre ci ha uniti al figlio perché vivessimo il suo stesso mistero; e il suo mistero ha proprio il compimento nella Morte sulla Croce.
Possiamo espirare soltanto nell’unione col Cristo, soltanto essendo uniti a lui. L’uomo da solo non può espiare. Tutto quello che l’uomo può fare non ha alcun merito davanti a Dio. Innanzitutto l’espiazione comporta l’essere uniti a Cristo, l’essere in grazia. Se saremo uniti a lui vivremo il suo mistero, saremo una sola cosa con lui, non soltanto nella sua vita nascosta, nella sua predicazione, nella sua preghiera, ma nel mistero di quella morte con cui egli ha espiato per tutti i peccatori del mondo e ha ottenuto per loro il perdono. La nostra espiazione in tanto sarà efficace in quanto saremo uniti a Gesù e vivremo la sua morte redentrice; nell’unione a questa Morte offriremo a Dio l’omaggio più alto di lode che mai sia salito al suo trono.
Il mistero cristiano è come il prolungamento dell’Incarnazione divina attraverso i Sacramenti della Chiesa, è come il mistero di una qualche assunzione della natura umana da parte di un Dio. Ora non comprendiamo fino in fondo e non potremo mai comprendere che cosa vogliono dire queste parole. Comunque sappiamo una cosa, che almeno noi non siamo separati da Cristo, che non siamo più, o almeno non siamo soltanto peccatori; ma in Cristo siamo salvati e, in lui e per lui, anche salvatori.
In Cristo il nostro atto acquista qualcosa di quel valore che ebbe il suo medesimo atto, l’atto di una natura umana assunta dal Verbo. E questo è mirabile: noi non possiamo più concepire la nostra vita e viverla come una vita divisa dalla vita del Cristo. Il mistero del Cristo è divenuto il mistero di tutta la storia degli uomini, mistero di tutta la Chiesa. La vita della Chiesa e la vita del Cristo sono in qualche modo una medesima vita; la vita di ciascuno di noi e la vita del Cristo sono in qualche modo una medesima vita. A questo ci chiama, in fondo, proprio Gesù: a sentire e a vivere l’unità di uno stesso mistero con lui, di un mistero che è il mistero della Redenzione.
È vero che siamo peccatori, ma in forza del nostro inserimento in Cristo siamo anche dei santi, non dobbiamo dimenticarlo. S. Paolo, quando parla ai cristiani della Chiesa primitiva, non li chiama «i peccatori», ma «i santi». È vero che tutto questo non toglie che noi possiamo essere anche dei peccatori, eppure rimane essenziale all’essere cristiano l’essere santo, «essere santo» di una santità che certo può venire compromessa dal nostro peccato, ma non può essere mai totalmente distrutta, perché prima ancora di essere un fatto morale è un fatto ontologico, suppone cioè un nostro inserimento sul piano dell’essere in Cristo; prima di derivare da una conformità della nostra volontà con la volontà divina, deriva dal segno indelebile del carattere sacro con cui siamo stati segnati dai Sacramenti del Battesimo e della Cresima, e i sacerdoti, da quello dell’Ordine Sacro. Di qui l’importanza dei Sacramenti. Il dovere dell’espiazione e della riparazione ha la sua radice nel S. Battesimo. L’attività di chi non è battezzato non può avere valore di riparazione, a meno che non si tratti di anime che sono fuori dalla Chiesa senza loro colpa e anzi pervase dal desiderio di essere unite al Signore. Ma noi siamo dei privilegiati, siamo i rami dell’ulivo selvatico innestati sulla radice santa, che è Cristo, e che vivono la stessa vita del tronco, il mistero stesso di Gesù.
Bellissime! Diciamolo, dobbiamo proprio dirlo: veramente pagine bellissime. Un grazie di cuore a Dio per averci donato un meraviglioso sacerdote come don Divo.
Dunque: nonostante siamo rovinati dal peccato, è volontà di Dio che collaboriamo alla salvezza, alla nostra salvezza, uniti a lui. Espiare è possibile perché, attraverso il Battesimo, poi la Cresima, poi, nel caso, il sacerdozio, siamo uniti a Gesù «nell’atto supremo con cui egli ha salvato il mondo e ha reso a Dio una gloria immensamente più grande di quella che gli uomini gli avevano usurpato». Non possiamo espiare da soli, con le nostre forze.
Bella questa definizione: “La vita cristiana che cos’è? Vivere in noi stessi la vita di Gesù”. Uno è tanto cristiano quanto vive in sé la vita di Gesù; bellissimo. “Vivere in noi il suo stesso mistero, che ha il proprio compimento nella morte sulla croce”.
Noi possiamo espiare solo nell’unione con Gesù; quindi l’espiazione comporta l’essere in grazia di Dio. Per forza perché, se sono in peccato mortale, non sono unito a Gesù. Noi siamo una cosa sola col Signore quando siamo in grazia di Dio. Tanto quanto noi siamo uniti a Gesù, tanto ha valore la nostra espiazione. Quindi, in Gesù siamo salvati e in lui e per lui siamo anche salvatori; guardate che è affascinante!
Non possiamo più concepire la nostra vita, non possiamo più vivere la nostra vita come divisa dalla vita di Gesù, perché sono un’unica realtà, proprio in funzione del Battesimo, poi della Cresima e poi del Sacerdozio.
Bello quando scrive: «la vita di ciascuno di noi e la vita del Cristo sono in qualche modo una medesima vita» — «La vita della Chiesa e la vita del Cristo sono in qualche modo una medesima vita», quindi la Chiesa che cosa deve fare? Deve vivere la vita di Gesù. Noi, guardando la Chiesa, nella vita della Chiesa dobbiamo vedere la vita di Gesù.
Io sapete, sono nato nel 1972, quindi sono praticamente cresciuto, fino al mio sacerdozio — quindi, ho fatto tutta la mia fanciullezza, preadolescenza, adolescenza, giovinezza e sacerdozio — con un solo papa, papa Giovanni Paolo II. Io mi ricordo praticamente tutto, tutto magari non posso dirlo, ma comunque tantissimo, di papa Giovanni Paolo II. E a vedere lui, a vedere la sua vita — a me viene da dire soprattutto la parte finale, ma non solo, anche quella proprio quando era glorioso — tu vedevi la vita di Gesù. Mi ricordo il discorso che ha fatto contro la mafia — mi sembra che fosse a Matera, in quelle zone lì (c’è su YouTube) — quando richiama i mafiosi con il pastorale in mano, con la mitra in testa, mi ricordo che c’era anche il vento, e lui dice: “Tutti voi dovrete sottoporvi al giudizio di Dio”. Mamma mia! Guardate, mi ricordo che mi venivano i brividi, e mi vengono ancora adesso, quando ripenso a quella scena lì: tremenda, proprio verissima.
Mi ricordo quelle bellissime processioni del Corpus Domini, quando papa Giovanni Paolo II era ormai malatissimo e, fino all’ultimo, stava in ginocchio. Mamma mia, io lo guardavo e dicevo: ma come fa a essere lì, in ginocchio, davanti all’Ostensorio, raccolto, deformato dal Parkinson, come fa? E guardate, io non lo so, ma a me veramente, a vedere lui, mi sembrava di vedere Gesù, proprio la vita di Gesù. Ma non è una “papolatrìa”, è proprio così. Tu vedevi Giovanni Paolo II, ascoltavi il suo magistero, leggevi quello che scriveva (quando eravamo ragazzi, parlavamo di alcuni suoi documenti) e respiravi a pieni polmoni, proprio bevevi, come quando vai in montagna e trovi la fontana d’acqua ghiacciata, che non è che devi stare lì a fare l’analisi chimica perché hai paura che se bevi una goccia muori avvelenato! Arrivavi lì e proprio bevevi fino a scoppiare quell’acqua freschissima! Ecco, con Giovanni Paolo II era così.
Poi, le giornate mondiali della gioventù, quel calore che si concretizzava e si realizzava con lui, questo stare con i giovani, sembrava proprio “un giovane tra i giovani”. Era incredibile, veramente. Poi, questo amore per la Vergine Maria. Me lo ricordo in una scena a Lourdes, quando lì, anche se ammalato, si è messo in ginocchio davanti alla statua della Vergine Maria, un po’ traballante; si è messo in ginocchio a pregare; bellissimo! «La vita della Chiesa e la vita del Cristo sono in qualche modo una medesima vita». E tu vedevi il papa e dicevi: lì vedo un po’ Gesù.
E si capiva bene che la Chiesa che lui formava, plasmava, attraverso il suo magistero, attraverso il suo esempio — mi viene in mente anche quando andava a sciare o quando veniva ripreso nelle sue passeggiate o quando veniva ripreso mentre era lì, seduto o in piedi, che guardava i monti — tutto diceva di questa “plasmazione”, che andava dalla realtà più seria a quella meno seria, era tutto un rimando alla vita di Gesù. Proprio vedevi Gesù, lo respiravi, si respirava il Signore. E in tutti quegli anni miei di formazione, di crescita, era proprio veramente bello. È vero quello che dice don Divo.
E poi, lui dice che noi siamo peccatori, però siamo anche santi e aggiunge: S. Paolo, quando parla ai cristiani della Chiesa primitiva, non li chiama «i peccatori», ma «i santi». Erano peccatori, ma innanzitutto erano santi, santi perché erano in Gesù. Don Divo dice: «essere santo di una santità che certo può venire compromessa dal nostro peccato, ma non può essere mai totalmente distrutta, perché prima ancora di essere un fatto morale è un fatto ontologico», noi siamo ontologicamente inseriti nell’essere in Gesù. E c’è questo segno indelebile del carattere sacro che riceviamo col Battesimo, con la Cresima e con l’Ordine Sacro. Quindi: «Il dovere dell’espiazione — “il dovere”; è un dovere — e della riparazione ha la sua radice nel S. Battesimo» (bellissima questa cosa!), perché siamo inseriti in Gesù, e tutto il discorso che abbiamo fatto fin qui.
Quindi, quelli che prendono in giro, che scherniscono l’espiazione vicaria, la riparazione delle anime vittime e tutta la teologia che deriva da questo, purtroppo per loro, non hanno ben compreso il sacramento del Battesimo. Succede, eh! Non è che dobbiamo scandalizzarci, succede! Uno può anche arrivare ad avere magari la licenza — o quasi la licenza — in teologia, però, poverino… può arrivare ad avere, o quasi ad avere, un dottorato, ma… certe cose le può perdere per strada; può succedere. L’importante è rendersene conto e tornare indietro e riprenderle.
Io condivido in pieno queste parole di don Divo: «Il dovere dell’espiazione e della riparazione ha la sua radice nel S. Battesimo», poiché, battezzato, tu hai il dovere dell’espiazione e hai il dovere della riparazione. Solo che non se ne parla. Siamo sempre punto a capo. Perché non se ne parla? Perché purtroppo non si ha più bene una corretta coscienza di cosa vuol dire essere battezzati. Non è un dettaglio, non è un ottativo, e don Divo lo dice: «noi siamo dei privilegiati, siamo i rami dell’ulivo selvatico innestati sulla radice santa, che è Cristo, e che vivono la stessa vita del tronco, il mistero stesso di Gesù».
Quindi ringraziamo Dio Padre di questo privilegio e facciamone un tesoro.
Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.