Catechesi di lunedì 12 febbraio 2018
Ciclo di catechesi “La Fede: dubbio o Abbandono? La Scelta di una vita”
Relatore: p. Giorgio Maria Faré
Ascolta la registrazione della catechesi:
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Brano commentato durante la catechesi:
Primo libro di Samuele, Capitolo 13
1 Saul aveva trent’anni quando cominciò a regnare e regnò vent’anni su Israele… 2 Egli si scelse tremila uomini da Israele: duemila stavano con Saul in Micmas e sul monte di Betel e mille stavano con Giònata a Gàbaa di Beniamino; rimandò invece il resto del popolo ciascuno alla sua tenda. 3 Allora Giònata sconfisse la guarnigione dei Filistei che era in Gàbaa e i Filistei lo seppero subito. Ma Saul suonò la tromba in tutta la regione gridando: “Ascoltino gli Ebrei!”. 4 Tutto Israele udì e corse la voce: “Saul ha battuto la guarnigione dei Filistei e ormai Israele s’è urtato con i Filistei”. Il popolo si radunò dietro Saul a Gàlgala. 5 Anche i Filistei si radunarono per combattere Israele, con tremila carri e seimila cavalieri e una moltitudine numerosa come la sabbia che è sulla spiagga del mare. Così si mossero e posero il campo a Micmas a oriente di Bet-Aven. 6 Quando gli Israeliti si accorsero di essere in difficoltà, perchè erano stretti dal nemico, cominciarono a nascondersi in massa nelle grotte, nelle macchie, fra le rocce, nelle fosse e nelle cisterne. 7 Alcuni Ebrei passarono oltre il Giordano nella terra di Gad e Gàlaad.
Saul restava in Gàlgala e tutto il popolo che stava con lui era impaurito. 8 Aspettò tuttavia sette giorni secondo il tempo fissato da Samuele. Ma Samuele non arrivava a Gàlgala e il popolo si disperdeva lontano da lui. 9 Allora Saul diede ordine: “Preparatemi l’olocausto e i sacrifici di comunione”. Quindi offrì l’olocausto. 10 Ed ecco, appena ebbe finito di offrire l’olocausto, giunse Samuele e Saul gli uscì incontro per salutarlo. 11 Samuele disse subito: “Che hai fatto?”. Saul rispose: “Vedendo che il popolo si disperdeva lontano da me e tu non venivi al termine dei giorni fissati, mentre i Filistei si addensavano in Micmas, 12 ho detto: ora scenderanno i Filistei contro di me in Gàlgala mentre io non ho ancora placato il Signore. Perciò mi sono fatto ardito e ho offerto l’olocausto”. 13 Rispose Samuele a Saul: “Hai agito da stolto, non osservando il comando che il Signore Dio tuo ti aveva imposto, perché in questa occasione il Signore avrebbe reso stabile il tuo regno su Israele per sempre. 14 Ora invece il tuo regno non durerà. Il Signore si è già scelto un uomo secondo il suo cuore e lo costituirà capo del suo popolo, perché tu non hai osservato quanto ti aveva comandato il Signore”. 15 Samuele poi si alzò e salì da Gàlgala per andarsene per la sua strada.
Testo della catechesi
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Questa sera affronteremo un altro tema molto importante, che è il tema dell’obbedienza, e l’affronteremo nel rapporto tra il re Saul e il profeta Samuele. Il testo forse non è tanto famoso ma, comunque, è molto importante. Vedremo cosa vuol dire avere fede, in che modo si realizza veramente la fede. Siamo al capitolo 13 del Primo libro di Samuele:
1Saul aveva trent’anni quando cominciò a regnare e regnò vent’anni su Israele… 2Egli si scelse tremila uomini da Israele: duemila stavano con Saul in Micmas e sul monte di Betel e mille stavano con Giònata a Gàbaa di Beniamino; rimandò invece il resto del popolo ciascuno alla sua tenda. 3Allora Giònata sconfisse la guarnigione dei Filistei che era in Gàbaa e i Filistei lo seppero subito. Ma Saul suonò la tromba in tutta la regione gridando: «Ascoltino gli Ebrei!». 4Tutto Israele udì e corse la voce: «Saul ha battuto la guarnigione dei Filistei e ormai Israele s’è urtato con i Filistei». Il popolo si radunò dietro Saul a Gàlgala. 5Anche i Filistei si radunarono per combattere Israele, con tremila carri e seimila cavalieri e una moltitudine numerosa come la sabbia che è sulla spiaggia del mare. Così si mossero e posero il campo a Micmas a oriente di Bet-Aven. 6Quando gli Israeliti si accorsero di essere in difficoltà, perché erano stretti dal nemico, cominciarono a nascondersi in massa nelle grotte, nelle macchie, fra le rocce, nelle fosse e nelle cisterne. 7Alcuni Ebrei passarono oltre il Giordano nella terra di Gad e Gàlaad.
Saul restava in Gàlgala e tutto il popolo che stava con lui era impaurito.
La vicenda si svolge in un contesto di guerra e di combattimento, molto serio, molto importante. Dobbiamo proprio entrare nel contesto: qui si sta parlando di guerra, si sta parlando di morte e si sta parlando di vita, non si sta parlando di quisquilie. Nel popolo regna la paura e voi sapete che in un esercito c’è una sola cosa che bisogna temere — e che un re non deve assolutamente far entrare all’interno — ed è la paura, perché, se i soldati hanno paura, e la paura entra in uno schieramento, la guerra è già finita. Compito del re e dei generali comandanti è continuamente galvanizzare l’esercito, per fare in modo che trovi in sé la forza e il coraggio per combattere i nemici, altrimenti non potranno vincere. Se io parto già impaurito, ho già perso. Adesso inizia la questione:
8Aspettò tuttavia sette giorni secondo il tempo fissato da Samuele. — Samuele aveva fissato un tempo molto preciso: sette giorni. Adesso vedremo per cosa era questo tempo — Ma Samuele non arrivava a Gàlgala e il popolo si disperdeva lontano da lui. 9Allora Saul diede ordine: «Preparatemi l’olocausto e i sacrifici di comunione». Quindi offrì l’olocausto. 10Ed ecco, appena ebbe finito di offrire l’olocausto, giunse Samuele e Saul gli uscì incontro per salutarlo.
Prima di vedere cosa dirà Samuele, cerchiamo adesso di vedere cosa ha fatto Saul. Saul ha ceduto alla tentazione della disobbedienza, che è la radice di ogni peccato e che è il peccato di Lucifero; dopo quel peccato, e da quel peccato in avanti, Lucifero verrà chiamato Satana. Voi sapete che Lucifero è un nome bellissimo, meraviglioso, e, in greco, vuol dire “portatore di luce”; è un nome stupendo, ed era il nome che indicava — quando lui era l’arcangelo più bello presente in cielo, nel paradiso — proprio il suo ruolo, la sua posizione, il suo compito e il suo ministero: era l’angelo più vicino a Dio, era l’angelo più bello, proprio perché godeva maggiormente della vicinanza e del rapporto con Dio. Per questo è portatore di luce, perché effettivamente portava la luce di Dio. Lucifero compie, appunto, questo peccato, che è il peccato di ribellione.
Noi spesse volte diciamo: “Ma io non ho fatto molti peccati; ho fatto solo questo…”; non dimentichiamoci che Lucifero va all’inferno per un peccato di pensiero; uno! Non ha fatto niente, concretamente, lui si è ribellato al mistero dell’incarnazione del Verbo, questa è la ragione: l’incarnazione della seconda ipostasi della Trinità (Padre, Figlio, Spirito Santo). Il progetto del Padre dell’incarnazione del Figlio, ha fatto reagire Lucifero, e non solo lui. E questo perché finché si trattava di adorare Dio, andava bene, ma per Lucifero e gli altri angeli che avevano, come lui, quel sentore, l’idea di inchinarsi e adorare il Dio fatto uomo — cioè, un Dio che avrebbe assunto la natura umana, che è una natura finita, mortale, segnata dal tempo e dallo spazio, e inferiore assolutamente alla natura angelica per intelligenza, per potenza e per tante cose — questo l’ha fatto impazzire, lo ha fatto ribellare. Lucifero si ribella e perde il suo essere portatore di luce, e diventerà portatore di tenebra. Quindi stiamo molto attenti con l’obbedienza, perché lì si gioca tutto!
Comunque a noi quello che interessa non è tanto Lucifero, ovviamente, ma capire che stiamo parlando del cuore del problema; cioè: la fede è legata a doppia mandata col tema dell’obbedienza. E Gesù, infatti, insiste tantissimo sul valore dell’obbedienza: sia di sé stesso al Padre — “io faccio solo quello che piace al Padre mio”; e tutta la vita di Gesù è un atto di obbedienza al Padre — sia dei santi. Perché l’obbedienza è la forma più alta della rinuncia di sé, del rinnegamento di sé, della penitenza, dell’ascesi, del sacrificio.
E qui, cosa succede? Succede che Samuele, il profeta, — che è uno strumento che Dio ha scelto per manifestare al popolo la sua volontà — dice al re Saul di aspettare il suo arrivo per offrire il sacrificio. Ma Samuele tarda; tarda rispetto ai programmi dati, tarda rispetto alle attese di Saul, tarda soprattutto in riferimento a quello che stava accadendo. Fossimo stati in una situazione tranquilla, che Samuele fosse arrivato alle tre, o alle cinque, o il giorno dopo, non era un grosso problema. Ma qui siamo in guerra, qui c’è il nemico che ci attacca e, soprattutto, qui c’è di mezzo Dio e “io devo ottenere il favore di Dio per vincere la battaglia”. Di conseguenza, è assolutamente importante offrire il sacrificio: “è in questo modo che ottengo i favori di Dio”. Questo abita nella mente di Saul, come vedremo adesso.
Samuele tarda e Saul, dentro di sé, sicuramente avrà pensato: “Vabbè, mica ammazzo nessuno! M’ha detto che doveva arrivare, ma non arriva; qui incombe la battaglia, il popolo si sta disperdendo proprio perché è spaventato, è una situazione di confusione, di attacco, il sacrificio non viene offerto… Dio dov’è? Perché non interviene? Vabbè, io comincio a fare il sacrificio, poi, quando arriva Samuele, vediamo”.
Sotto questa questione, ci sta anche un problema relativo alla concezione che noi abbiamo di Dio. Saul ha una concezione magica, superstiziosa, falsa, di Dio, non conosce veramente Dio, non ha ancora capito chi è Dio, qual è lo stile di Dio. Saul è attaccato a sé stesso, al suo progetto, alla sua intelligenza, alle sue voglie, alle sue idee, a quello che lui reputa essere importante (e che, probabilmente, era anche importante), alla sua visione delle cose. Lui è attaccato a questo, più che a Dio, e lui vive Dio in funzione di quelle cose, lui non lo vive in funzione del fare la Sua volontà. E quindi, Saul disse: «Preparatemi l’olocausto e i sacrifici di comunione». Cioè, lui doveva fare questo sacrificio di comunione per creare comunione con Dio, e quindi ottenere la sua assistenza.
Offre l’olocausto e, guarda caso (ma guarda che coincidenza…), appena lui ha offerto il sacrificio, arriva Samuele. Una coincidenza incredibile! Appena lui ha consumato la sua disobbedienza, arriva Samuele. Quasi a dire: perché, se tu avessi aspettato due ore, cosa sarebbe cambiato? Io sono arrivato, ma non quando volevi tu, non quando aspettavi tu, non secondo le tue idee e i tuoi progetti! Altrimenti, che fede è? La fede che vuole inscatolare Dio e la provvidenza di Dio, e vuole che Dio sia sottomesso alle nostre idee, ai nostri programmi, alle nostre strutture, che fede è? Questa non si chiama fede, questo si chiama usare Dio per i miei scopi, i miei fini.
Arriva Samuele e Saul uscì incontro per salutarlo. Saul è tranquillo, perché per lui l’obbedienza non è una cosa importante. Lui pensa che non sia importante il momento preciso in cui fare una cosa. Quante volte si sente dire tra di noi: “Ma figurati, vuoi mettere che Dio sta lì a contare, a fare il bilancino, a vedere; ma tu pensi che Dio stia a guardare queste cose?”; risposta: ma tu, come fai a saperlo? Te l’ha detto Dio? Tu hai parlato con Dio e Dio ti ha detto che non dà importanza a queste cose? Da cosa lo deduci che per Dio non sono importanti? Dalla tua testa, dalla tua struttura, dalle tue idee, ma non da Dio. Quindi tu stai facendo diventare verità quello che tu pensi; stai facendo diventare Dio la tua idea di Dio.
Vi faccio un esempio: provate a pensare alla pratica dei Primi Nove venerdì del mese, o alla pratica dei Primi Cinque sabati, stessa cosa; qualche volta si sente dire: “Eh, guardi, padre, me ne mancava uno”.
Perché noi — tra l’altro — abbiamo poi questo modo di esprimerci, che veramente uno guarda Gesù e dice: “Ma tu perché fai questi doni? Ma non farli! Lascia perdere!”; noi siamo talmente banali e volgari, che riusciamo a storpiare persino i doni di Dio.
”Stavo facendo la pratica dei Primi Nove venerdì del mese, me ne mancava uno …”; che chi ti ascolta dice: ma che cos’è, la lista della spesa? Ti viene già la nausea a sentir parlare così! Cosa vuol dire: me ne mancava uno? Vuol dire che tu non hai capito! Oppure, quelli che vanno in confessionale e dicono: “Mi vengo a confessare per il Primo Venerdì del mese”; ma tu ti vieni a confessare perché fai i peccati, non per il Primo Venerdì del mese! Che modo di esprimerti è, questo qui! Vuol dire che tu non hai mai letto lo scritto di S. Margherita Maria Alacoque, e stai facendo questa cosa come una pratica magica, quindi non funziona. Vuol dire che tu non hai letto cosa è costato questo dono! E non hai letto le parole che Gesù ha detto per accompagnare questo dono! Semplicemente ti sei informato superficialmente e solo su cosa c’è da fare, ma c’è molto di più, perché Gesù non è banale! Gesù non è banale e non parla perché non sa che cosa fare! Quindi, questi dicono: “Eh, me ne mancava uno, dovevo venire, ma non ce l’ho fatta. Avevo tante cose da fare, poi ho preso la macchina, però c’era il traffico, ho trovato un incidente, non ce l’ho fatta, l’ho perso. Adesso cosa devo fare, devo fare tutto da capo?” — “Ma figurati… ma tu pensi che Dio sta a guardare queste cose? Non sta mica lì a mettere il timbro, ma va là. Beh, non l’hai fatto, pazienza, andrai il prossimo venerdì e chiuderai il ciclo con i nove”.
Ma a te chi l’ha detto? Tu hai parlato con Gesù? Gesù ti ha detto: “Ma sì, vabbè!”? Tu con Gesù non hai parlato; tu questa cosa la dici perché la pensi! Ma tu come fai a sapere che è vera? Come fai a sapere che stai dicendo veramente ciò che pensa Dio? Soprattutto, se tu lo metti a confronto con quanto accadde tra Gesù e suor Lucia, in riferimento al tema dell’intenzionare la confessione in riparazione al Cuore Immacolato di Maria quando fai la pratica dei Primi Cinque sabati del mese, o alla possibilità di rimandare la comunione alla domenica, se tu non hai potuto farla il sabato, andate a leggere! Gesù non risponde a suor Lucia: “Ma va là, ma sì, ma vabbè, ma fa niente. Se non l’hanno fatta oggi, la faranno domani, l’importante è farla!”. Voi vi immaginate Gesù rispondere così? Gesù risponde in modo molto preciso, almeno tre volte, a cosa lei deve riferire al confessore su questa questione dell’intenzionare la confessione e la comunione; addirittura, Lui dice: “Se i miei ministri lo consentiranno, per un giusto motivo, possono portarla alla domenica”.
Quindi, per un semplice ragionamento di sinossi, di parallelismo, questo ragionamento è già caduto, è già falso, perché sennò, in quel caso lì, a quelle domande — che sono molto meno del “ho saltato una volta” di cui parlavamo prima — Gesù avrebbe detto: “Sono stupidaggini, non fermiamoci a queste quisquilie”. Ma queste non sono quisquilie, lo sono per te, perché tu non ci credi, ma non per Lui, che ci ha dato un dono che viene dall’eccesso della Sua misericordia! Son due cose diverse. Noi banalizziamo tutto, soprattutto perché viviamo le cose in modo magico e superstizioso.
Quindi, Saul va incontro a Samuele, convinto che non sia successo assolutamente niente.
11Samuele disse subito: «Che hai fatto?».
Allora, già qui, a Saul si dovevano crepare le gambe, doveva già essere divorato dal terrore. Già questa domanda apre un abisso, perché ciò che per te è niente, non lo è per il profeta.
Se vedete, sembra di risentire quello che accadde in Genesi 3 col peccato originale. Il peccato originale è un peccato di disubbidienza; tutti i peccati sono peccati di disubbidienza. Accade sempre nella disubbidienza, il peccato.
Siccome non è sufficiente quello che ha fatto, Saul adesso tenta di giustificarsi, così sigilla definitivamente la sua sconfitta, dice veramente quanto è superbo, quanto è ribelle, quanto è poco umile, quanto è anche stupido.
Saul rispose: «Vedendo che il popolo si disperdeva lontano da me — e quindi avevo paura, tanta paura — e tu non venivi al termine dei giorni fissati, — la colpa è tua; tu non hai rispettato i patti! Tu dovevi arrivare per tempo. Il popolo era terrorizzato, se ne andava, e la guerra come la vincevamo? — mentre i Filistei si addensavano in Micmas, 12ho detto: — adesso siamo nel futuribile, perché chi è ribelle, chi è disobbediente, vive il futuro. Lui si crea il futuro, nella sua testa, come se lui fosse il padrone del tempo, il padrone degli avvenimenti, lui sa già; il superbo sa già cosa succede. L’uomo di fede sa una cosa sola: che Dio è Provvidenza. L’uomo non di fede sa solo che deve pensare a tutto lui, deve fare tutto lui, deve organizzare tutto lui. Questo è l’uomo non di fede, questo è l’uomo superbo. — ora scenderanno i Filistei contro di me in Gàlgala mentre io non ho ancora placato il Signore. Perciò mi sono fatto ardito e ho offerto l’olocausto».
Finalmente ha smascherato sé stesso, si è rivelato per quello che è. Lui ha già pensato che i filistei sarebbero scesi, ha già pensato che avrebbero avuto dei problemi, che forse avrebbero perso, che lì si sarebbe scatenata la guerra e non sapeva come fare, e quindi, tardando Samuele, lui ha detto: “Mi faccio ardito”. Cioè, essere ribelli, diventa anche un complimento, c’è un pizzico anche di cosa positiva, “divento coraggioso”. Però non ho coraggio di fronte ai nemici, ho coraggio contro l’obbedienza: “mi faccio ardito, mi faccio io intelligente e applico io quello che è giusto in questo momento, soprattutto perché devo placare il Signore. Sì… devo placare il Signore probabilmente perché ho un po’ di roba sulla coscienza che pesa!
E noi, questa idea del “devo placare il Signore”, è una cosa che abbiamo molto di frequente: devo fare di tutto perché il Signore si possa volgere verso di me, possa fare quello che voglio concretamente; mi possa perdonare, mi possa amare; allora devo fare qualcosa per ottenere il favore di Dio. Quindi, per placare il Signore, Saul decide di offrire questo sacrificio.
13Rispose Samuele a Saul: «Hai agito da stolto, non osservando il comando che il Signore Dio tuo ti aveva imposto, perché in questa occasione il Signore avrebbe reso stabile il tuo regno su Israele per sempre. 14Ora invece il tuo regno non durerà. Il Signore si è già scelto un uomo secondo il suo cuore e lo costituirà capo del suo popolo, perché tu non hai osservato quanto ti aveva comandato il Signore».
È servito a molto offrire questo sacrificio! Questo è il prezzo della disobbedienza; l’uomo che non è ubbidiente paga questo prezzo: perde Dio. Non perché Dio sia cattivo, ma perché io non mi fido. Siccome io non ho fede, perdo il Signore.
Analizziamo piano piano che cosa dice esattamente Samuele a Saul:
Hai agito da stolto, non osservando il comando che il Signore Dio tuo ti aveva imposto …
Tutte le volte che noi siamo disobbedienti, noi siamo stolti. La stoltezza va di pari passo col peccato: più noi viviamo nella disubbidienza, più noi siamo stolti. E stolto, cosa vuol dire? Vuol dire privo di senno, privo di intelligenza. Se intelligenza — “intus legere”, in latino — vuol dire “leggere dentro”, intelligente è colui che sa leggere dentro la realtà, è colui che sa cogliere il reale. L’intelligente, ciò che è reale lo capisce, lo vede, lo percepisce, non vive di fantasmi, di mondi paralleli, di irrealtà; l’intelligente è colui che vive nella realtà in modo equilibrato, colui che dà il peso giusto alle cose, colui che legge la realtà con gli occhi di Dio, con il pensiero, con lo stile, con lo sguardo di Dio.
Lo stolto, invece, è colui che non osserva il comando del Signore. E i comandi del Signore possono essere diversi. Nel caso di Saul, il comando era: “Non devi offrire il sacrificio quando vuoi tu, lo devi offrire quando voglio io. Sono io che decido quando tu devi offrire il sacrificio, non tu”. In questo caso, Saul si ribella, non accetta, e quindi perde questo favore importante di Dio.
in questa occasione il Signore avrebbe reso stabile il tuo regno su Israele per sempre …
Le nostre obbedienze, quando cioè noi ci fidiamo di Dio, ci permettono di cogliere le occasioni propizie. Quando noi ci fidiamo del Signore, quello è il momento nel quale il Signore ci sta per fare una grazia. L’obbedienza è sempre legata a una grazia, a un dono. Dio mi mette alla prova perché vuole farmi un dono; e la ragione della prova qual è? È che il Signore vuole vedere se c’è spazio per questo dono; questo è l’atteggiamento del Signore. Se io non mi fido, vuol dire che non c’è spazio, vuol dire che non c’è spazio dentro di me per un altro, dentro di me c’è spazio solamente per me, e io reputo me più importante di Dio, la mia intelligenza più capace di Dio, che è terribile. E allora Samuele gli dice: questa occasione, che tu hai perso, perché hai offerto il sacrificio prima del momento dovuto, ti fa perdere la stabilità del tuo regno per sempre. Dio avrebbe reso il tuo regno stabile per sempre in Israele; tu non ti sei fidato, tu hai perso la stabilità.
Quindi, l’altra caratteristica di chi è disobbediente è quella di perdere la stabilità. Non è più stabile, non è più capace di esserlo, diventa instabile, si perde, non riesce più a capire qual è il davanti, qual è il didietro, quale è il sopra e quale il sotto; non riesce più a capire quali sono i movimenti da fare, qual è la strada da percorrere, qual è la via da seguire; non la coglie più, proprio perché vive dentro a questa instabilità. Tu avevi un’occasione, un’occasione importante (tu non sapevi che sarebbe successo così, era solo un’occasione), adesso ti dico che questa occasione persa era legata a questo dono, e non lo riavrai mai più. Perché ci sono degli atti di disobbedienza che sono piccoli, ma ci sono degli atti di disobbedienza che sono gravi. Chi pesa la differenza tra i due? Dio, è lui che lo sa. E, spesse volte, ciò che a noi sembra molto grave non lo è, e ciò che a noi sembra una stupidaggine, invece, è molto grave. Non perdiamo mai l’ora di Dio, non perdiamo mai l’occasione che ci dà Dio. Ogni occasione data non tornerà mai più, il tempo in cui Dio mi visita poi non tornerà più. Se tornerà, tornerà in un altro modo, ma non quello. È quello il tempo della visita, quando Samuele ti dice: “aspettami; arriverò io per offrire il sacrificio. Tu devi solo aspettare”.
Perché Saul non ha avuto fede? Perché ha preferito sé stesso; perché ha avuto paura; perché si è spaventato e perché, in definitiva, non ci credeva. “Ora, invece, il tuo regno non durerà. I tuoi nemici non sono i filistei, tu sei il nemico di te stesso, perché tu hai condannato la fine del tuo regno, non i filistei”.
Il problema fondamentale, che noi dobbiamo imparare a considerare, è che noi non dobbiamo avere paura di chi sta fuori. Noi pensiamo che il nemico sia fuori, che i nemici siano “gli altri”, che qualcuno possa farci del male come: il diavolo, il demonio, gli empi, le persone e non so chi. Ma questo è un inganno, quelle sono solamente prove, sono occasioni nelle quali il Signore vede se tu veramente ti fidi o no. Loro non sono il nemico ma occasioni per provare la tua fede. Il nemico è dentro di te, è la tua testa il nemico, e lo è nella misura in cui questa testa non è obbediente. Saul non perde tutto perché i filistei vincono la guerra e quant’altro, lui perde tutto perché disobbedisce, filistei sì, filistei no. A dire il vero, come vedremo la prossima volta, Saul non ha ancora perso tutto.
Chi è disobbediente, spesse volte, resta tale; l’animo ribelle è molto difficile che riesca a diventare umile. Perché, sapete, fino a quando uno ha un vizio (magari è goloso o iracondo) si combatte, ma la persona che dentro è superba, che è orgogliosa, è piena di sé, è difficile che cambi, perché deve proprio cambiare la radice. E allora si inganna cambiando gli ammennicoli delle situazioni, dicendo: “No, io sono cambiato, non sono più così. Adesso ho capito; adesso sono maturato; adesso sono evoluto; adesso il Signore mi ha fatto la grazia”; vedremo… vedremo: nonostante la legnata che prende Saul adesso, vedrete cosa farà tra poco; lì sì, che perderà tutto! Lì, veramente, perderà le ultime cose che gli sono rimaste e sarà un altro peccato di disobbedienza, nuovamente, perché, di fatto, lui non ha cambiato il cuore, non ha capito che nella sua vita deve avere fede, e che tutto si gioca attorno alla fede, non guardando intorno i quattro maramei, gebusei, intorno a me, che mi vengono lì a ad attaccare. Ma cosa volete che vi facciano? Ma se il profeta Daniele è stato preso e gettato nella fossa dei leoni! È stato preso e gettato con i suoi compagni in una cisterna piena di fuoco. Beh, io penso che nessuno di noi abbia accanto a sé il fuoco; magari, abbiamo qualche leoncino accanto a noi, può darsi; però, anche se avessimo qualche leoncino, il Signore comunque interviene. È intervenuto con Daniele e ha chiuso la bocca ai leoni, perché non deve intervenire anche con noi?
Noi dobbiamo imparare a capire che il Signore vuole misurare la qualità della nostra fede. E stiamo attenti alla paura, che fa degli scherzi pazzeschi, ci fa fare degli scivoloni imperdonabili; perché la paura è la prima nemica della fede. Noi dobbiamo ragionare su Dio, non sul futuro. Noi il futuro non dobbiamo neanche guardarlo. E non parlo del futuro tra due anni ma del domani. A noi non deve interessare, perché il nostro futuro riposa sul cuore di Cristo, non nella nostra mente. È il demonio che ci viene a far pensare: domani, domani, domani, domani, e ci fa vedere le cose grandi, grandi, gravissime, terribili, che succederanno delle cose mostruose, verrà chissà che roba, verrò attorcigliato dentro in chissà che cosa. Ma questo è il diavolo; tu guarda la realtà, tu guarda il Signore fin dove ti ha portato, e perché non deve farlo anche domani?
Anche se non ho già l’età di chi vive di ricordi, però mi piace far memoria e qualche volta mi fermo, mi guardo dietro; ho quarantacinque anni, sono venti e rotti anni che sono in convento, e dico: ma quante valli il Signore mi ha fatto passare! E, io, quando ero là sotto, dicevo, guardando i colli intorno: “No, no, questo è impossibile; no, no, questo è insuperabile; questo non ce la farò mai, questo è incredibile; qui finirà male”. Adesso che li riguardo con gli occhi del dopo, dopo averli superati, mi giro indietro e, anche di quelli più alti, mi dico: un gran fumo, un gran baccano, una grande sabbia, una grande polvere, sì, ma niente è riuscito a sfiorarti. Una gran paura, e poi? Tutto sciolto come neve al sole! Perché? Perché il Signore misura la nostra fiducia: ti fidi o non ti fidi? Se ti fidi, fidati.
Il Signore si è già scelto un uomo secondo il suo cuore …
Il Signore sceglie uomini secondo il suo cuore, non sceglie a caso; volete essere scelti da Gesù? Siate secondo il Suo cuore e Gesù vi sceglie, sennò no.
… e lo costituirà capo del suo popolo, perché tu non hai osservato quanto ti aveva comandato il Signore».
Hai disobbedito!
15Samuele poi si alzò e salì da Gàlgala per andarsene per la sua strada. Il resto del popolo salì dietro a Saul incontro ai guerrieri e vennero da Gàlgala a Gàbaa di Beniamino; Saul contò la gente che era rimasta con lui: erano seicento uomini.
Poi non ci interessa cosa succede, perché questo non è importante, adesso.
Come vediamo al termine di ogni catechesi, sta sempre a noi decidere cosa fare della nostra vita, sta a noi decidere se fidarci oppure no. Potrebbe anche succedere — speriamo — che qualcuno (”un Samuele”) ci annunci, ci porti al Signore, ci avvicini a Dio; qualcuno che per noi sia un po’ la voce del Signore. E può darsi che ci siano delle volte in cui il Samuele arriva in ritardo, o arriva dopo, o non arriva. La domanda è: io che cosa decido di fare? Saul dice a Samuele: “Tu non arrivavi, il giorno era fissato, la gente se ne andava”, quindi la colpa è di Samuele. Ma questo non è vero perché, se tu decidi di disobbedire, la colpa è tua sempre, non è mai di nessuno, fuori che te. Hai scelto una via diversa, hai avuto paura, hai avuto fretta, hai avuto mille ragioni, quindi hai voluto, “volutamente voluto”, liberamente deciso, di dire no; sei andato per un’altra strada, questo vuol dire che ti sei escluso da solo da quel dono che Dio aveva legato a quell’atto di obbedienza.
E deve essere un’obbedienza seria! Quando noi obbediamo, dobbiamo obbedire veramente, fino in fondo, con il cuore e con l’intelligenza. Deve essere una vera obbedienza, dall’interno, un’obbedienza gioiosa, che dice: io so che questa strada è certamente migliore delle mille strade che ho in testa io, perché questa è benedetta da Dio. Infatti, Gesù disse a S. Margherita Maria Alacoque: “Tutte le volte che tu sei nell’obbedienza, il demonio non ti può toccare, perché c’è uno scudo invalicabile che lui non può attraversare; ma, se tu esci dall’obbedienza, è finita.
L’obbedienza non ha a che fare con un comando, ma con uno stile. Io non obbedisco a dei comandi come fa un soldato, ma obbedisco a uno stile di vita e pensiero, che è un’altra cosa. È questo che si deve imparare; perché, altrimenti, io divento il mero esecutore dei “comandi” che ricevo. Ma non è questa, la logica! Qui nessuno ama comandare e nessuno ama fare il suddito; il tema non è: io obbedisco a dei comandi. Il tema è: Samuele mi ha dato un’indicazione e mi ha chiesto di fidarmi. Samuele mi ha chiesto di aspettare a offrire il sacrificio per delle ragioni che sa lui. Io voglio bene a Samuele, io credo in Samuele, mi è caro Samuele, mi ha unto re d’Israele, mi viene a parlare di Dio. Certo che devo voler bene a Samuele (dovrei voler bene a Samuele)! Certo che dovrei usare tutte le occasioni che ho in sua presenza e compagnia, per imparare quello stile che ha lui di obbedienza alla voce di Dio: la sua docilità, la sua umiltà, il suo stare alla presenza di Dio, il suo ascoltare Dio; devo impararlo!
E allora, per imparare ad ascoltare Dio, come fa lui, io forse devo imparare ad ascoltare Samuele, che è più facile. Imparando ad ascoltare Samuele, imparerò ad ascoltare Dio, che non vedo e ancora, magari, non so sentire. Non è facile riconoscere la voce di Dio; Dio chiama Samuele per tre volte, e solo la terza volta capisce che è Dio. Non lo capisce lui, perché anche in questo caso, giustamente, c’è una mediazione che glielo fa capire — Samuele è un bambino — ma, da lì in avanti, lui impara ad ascoltare Dio.
Noi dobbiamo imparare ad ascoltare i nostri “Samuele”, se Dio ce lo darà, o se Dio ce lo ha dato. E, quando impareremo ad ascoltare Samuele (se lo vogliamo ascoltare), vi prego, non ascoltiamolo come un comandante, come un generale, come un padrone, non è questa la linea, perché Dio non è né un generale, né un comandante, né un padrone: Dio è Padre. Quando Gesù, nel Getsemani, dice: “Abbà, Padre”, la traduzione corretta è: “paparino mio; papino mio”; proprio nel momento estremo del dolore, lo chiama nel modo più dolce possibile, per esprimere, in due parole, tutto il legame affettivo e dolcissimo che Lui aveva col Padre. Dio non è una pantera da sfamare. Saul dice: “Devo placare l’ira di Dio”, e questo gli fa fare il peccato dei peccati.
Se noi usciamo da questo schema, non avremo quel problema di dire: adesso cosa faccio, faccio questo o faccio quell’altro? Magari, all’inizio potrò avere questo problema, ma poi no, perché imparo a capire il senso, imparo a capire lo stile con il quale mi vengono dette e insegnate le cose. Perché dietro c’è uno stile che dobbiamo imparare, sapete? Non è semplicemente: faccio lo schiavo. Non è che Samuele abbia una scienza occulta, misteriosa, che nessuno può avere, che solo lui ha, e che tutti gli altri, come bovini, devono ascoltare e obbedire; no! E volesse il Signore che gli altri imparassero anche loro ad ascoltare Dio.
Poi ci saranno tante occasioni nelle quali noi potremo esercitare l’umiltà, ma è un’altra cosa; potremo esercitare l’umiltà nella dipendenza, nelle cose sciocche. Samuele ti dice: “Non fare questa cosa”, tu la vorresti fare, ma non la fai; ma questo è un esercizio, io obbedisco come esercizio. Ad esempio, il papà che dice al bambino: “Non andare fuori a giocare, adesso studia”, questa non è una cosa importantissima ma, come esercizio di umiltà, obbedisco: vorrei andare a giocare, ma non lo faccio. È un esercizio, non è un comando, e quella frase del suo papà non è detta come una cosa da eseguire, ma è detta come un alimento per amare, è un segno d’amore, è un atto d’amore, è il nutrimento della tua persona. Perché tu, così, impari a fidarti, impari ad affidarti.
Ma la verità qual è? La verità è che noi siamo dei piccoli Dio e vogliamo fare quello che ci piace a noi. Noi abbiamo una testa che pensa e un cuore che vuole più o meno bene, e noi vogliamo fare quello che vogliamo, quanto vogliamo, come vogliamo, quando vogliamo, sempre! Il fatto di dover dipendere da qualcuno ci dà fastidio, è un problema, non è una grazia! E allora, ce le inventiamo un po’ tutte per aggirare il problema e ci sentiamo, ogni volta, un po’ da capo, e diciamo: “Qui non so se devo far così, se devo fare cosà, devo sentire cosa mi dice”; però, nel caso di Saul, Samuele gli aveva detto una cosa molto semplice, cioè: non offrire sacrificio finché non arrivo. È chiaro che poi la vita ti presenta mille contingenze, ma se ti ha detto di non offrire questo sacrificio, non offrirlo, questo benedetto sacrificio! Lascia perdere tutti i “se”, tutti i “ma” e tutti i “però”: t’ha detto di non offrirlo, non offrirlo, basta, non offrire il sacrificio. Cosa ti costa aspettare Samuele? Invece no! Io, siccome vedo che ci sono delle contingenze importanti, devo fare di testa mia. Ma non funziona così! Si vede anche nel rapporto tra genitori e figli, che questo è fallimentare. Un figlio che non sa obbedire ai propri genitori non potrà mai obbedire a Dio; è impossibile! Un figlio che non ha quell’atteggiamento anche di fiducia, di affidamento, ma come fa? Non sto parlando di cose grandi della coscienza. Se un genitore ti dicesse: “Oggi non vai a messa” devi disobbedire perché non ti può comandare qualcosa che va contro le leggi di Dio, ovviamente. Ma se ti dice di mangiare la pasta al sugo al posto di quella bianca che tu vorresti mangiare, questo non va contro la coscienza di un uomo, quindi: mangia la pasta al sugo, cosa te ne importa?
Quello che conta è che tu sviluppi, dentro di te, questo atteggiamento filiale, che vede una promessa di bene dentro colui che ti dà un’indicazione e che ha una figura autorevole nella tua vita. Allora, dopo, lo capirai da solo. Può darsi che ci siano delle volte nelle quali quell’indicazione che ti è stata data non si applichi per “x” ragioni. Se tu dentro hai sviluppato questa cosa, il Signore ti illumina e tu farai la cosa giusta, perché tu veramente hai l’intenzione buona di ricerca della verità di Dio. Ma se tu dentro non ce l’hai, sono tutte scuse per fare quello che vuoi. Ma fallo, quello che vuoi! Non tormentarti più, lascia stare!
Noi qualche volta dovremmo guardarci allo specchio e dirci, con molta chiarezza: “Ma tu cos’è che vuoi fare? Dimmelo, Giorgio, cosa vuoi fare!”. Ditevelo davanti allo specchio: ma cosa vuoi fare? Chi è che vuoi seguire? Chi è che vuoi amare? Dillo chiaramente! Chiarisciti da che parte vuoi andare e poi vai per quella parte! Vuoi fare quello che vuoi? E fallo quello che vuoi, fino in fondo, basta! Però fallo bene, fallo tutto, così almeno sperimenti la ricchezza, la bellezza, di fare quello che vuoi, quando vuoi, come vuoi. Dopo torni a casa a cocci, pieno di croste, morsicato vivo, e… è arrivato, quello che volevi? L’hai fatto quanto volevi? Basta, non piangere. Devi dire: “Oh, sono orgoglioso di non aver più una gamba, di aver perso l’orecchio, di non avere più il mio braccio, di essere tutto morsicato, pieno di lividure”; e va bene, hai fatto quello che hai voluto, ti assumi le tue responsabilità, punto!
Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.
Informazioni
Padre Giorgio Maria Faré ha tenuto queste catechesi tutti i lunedì alle ore 21 presso il Convento dei Padri Carmelitani Scalzi di Monza.