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Significato della vita terrena – La mistica della riparazione, di don Divo Barsotti pt.23

Mistica della riparazione

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: Significato della vita terrena – La mistica della riparazione, di don Divo Barsotti pt.23
Giovedì 29 agosto 2024

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Mc 6, 17-29)

In quel tempo, Erode aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.
Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto.
E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a giovedì 29 agosto 2024. Oggi ricordiamo il martirio di S. Giovanni Battista.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal sesto capitolo del Vangelo di san Marco, versetti 17-29.

Continuiamo la nostra lettura e meditazione del libro di don Divo Barsotti.

SIGNIFICATO DELLA VITA TERRENA

Come si debba concepire la vita cristiana, ce lo insegna S. Paolo nella Lettera ai Romani e nella Lettera agli Efesini. «Offrite il vostro corpo — scrive ai Romani — come ostia grata, bene accetta a Dio, come sacrificio perfetto». «Imitate Dio come figli carissimi — dice agli Efesini — a imitazione di Gesù, che ha offerto sé stesso in oblazione e in soave odore». La vita cristiana è un’oblazione, è un sacrificio. Se noi siamo uniti a Gesù, figli nel Figlio, ne dobbiamo vivere tutto il mistero, e non possiamo vivere questo mistero che nel modo più alto, partecipando alla sua Morte, perché è nella Morte che anche il mistero del Cristo trova il proprio compimento. Così la vita cristiana non può trovare il suo compimento che nell’imitazione della sua Morte. Ora questa imitazione della Morte che cosa implica? Implica una pienezza di amore, perché la Morte di Gesù è stata questa; assume il carattere di un sacrificio, di un’immolazione, comporta un suo valore di riparazione, di redenzione. Volenti o nolenti, siamo delle vittime — sì, anche nolenti — nella misura che vogliamo esser cristiani. Non possiamo che vivere questo mistero di morte e di riparazione universale, nel sacrificio della nostra vita. Certo che non comprenderemo mai appieno la grandezza della nostra dignità, la fecondità della nostra vita: in gran parte ci sarà sempre nascosta; Dio ci ha associato a sé nel Cristo: nella nostra umiltà, nella nostra sofferenza noi continuiamo la Passione di Gesù. La continuiamo per il bene del mondo, per la salvezza del mondo. Tuttavia, bisogna che questa nostra partecipazione si faccia ogni giorno più consapevole, per poter divenire anche un atto di amore più pieno.

Perché spesso, anche se ci rassegniamo al dolore, non sappiamo vedere nel dolore la forza di elevazione più alta del mondo? Perché non sappiamo vedere nel dolore il sigillo di una predilezione divina? — questa è un’altra domanda interessante — Perché non sappiamo sempre riconoscere nel dolore il segno di una nostra partecipazione più intima al mistero cristiano? Proprio perché non sappiamo veder tutto questo, riconoscere tutto questo, non sappiamo neppure trasformare tutta la nostra vita in un atto di amore. La trasformiamo in un atto di pazienza, di rassegnazione, ma la missione cristiana ci chiede che questa nostra sofferenza, questa nostra umiliazione, questo nostro dolore, siano veramente l’atto medesimo del nostro amore. Dobbiamo essere sempre più consapevoli di quello che è il mistero cristiano, per essere anche consapevoli dell’eminente dignità della sofferenza e del dolore umano.

Don Divo era veramente un bravissimo professore, è stato docente all’università. Oltre alla sua competenza, che è indiscutibile, e alla sua preparazione eccellente, bisogna dire che fa sempre delle sintesi molto, molto precise, ed è proprio bravo. Quindi, citando la Lettera ai Romani e la Lettera agli Efesini di san Paolo apostolo — lui cita le fonti, vedete? — don Divo dice che la vita cristiana — stando a san Paolo, secondo la Scrittura — è un sacrificio e un’oblazione in “soave odore”, un’offerta di sé stesso. Purtroppo, non ci sono tanti don Divo Barsotti che dicono queste cose.

Don Divo dice che, se siamo uniti a Gesù, dobbiamo vivere tutto il mistero, partecipando alla sua morte, perché è nella morte che anche il mistero di Gesù trova il suo compimento. Quindi la vita cristiana, per trovare il suo compimento, deve imitare anche la morte di Gesù, e questo implica una pienezza d’amore, quindi assumere il carattere di un sacrificio, di un’immolazione e quindi il valore di riparazione e di redenzione. Nella misura in cui noi vogliamo essere cristiani, dice don Divo, siamo necessariamente delle vittime.

Don Divo dice che questa nostra partecipazione deve farsi ogni giorno più consapevole, per poter divenire anche un atto di amore più pieno. Quindi noi dobbiamo crescere in questa consapevolezza. Crescere per poter produrre un atto d’amore più pieno. E infatti è difficile che noi vediamo nel dolore, nella croce, nella sofferenza, il sigillo della predilezione divina, difficilissimo! Difficile vedere nel dolore «il segno della nostra partecipazione più intima al mistero cristiano». E quindi facciamo fatica a trasformare tutta la nostra vita in un atto d’amore.

Quando noi stiamo male, non vediamo in tutto questo una predilezione divina. Quando noi stiamo male, non vediamo una partecipazione più intima al mistero dell’essere cristiano. Siamo bravi a fare atti di pazienza, a trasformare la nostra vita in un atto di pazienza, di rassegnazione, ma, in realtà, l’essere cristiani ci chiede che queste nostre sofferenze siano veramente un atto d’amore. In questo modo noi scopriamo l’eminente dignità della sofferenza e del dolore umano. Proprio una dignità enorme, per cui dobbiamo proprio imparare, veramente, a vedere nella sofferenza e nel dolore una dignità. È così difficile! È così difficile perché è difficile amare. 

Quando si sta male, quando si è sofferenti, è molto difficile vedere in tutto questo una grande dignità. Ci sono sofferenze veramente tremende, sia fisiche sia spirituali. Alcune sono praticamente indicibili, non si riescono neanche a raccontare, a dire, tanto sono gravi, tanto sono forti, che come fai a raccontarle? Non si può. Però ci vorrà pur qualcuno che ci insegna a vedere la dignità che sta dentro il nostro soffrire, in un mondo dove si fa di tutto per sminuire questa dignità; dove la sofferenza è l’atto più disumano dell’uomo. E questo non è cristiano! Che lo dica il mondo, va bene, però noi cristiani dovremmo portare avanti un altro messaggio. La sofferenza non è l’atto più disumano se vissuta con questi atteggiamenti, con questa prospettiva interiore che stiamo vedendo in questi capitoli del testo di don Divo.

Ci tengo a portare avanti questo testo fino alla fine, perché non credo che avremo poi tante altre occasioni per riflettere su questo mistero grande della sofferenza, su tutto ciò che ne consegue e che riguarda la sofferenza proprio da questa prospettiva cristiana. 

Dobbiamo veramente stare attenti a queste logiche del successo, del protagonismo, del fare, che non hanno niente a che vedere con la logica cristiana, proprio niente. Se noi pensiamo alla vita di Gesù: per trent’anni nessuno ha saputo chi fosse; poi per tre anni ha parlato e ha fatto, ma trent’anni è rimasto nascosto in silenzio, nella sua casa, nella sua famiglia, nella sua bottega. 

Ed è quello che abbiamo letto nel Vangelo di oggi di san Giovanni Battista. Pensate anche al momento nel quale arriva il soldato a tagliargli la testa; non è raccontato nei Vangeli, però proviamo a immaginare. Questo soldato arriva e gli dice: “Preparati, perché devo tagliarti la testa”. Non so cos’abbia detto san Giovanni, cos’abbia fatto. A me personalmente, forse, una domanda sarebbe venuta: “Perché? Perché tagliarmi la testa?”. Lui non sapeva del balletto. “Io so perché sono in prigione, ma non so perché mi devi tagliare la testa”. E il soldato che forse gli risponde: “Sai, la figlia di Erodiade ha ballato, al re è piaciuto il suo ballo e le ha promesso qualunque cosa e lei ha chiesto la tua testa”; che uno dice: “No, non ci credo!” — a parte l’evento macabro, totalmente macabro, follemente macabro, terribile —  “Ma io devo perdere la testa per una ragazza che, nella sua follia giovanile, va a chiedere la mia testa? Ma che senso ha? Ma che modo inutile di morire, che modo stupido di morire. Ma perché devo perdere la testa per questa qui? Per un balletto! Io vengo ucciso non perché ho fatto qualcosa». 

Giovanni Battista era in carcere perché aveva detto ad Erode che non gli era lecito tenere la moglie di suo fratello, ma l’omicidio, la sentenza di morte, non avviene per questo, avviene per il balletto. Che poi dietro ci fosse un altro discorso va bene, ma l’occasione, la possibilità si realizza solo in funzione del balletto, sennò Erode non l’avrebbe mai ucciso. Gli faceva fare un po’ di gattabuia, però non l’avrebbe mai ucciso, perché lo temeva. E invece S. Giovanni muore.

Nella vita ci sono proprio dei momenti dove uno guarda e dice: ma che senso ha questo soffrire? Ma perché? Ma perché, per dei motivi così stupidi, dei motivi così sbagliati! “Vado in carcere perché ho annunciato la verità”; bene, non è da tutti, però a chi ha il coraggio, uno dice: bello, dimostri di essere una grande persona, va bene. Ma: “Vengo decapitato perché quella là ha ballato”… Eppure, san Giovanni Battista conclude la sua vita così, un uomo di quella grandissima levatura conclude la sua vita su un balletto e su un capriccio giovanile; istigato dalla madre, ma pur sempre capriccio è, perché la ragazza aveva la sua volontà, la sua libertà. Nessuno è costretto a fare il male, è lei che si è andata a consigliare con questa madre empia e assassina.

Vedete, quando non si vuole ascoltare la coscienza, quando non si vogliono ascoltare i dati di realtà, noi possiamo avere davanti san Giovanni Battista… Ricordatevelo, ricordatevelo. Io vi dico sempre: le fonti, le fonti, le fonti, le fonti, le fonti. Sono importanti le fonti. Ma vedete, ad alcune persone, voi potete portare la parola di Dio — che per un cristiano non c’è niente di più super fonte autorevole della Scrittura, che è “norma normans non normata”, quindi è la norma che norma, e che non può essere normata da nessuno — tu puoi portare la parola di Dio e dire: c’è scritto così. È scritto così nella parola di Dio, c’è scritto così nel Vangelo, c’è scritto così nelle lettere di san Paolo, è scritto così nel Nuovo e nell’Antico Testamento, è scritto, è chiaro a chiunque sia dotato di comprendonio, anche un analfabeta lo capisce, perché non lo sa leggere, ma glielo leggo io, e quindi lo sente, è chiaro, è evidente, ma niente, niente.

A me, un po’ di giorni fa, è proprio capitato questo. Mi sono premurato di far arrivare una fonte e tutta la disquisizione è stata portata su altro. Quando le fonti dicono: “Il cielo è azzurro” dicono: “Il cielo è azzurro”. Non serve andare a prendere quello che diceva Galileo Galilei, piuttosto che quello che diceva Aristotele. Ad oggi, adesso, guardiamo e, con gli strumenti che abbiamo, valutiamo, punto, fine. E invece, guardate, c’è veramente tanta ideologia, tanta chiusura di mente, tanta stupidità, tanta ignoranza, tanta durezza di cuore. Quando uno non vuol vedere, quando uno non vuol capire, quando uno non vuole ascoltare, si possono portare tutte le fonti possibili ed immaginabili, ma non cambia niente. Ciò che si ha come risposta son sempre cose viscerali, insulti, critiche, ma poi, nel merito, uno non guarda le cose per quello che sono. 

E poi, alle volte, altri si perdono nel “chi dice cosa”, altro errore gravissimo. Io ve l’ho sempre detto, ma lo dice san Tommaso: se una verità venisse annunciata anche dai demoni, anche da Satana in persona, se è vero è vero, non ha importanza chi lo dice, quello che conta è la verità. È vera? Sì, basta. “Me l’ha detto Satana”, e cosa interessa?

C’è quel bellissimo sonetto sull’Immacolata Concezione, che avevo citato un po’ di tempo fa — lo trovate su internet sicuramente — che, durante un esorcismo, l’esorcista ordinò di dire (è riportato in un libro, credo, di don Balducci, esorcista). Io mi ricordo che lo ebbi a leggere da ragazzo, perché non ero ancora entrato in convento. L’esorcista ordinò al demonio: “Dimostrami con un sonetto, attraverso un sillogismo perfetto, l’Immacolata Concezione”. Guardate che è sbalorditivo, se voi lo leggete rimanete incantati; bellissimo, bellissimo, perfetto. Il demonio, attraverso questo sonetto — mi sembra che fosse un endecasillabo — dimostrò l’Immacolata Concezione. Uno dice: “Vabbè, l’ha detto il diavolo, buttiamolo nel cestino!”; ma che ragionamento è? L’ha detto il diavolo: eh, beh, meglio, meglio, se un nemico così acerrimo della Vergine Maria riesce a dimostrare, con un sonetto, l’Immacolata Concezione, Deo gratias! Mi vien da dire che vale molto di più che se lo dicesse san Bernardo; certo, l’ha detto il nemico per eccellenza della Vergine Maria. Invece noi no, noi siamo così stupidi. Diciamo: “Chi l’ha detto?” — “L’ha detto Satana” — “Ah no, no, no, no, no. Via, via, non lo voglio neanche vedere, via, l’ha detto lui, quindi non ne voglio neanche sentir parlare”. Vedete come siamo stupidi! Questo è un sintomo di stupidità, un sintomo di ideologia. E così, purtroppo, da soli ci escludiamo da delle verità bellissime e ci escludiamo da ciò che il Signore ci vuole dire.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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