Meditazione
Pubblichiamo l’audio della meditazione: Uno in Gesù – La mistica della riparazione, di don Divo Barsotti pt.47
Domenica 22 settembre 2024
Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD
Ascolta la registrazione:
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VANGELO (Mc 9, 30-37)
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: “Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà”. Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: “Di che cosa stavate discutendo per la strada?”. Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”.
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: “Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato”.
Testo della meditazione
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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!
Eccoci giunti a domenica 22 settembre 2024.
Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal nono capitolo del Vangelo di san Marco, versetti 30-37.
Continuiamo la nostra lettura e meditazione del libro di don Divo.
IN CRISTO SI UNISCONO DIO E L’UOMO
L’uomo è un cuore che adora, Dio è un cuore che ama – bellissima questa definizione di don Divo –. I profeti parlano della misericordia di Dio verso l’uomo, come di un amore che discende dal Cuore divino per effondersi sull’umanità. Nel Cuore di Cristo l’umanità ha la rivelazione e il dono dell’amore di Dio. Dio si fa vicino all’uomo, scende, si effonde sulla umanità, acquistando, per così dire, un’espressione umana.
Il quarto Vangelo racconta che, quando i soldati andarono per rompere le gambe a Gesù, videro che era già morto, e allora «non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli aperse il costato con una lancia, e subito ne uscì sangue e acqua». Questa è l’estrema donazione che chiude la vita del Cristo; l’effusione di sangue e di acqua è la sua ultima offerta, la sua ultima dimostrazione d’amore. Il significato di questa effusione è misterioso, tanto che gli esegeti non sono d’accordo nello spiegarla: per alcuni questo costato aperto richiama la nascita di Eva dal costato di Adamo, figura della Chiesa che nasce dal costato del Cristo; per altri esso rappresenta i due sacramenti dell’iniziazione cristiana: il Battesimo e l’Eucarestia; per altri ancora, il sangue rappresenta l’Eucarestia e l’acqua lo Spirito. Comunque si rileva un fatto: che il sangue e l’acqua sono la manifestazione suprema dell’amore di Dio, l’effusione più grande di amore che Dio abbia mai fatto – Sangue e acqua dal costato aperto, sono questa manifestazione suprema dell’amore di Dio, lì Gesù ha dato tutto, tutto proprio –. Mediante questo Cuore, Dio si conforma all’uomo e si dona fino a esaurirsi. Quando l’Evangelista dice che sgorgano poche gocce di sangue e di acqua, vuol dire che Gesù non aveva più nulla da dare: aveva dato fondo a sé stesso, e il segno di questo è quel Cuore squarciato. In esso Dio e l’uomo s’incontrano, perché in questo Cuore vivono una stessa vita, uno stesso atto d’amore che ha per termine l’uomo e Dio, ed è sempre l’amore di Cristo, di un Dio fatto uomo, di un’umanità assunta da Dio: mistero di sublime amore, frutto più grande della stessa creazione, rivelazione più grande del cielo, perché tutto il cielo e la terra sono in questo Cuore.
Che cosa ci chiede questa rivelazione? Ci chiede una grande fiducia nell’amore di Dio, ci chiede che apriamo l’anima ad accoglierlo – noi dobbiamo accogliere il Signore; noi dobbiamo fidarci del Signore –. La rivelazione dell’amore di Dio nel Cuore di Cristo esige da noi un’infinita fiducia. Dobbiamo sempre crescere nella speranza, perché mai raggiungeremo i limiti di questo amore. Il dono di Dio supererà sempre la speranza dell’uomo, perciò dobbiamo dilatarci sempre più nella nostra fiducia, per poter accogliere sempre più grande il suo dono.
Questo tempo nel quale viviamo è un tempo dove se c’è una virtù teologale che è messa particolarmente in crisi, è la speranza. Quanta disperazione c’è in giro! Quanta confusione, quanto disorientamento! Non è colpa vostra, sapete? Perché è vero che ci sono veramente tante persone, anche famose – ma nella storia della Chiesa ci sono sempre state, non è che sia la prima volta – che parlano e che confondono, che inquietano, perché fan vedere tutto nero, tutto un disastro, tutto come finito, tutto avvolto dall’oscurità. Ma Gesù è la nostra speranza, Gesù è il fuoco sacro che non si estingue mai. Noi non possiamo farci prendere dalla disperazione, dall’amarezza, dall’avvilimento, dal non sapere più dove sbattere la testa.
Certo, è vero quello che molti dicono: “Ma padre, uno dice bianco, l’altro dice verde, l’altro dice giallo, l’altro dice arancione, l’altro dice nero, ma chi bisogna seguire? Chi bisogna ascoltare? A chi bisogna credere?”. E questo soprattutto è vero quando non si ha una formazione teologica e non è che tutti possiamo averla, perché mica siamo tutti dottori, tutti ingegneri, tutti architetti, ognuno ha la sua. E, in teoria, io dovrei pensare che, se vado da un architetto o da un ingegnere per farmi costruire la casa, questo qui non me la fa cadere sulla testa, che non è che mi prende in giro. Purtroppo, invece, ci sono anche questi, ci sono quelli che costruiscono i ponti, poi i ponti cadono e ci sono i disastri, perché l’ingegnere ha fatto male il suo lavoro. “Eh, ma era un ingegnere!”; eh, ho capito, però l’ha fatto male, che l’abbia fatto con dolo o senza dolo, questo non conta, ormai quelle persone sono morte. Cioè, conta, perché se l’ha fatto con dolo allora le cose cambiano, però ormai quelle persone sono morte. Quell’ingegnere non ha fatto il suo dovere, non l’ha fatto bene, ha fatto morire venti-trenta-cinquanta- sessanta persone. Crollando giù il ponte, sono crollati giù anche loro. Se la funivia si stacca e cade giù e muoiono cinquanta persone, chi l’ha costruita ha sbagliato, o ha sbagliato chi doveva oliare, sistemare i bulloni. Eh, cari miei…
Io personalmente capisco molto questo senso di sofferenza che c’è, perché mi rendo conto che uno non sa più dove andare a infilarsi, perché vorrebbe capire, perché anche questo è lecito; uno dice: “Sì, ma io vorrei capire certe cose, vorrei capire certe situazioni. Vorrei capire perché quello è bianco e non è nero, perché è così e dovrebbe essere cosà, vorrei capire questa cosa qui!”. E se tu ti metti lì di fronte allo stesso evento e ascolti uno, ascolti l’altro e ascolti quell’altro, dici: “Sì, però mi hanno detto tre cose diverse, anzi quattro. E io?”
Guardate, io vi posso dire questo: nella mia vita ho imparato un criterio che lo vado a prendere dal Vangelo; Gesù dice: “Li riconoscerete dai loro frutti”. Certo, bisogna essere molto attenti perché, alle volte, i frutti vengono un po’ mascherati. Sapete, quando andate a comprare le ciliegie, vi mettono quelle belle sopra poi, quando andate a casa e togliete quelle belle per lavarle, sotto avete quelle marce; vi hanno ingannato. Quindi non dobbiamo fidarci delle apparenze, dobbiamo essere molto attenti e dobbiamo fidarci delle persone giuste. È questo il trucco, il segreto: dobbiamo guardare bene i frutti, come dice Gesù, perché un rovo non darà mai pere e mele; è da lì che capiremo.
Certo, voi direte: “Eh, ma padre, non è così facile!”; eh sì, lo so, lo capisco. Lo capisco che non è facile, è vero che non è facile. Però, vedete, una domanda che io pongo sempre, soprattutto a questi profeti di sventura, queste persone che dipingono tutto di nero, che lanciano poi anche accuse (fanno anche questa cosa, vabbè…), io dico sempre: va bene, e tu che cosa hai fatto, che cosa stai facendo per migliorare la situazione? Cosa hai fatto e cosa stai facendo per dare speranza? Perché, va bene, siamo tutti capaci a fare un’analisi – questo non va bene, quell’altro non va bene, questo è sbagliato, tu hai sbagliato, quello non lo dovevi fare – ma tu, concretamente, oltre a fare un’analisi, cosa hai fatto di costruttivo per cambiare la situazione, per migliorarla, oltre che andare a cercare i colpevoli? Questa cosa si è venuta a creare per colpa di questo, di questo e di quell’altro; va bene, e oggi? Perché col capitolo delle colpe non costruiamo niente, col capitolo delle colpe mettiamo giù e diciamo: vabbè e quindi adesso io cosa faccio? Dove vado? Come mi comporto? Perché capite, fare questo non ha costruito niente. Tizio e Caio si sono messi semplicemente a dire che quella casa sta per crollare, e vabbè, e intanto io dove vado a vivere? Capite, anche questo è un criterio che può essere d’aiuto.
La persona santa, il vero profeta della Scrittura, che vediamo leggendo l’Antico Testamento, ad esempio, ma anche il nuovo, con S. Giovanni Battista, diagnostica il male, dice “questo è un male”, ma dà anche la via di risoluzione: bisogna lasciare questa cosa; questo è un male, tu la devi lasciare, non ti è lecito tenerla. E così nell’Antico Testamento, andate a vedere il profeta Geremia, il profeta Isaia, i quali diagnosticano il male e dicono: la via di soluzione è questa, questa è la speranza! Non semplicemente dire: è colpa tua, è colpa sua, è colpa di quell’altro; a cosa serve? E concretamente tu cosa fai? Tu dove sei? Tu che aiuto dai? Ecco, spero di avervi un pochino aiutato in più.
Se attraverso il Cuore di Cristo Dio ci dona sé stesso, la misura di questo dono non dipende dalla sua generosità, ma dalla nostra risposta; è determinata dalla nostra fede, dalla nostra speranza nel suo amore.
Guardate, Dio non ci abbandona, Dio non ci ha abbandonato, Dio interviene e interverrà sempre nella nostra storia. Dobbiamo solo credere che lo farà al tempo opportuno; tutto qui! Non facciamoci prendere dall’ansia e dall’angoscia.
Dio è fatto prossimo a tutti: non solo come Padre, come Fratello, ma nel dono di tutto sé stesso. E il suo dono non poteva essere completo finché egli non fosse vissuto con noi nella sua natura umana. Volle morire per te. «Ti amò» come dice S. Giovanni «fino all’estremo»; il segno di questo amore è il suo Cuore squarciato.
Gesù è l’unico che è morto per noi; Gesù è l’unico che ha lasciato squarciare il suo petto per noi ed è l’unico nel quale dobbiamo riporre tutta la nostra fiducia, e in tutti coloro che vediamo essere suoi veri amici, e non dei fanfaroni, e non di quelli che usano parole altisonanti per fare colpo, come le ciliegie belle poste in alto e poi dopo sotto sono marce. No, no, no. E poi, come vi dico sempre: le fonti, le fonti, le fonti, le fonti! Non credete ai quaquaraquà; che uno dice: va bene, un bellissimo discorso; le prove? Dove sono le prove della diagnosi e dove sono le prove della speranza? Perché, se uno mi viene solamente a fare la diagnosi, a me a cosa mi serve?
“Tu hai il tumore”, e va bene, e quindi? “Eh, niente, sono venuto a dirti che hai il tumore”; eh, grazie tante, e cosa ci faccio con questo tumore? “Ah, non lo so”; come non lo so? Ma se sei un dottore, devi anche dirmi cosa devo fare, devo fare la chemioterapia, la radioterapia, cosa devo fare? “Eh no, io sono venuto solamente a dirti che hai il tumore”. Capite, non serve a niente! Via: è il medico sbagliato; devo andarmi a cercare un dottore che mi dica: ha un tumore e questa è la cura. Oh, finalmente, adesso si ragiona.
Non bastò la sua Morte. Il suo Cuore trafitto è il segno dell’amore di Dio, che neppure la morte esaurisce e soddisfa appieno, perché l’amore di Dio è più grande di qualsiasi prova, di qualsiasi sofferenza, della medesima morte.
Questa è la nostra assoluta totale speranza e certezza.
Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.