Meditazione
Pubblichiamo l’audio della meditazione: Partecipazione alla morte di Cristo pt.2 – La mistica della riparazione, di don Divo Barsotti pt.46
Sabato 21 settembre 2024
Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD
Ascolta la registrazione:
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VANGELO (Mt 9, 9-13)
In quel tempo, mentre andava via, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.
Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?».
Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».
Testo della meditazione
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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!
Eccoci giunti a sabato 21 settembre 2024. Oggi festeggiamo S. Matteo, apostolo ed evangelista.
Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal nono capitolo del Vangelo di san Matteo, versetti 9-13.
Continuiamo la lettura del libro di don Divo.
Nel rito orientale della Messa, viene posto sopra l’altare un pane benedetto – non consacrato – di cui si fanno nove parti; e queste parti rappresentano tutto il popolo fedele: i defunti, i santi del Cielo, tutti i cristiani, anche i peccatori. Il pane è un simbolo reale: ogni cristiano è una vittima posta sull’altare, e vi dimora come Gesù, per essere offerto, immolato a Dio per il bene di tutti. È questa la nostra Messa. Tutta la nostra vita è partecipazione al Sacrificio di Cristo – Questo non dimentichiamolo mai –. Si può vivere in casa nostra la vita nascosta di Gesù, o quella pubblica nell’apostolato cristiano, o la sua missione di taumaturgo nell’esercizio delle professioni, ma tutti dobbiamo vivere la nostra vita come ostie – Ricordate le piccole ostie riparatrici di don Tomaselli. Quindi tutti dobbiamo vivere la nostra vita come ostie, qualunque sia la nostra professione, qualunque cosa uno faccia nella vita –. Lo dice S. Paolo nella Lettera ai Romani: «Vi esorto, in nome della misericordia di Dio, affinché vogliate offrire a guisa di culto spirituale, e quindi gradito a Dio, i vostri corpi, come vittima vivente e santa». Lo ripete nella Lettera agli Efesini: «Siate imitatori di Dio come figli carissimi; come Gesù morì vittima di soave odore, così offrite voi stessi a Dio». È questa la vita cristiana. Non si può eliminare questa concezione della vita cristiana che è essenziale al nostro essere in Cristo: siamo vittime.
Quindi vedete, l’essere vittime non è un’opzione, ma è essenziale all’essere in Cristo, e non perché lo dice don Divo, ma perché lo dice la Parola di Dio; abbiamo sentito le due citazioni: la Lettera agli Efesini e la Lettera di san Paolo ai Romani.
Il Battesimo ci ha consacrati a Dio. Essere consacrati vuoi dire essere riservati, messi da parte. I contadini mettono da parte le bestie riservate al macello: così la consacrazione ci riserva: siamo separati dall’umanità, ma lo siamo per l’umanità; siamo messi da parte per essere immolati per il bene degli uomini – È interessante! Quindi, abbiamo ricevuto il Battesimo, per cui siamo consacrati a Dio. Essere consacrati vuol dire essere separati, essere messi da parte, ma non separati dall’umanità così, fine a sé stesso, ma siamo separati dall’umanità “per” l’umanità. Quindi è una separazione in funzione “di”. E la vocazione è quella di essere immolati per il bene degli uomini –. Chi compirà il nostro sacrificio? Colui che operò il sacrificio di Gesù. Per lo Spirito Santo egli si offri al Padre: lo immolò soltanto il suo amore. Anche in noi la sofferenza e la morte saranno partecipazione alla Morte di Cristo, se saranno la prova che in noi vive l’amore – è l’amore che ci immola; è l’amore che ha immolato Gesù, e la causa dell’immolazione è il peccato: a causa del peccato Gesù muore in croce –. La vita presente è per tutti un morire: che sia per noi un morire per amore! Offriamoci per il bene dei fratelli; offriamo la nostra sofferenza, le nostre lacrime, la nostra povertà, ciò che ci umilia, tutta la nostra vita…
O Signore, come siamo contenti di poter soffrire per dimostrare il nostro amore per Te!
Soffrire per dimostrare l’amore. Mi ha colpito un’intervista che ho visto nei giorni scorsi. Era ad un bambino – non so dirvi chi fosse, penso americano, comunque era di lingua inglese, un bambino piccolo, avrà avuto dai sei agli otto anni – e veniva intervistato sul fatto che lui aveva il tumore. E allora l’intervistatore gli dice: “Ma non sei arrabbiato con Dio per questa cosa? – un video commovente – E lui ha risposto: “No, non sono arrabbiato con Dio”; e l’intervistatore gli chiede: “Perché non sei arrabbiato con Dio, visto che hai il tumore e sei così giovane?”; e lui gli sorride e risponde: “Non sono arrabbiato con Dio, perché Dio ha scelto me. Mi ha proprio scelto per darmi questa malattia. Ha scelto me e non ha scelto le mie sorelle. Ha scelto me, perché sa che io posso portare questa sofferenza”. Un bambino di sei-otto anni; incredibile… E si vedeva proprio quanto amore ci fosse in questo bambino verso Dio. Proprio la sua compostezza, la sua pacatezza e la sua gioia.
Ti offriamo il nostro corpo, la nostra anima, il nostro sangue, tutto, e vogliamo che il nostro dono sia salvezza per tutti.
Certo, sappiamo che il nostro dono non vale; ma è grande se lo uniamo all’offerta del Cristo. Noi siamo sull’altare proprio per questo: perché la nostra offerta non sia separata da quella del tuo Figlio! Quale immagine del Cristo più bella, più vera, del cristiano? Si può pensare che una statua, un dipinto sia un’immagine più vera di quello che è l’uomo che ha ricevuto la mattina la S. Comunione? La Comunione non ci trasforma nel Cristo? non fa presente Gesù nella nostra vita, non fa vivere Cristo in noi? Pensiamo che la fede cristiana, l’unione intima con Gesù Salvatore, ci debba dispensare dalla sofferenza. A che serve esser cristiani, a cosa serve il pregare (dicono tanti) se dobbiamo soffrire come gli altri, se siamo sottoposti come gli altri alla morte? Non come gli altri, ma come Gesù.
Noi non siamo sottoposti alla sofferenza e alla morte come gli altri, ma come Gesù. Quindi non dobbiamo mai dire a qualcuno, o pensare di noi stessi, che stiamo soffrendo come soffrono tutti gli altri. No, io non sto soffrendo come soffrono tutti gli altri, io sto soffrendo come soffre Gesù. Io morirò, ma non come gli altri, ma come Gesù. Questo bambino sta soffrendo come Gesù, morirà come Gesù, questo bambino è veramente un’immagine bella di cristiano, perché si vede proprio l’amore, esattamente come Gesù, che ha sofferto e che è morto con questo fuoco interiore che era, che è, l’amore. E noi, che facciamo la Comunione, dovremmo proprio essere trasformati. E questa Comunione non ci deve dispensare dalla sofferenza. E non ci dispensa dalla sofferenza.
La nostra fede ci serve a soffrire di più, non certo a preservarci dal dolore, perché deve far presente in noi la Passione stessa del Cristo: non la sofferenza che è dovuta per i nostri peccati, ma la sofferenza che è dovuta a tutta quanta l’umanità, perché è questa sofferenza che Gesù ha preso sopra di sé.
Quindi, noi crediamo in Gesù, abbiamo fede, per imparare a soffrire di più, non per essere salvati dal dolore. Perché? Perché la Passione di Gesù si fa e deve farsi presente in noi. Chi ci vede, dovrebbe dire: “Ecco, lì c’è Gesù che sta soffrendo”.
Nella misura in cui tu vivi nel Cristo, non vivi più soltanto il tuo dolore, ma vivi il dolore del mondo; tu non assumi soltanto il peso dei tuoi peccati, tu assumi il peso del peccato del mondo, per esserne a tua volta schiacciato – quello che hanno fatto i santi –. L’uomo dovrebbe superare il dolore dopo aver vinto in sé il peccato: proprio allora, invece, incomincia per lui il vero martirio.
Nella mistica di S. Giovanni della Croce sembrerebbe che l’uomo, giunto all’unione trasformante, non dovesse più soffrire, ma S. Giovanni della Croce nelle sue opere non ci dà nemmeno la prova di quello che fu la sua esperienza interiore. Neppure S. Giovanni della Croce, una volta giunto all’unione trasformante, conobbe la gioia. Egli giunse all’unione trasformante nel carcere di Toledo; ma dopo il carcere di Toledo, Dio preparò per lui un abisso ancor più grande di sofferenza: l’abbandono da parte dei suoi fratelli, il tentativo di cacciarlo dall’Ordine, la morte. La sofferenza di S. Giovanni della Croce non terminò con l’unione trasformante: è con l’unione trasformante piuttosto che egli divenne capace di partecipare in un modo più intimo e vero alla Passione stessa di Gesù, che è Passione redentrice. La passione di S. Giovanni della Croce, gli meritò di essere il padre dell’Ordine: tutto l’Ordine vivrà nella sua passione. Come dalla Passione del Cristo è nata la Chiesa, così dalla passione dei santi si rinnova la Chiesa e nasce e vive ogni famiglia religiosa.
Vedete quello che ha vissuto San Giovanni della Croce? I suoi nove mesi in carcere, un carcere che era un buco, proprio, ma poi sperimenta l’abbandono dei suoi fratelli e addirittura il tentativo di cacciarlo dall’ordine da lui fondato, come S. Francesco, incredibile! “Cacciarlo dall’ordine da lui fondato”, pensate che cosa terribile, proprio, che sofferenza!
Quindi, l’unione trasformante che lui raggiunse in carcere con Gesù, di fatto aprì la porta ad una sofferenza ancora più grande, rispetto al carcere.
Così S. Teresa del Bambin Gesù. Sembra che ella sia giunta all’unione trasformante nel tempo in cui si offrì all’Amore misericordioso; se leggiamo la sua vita vedremo che è proprio da allora che la investe il massimo della sofferenza e delle tribolazioni interiori. Invece di liberarsi dalla sofferenza, proprio allora ella ottiene di divenire la più grande santa dei tempi moderni, assumendo tutto il peso del peccato umano per esserne come schiacciata, spezzata. L’Umanità di Gesù non sopportò il peso del dolore umano ed egli è morto sulla Croce: come potrebbe l’uomo, nella misura in cui fa suo il dolore del Cristo, reggere a tale peso?
Vedete, la stessa cosa che accade a Santa Teresina, la stessa cosa accaduta a S. Giovanni della Croce, cioè questo vivere profondamente nella sofferenza.
La perfezione cristiana termina nella morte, non tuttavia in un’estasi di amore, come aveva scritto S. Giovanni della Croce; ma nell’agonia pura e semplice, nella desolazione dello spirito, nel sentimento dell’abbandono del Padre, perché così è morto Gesù e così deve morire chi a lui più si avvicina.
Questa la vera vita eucaristica. La Comunione non ti promette la dolcezza dell’estasi: Gesù si comunica all’uomo per imprimere in lui il suo Volto divino, affinché egli divenga la vera «icona» del Cristo, la vera immagine di Gesù. Presente realmente, ma misteriosamente nascosto nell’Eucarestia. Egli vuole rivelarsi in noi, vuoi farsi presente e visibile agli uomini nella nostra medesima vita, nel nostro medesimo corpo.
Gesù lo devono vedere in noi, e quanto più noi soffriremo con amore, tanto più vedranno in noi Gesù; come guardando quel bambino, in quell’intervista, io vedevo il Signore.
Noi non riceveremo le stigmate. Ma partecipando al suo mistero, dovremo esprimere chiaramente la nostra assimilazione a Cristo così che anche il corpo divenga veramente una immagine di Gesù. La vera immagine di Gesù è il santo: non scolpita o dipinta dalla mano dell’uomo, ma dallo Spirito Santo.
La mistica cristiana non è una mistica dell’Uno, un puro affondare dell’anima nella luce di Dio, un puro perdersi dell’uomo nella luce infinita: è un’assimilazione a Cristo. La nostra unione, la nostra unità con Dio, esige prima di tutto la nostra unità con tutta quanta l’umanità sofferente e peccatrice, nella nostra trasformazione in Cristo – vedete che, nel Vangelo di oggi, Gesù va a tavola con i peccatori e i pubblicani –.
Gesù fa presente in te la sua Passione in un modo visibile e tu partecipi al mistero della sua riparazione. Quello che è nascosto nell’Eucarestia, nel santo diviene palese; quello che nell’Eucarestia è nascosto deve vivere in te. Gesù si comunica a te, per vivere pienamente in te, per passare di nuovo dal mistero (non dalla realtà, perché la realtà è già tutta nel mistero) alla visibilità; per introdursi dal mistero nella vita del tempo. Attraverso la partecipazione al Mistero eucaristico, l’atto della Morte del Cristo entra nel tempo e nello spazio, diviene la vita di ogni uomo, la vita anche del mondo.
Quindi, senza bisogno di tante parole, quando soffriamo, nel nostro piccolo (o nel nostro grande, dipende), facciamolo con amore. Non con rabbia, non con acredine, non con polemica, non con ritorsioni, non con il parlar male. E poi: impariamo a tenere nascoste le sofferenze – questo forse non so se ve l’ho mai detto – impariamo questa pratica bellissima. Gesù non è andato mai a sbandierare la sua sofferenza. Durante la sua passione, Gesù – dice la Scrittura – autem tacebat – e Gesù taceva -. Questo parlare sempre della nostra sofferenza, dell’incomprensione, del rifiuto che riceviamo, delle persecuzioni che subiamo. Questo parlare sempre del dolore che viviamo, delle ingiustizie, a cosa serve? Cosa serve parlare del male che mi fanno? Va bene, può succedere che magari mi scappa; mi può scappare che dica: “Oggi è una giornata nella quale ho vissuto un momento di grande sofferenza”. Va bene, scappa a tutti, però scappa una volta, poi basta. Tanto: chi è che ha potuto togliere Gesù dalla sua Croce? Nessuno. Chi può togliere noi dalla nostra Croce? Nessuno. È Dio che ci ha scelti – dice quel bambino. È vero, Dio ci ha scelti per questa missione; ognuno ha la sua.
Quindi impariamo a soffrire per amore, con amore, in silenzio. Questo bambino – se non fosse che aveva la testa senza capelli, che era magrissimo, si vedeva che stava male – non avreste mai detto che era ammalato di tumore. Quindi impariamo anche noi a profumarci il capo, a lavarci il volto quando soffriamo e a dire: Signore, me la sono cercata? No. L’ho voluta? No. Se avessi potuto, sarei fuggito? Sì. Però sono stato scelto per questo; sono stato scelto io e non un altro. Va bene, porterò questa Croce, porterò questa sofferenza, ma come fai tu. Cioè: con amore, amerò questa croce. Quindi non starò lì a ribellarmi, a criticare, a puntare il dito sui miei persecutori: “Mi hanno fatto, mi hanno detto e non mi hanno capito” e tutte queste cose qui. No, perché non serve a niente e che cosa emerge, cosa esce? A furia di dire queste cose esce solo tanta acredine, tanta acredine, veramente. E si sente, perché la sofferenza è fatta così; quando non è vissuta per amore, quando è vissuta come una un’ingiustizia – e ci sono sofferenze di questo genere – quando è vissuta non come “Dio ti ha scelto”, ma come cosa che non doveva assolutamente succedere, che poteva essere assolutamente evitata, che è accaduto per colpa “di”, cosa mi trovo davanti? Mi trovo davanti un uomo ferito, un uomo incattivito, un uomo inacidito, ma non c’è amore. Ecco, questo a noi non deve capitare.
Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.