Meditazione
Pubblichiamo l’audio della meditazione: L’uomo unito a Dio – La mistica della riparazione, di don Divo Barsotti pt.24
Venerdì 30 agosto 2024
Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD
Ascolta la registrazione:
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VANGELO (Mt 25, 1-13)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono.
A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”.
Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”.
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».
Testo della meditazione
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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!
Eccoci giunti a venerdì 30 agosto 2024. Oggi ricordiamo e festeggiamo il beato Alfredo Ildefonso Schuster, vescovo di Milano.
Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal venticinquesimo capitolo del Vangelo di san Matteo, versetti 1-13.
Continuiamo la nostra lettura e meditazione del libro di don Divo Barsotti. Titolo di questo capitolo:
L’UOMO UNITO A DIO
Prima che venisse Gesù sulla terra il dolore era soltanto il castigo del peccato, ma dopo la venuta di Gesù il dolore è diventato il segno di una redenzione in atto, il segno di un amore che salva, il segno di una presenza del Cristo che redime, perché Dio ha voluto redimere il mondo, assumendo una carne passibile; e, nell’atto della sua redenzione, ha voluto che fossero intimamente congiunti Dio e l’uomo, sicché l’opera suprema di Dio, che è appunto la redenzione del mondo, dovesse essere insieme opera dell’uomo e opera di Dio. Proprio nell’opera sua più grande, Dio ha chiamato l’uomo a cooperare intimamente con lui. E Dio ha messo le cose in modo tale che egli non avrebbe riparato, non avrebbe redento, che attraverso la stessa nostra natura. La prova dell’onnipotenza e della sapienza infinita di Dio si mostra proprio in questa trasformazione del male in bene, del segno della morte in sigillo di elezione, di predilezione infinita, in sorgente di vita mirabile. La salvezza e la vita sgorgano dal Cuore trafitto del Cristo. Dalla morte è uscita la vita.
È miracolo veramente stupendo che Dio, nell’opera sua più grande, abbia voluto associarsi così intimamente alla nostra natura: creando non ha avuto bisogno di noi; redimendo, salvando, ha voluto aver bisogno della natura dell’uomo ed ha chiesto a questa natura tutto quanto essa poteva dare, spremendola nel torchio del dolore. Così il dolore umano è divenuto l’espressione della più alta cooperazione della natura umana all’atto divino.
In questo mondo è grande il peccato dell’uomo, ma è grande anche la sua sofferenza. Da ogni parte il dolore, la sofferenza, la morte. Non è questo precisamente il segno che continua nel mondo il mistero del Cristo? il mistero di una Passione redentrice, di un Sacrificio di espiazione per una universale salvezza attraverso la Croce? La sofferenza del cristiano non è soltanto la pena del peccatore. La vita dei santi ce ne dice qualcosa. Che tutti gli uomini soffrano è certo, ma il problema che più sembra diffìcile a risolvere è il dolore di chi non ha commesso peccato, il dolore che colpisce gli innocenti. Ecco il mistero che lascia senza risposta coloro che non hanno fede. Eppure sembra che proprio gli innocenti debbano soffrire di più.
Nell’Esodo si narra come Giuseppe, parlando ai suoi fratelli dopo averli ritrovati, dicesse: «Voi volevate farmi del male, ma Dio lo convertì in bene». Come l’acqua in vino, Dio trasforma quello che era castigo per la morte in un principio di vita. Come non benedirlo per il dolore, se il dolore è lo strumento più efficace di una universale salvezza? Ma noi non sempre abbiamo ragionato così. Il dolore umano è stato per noi, non dico motivo di dubbio, ma di perplessità e di sgomento.
Don Divo ci dice che il dolore, la sofferenza, sono stati visti, soprattutto prima della venuta di Gesù, come castigo del peccato — ricordate l’Antico Testamento. Dopo la venuta di Gesù, il dolore ha acquisito una opportunità, nel senso che ha l’occasione di diventare segno di redenzione, segno di amore che salva, segno di presenza di Gesù che redime.
Dio, assumendo la nostra natura umana, attraverso la quale Gesù ha compiuto il suo sacrificio sulla croce, ha voluto che ci fosse una congiunzione profonda, un’unità profonda tra Dio e l’uomo, proprio in questo atto supremo della redenzione, così che fosse opera dell’uomo e opera di Dio, che ci fosse questa cooperazione intima. Quindi, la salvezza e la vita sgorgano dal cuore trafitto di Gesù e quindi dalla morte esce la vita; avete bene in mente tutti il momento grande della resurrezione. «Così il dolore umano è divenuto — per i credenti, ovviamente — l’espressione della più alta cooperazione della natura umana all’atto divino».
Don Divo dice che in questo mondo il peccato dell’uomo è grande, ma è altrettanto grande la sua sofferenza. Da ogni parte noi vediamo dolore, sofferenza e morte: le guerre, gli atti criminali, le violenze, le malattie; c’è veramente tanta morte, tanta sofferenza, tanto dolore. E don Divo dice: «Non è questo precisamente il segno che continua nel mondo il mistero del Cristo?», quindi il mistero di una Passione che redime?
Prosegue: dato che tutti gli uomini soffrono, ciò che colpisce è il dolore degli innocenti — di cui abbiamo già parlato — questa cosa lascia un po’ senza risposte. Don Divo scrive: «Eppure sembra che proprio gli innocenti debbano soffrire di più»; eh, è proprio così! Questo tema l’abbiamo già trattato, però lui lo riprende e ce lo rimette sotto gli occhi.
Don Divo conclude facendo questo ragionamento e dicendo che il dolore veramente può essere lo strumento più efficace di una universale salvezza! Proprio un’occasione, un’opportunità, che non è da prendere, buttar via, calpestare e rifiutare, ma da accogliere. E invece, di fatto, il dolore è stato per noi motivo di perplessità, motivo di sgomento. Eppure, non dovrebbe essere così.
Io penso che le letture quotidiane che facciamo in questo bel libro, ci stanno a poco a poco, credo, cambiando un po’ la prospettiva, e ci stanno anche preparando. Nel senso che da sempre la vita dell’uomo è stata contrassegnata da momenti di tranquillità e anche di grande sofferenza. Noi non sappiamo cosa ci riserva il domani e chi oggi sta bene, chi oggi è, diciamo così, tranquillo, con queste pagine viene un po’ preparato a quei momenti dove magari non starà più così bene e non sarà più così tranquillo. Non dobbiamo avere paura della croce se la viviamo uniti a Gesù.
Queste pagine ci insegnano proprio un modo nuovo d’intendere la sofferenza e il dolore. Sapete, forse, se le avessimo lette qualche annetto fa, ci sarebbero state di grande conforto, forse le avremmo capite ancora meglio e forse le avremmo potute anche applicare, mi vien da dire, più velocemente, più concretamente. Perché, quando ti vedi limitato nella tua libertà, quando ti vedi umiliato, quando ti vedi escluso, emarginato, insomma… Ecco, sono quei momenti dove uno dice: perché? Peraltro, senza aver fatto niente di male; non è che uno ha commesso un omicidio, piuttosto che… no! Qualche anno fa l’abbiamo vissuta in un modo proprio “planetario”, eravamo tutti assolutamente coinvolti, tutti terribilmente divisi tra “…” e “…”.
Però, se voi ci pensate, un qualcosa di similare parecchi di noi l’hanno vissuto anche nella loro giovinezza; pensate anche quando si andava a scuola; io me lo ricordo, ai miei tempi c’era tanto bullismo. Adesso è esplosa, questa piaga terribile, ed è bene che sia esplosa, ed è bene che sia stigmatizzata, perché ha fatto veramente dei danni e continua a fare dei danni terribili. Ma c’era tanto bullismo, io me lo ricordo molto bene, bastava avere un paio di occhiali ed eri chiamato “quattrocchi”, per esempio; bastava pesare cinque chili in più del dovuto ed eri chiamato “ciccione”. E questa cosa, sapete, per un ragazzo o per una ragazza, soprattutto, è molto invalidante. Tutti i giorni, tutti i giorni, per anni e anni così… che poi, magari, poverino uno aveva una disfunzione, uno aveva un problema di salute, c’erano tante ragioni. E, di queste cose, ce ne erano tante; se andavi bene a scuola, eri chiamato “secchione”; se andavi male eri chiamato “somaro” o “asino”; sapete, sono stati anni belli, ma anche anni molto difficili per tanti di noi, non dimentichiamolo. Se poi avevi un parente che presentava disabilità, un fratello, una sorella, lì era veramente dura da portare, veramente dura, eri proprio un po’ additato a vista.
E quindi, questi problemi li abbiamo un po’ da sempre. Certo, lì era vissuto in un modo più personale, più singolare, perché riguardava di più la vita dei singoli; qualche anno fa, come vi dicevo prima, è stato vissuto in un modo un po’ più universale, e forse queste pagine ci sarebbero state utili per riflettere e, come ho già detto in altre occasioni, per non incattivirsi. Perché guardate, la sofferenza e il dolore, quando non sono vissuti uniti a Gesù, fanno diventare cattivi, c’è poco da fare, ci si incattivisce. E si diventa violenti, è così, si perde proprio il senso della realtà, si rischia di perdere la dignità umana, perché poi: “tutti contro tutti”, perché poi non si capisce più niente, perché poi si pensa solo a sé stessi, perché poi vieni preso da quell’ansia, da quell’angoscia, da quel terrore. Sono stati giorni terribili e potrebbero non essere finiti, nel senso che la storia non sappiamo cosa ci riserva, non c’è un limite al peggio, quindi voglio dire: e noi? Come ci collochiamo in tutto questo? Come pensiamo di vivere questi momenti di grande sofferenza: con la rimozione? Con la ribellione? Con la rabbia? Con la guerra? Con le grida e gli urli? Con gli insulti? Con la violenza? Eh, non so, sono scelte; poi ognuno, in coscienza, sceglie.
Don Divo, ci dice: Gesù ci presenta una strada diversa. E queste pagine — fino ad ora ne abbiamo lette cinquantadue — ci mostrano proprio un modo molto diverso di vivere la sofferenza. Teniamole presenti, sapete, perché la sofferenza e il dolore, la croce, busseranno sempre alla nostra porta, che sia in modo singolare, che sia in modo universale, busseranno sempre.
Dobbiamo non scordare mai che, uniti a Gesù, abbiamo sempre un’alternativa rispetto a quello che il mondo ci propone.
Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.