Scroll Top

Sacrosanctum Concilium – Capitolo I, § 37, 39 “indole e tradizioni dei Popoli”

Concilio Vaticano II - Sacrosanctum Concilium

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: Sacrosanctum Concilium – Capitolo I, § 37, 39 “indole e tradizioni dei Popoli”
Martedì 22 ottobre 2024

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

VANGELO (Lc 12, 35-38)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.
E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a martedì 22 ottobre 2024. Oggi festeggiamo S. Giovanni Paolo II, papa; ed è bello fare questa memoria proprio durante la lettura della Sacrosanctum Concilium, visto che Giovanni Paolo II ha definito il Concilio “il faro” del suo pontificato.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal dodicesimo capitolo del Vangelo di san Luca, versetti 35-38.

Continuiamo la nostra lettura della Sacrosanctum Concilium, siamo arrivati al numero 37.

Norme per un adattamento all’indole e alle tradizioni dei vari Popoli

37. La Chiesa, quando non è in questione la fede o il bene comune generale, non intende imporre, neppure nella liturgia, una rigida uniformità; rispetta anzi e favorisce le qualità e le doti di animo delle varie razze e dei vari popoli. Tutto ciò poi che nel costume dei popoli non è indissolubilmente legato a superstizioni o ad errori, essa lo considera con benevolenza e, se possibile, lo conserva inalterato, e a volte lo ammette perfino nella liturgia, purché possa armonizzarsi con il vero e autentico spirito liturgico.

Mi sembra molto bello, questo numero 37. Che cosa ci dice? Ci dice che, quando non c’è in questione la fede o il bene comune, la Chiesa non vuole imporre neanche nella liturgia una rigida uniformità. Quindi, è chiaro che lo stile liturgico (e quindi lo stile espressivo, che viene anche dalla cultura) del Kenya, è diverso da quello del popolo del Canada, è ovvio ed evidente. Sono proprio culture, tradizioni, sensibilità, storie, completamente diverse. E ciò che viene fatto in Kenya è chiaro che ha senso farlo lì, rispetto a doverlo fare in Finlandia, per esempio. Quindi, se non viene toccata la fede e il bene comune, il Concilio ci dice che non è richiesta una rigida uniformità e soprattutto se queste particolarità di un popolo rispetto a un altro, non sono segno, espressione e non sono legate a superstizioni ed errori; allora va bene e in tal caso «lo considera con benevolenza e, se possibile, lo conserva inalterato».

La cosa intelligente è cercare di fare in modo che il tutto sia armonico, cioè che questi stili e particolarità tipiche di una nazione o di un popolo possano armonizzarsi in modo autentico con lo spirito liturgico.  In modo che chi partecipa abbia proprio questo senso bello di armonia, dove tutto torna — se possiamo usare questo termine — per cui il turista canadese, che va a Messa in Kenya, troverà delle diversità, però troverà qualcosa di armonico e di facilmente collocabile. Cioè penserà: certo, per questo popolo, ha senso vivere alcuni momenti della Santa Messa in questo modo, rispetto a noi che siamo in Canada, che abbiamo tutta un’altra cultura, però la struttura generale e l’impianto fondamentale della liturgia è quello, e deve rimanere quello.

38. Salva la sostanziale unità del rito romano, anche nella revisione dei libri liturgici si lasci posto alle legittime diversità e ai legittimi adattamenti ai vari gruppi etnici, regioni, popoli, soprattutto nelle missioni; e sarà bene tener opportunamente presente questo principio nella struttura dei riti e nell’ordinamento delle rubriche.

Vedete che da questi numeri emerge un grande equilibrio e anche un grande rispetto, molto bella questa cosa. C’è grande rispetto delle diversità, perché ci sono delle diversità che sono legittime, perché sono proprio delle singolarità, perché, appunto, riguardano il gruppo etnico, riguardano la regione, il popolo; cioè, è chiaro, ci sono diversità che non sono negative. Ora, vedete, siamo sempre alle solite: quando c’è da una parte un’intenzione buona e, quindi, proprio per questa intenzione buona, si vuole lasciare una certa libertà, una certa anche adattabilità (cioè quando si dimostra una certa malleabilità), cosa succede? Succede che ci sono coloro che capiscono e applicano in modo corretto questa libertà, questa disponibilità, e ci sono coloro che ne abusano; è sempre così!

Purtroppo ci sono i pastori e ci sono i mercenari; i mercenari sono coloro che tu apri la porta, loro la buttano giù; quindi, tu dai un dito e loro ti prendono tutto il braccio; ma questo da sempre, in tutto. Però questo non può essere poi attribuito, come responsabilità, a coloro che sono stati disponibili; no! Perché i disonesti ci sono stati, ci sono e ci saranno sempre; ma non possiamo farci condizionare dai disonesti, è chiaro! I disonesti sono disonesti, basta, uno ne prende atto. Poi ci sono i disonesti dei disonesti, cioè: ci sono i disonesti che travisano e manipolano la disponibilità, la libertà che viene data, per i propri fini; e poi ci sono i disonesti dei disonesti, cioè coloro — che vengono dopo — e che, a motivo delle proprie ragioni ideologiche, non vanno a dire che gli errori che si sono venuti a creare, sono dovuti a coloro che in modo disonesto hanno manipolato la libertà, la disponibilità che ci era stata data con il Concilio, no! Vanno a dare la colpa di quanto di sbagliato c’è stato al Concilio stesso, e questo non è giusto. Se io do disponibilità e credibilità e libertà a mio figlio di gestire i suoi tempi per lo studio, e quindi non faccio il carabiniere, ma dico: io mi fido di te, quindi gestisciti tu come meglio reputi opportuno — e quindi non sto lì a contarti minuti, le ore, quanto tempo stai seduto — e poi questo qui non studia, non fa il suo dovere, va a scuola e prende tre, la colpa non è del genitore. Perché dentro a un consesso di persone cristiane, cattoliche, si pensa e si presume che dovrebbero essere oneste. Se non lo sono, loro sono l’eccezione e la responsabilità è la loro; la responsabilità è del figlio, non del genitore che ha dato questa disponibilità. Perché è così che si cresce, si cresce dentro una dimensione di fiducia, non si cresce avendo accanto dei carabinieri o dentro uno stato di polizia; lo stato di polizia non può essere lo stato normale del vivere; solo in uno stato di emergenza c’è la polizia nelle strade h 24, che sorveglia gli incroci.

39. Entro i limiti stabiliti nelle edizioni tipiche dei libri liturgici, spetterà alla competente autorità ecclesiastica territoriale, di cui all’art. 22 — 2, determinare gli adattamenti, specialmente riguardo all’amministrazione dei sacramenti, ai sacramentali, alle processioni, alla lingua liturgica, alla musica sacra e alle arti, sempre però secondo le norme fondamentali contenute nella presente costituzione.

Vedete, è quello che vi ho appena detto: ci sono delle norme fondamentali, poi, siccome il Concilio ha ben presente che la Cina non è la Colombia, allora dice: io vi do le norme fondamentali, poi voi le dovrete un po’ adattare; non può il Concilio dire come deve essere la liturgia in Cina, come deve essere in Kazakistan, come deve essere a New York, come deve essere in Cile, come deve essere in Madagascar: stavano lì cent’anni, a farlo! 

Quindi i Padri conciliari stendono l’impianto, ti dicono gli elementi fondamentali che devono essere rispettati, poi: come tradurli, in che modo farli comprendere piano piano, farli passare, questo è il compito di chi vive lì. Chiaro che, se chi vive lì prende questa bontà, questa disponibilità, per dire fare ciò che vuole, “perché tanto mi si lascia libertà di adattamento”, questo vuol dire tradire il mandato del Concilio, perché il Concilio dice chiaramente che “le norme fondamentali contenute nella presente Costituzione devono essere mantenute”.

Ci tengo a precisare che non voglio dire che nei documenti del Concilio è tutto perfetto. Vedete, ci sono alcuni teologi che dicono (come se scoprissero l’acqua calda): “Ah, ma quello che è contenuto nel Concilio non tutto è perfetto”; innanzitutto, stiamo parlando di un Concilio pastorale e non di un Concilio dogmatico, primo. Quindi, tolto l’aspetto dogmatico — dove solo il dogma è intoccabile, irreversibile ed è perfetto, e quindi non si può più toccare, perché lì entra in gioco l’infallibilità papale — è chiaro che ogni realtà umana (e la realtà ecclesiale è umana, perché siamo uomini, non siamo angeli) è perfettibile. Cioè, i padri conciliari, quando si sono riuniti, io credo che nessuno di loro avesse in testa l’idea: “Ciò che noi scriveremo è dall’inizio alla fine perfetto, intoccabile, immutabile, irriformabile”; no! Cioè, hanno messo giù dei testi che, insomma… hanno cercato di fare del loro meglio.

Vi è mai capitato di scrivere un testo, leggerlo e pensare che sia perfetto? Poi passano cinque giorni, lo rileggete e dite: no, questa parte non va bene, la devo tagliare. Poi passano altri cinque giorni, lo rileggete e dite: no, questa parte va ampliata, non è chiara, non va bene. Poi passano altri cinque giorni e dite: bah, l’ordine dei capitoli non mi piace molto, lo devo risistemare. Poi passano altri cinque giorni e dite: ah sì, le note, sì, però, scritte così non sono formattate bene, è meglio rimetterlo in ordine. Ma a voi vi è mai capitato? A me, sempre. A me è successo tante volte, scrivo un testo e dico: ah, sì, questo testo di sette pagine è perfetto. Alla fine di cinque mesi di revisione, le pagine sono diventate cinquanta e il testo è stato rivisitato trenta/quaranta volte. Questo cosa vuol dire? Vuol dire che la prima formulazione di sette pagine era orrenda, schifosa, da buttare nel cestino, piena di imperfezioni? No! Vuol dire che, siccome nessuno di noi ha la scienza infusa, quando scriviamo è chiaro che le cose, nel momento in cui vanno su carta, poi è come se avessero una vita propria, per cui, col passare del tempo, camminano, si muovono — non so come dire — e quindi, aggiungi di qui, togli di là, sistema questo, sei partito con sette pagine e sei arrivato a quarantacinque; ma è così che si lavora! Se poi queste pagine tu le prendi — come il Concilio — e le fai leggere ad altre cinque persone — e al Concilio c’erano più di cinque persone — è chiaro che cinque teste vedranno cinque cose diverse, e quindi Tizio ti dirà: “No, ma qui è sbagliato, questa frase è incompleta”, e quindi correggi quella roba lì; quell’altro ti dice: “No, ma guarda, questo pezzo è orrendo, è scritto malissimo, ma cosa ti è venuto in testa, dormivi? Eri ubriaco? Ma cosa hai fatto? No, lo devi rifare”, e quindi cambia tutto un’altra volta, di quel pezzo lì. Cioè, io, con il mio dottorato, non so dirvi in tre anni quante volte l’avrò rifatto, tagliato, sistemato, aggiunto, fino ad arrivare alla fine, che stavo per stamparlo, e ancora c’erano degli errori; eppure l’avrò riletto dodici milioni di volte. Ma è questa la vita dell’uomo! Nessuno di noi ha la scienza infusa, neanche i padri del Concilio!

Quindi è chiaro che noi, dal 1965 ad oggi, che sono passati tot anni, e il cammino teologico ha fatto il suo passaggio in avanti, abbiamo compreso tante altre cose, è chiaro che oggi, leggendolo col senno di poi, noi diciamo: “Ah sì, questa cosa potrebbe essere detta meglio; ah sì, quest’altra qui, insomma, non è molto chiara”; ho capito, ma è normale! Quelli che verranno tra sessant’anni e leggeranno le cose che abbiamo scritto noi, ci rideranno in faccia e diranno: “Ma cosa hanno scritto questi qui!”. Perché dovremo pur scrivere, perché noi abitiamo in uno spazio-tempo e non abitiamo una quinta dimensione, quindi oggi devo scrivere un testo, e, scrivendolo, è chiaro che è perfettibile, e a quello che viene tra cinquant’anni che mi venga a dire: “Ah no, vabbè, non è perfetto”, io rispondo: “Eh, vabbè, che scoperta, hai scoperto l’acqua calda, lo so anch’io, che non è perfetto!”

E così noi non possiamo fare questo ragionamento sul Concilio! Adesso noi ci mettiamo qui in cattedra a sentenziare: ah, no, ma questo non andava bene; ah, no, ma quell’altro doveva essere espresso in un altro modo; sì, grazie, tu lo puoi dire, perché sono passati 50-60 anni, la teologia ha fatto dei passi avanti, abbiamo fatto delle scoperte nuove, adesso abbiamo il computer, adesso abbiamo tutti gli strumenti. A quel tempo mica c’erano, mica avevano tutta la possibilità di conoscere, di scrivere, di interfacciarsi, di sentirsi; era tutto molto più complesso e quindi è chiaro: risente del suo tempo; come quello che scrivo io oggi risente del mio tempo. Ma questo è normale! Ma che ragionamenti sono, quelli di andare a dire adesso: “Ah, sì, però loro hanno fatto …”; loro hanno fatto quello che era meglio fare per loro in quel momento lì, quello che le loro intelligenze hanno visto in quel momento, e che il papa — i papi — hanno poi sottoscritto. Perché questo non va dimenticato! Non è che i documenti del Concilio sono usciti così, come esce il pane dal forno al mattino dalla panettiera. Una volta che sono stati scritti, son stati sottoposti ai pontefici e i pontefici li hanno firmati, hanno detto: “Sì, va bene”. Non dimentichiamoci l’incipit di questo testo:

Paolo vescovo, servo dei servi di Dio, unitamente ai padri del sacro concilio, a perpetua memoria, Costituzione sulla sacra liturgia, Sacrosanctum Concilium

Qui è il papa in persona che mette in gioco la sua autorità di Sommo Pontefice, unitamente ai padri del sacro Concilio: tutti vescovi. Arriviamo noi, che magari non siamo neanche teologi, a fare le pulci su: “Ma qui avrebbe dovuto dire in questo modo, ma qui è troppo in quest’altro, ma qui emerge che han voluto far stare dentro tutto e non sono riusciti a far star dentro niente”. Verrebbe da dire: perché non li scrivi tu, se ritieni di poter fare meglio? Perché poi vedrai che, quando tu li avrai scritti, salteranno su altre cinque persone, che diranno: “Eh, ma qui sei stato impreciso. Eh, ma qui potevi ampliare; eh, ma qui hai approfondito poco. Eh, ma qui perché non hai fatto così? Eh, ma qui perché non hai fatto cosà?”.

È normale, è normale. Prendiamo tutto ciò che di bene, di buono e di bello il papa, unitamente ai padri del Santo Concilio (che sono tutti vescovi) hanno messo nero su bianco per noi. Che, peraltro, come stiamo vedendo, noi ancora non viviamo. Non abbiamo ancora applicato il Concilio; quantomeno la Sacrosanctum Concilium, in tante sue parti, non è ancora stata applicata. È stata abusata, è stata travisata ed è stata anche tradita, ma non applicata fino in fondo, come stiamo leggendo.

Bene, ci fermiamo qui. Domani vedremo un’altra sezione, che si chiama: “Progressivo adattamento liturgico”; vedremo che cosa ci dice. 

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

Post Correlati