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La sofferenza è strumento di redenzione pt.1 – La mistica della riparazione, di don Divo Barsotti pt.38

Mistica della riparazione

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: La sofferenza è strumento di redenzione pt.1 – La mistica della riparazione, di don Divo Barsotti pt.38
Venerdì 13 settembre 2024 – San Giovanni Crisostomo, Vescovo e Dottore della Chiesa

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Lc 6, 39-42)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola:
«Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a venerdì 13 settembre 2024. Festeggiamo quest’oggi san Giovanni Crisostomo, vescovo e dottore della Chiesa. Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal sesto capitolo del Vangelo di san Luca, versetti 39-42.

Iniziamo oggi un nuovo capitolo del libro di don Divo Barsotti:

LA SOFFERENZA È STRUMENTO DI REDENZIONE

Dobbiamo mantenerci vicini ai nostri fratelli; siamo una sola cosa con tutti, dobbiamo manifestare la nostra solidarietà con gli altri vivendone tutta la vita, cercando di essere a loro sempre presenti, come Nostro Signore. La vita perfetta del Cristianesimo non separa mai l’uomo dai propri fratelli, ma ad imitazione della vita di Gesù, conduce sempre a loro, li inserisce nel tuo tessuto umano, li lega sempre più intimamente a te.

È importante questa cosa: la vita del perfetto cristianesimo non separa mai l’uomo dall’uomo, ma conduce verso gli uomini. 

Poi, certo, “le tenebre non l’hanno accolto”, dice il prologo di Giovanni, ma Gesù è stato presente, capite? Non è Gesù che si è separato volontariamente da qualcuno; non si è separato neanche da Giuda, Gesù, è rimasto lì. Sono gli altri che si separano: gli scribi, i farisei, i dottori della legge, il giovane ricco, Giuda. Ognuno con gradi diversi, motivazioni diverse, responsabilità diverse, però, se notate, Gesù è sempre andato incontro a tutti ed è sempre stato disponibile a incontrare tutti e a parlare con tutti, non si è ritirato, chiuso dentro la sua “bottega”. E quindi, se si separa, si separa il mondo da lui, gli altri da lui si separano, non lui.

Gesù è disceso in mezzo a noi. Giovanni il Battista vive nel deserto, ma Gesù vive coi fratelli, in un rapporto costante con tutti gli uomini, e ne vive tutta la vita senza escludere nulla, senza allontanare alcuno — ecco, vedete, l’abbiamo appena detto. Diranno i discepoli che Giovanni Battista fa penitenza nel deserto, mentre Gesù è l’amico dei pubblicani e delle peccatrici, mangia e beve con loro. Fa un’immensa tenerezza pensare all’amabilità di Dio, che ci si accosta in modo tale da non aver alcuna cosa che apparentemente lo separi, o lo allontani da noi.

Bello! Gesù è “l’incredibilmente vicino”. Certo, chi avvicina Gesù, non rimane uguale a prima. Gesù non è un compagno di bocce con cui si va a giocare. Quando Gesù avvicina qualcuno, aiuta sempre questa persona a ritrovare o comunque a mettersi davanti alla verità. Poi ognuno fa le sue scelte. Però, certamente, quello che ciascuno che l’ha incontrato ha notato, ha visto, ha sperimentato, è questa disponibilità, questa amabilità, questa possibilità di un’unione, se la vogliono.

Dobbiamo vivere vicino agli altri. Nella vita religiosa il cristiano ha conosciuto un’esperienza sempre diversa nei secoli, ma appare chiaramente che il movimento della vita religiosa nella storia della Chiesa parte dall’esperienza del deserto per terminare nell’esperienza di una solidarietà umana totale. All’inizio della storia della Chiesa, gli eremiti; oggi, con gli istituti secolari, gli uomini che si consacrano alla perfezione evangelica vivendo costantemente in mezzo ai fratelli, nel loro mondo, il loro lavoro, la loro pena, sopportando i loro medesimi pesi, facendosi in tutto simili ad essi. Se questo dovere ci chiama a vivere vicini ai nostri fratelli, a sentirci, anche per un’esperienza comune, solidali con loro, perché è così necessaria la riparazione attraverso il dolore?

Perché la riparazione importa necessariamente la sofferenza e la morte? Noi sentiamo di fatto che al dovere della riparazione non si può ottemperare con delle semplici parole: bisogna versare qualcosa. Per questo le anime hanno un certo timore della riparazione, sentono un certo sgomento. Qualche cosa le trattiene.

È vero… bisogna sempre versare qualcosa. E per questo le anime hanno un certo timore della riparazione; si ha paura della riparazione, così come l’abbiamo studiata fin qua. Finché son parole, va bene, ma quando poi si tratta di riparare veramente e di offrire sofferenze, sacrifici, abnegazione, offerta di sé, eh… le cose cambiano, non sono più tutti così disponibili, perché non sono in tanti quelli disponibili a perdere sé stessi.

Perché questo legame necessario con la sofferenza e il dolore?  — attenti — Il dolore non lo ha voluto Dio. Non è per Iddio che il dolore è venuto nel mondo.

Noi invece pensiamo di sì; diamo sempre colpa a Dio, incredibile! C’è il male nel mondo? È colpa di Dio. Quel bambino soffre? È colpa di Dio. C’è quella guerra? È colpa di Dio. Perché Dio lo permette, perché Dio non interviene. “Dopo Auschwitz — disse quel tale — non si può credere in Dio!”. È sempre colpa di Dio. A me, questo, ricorda qualcun altro che ragionava così in Genesi 3… Allora, don Divo scrive: «Il dolore non lo ha voluto Dio», questo scriviamocelo bene nell’anima.

Non è neppure un castigo che dall’esterno, per un decreto positivo di Dio, colpisca il peccatore. L’uomo miete quel che ha seminato.

Questa è la verità! Ma noi siamo allergici alle responsabilità. 

Se io prendo un martello e me lo picchio sul dito, mi viene il dito nero, anzi me lo rompo, ma la colpa non è del martello e neanche del tavolo su cui mi sono appoggiato. È colpa del dito? No! La colpa è mia, che ho preso il martello e mi sono tirato una martellata sul dito; punto! 

«L’uomo miete quel che ha seminato»; noi abbiamo un’allergia ormai a tutto ciò che si chiama responsabilità. È così: semini vento? Raccogli tempesta. Semini zizzania? Non raccoglierai mai il grano! Sei una persona calunniatrice, mormoratrice, invidiosa, ignorante? Eh… non avrai una vita felice, purtroppo.

Rompendo l’unione con Dio che cosa può ricevere l’uomo se non la morte? — Questo è il problema: che l’uomo con il peccato ha rotto l’unione con Dio. Siccome Dio è vita, è il mio creatore, che cosa sperimenterò? La morte! — Il dolore è intrinsecamente frutto del peccato dell’uomo.

Questa è la causa del dolore! Quindi il dolore viene quale frutto del mio peccato. Se non ci fosse stato il peccato originale, ci sarebbe stato il dolore? No, no, no, assolutamente no, no e no. Non c’entra niente Dio! 

Le guerre? Frutto del peccato dell’uomo! Auschwitz? Frutto del peccato dell’uomo! La bomba atomica a Hiroshima? Frutto del peccato dell’uomo! Viene da lì, non viene da Dio. Tutto il dolore che c’è nel mondo viene: una parte dal peccato prossimo, immediato, che io commetto; quindi, io prendo un coltello e ammazzo i miei genitori; questo provoca dolore? Certo che provoca dolore. Da dove viene, da Dio? No, viene dalla mia volontà. “Eh, ma Dio l’ha permesso, non ha fatto niente per impedirlo”; certo, perché Dio non è un mostro, non è un burattinaio; Dio è padre, Dio è il creatore, quindi cosa fa? Lascia l’uomo libero, come fa qualunque vero padre. Perché sennò, non sarebbe un creatore, non sarebbe un padre, sarebbe un padrone, sarebbe uno schiavista, non sarebbe Dio! 

È il diavolo, che tanto parla di libertà e che tanto butta l’invidia su Dio, è lui che rende schiavi, non Dio. Prova tu a liberarti dai peccati! Vai a parlare con le persone che sono schiave del peccato e che hanno fatto diventare un peccato un vizio; vai a parlare e a sentire quanto è facile liberarsi dai vizi! Sono anni, anni, anni, anni, anni che affogano dentro al loro vizio e non ne escono! E lì cosa c’è? Lì c’è la volontà. 

Come quel tale che chiama e dice: “Ah, padre, sii, bellissimo”; e poi ti manda l’e-mail e poi ti dice: “Questo è il mio peccato. Io ho fatto questo, questo, questo… (una descrizione lunghissima, dettagliata del suo male, del suo peccato), non ne esco, non ne esco fuori”. E poi, domanda fatidica: “Lei sarebbe disponibile ad aiutarmi?”, e uno risponde: “Va bene; allora, per uscirne, da questo vizio, bisogna fare, secondo me, così, così, così, così e così” — “E lei è disponibile per confessarmi?” — “Sì, certo, sono disponibile. Anche domani! Non serve rimandare, non sono mica il Papa, che c’è bisogno di prendere l’agenda e fissare tra un anno l’udienza! No, no. Hai bisogno? Anche domani”. Non l’ho ancora visto. Perché la sua risposta è stata: “Ecco sì, però, prima, devo veramente decidere di lasciare il peccato”; eh, certo, certo… Quindi, tutta questa cosa che hai messo in piedi e l’e-mail in cui scrivi: mi dispiace, voglio uscire, mi voglio impegnare, non è giusto, sono schiavo di questa cosa, non riesco a venirne fuori… quando poi arriviamo al dunque e ti senti dire: “Bene, allora fai il passo. Prendi quello strumento che ti serve per fare il peccato e lo butti dalla finestra”; perché ovviamente questa è una condizione, perché non puoi tenere l’occasione del peccato con te mentre ti vai a confessare, che senso ha? Come il ladro che dice: “Sono venuto a confessarmi per chiedere perdono al Signore che sono un ladro” e intanto ha la pistola in tasca e fuori c’è quello che lo aspetta per andare a fare una rapina in banca tra due ore. Eh no, no! Quindi, devi abbandonare tutto ciò che ti serve per fare il peccato: la pistola, l’amico, il piantone, la macchina, l’idea di rubare alla banca; e poi deve esserci un vero desiderio di conversione. C’è? “Eh sì, no, boh, forse, però vediamo, mi farò vivo io” — “Si, benissimo”; non l’ho più sentito…

È colpa di Dio? No, cari. Ognuno si assume le sue responsabilità. Funziona così! Questa è la schiavitù del peccato, che tu puoi anche avere il desiderio “di”, ma poi c’è la prova del nove: “Vuoi veramente liberarti?”. Noi facciamo tanti versi: “Sono schiavo del peccato, il peccato, il peccato, il peccato. Eh, ma io vorrei avere una vita santa, ma non ci riesco”. Tutti questi versi; quando poi si arriva al dunque, eh, lì si vede veramente su uno vuole uscirne oppure no! È lì che si capisce! Quando tu hai “la possibilità di”, e poi dici: “No, adesso no!”; perché il peccato mi piace, questo è il punto. Come diceva quella signora: “A noi ci piace peccare!”. È vero, è così. È per quello che non usciamo dal peccato! Perché, se il peccato ci facesse schifo, se ci facesse venire il vomito, state tranquilli che non faremmo mai i peccati. Perché noi facciamo solo quello che ci piace, e peccare ci piace tanto, tantissimo, è una delle cose che ci piace di più. Scrive don Divo:

Dio ha lasciato che l’uomo peccando fosse artefice della propria rovina e questo conveniva alla divina sapienza.

Capito? Perché Dio doveva impedirlo? Lui gliel’ha detto: “Non mangiate dell’albero della conoscenza”. Dopo di che lui sparisce. Hanno voluto dare retta al serpente? E da quel momento? Catastrofe! La prima: fuori dall’Eden. E lì, come si dice a Milano, “L’è düra! Bagai se l’è düra!”. E lì, cari miei, si è toccato con mano cosa vuol dire Eden e cos’è il non-Eden? Capito?

Bello quel cherubino dalla spada fiammeggiante, posto all’ingresso dell’Eden per dirti: ti venisse mai in mente di tornare indietro… Perché sai: cardi, spini, rovi, terra, sassi, sudore, fame, sete e dolori per il parto, eh, magari ti fanno un po’ fare due conti. Uno dice: no, però, vabbè, sì, sarà anche bella l’idea del “sarete come Dio”, però, voglio dire, che vita d’inferno! Era meglio prima, che a fatica zero, chilometri zero, costo zero, c’era tutto lì. Ecco, se ti venisse mai questo pensiero di dire: torno indietro, tanto la strada la so, ecco, lì ci sarà il cherubino dalla spada fiammeggiante che ti dice: “No, hai fatto la tua scelta, hai deciso di fare il tuo peccato, bene, e adesso ne porti le conseguenze”.

“Eh, ma il Signore perdona!” Sì, se ti penti. Ma il fatto di essere perdonato non vuol dire che sempre ci sia la possibilità di rimediare anche alle conseguenze del peccato. Se io ammazzo una persona e mi pento, mi posso pentire quanto voglio, ma quella persona non risorge più. L’hai ammazzata! Quindi le conseguenze del mio peccato non sempre sono rimediabili. Se io tradisco mia moglie e questa lo viene a scoprire e finisce tutto, io posso chiedere perdono quanto voglio e lei può anche perdonarmi, ma questo non vuol dire che quindi lei sarà disponibile a tornare indietro. E quindi è colpa sua? No! Primo: perché il perdono non si può pretendere, secondo: perché non si può imporre a una persona di far finta di niente. Dobbiamo stare attenti, perché poi succede questa cosa strana, che chi fa i peccati — cioè, noi, tutti noi — ha un po’ questa presunzione: che poi tutto, quando decido io, deve tornare come voglio io. No, no, no, no, non è così. Il peccato originale, infatti, dice che non è così. È stato un peccato talmente grave, talmente originario, che… basta. Ci vorrà poi la morte in croce di Gesù, poi il battesimo, però la ferita rimane. 

Dio non avrebbe potuto eliminare il dolore che impedendo all’uomo il peccato.

Ma questo lo riprendiamo domani, perché poi c’è il ragionamento che viene dopo. Ma, capite, stante il ragionamento che abbiamo fatto, non è possibile, perché Dio non può farlo, non perché non possa, ma perché non vuole, non è giusto, non si può. Non può Dio rapire la mia volontà e la mia libertà, perché sennò non è più un atto d’amore. Io devo amare Dio liberamente. 

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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