Meditazione
Pubblichiamo l’audio della meditazione: Essere cristiano – La mistica della riparazione, di don Divo Barsotti pt.8
Mercoledì 14 agosto 2024 – San Massimiliano Maria Kolbe, Sacerdote e Martire
Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD
Ascolta la registrazione:
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VANGELO (Mt 18, 15-20)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.
In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».
Testo della meditazione
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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!
Eccoci giunti a mercoledì 14 agosto 2024. Quest’oggi festeggiamo san Massimiliano Maria Kolbe, sacerdote e martire. Grande festa, sia perché si ricorda san Massimiliano Maria, grandissimo santo e martire, sia perché siamo alla vigilia dell’Assunta.
Vi prego, non chiamate il giorno di domani “Ferragosto”. Da nessuna delle vostre bocche esca l’espressione “Buon Ferragosto”. E mi auguro di non ricevere nessun augurio, domani, con scritto “Buon Ferragosto”. Domani non è Ferragosto, domani è la festa dell’Assunta.
Quindi, se dovete fare gli auguri a chicchessia, augurate “Buona Assunta; buona solennità”, non “buon Ferragosto”; perché domani è un giorno importantissimo, una grandissima solennità.
Come vi ho già detto l’anno scorso — vi prego — non si riduca tutto a una grande abbuffata; il nostro corpo non ha bisogno di esplodere di cibo. E festeggiare la Vergine Maria non è la danza della salamella, sono cose diverse. Non usiamo la Vergine Maria per soddisfare la nostra gola e per fare tutte le esagerazioni possibili. È una solennità, e quindi è anche bello festeggiare insieme la solennità, con un buon pranzetto, con un buon dolcetto, con un buon vino, va bene, ma il fine non è quello, il fine è la Vergine Maria, quindi attenzione a non confondere il dito con la luna.
E che quello di domani sia un giorno in cui onoreremo la Vergine Maria con la preghiera del Salterio di Gesù di Maria, questo sì! Questo è più che doveroso: onoriamo la Vergine Maria con la preghiera del Santo Salterio. Sia un giorno di preghiera, dove andremo alla Santa Messa e vivremo insieme alla Vergine Maria questo giorno meraviglioso.
È un giorno di riposo, per chi è al mare, è anche un bel giorno nel quale godere della natura che il Signore ci dona, per chi è in montagna, stessa cosa e, per chi è a casa, sia un giorno di preghiera — come per chi è al mare e per chi è in montagna — e di riposo; e goda, chi è a casa, il silenzio e la tranquillità tipici delle città e dei paesi un po’ svuotati.
Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal diciottesimo capitolo del Vangelo di san Matteo, versetti 15-20.
Continuiamo la nostra lettura del libro di don Divo Barsotti; il titolo di oggi è “Essere cristiano” e credo che col Vangelo che abbiamo ascoltato, e col santo che abbiamo considerato, non poteva esserci capitolo più importante e più bello.
ESSERE CRISTIANO
Poiché i sacramenti che imprimono il carattere e ci inseriscono nel Cristo si possono ricevere una volta sola, la nostra unione con lui, per quello che riguarda questi Sacramenti, è ormai un fatto compiuto: siamo nel Cristo per sempre, o per la nostra gloria o per la nostra ignominia. «Santo» — Ecco, attenti bene, l’abbiamo visto ieri quando san Paolo chiama i cristiani “santi” — vuol dire essere riservato a Dio: il cristiano lo è per tutto il suo essere; tanto peggio per lui se la sua volontà contrasta con questa «nuova natura».
Il mistero dell’unione ipostatica è il mistero per cui l’umanità assunta è assegnata da un carattere ben più intimo e profondo di quello che è il carattere battesimale o crismale o dell’ordine sacro: il carattere sacramentale proprio degli uomini ne è lontana imitazione, prolungamento e partecipazione. In forza di questo carattere, siamo chiamati a vivere il mistero stesso del Cristo. Anche se siamo dei peccatori non possiamo sottrarci all’obbligo della santità, al dovere di vivere la stessa vita del Cristo, di vivere in lui quella riparazione che fu l’opera sua. Vuol dire che più è grave il contrasto fra il nostro peccato attuale e l’esigenza proprio della nostra natura cristiana, che ci chiama a vivere il mistero di una redenzione che vuol cancellare il peccato attraverso tutta la nostra attività, attraverso la nostra sofferenza in particolare, vuol dire che questo contrasto è più tragico di quanto non lo sia in ogni altra creatura.
Volenti o nolenti, ormai siamo nel Cristo; peggio per noi se non viviamo come questa nostra dignità esige. Siccome siamo nel Cristo dobbiamo vivere anche il suo atto, possiamo e dobbiamo vivere l’atto della redenzione, assumere cioè il peso del peccato umano e cancellarlo nel nostro stesso dolore, nel nostro martirio. Come dobbiamo sentire di essere investiti di una responsabilità universale! Non possiamo assolutamente dividere il nostro destino, la nostra salvezza, dal destino dell’universo, dalla salvezza di ognuno. Non vi è nulla di meno cristiano dell’atteggiamento farisaico, non soltanto perché tale atteggiamento implica l’attribuire a sé stessi quanto la grazia può donare al cuore dell’uomo, non soltanto perché comporta l’orgoglio, ma soprattutto perché è espressione di divisione. «Io non sono come gli altri» diceva il fariseo. Tu invece, cristiano, sei gli altri; non solo sei come gli altri, ma sei una sola cosa con tutti, non puoi contrapporti ad alcuno. Nella misura in cui sei unito a Cristo, sei unito a tutti, non più separato e diviso. Posso non aver peccato io personalmente, ma io debbo sentirmi solidale con ogni peccatore, assumendomi la sua responsabilità davanti al Signore; come l’ha assunta Cristo.
Vi ricordate: “Siedo alla tavola dei peccatori, mangiando il pane duro dell’incredulità”, diceva santa Teresa di Gesù Bambino.
«Io non sono come gli altri»: questa non è la parola di Gesù, Lui che, solo, poteva dirla, lui meno di ogni altro l’ha detta, perché più di ogni altro si è sentito solidale con tutto quanto l’universo, solidale con tutti quanti i peccatori. Non esistono gli altri. Tanto più son cristiano, tanto più devo sentirmi una sola cosa con tutti, tanto più debbo vivere il mio impegno di universale redenzione, debbo vivere il peso dell’universale peccato, debbo caricarmi dell’universale dolore. La nostra unione con Cristo importa prima di tutto una partecipazione alla sua Passione. Gesù, durante la sua vita mortale, non ha chiesto ai suoi discepoli di voler partecipare alla sua gioia, alla sua beatitudine di Figlio di Dio: egli ha chiesto, ha invocato, ha implorato l’elemosina di una loro partecipazione alla sua agonia nell’Orto dei Getsemani.
Tutto il contrario di quello che succede oggi, dico io.
Allora, in virtù del sacramento del Battesimo, poi del sacramento della Cresima e, ancora di più, dell’Ordine, noi abbiamo ricevuto questo carattere che ci inserisce in Cristo, in un’unione sempre maggiore con lui. Quindi è un fatto compiuto, noi siamo nel Cristo per sempre, o per la gloria, o per la dannazione.
Cosa vuol dire “santo”? Ecco, questo è importante. Santo vuol dire: riservato a Dio; vuol dire separato, “nel mondo, ma non del mondo”. Quindi “riservato a Dio” per il cristiano vuol dire che tutto il suo essere è riservato a Dio, e quindi siamo chiamati a vivere il mistero stesso di Cristo, siamo chiamati all’obbligo della santità, al dovere di vivere la stessa vita di Cristo — l’abbiamo visto ieri — di vivere la sua stessa riparazione e questo attraverso la nostra attività, attraverso la nostra sofferenza.
Dobbiamo vivere secondo questa dignità, secondo ciò che la dignità esige, questa dignità dell’essere in Cristo. E quindi dobbiamo vivere l’atto della redenzione, assumere cioè il peso del peccato umano, cancellarlo nel nostro stesso dolore, nel nostro martirio; capite?
Siamo investiti di una responsabilità universale: non possiamo dividere il nostro destino e la nostra salvezza dal destino e dalla salvezza di ognuno. Stiamo attenti all’atteggiamento del fariseo, che attribuisce a sé stesso quanto la grazia può donare all’uomo; la fa diventare un’opera sua, diventa orgoglioso, e poi diventa espressione di divisione: «Io non sono come gli altri», terribile questa espressione! Don Divo dice: “Tu sei gli altri”, nel senso che sei una cosa sola con tutti, e quindi non ti puoi contrapporre a nessuno. «Nella misura in cui sei unito a Gesù, sei unito a tutti, non più separato e diviso» (ma nel senso brutto del termine), quindi ti devi sentire solidale con ogni peccatore, «assumendoti la sua responsabilità davanti al Signore; come l’ha assunta Cristo».
Ecco perché, quando vi ho parlato della questione delle Olimpiadi, vi dicevo: sì, va bene l’indignazione, va bene la critica, va bene la presa di distanza; tutte cose sacrosante, doverose, ci mancherebbe, giustissimo. Allo stesso tempo, abbiamo assunto, davanti al Signore, anche noi questa responsabilità? Perché noi partecipiamo a questo mistero della redenzione! Ecco perché vi dicevo: è l’occasione innanzitutto di riparare, di espiare. Ecco perché vi dicevo: è l’occasione, innanzitutto, di stringerci al petto di Gesù. Ecco perché vi dicevo: è l’occasione, innanzitutto, di riempire di atti d’amore, di baci, il nostro crocifisso. Ecco perché vi dicevo: stringiamoci ancora di più al Cuore eucaristico di Gesù.
«Io non sono come gli altri»: questa non è la parola di Gesù…
Il Signore nel Vangelo non dice questo, non vuole questo, non ci insegna questo: “io non sono come loro”, ma: «solidale con tutti quanti i peccatori. Non esistono gli altri…», gli altri siamo noi!
“Signore Gesù, abbi pietà di noi per quello che facciamo ogni giorno; sia che lo faccia io personalmente, sia che lo facciano gli altri. Noi siamo qui per chiederti perdono per tutte queste cose brutte”. Perché sono effettivamente brutte. Il peccato è brutto, il male è brutto, non c’è niente di bello nel peccato e nel male.
Mi è sempre molto piaciuta la scena evangelica di quando Gesù va a salvare l’adultera; con quel gesto di stare zitto, di chinarsi per terra e di scrivere, compie un atto di una intelligenza, di una sapienza, di una scaltrezza, di una prudenza, incredibili! È uno dei momenti, secondo me, di più grande insegnamento da parte del Signore per noi: non ha detto una parola, si è posto fisicamente tra l’adultera e i lapidatori, tra i sassi (che erano innanzitutto i cuori di quegli uomini, non le pietre che avevano in mano! I veri sassi, le vere pietre, erano i loro cuori) e quella donna. Gesù si è posto tra quelle pietre — tra quegli sguardi, tra quei giudizi, tra quella ipocrisia, tra quel sentirsi falsamente diversi dall’adultera — e quella donna, quella creatura di Dio. Lui si è messo a scrivere per terra, come se cercasse di scrivere nel cuore di quegli uomini. Ha scritto nella terra, nella sabbia, in mezzo alla ghiaia, com’era l’anima di quegli uomini. Ha cercato di scrivere ancora una parola di salvezza per loro. In parte è riuscito nel suo intento, perché, quando poi ha parlato, quei cuori se ne sono andati. “Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra”; mamma mia! Solo Gesù poteva dire una frase del genere! Volenti o nolenti, li ha resi consapevoli che non erano diversi dall’adultera, li ha resi consapevoli che non esistevano “gli altri”, li ha resi solidali con il peccato di quella donna; quindi, se ne sono andati. Vedete quello che ha fatto Gesù? Loro si sentivano tanto diversi, superiori e migliori, Gesù gli ha fatto vedere che in realtà era tutto falso.
Quindi don Divo dice che il mio impegno deve essere quello di vivere il peso dell’universale peccato e caricarmi dell’universale dolore.
Se anche noi vivessimo un po’di tutto questo, come cambierebbe il nostro modo di parlare! Perché cambierebbe il nostro modo di pensare, cambierebbero tante cose, sapete? Il mondo sarebbe diverso; le sassate non servono a nessuno.
Gesù redime quella donna non con le sassate, non la redime con chissà quale sgridata, rimprovero, predica, omelia, critica, ragionamento; andate a leggere. Com’è che la salva? Dice: “Dove sono coloro che ti condannano? Neanch’io ti condanno. Va e non peccare più”. Uno legge questa pagina e dice: vabbè, adesso guardo il mio Gesù e rimango qui, così; basta. Una frase che ha riassunto tutto; perché, innanzitutto, lei ha visto un uomo che si è messo tra lei e i sassi (quei cuori) e l’ha salvata. L’ha salvata dalla separazione; l’ha salvata dal “noi di qui, voi di là”, Lui si è messo lì con lei, proprio lì con lei.
Vi avevo già raccontato quanto ebbi a leggere tanti anni fa, di un fatto accaduto quando a Giovanni Paolo II era arcivescovo di Cracovia. Gli fu riferito di un suo prete ubriaco marcio, corrotto, proprio andato alla deriva. In curia era arrivata questa notizia e bisognava decidere che cosa fare di questo sacerdote, perché ormai era un ubriacone, era uno scandalo per tutta la parrocchia, era una cosa terribile. Tutti a giudicarlo, tutti a condannarlo, a criticarlo, a lamentarsi, a mandare lettere in curia. E quindi chiedono all’arcivescovo cosa devono fare, se lo devono sospendere, o che pena canonica dare, come comportarsi con questo prete che era un ubriacone. E Giovanni Paolo II dice: “Sì, sì, ci penso io”. E quindi una sera lui si mette il suo cappottone nero lungo e va di persona a casa del sacerdote, il quale era ubriaco marcio, proprio completamente ubriaco. Quindi lui arriva, suona, questo gli apre e gli urla: “Cosa vuoi?”, perché ovviamente era ubriaco e poi c’era buio. Ma Giovanni Paolo II rimane lì, allora il sacerdote si accorge di avere davanti l’arcivescovo e lo fa entrare. L’arcivescovo si spoglia; era vestito di tutto punto, con l’abito vescovile; quindi, immaginatevi! Il sacerdote che si trova davanti l’arcivescovo tutto vestito a puntino, con tutti i rossi e i neri del caso, si sente morire! Perché, praticamente, aveva il bicchiere in mano, era ubriaco come non so che cosa, però ha la lucidità per riconoscere che aveva davanti l’arcivescovo, e quindi nella sua mente è passato il pensiero di dire: “Adesso è finita, chissà cosa mi dirà e cosa mi farà”. Quindi, non sapendo più cosa fare e cosa dire, lo fa accomodare, e gli dice: “Di cosa ha bisogno? Come mai è venuto qui?” E l’arcivescovo: “Sono venuto per confessarmi”; quindi gli fa prendere la stola, si mette in ginocchio e si confessa. Da quel giorno, quel sacerdote non ha più bevuto…
Ecco: “Non esistono gli altri”, ha ragione don Divo; meraviglioso sacerdote, don Divo. «Debbo vivere il peso dell’universale peccato, debbo caricarmi dell’universale dolore. La nostra Unione con Cristo importa prima di tutto una partecipazione alla sua Passione». Gesù ci chiede questo: “Ha invocato, ha implorato, ha chiesto una sola elemosina ai suoi: la partecipazione alla sua agonia nell’orto del Getsemani”; e loro hanno dormito. Loro volevano stare sul Monte Tabor, fare i miracoli, scacciare i demoni, predicare. No, lui chiede una cosa sola: vi supplico, vi chiedo, vi invoco: state con me nell’orto del Getsemani. E loro dormono.
Questo ci chiede il Signore: stare con lui nel Getsemani, stare con lui nel Getsemani dell’umanità, quest’umanità versa nel Getsemani. Stiamo con Gesù, stiamo accanto a quest’umanità. Supplichiamo, preghiamo, intercediamo, ripariamo, espiamo per questa umanità, e non dimentichiamo mai l’altezza meravigliosa di questa nostra vocazione.
Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.