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Nostra Signora del Laus e la Venerabile Benedetta Rencurel, parte 19

Nostra Signora del Laus e la Venerabile Benedetta Rencurel

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di mercoledì 16 febbraio 2022

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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Nostra Signora del Laus e la Venerabile Benedetta Rencurel, parte 19

Eccoci giunti a mercoledì 16 febbraio 2022. 

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi tratto dal capitolo VIII di San Marco, versetti 22-26. 

Siamo di fronte nuovamente a un miracolo bellissimo di Gesù che ridona la vista a un cieco e tutti sappiamo quanto è bello poter vedere. 

Continuiamo la nostra meditazione del libro “Le meraviglie di Laus” sulle apparizioni della beata Vergine Maria a Laus. Siamo arrivati a: 

I Santi a Laus.

“Dopo aver già a lungo parlato dell’intervento di Maria a Làus, sembra ormai tempo di completare il quadro delle apparizioni mostrando l’intervento dei Santi, degli angeli, di Gesù Cristo, che sono venuti come ad aiutare la pastorella a sciogliere il compito della missione affidatale dalla buona Madre del Cielo. 

Abbiamo già parlato dell’apparizione di S. Maurizio sulla montagna, che porta il suo nome. Messaggero della Regina del Cielo, era venuto ad annunziare alla Pastorella che alla valle dei Forni avrebbe visto la Madre di Dio. 

Un giorno Benedetta era nella Chiesa di Avançon. Una madre cristiana l’aveva pregata di tener a battesimo il suo bambino. Si può dire che nel paese si disputavano tutti l’onore di averla a madrina dei neonati, tanto era la simpatia e la confidenza, che ispirava la santa ragazza. 

Terminata la sacra cerimonia, invece di prender parte al solito festino…”

Attenzione, quando sta arrivando qualcosa di importante vi dico attenzione…

 “Benedetta ritornò alla Chiesa per pregare. Il Santo patrono del villaggio, S. Gervasio, le apparve e le raccomandò di pregare assai per la conversione dei peccatori.”

Ecco di nuovo il messaggio di Fatima. Scusate ma sono un po’ patito di Fatima, è un’apparizione a me molto cara, posso dire che è l’apparizione alla quale sono maggiormente legato e vedo Fatima un po’ ovunque. Non perché sono ossessionato da Fatima, ma perché mi sembra che quello di Fatima è un po’ il messaggio centrale che raggruppa un po’ tutte le apparizioni della Vergine Maria. Se voi vedete a Fatima ritornano tutti i temi più importanti e poi si aggiungono altri nuovi certo, che caratterizzano le varie apparizioni della Vergine Maria. 

Qui San Gervasio dice: “Devi pregare molto per la conversione i peccatori”, esattamente la stessa cosa che disse la Vergine Maria durante l’apparizione del 13 luglio quando fece vedere l’inferno. Quell’apparizione è sicuramente la più importante  tra quelle di Fatima, importante non è neanche giusto dirlo, perché tutte sono importanti, ma fu sicuramente un’apparizione che lasciò un grosso segno. 

 “E subito la pia fanciulla si mise a pregare per i parenti e gli amici del figlioccio.”

Invece di andare a mangiare e bere va a pregare e quindi le appare San Gervasio.

Pensate che la chiesa nella quale io sono cresciuto, nella quale sono stato battezzato, in cui ho ricevuto i miei Sacramenti e sono cresciuto fino a quando sono andato in convento, è proprio la parrocchia dei Santi Protasio e Gervasio. 

Il 4 dicembre 1678, Maria SS. apparve alla Pastorella, in mezzo a due sante ugualmente rivestite di gloria. Una di esse portava una corona di spine, l’altra una corona di fiori.” 

Qui sul disegno si vedono bene.

– Figlia mia, – le disse la Santa Vergine, – se vuoi una corona di gloria in Cielo; devi portarne una di spine sulla terra. – 

Una cosa simile la Vergine Maria la disse anche Suor Lucia, e vedete anche a Bernadette.

Benedetta comprese: chinò la testa in atto di rassegnazione alla volontà del Cielo; ma volle sapere chi fossero le due vergini apparse con Maria, e conobbe dal suo angelo custode ch’erano Santa Barbara e Santa Caterina da Siena. 

Fu pure rallegrata per sei volte dalla visione di S. Giuseppe e Benedetta s’indirizzava a lui colla confidenza e coll’abbandono di una figlia. La raccomandazione che più spesso le faceva era di aver cura del suo gregge; dandole così la grande dottrina che non si sale alla santità se non con l’umile e costante adempimento dei doveri del proprio stato.” 

San Giuseppe raccomandava a Benedetta di avere cura del suo gregge. Non di fare le preghiere, i pellegrinaggi, no, avere cura del suo gregge! San Giuseppe richiamava Benedetta al suo dovere di stato. Chi ama veramente Dio, chi ha una devozione sana, chi ha una vera spiritualità lo si capisce dal fatto che assolve perfettamente o comunque in maniera assolutamente distinta, i propri doveri di stato. Chi, per pregare o per portare avanti la sua presunta fede, deve tralasciare i suoi doveri di stato — dice San Francesco di Sales nel testo Filotea — questo tale o questa tale non ha una vera devozione ma una falsa devozione. Quindi la mamma deve fare la mamma, la moglie deve fare la moglie, il marito di fare il marito, il padre deve fare il padre, il Sacerdote deve fare il Sacerdote e la suora deve fare la suora. Se un laico si mette a fare il prete non va bene e se un prete si mette a fare il laico non va bene, non funziona, non è il suo dovere di stato. Ognuno deve stare al suo posto. Ce ne sono di laici che fanno i preti, come ci sono tanti preti che fanno i laici e purtroppo ci sono anche le mamme che fanno le suore. Non va bene! Ognuno deve fare secondo il suo dovere di stato, ognuno deve fare quello che gli compete e non altro, altrimenti sono fughe, e chi ama veramente Dio, chi ha una vera e spiritualità, sente, avverte capisce, comprende che non deve assolutamente fuggire dal proprio dovere di stato. Lo studente deve fare lo studente.

Quando andavo alle superiori ricordo che, arrivati alla maturità, ai 18 anni, i miei compagni dicevano: “Adesso quest’anno se verrò promosso i miei genitori mi regalano la moto”; “Io se sarò promosso i miei genitori mi regalano la macchina”.

Io, sentendo queste cose, ho detto: “Aspetta un po’! E a me cosa regalano?” 

Allora mi ricordo che anch’io, tutto bello baldanzoso, vado a casa pensando: “Adesso anch’io voglio qualcosa perché sono sempre stato promosso, non sono mai stato bocciato, anch’io voglio avere qualcosa”. Allora vado a casa — non avevo però in mente che cosa chiedere — e dico:

“Mamma, papà, se verrò promosso voi cosa farete?”. 

Loro mi hanno guardato e mi hanno detto: “Niente, perché è il tuo dovere”. 

Mi è caduta la mascella. Ho detto: “Non è possibile! Come niente?”

“Niente, tu hai fatto il tuo dovere, noi non ti regaliamo la macchina o la moto perché tu sei stato promosso. Perché a noi nessuno regala qualcosa se a fine mese portiamo a casa lo stipendio con il quale tu mangi. È il nostro dovere, e per te vale lo stesso. È tutto vantaggio tuo se tu vieni promosso, quale altro regalo dovremmo farti? Ti abbiamo comprato i libri, dato da mangiare, vestito, dato una casa, mica tutti hanno questo.”

Dobbiamo uscire, secondo me, da una certa logica che che fa diventare eccezionale il far bene il proprio dovere. 

“Che bravo dottore”. Sì, vero, ma è il suo dovere. Un dottore non bravo deve chiudere baracca e burattini e andare a raccogliere le cipolle nei campi.

“Oh che bravo prete!” Sì, ma cosa fa tutto il giorno? Se non si prepara e non si organizza per essere un bravo prete, forse è meglio… 

“Ah ho preso 30 e lode all’esame” 

“E quindi?”

Niente, quindi niente, bravo, hai fatto il tuo dovere, era il tuo compito prendere 30 e lode.

“Ho preso 29”

Non hai fatto il tuo dovere fino in fondo, l’hai fatto fino a 29.

“Ma, allora, così che severità!”

No, è così, funziona così, vuol dire che la tua preparazione non era ottimale, hai preso 29, un ottimo voto, ma non è ottimale, vuol dire che forse se ti fossi impegnato di più, e meglio, probabilmente avresti preso il tuo 30 e lode.

Lo so che per molti questi discorsi risultano urticanti perché, nella mediocrità eletta a sistema nella quale oggi viviamo, va bene tutto, vanno bene le cose così un po’ rabberciate, un po’ tirate insieme, buttate lì, l’incompetenza la fa da sovrana, si parla per dare aria alla bocca senza sapere cosa si deve dire veramente. Ma io penso che ciascuno di noi, poi, quando è nel momento del bisogno, dove va? Quando siamo nel momento del bisogno abbiamo bisogno assoluto di avere accanto qualcuno che sia una certezza, una roccia. Quando il mare è in tempesta se ti attacchi alla sabbia vieni portato via, e questo lo sappiamo tutti benissimo. 

Quindi facciamo bene il nostro dovere, ma bene.

Mi si stringe un po’ il cuore che i mariti di oggi — adesso vi faccio un po’ ridere se no siamo troppo seri — i mariti di oggi poverini, sono un po’ come Padre Giorgio, condividono un po’ la mia sorte dei calzini. Abbiamo fatto il gruppo, mi viene da ridere, abbiamo fatto il “gruppo degli uomini dal calzino bucato”, ma siamo in tantissimi, il gruppo degli uomini dal calzino bucato, e ci stiamo tutti attrezzando con l’uovo di legno, ormai Padre Giorgio è diventato il guru dell’uovo di legno. Perché? Gli uomini di oggi, i mariti di oggi, poverini, se gli si buca il calzino e lo dicono alla moglie, a lei si crepano gli occhi, perché non sa neanche da che parte si infila l’ago, non sa come si mette il filo, non è capace. Il ditale pensa che sia la caraffa dell’acqua della bambola. Non le viene in mente, non lo sa, non è capace. Allora la moglie che cosa fa? Accumula i calzini. E chi li aggiusta? La nonna, la mamma della mamma. Oppure il marito disperato, quando ormai ha raccolto un gomitolo di calzini bucati, va dalla sua mamma, se è ancora viva e le dice: “Mamma ti prego, per favore, mi vergogno, però o vado in giro con i talloni fuori, oppure qualcuno mi deve dare una mano”.

Allora io ho fondato questo gruppo di uomini dal calzino bucato (no, non è vero, non è che adesso arrivano le adesioni!) e sto insegnando, faccio i tutorial su YouTube (non è vero! Lo sto dicendo per scherzare) faccio i tutorial per insegnare come si aggiustano i calzini, come un uomo deve imparare ad aggiustare i calzini. 

La soluzione non è “vado a comprare le calze nuove”, la soluzione è che ognuno faccia il suo. Noi siamo cresciuti tutti con la mamma, o al massimo la nonna, che ti aggiusta le cose, perché è un po’ il suo compito. Se non lo fa lei, chi lo deve fare? Il papà? Far da mangiare, per l’amor del cielo! Ci sono delle volte che uno quando vede una donna in cucina, poverino, gli viene la voglia del digiuno. Dobbiamo imparare. Non saper stirare una camicia, impiegare due ore per stirare una camicia, fa pensare! Non saper fare un sugo e arrivare fino in fondo senza entrare nel panico, fa pensare. Anche questo dà sicurezza, anche questo dà certezza, anche questo ti fa sentire che in famiglia ciascuno ha il suo. Certo, poi se c’è da cambiare una lampadina, o sistemare un tubo dovrebbe essere il marito che ci pensa, perché ognuno fa il suo, e così si impara crescere, perché, poi, i nostri figli cosa fanno? Le bimbe imparano dalla mamma a fare un ricamo, a lavorare la maglia, che vabbè adesso ormai sembra di parlare di Jurassic Park, non parliamo dell’uncinetto che oramai è estinto, completamente estinto come il T-rex. E il bambino imparerà magari a distinguere il rosso dal filo blu, così magari non rimane attaccato quando cambia una lampadina, a distinguere un tubo da un fusibile che è già una cosa, un martello da un piccone, e via di seguito. Ma è facendole le cose che si imparano. 

Ma se nessuno te le fa vedere come si fa ad imparare? Ognuno di noi deve fare il suo, e farlo bene, come dice San Giuseppe, “cura bene il tuo gregge”. Tu sei una pastorella, fai bene la pastorella questa è la cura che devi avere. La soluzione non è il take away, la soluzione non è ordinare un po’ di sushi da asporto. No, la soluzione è: fai una bella pasta all’amatriciana che sia buona, che abbia un buon gusto. È questa la soluzione, e mettici dentro il cuore nel farla, e tutta la tua devozione.

Io mi ricordo, e concludo, quando ero ragazzo avevo conosciuto un’altra signora anziana, che caso vuole si chiamava anche lei Giuseppina — la prima signora cieca si chiamava Giuseppina, e questa signora anziana anche lei Giuseppina, evidentemente San Giuseppe… — e questa signora anziana stava bene ma eravamo diventati proprio amici, andavo là a trovarla, ci raccontavamo pomeriggi interi su Gesù, sulla fede, io tenevo compagnia lei e lei aiutava me a crescere bene, e mi ricordo ancora adesso il profumo, alcune volte andavo il sabato pomeriggio, mi ricordo che entrando c’era un profumo di questi tortini piccoli che lei faceva con le uova fresche del contadino — me lo avrà detto milioni di volte che andava prendere solo le uova fresche del contadino — e con dentro la ricotta, mamma che bontà! Non vi dico! Un un dolce semplicissimo ma di un buono, e me li dava sempre che erano appena sfornati, caldi, bollenti, me li chiudeva dentro in questa sportina tutta fatta bene, carinissima, io poi la portavo a casa e mangiavo questo dolcino la domenica, ma di una bontà! Non vi dico quanto era buono! Parlava di Gesù ma intanto lavorava bene nella sua casa e quel dolce, anche lui ti parlava di Gesù. Quindi facciamo bene il nostro dovere di stato, e se non siamo stati tanto bravi fino ad adesso, impariamo. Non costringetemi a mettermi a fare i tutorial di cucina, per favore. Ecco, oggi vi ho fatto un po’ ridere, ci vuole anche questo. 

Domani vedremo “I confessori di Benedetta”, un capitolo interessante.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus. Amen. 

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga. 

Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato.

VANGELO (Mc 8, 22-26)

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli giunsero a Betsàida, e gli condussero un cieco, pregandolo di toccarlo.
Allora prese il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: «Vedi qualcosa?». Quello, alzando gli occhi, diceva: «Vedo la gente, perché vedo come degli alberi che camminano».
Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente, fu guarito e da lontano vedeva distintamente ogni cosa. E lo rimandò a casa sua dicendo: «Non entrare nemmeno nel villaggio».

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