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Le radici spirituali delle malattie psichiche: quattordicesima parte

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di martedì 2 marzo 2021

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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LE RADICI SPIRITUALI DELLE MALATTIE PSICHICHE – Quattordicesima Parte

Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato.

Eccoci giunti a martedì 2 marzo 2021, siamo ormai entrati a pieno titolo nel mese di San Giuseppe, e dobbiamo imparare a pregare fervorosamente questo Santo così potente, così caro, soprattutto all’ordine Carmelitano, a Santa Teresa D’Avila, un Santo a cui nulla è proprio impossibile. Sarebbe bello fare in questo mese il Sacro Manto di San Giuseppe a lui dedicato. Abbiamo letto il Vangelo della Santa Messa di oggi tratto dal cap. XXIII, vv 1-12 di San Matteo.

Punto primo, la logica di Gesù è un po’ diversa dalla nostra.

“Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno.”

Vedete come è diverso Gesù da noi? Lui non dice: “Siccome non fanno, allora non vanno ascoltati. Siccome non fanno, allora tutto quello che dicono è falso”, non dice così, come invece facciamo noi. Noi quando vediamo che Tizio e Caio non si comportano coerentemente prendiamo tutto e lo buttiamo via. Invece non si fa così. C’è chi dice che non ha più fede, che non va più in Chiesa, che non fa più quello che dicono i Preti perché loro non si comportano bene. Ma questo non conta. Questo non interessa a noi. Non siamo chiamati a fare le polemiche e a metterci a fare giudizi pubblici o privati sulle persone. Noi siamo chiamati a seguire Gesù, ad osservare i suoi Comandamenti e a mettere in pratica il suo Vangelo Se chi ci parla di Gesù, poi, non si comporta in modo coerente, questo non ci interessa. La nostra fede non dipende da come gli altri fanno o non fanno. A noi interessa che ci parlino bene del Signore o, comunque, che ci parlino un po’ del Signore — ognuno lo farà come è capace — poi se lo fanno o non lo fanno, pregano o non pregano, praticano o non praticano a noi non interessa. Non è un argomento che spetta a noi. Gesù lo dice:

“Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno.”

Non imitateli nelle cose che fanno sbagliate, imitateli nelle cose che vi dicono, imparate da quello. Quindi non usiamo il comportamento sbagliato degli altri per giustificare il nostro “non fare” e “non esserci”.

 

Per noi Sacerdoti questo è un monito molto forte:

“Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.”

Non dobbiamo proporre cose che noi non viviamo per primi. Non dobbiamo parlare di cose nelle quali noi non crediamo profondamente e che non pratichiamo nella nostra vita. È inutile parlare di carità se non la viviamo, di perdono se non lo facciamo, di preghiera se non preghiamo, di ascesi se non la pratichiamo. Quando uno ci parla, tutti capiamo se quelle cose le vive o le recita, se ciò che ci dice è con autorità — cioè se viene dalla sua esperienza — o se viene dal fatto che l’ha letto, l’ha studiato, l’ha sentito dire da altri. Tutti capiamo se chi ci parla, ci parla dall’abbondanza del cuore o se ci parla dalla retorica. Chi ci ascolta lo capisce. Se io parlo di qualcosa che non vivo, il discorso viene fuori impoverito perché non ha autorità, non tocca l’anima di chi ascolta, perché non ha quella pregnanza, quella potenza che può venire solo dalla fede vissuta. Stiamo attenti a dire agli altri quello che devono fare se non siamo noi i primi a farlo. È un comportamento da farisei, leghiamo fardelli pesanti.

“Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente”

Essere ammirati dalla gente, è proprio quello che stiamo trattando adesso con questo bellissimo testo dell’Inconscio Spirituale del prof. Larchet, e lo proseguiamo, stiamo parlando dell’orgoglio:

“Questa passione si rivela anche in una certa aggressività: a volte è l’ironia a farla trasparire…”

Ci sono modi di fare ironia, di dire le cose scherzosamente, che di scherzoso hanno solamente l’apparenza di un abbozzato sorriso, ma in realtà c’è dentro una concupiscenza, una bramosia e aggressività spaventosa, una violenza e cattiveria nel modo di dire le cose ironicamente che si capisce subito che non è uno scherzo.

“…altre volte la mordacità delle risposte alle domande che gli vengono fatte…”

Ti morsicano, ti ringhiano. Siamo capaci di “morsicare” quando ci chiedono qualcosa che a noi non garba.

“…il silenzio in certe circostanze, un’animosità generale, il desiderio di oltraggiare il prossimo e la facilità con cui arriva a farlo. L’aggressività si manifesta regolarmente, in risposta alle minime critiche che gli altri possano fargli.”

Nessuno può dire, nessuno può criticare, perché appena dici una mezza parola comincia una filippica, una polemica senza fine: questo è l’orgoglioso che non accetta un rimprovero e un richiamo. Appena ci viene detto qualcosa subito si puntualizza, subito ci si difende, subito si risponde.

“b. Mentre la prima forma d’orgoglio fa innalzare l’uomo sopra i suoi simili, la seconda forma l’innalza davanti a Dio, l’erge contro di Lui. In questo caso l’orgoglio si manifesta in una negazione o un rifiuto di Dio, che possono a volte assumere la forma di un’aperta rivolta, ma il più delle volte si manifestano in maniere ben meno estreme, come “Un rifiuto dell’aiuto divino e la presuntuosa fiducia nelle sole proprie forze”.

Attenti a questa ultima citazione di Giovanni Climaco nella “Scala Santa”.

La frase tipica del rifiuto dell’aiuto divino e del presumere delle proprie forze è: “Ce la faccio da solo. Non ho bisogno di aiuto.”

Hai chiesto a Dio appena entri in macchina di benedire il tuo viaggio? Hai chiesto a Dio appena ti siedi a mangiare di benedire il tuo modo di mangiare affinché ti si possa distinguere dal gatto, dal cane e da altro? Hai chiesto a Dio di insegnarti a nutrirti e non a perderti nel mangiare e nel bere? Hai chiesto a Dio all’inizio del tuo studio di illuminare la tua mente, all’inizio del tuo lavoro di insegnarti a lavorare bene?

Per esempio, chi va ad operare in sala operatoria si guarda le mani? Chiede a Dio di benedirle? Ha stretto il Crocifisso tra le sue mani, affinché esse sappiano fare veramente e solamente del bene a quelle povere persone che soffrono? E tu Sacerdote, guardi le tue mani prima di celebrare la Messa, pensando all’enorme Grazia che ti ha fatto Dio consacrando quelle mani? E via di seguito.

Occorre avere questo riferimento costante a Dio.

Mi è piaciuto una volta il racconto di una mamma. Mi ha detto che suo figlio un mattino, dopo essersi già alzato, improvvisamente è ritornato a letto. Lei gli chiede: “Dove vai? Perché vai a letto adesso?” e lui le ha risposto: “Mamma, adesso vado a letto nella mia cameretta per fare le coccoline a Gesù”. Dopo un po’ la mamma è tornata nella camera del bambino e l’ha trovato bello e sereno, appisolato nel suo lettino.

Persino il dormire, il sonno può diventare un atto di contemplazione.

“L’orgoglioso rifiuta di considerare che è Dio l’autore della sua natura…”

Nel caso del bambino che va a letto per fare le coccoline a Gesù, si può dire che il riposo sia una conseguenza, non va a letto per dormire, il riposo viene dopo, è una conseguenza di questo atto di amore sublime a Gesù.

“… il principio e il fine del suo essere e anche la fonte di tutte le sue qualità e di tutti i beni che possiede, per attribuire invece tutto a sé stesso. Se questa seconda forma d’orgoglio minaccia soprattutto le persone spirituali, sbaglieremmo a pensare che risparmi gli altri uomini. Se in questi ultimi è meno appariscente, è perché permea tutto il loro essere e in concreto consiste nel loro ben salvaguardato stato di continua separazione da Dio. Vivere fuori di Dio, condurre un’esistenza totalmente autonoma, indipendente da Lui e affermarsi come il solo principio e il solo fine della propria esistenza è una manifestazione di questo orgoglio di fondo. Ogni uomo, nella misura in cui vive fuori di Dio, Lo ignora o Lo dimentica anche per poco tempo; implicitamente Lo nega e si mette al Suo posto, dando così la prova dell’orgoglio che l’impregna.”

Nella misura in cui una persona vive fuori da Dio, oppure lo ignora, o lo dimentica anche per poco tempo, implicitamente lo nega e si mette al Suo posto. La bellissima preghiera del Pellegrino Russo, detta anche preghiera del Cuore o preghiera di Gesù serve proprio a questo: per non dimenticare mai Gesù, per vivere sempre alla presenza di Gesù.

Un consiglio: se lavorate tanto al computer, sul desktop mettetevi l’immagine della Madonna, di Gesù. Sulla scrivania mettetevi una bella immagine.

Ieri sera mi è accaduto un fatto. Una persona mi ha interpellato per chiedermi una cosa: “Senta, Padre ho una domanda. Sul mio profilo di whatsapp ho un’immagine religiosa, un volto, e mi è venuto il pensiero che, siccome da adesso in avanti dovrò usare molto questo whatsapp per il lavoro e dovrò interfacciarmi con varie persone dell’estero, oltre che con i miei condomini, potrebbe essere poco professionale lasciare questa immagine religiosa sul mio profilo, forse sarebbe meglio togliere il volto di Gesù o della Madonna e metterci il mio, che è più professionale, anche perché magari queste persone che mi contattano su whatsapp non mi conoscono, in questa maniera avrebbero la possibilità di vedermi in faccia.”

Vi risparmio la mia risposta. Questo ci insegna la realtà di quello che abbiamo ascoltato fino a qui.

“Ogni uomo, nella misura in cui vive fuori di Dio, Lo ignora o Lo dimentica anche per poco tempo; implicitamente Lo nega e si mette al Suo posto, dando così la prova dell’orgoglio che l’impregna.”

Ecco, vedete: prima Lo nego, tolgo la Sua immagine per sostituirla con la mia. Niente di più plastico, di più simbolico! Come se il Volto di Gesù o della Madonna sia meno professionale del mio!

E poi noi diciamo di amare Dio, andiamo a fare la S. Comunione tutti giorni, diciamo che siamo totalmente di Dio, diciamo il Rosario tutti i giorni.

“Possiamo dire che l’uomo si rivela orgoglioso, in questa o quella misura, per il tempo che si tiene in uno stato di relativa separazione da Dio.

Io sto separato da Dio, tanto quanto sono orgoglioso.

Queste due forme d’orgoglio, pur essendo molto diverse fra loro, non sono nondimeno fra loro separate e indipendenti. Sono come le due facce dell’orgoglio, e nell’uomo decaduto sono sempre presenti insieme, sebbene in questo o quel caso una delle due forme sembri prevalere sull’altra. Se è vero che la prima forma d’orgoglio mette l’uomo contro i suoi simili, mentre la seconda lo mette contro Dio, in realtà ciascuna delle due forme lo mette insieme contro Dio e contro il prossimo, essendo evidente che l’atteggiamento dell’uomo verso gli altri uomini è in fondo correlato al suo atteggiamento verso Dio, e inversamente. È chiaro, d’altronde, che la prima forma d’orgoglio ha la sua origine e il suo fondamento nella seconda. Infatti, se l’uomo si eleva e si stima o ammira sé stesso, è perché non riconosce che le qualità, le virtù e tutti i beni che può possedere e crede di possedere per merito proprio, in realtà gli vengono da Dio. Quando sminuisce gli altri, in parte è per la stessa ragione: disprezzare gli altri perché non avrebbero saputo fare bene, per esempio, è come attribuire le buone azioni alle forze umane, invece di mettere tutto in rapporto con Dio. Inoltre, credersi superiore agli altri, cercare di superarli, mettersi in vetta o ritenersi in ogni circostanza il centro di tutto, attribuirsi tutte le qualità e virtù o almeno questa o quella in grado eminente, equivale, per l’orgoglioso, ad autodeificarsi, a fare di sé un piccolo dio e così prendere il posto del solo vero Dio, che è l’assoluto vero, il culmine e il centro, il principio e la fine, il senso e il valore d’ogni cosa, la fonte e il fondamento d’ogni bene, d’ogni qualità o virtù, il principio d’ogni perfezione.”

Mi ricorda il fatto di due fidanzati che, prima del matrimonio, vennero a trovarmi insieme. Mentre passeggiavamo nel giardino del convento, dove c’erano dei bellissimi girasoli colorati, passando vicino ai girasoli, lei si ferma e mi dice: “Vede Padre, lui, il mio fidanzato, è il mio sole e io sono il suo girasole”.

Mi si è crepato il cuore. Se una creatura è il mio sole, siamo veramente messi male. Io devo girare come fa il girasole col sole, in relazione a dove va lui, a cosa fa, a come si muove, a cosa pensa? No. Solo Dio è il nostro Sole! Né il marito, né la moglie, né i figli, nessuno! Non le creature, solo Dio! Non possiamo mettere né noi, né gli altri al posto di Dio.

“È perché fa di sé stesso un assoluto che l’orgoglioso non ammette rivali, non tollera paragoni che siano a suo svantaggio, teme tutto ciò che può contraddire la grande stima che ha di sé.”

L’orgoglioso non vuole fare un confronto, non vuole fare un dialogo, l’orgoglioso non discute mai, fa tutto di schiena e di spalle.

“È anche per questo e per ben consolidare, agli occhi suoi e degli altri, la superiorità che si attribuisce che l’orgoglioso spietatamente e sistematicamente critica il suo prossimo, lo disprezza e lo sminuisce.”

Fa tutto di spalle perché l’orgoglioso è un vigliacco nato, un codardo.

“È verso tutto ciò che ai suoi occhi par rimettere in causa questa sua superiorità che egli si mostra acido e aggressivo, volendo a ogni costo proteggere e salvaguardare la favorevole immagine che ha e vuol dare di sé. Se disprezza il suo prossimo e lo sminuisce, è poi anche perché nega Dio, mettendosi al suo posto, e con ciò stesso nega l’immagine di Dio nei suoi simili, quell’immagine che d’ognuno di essi fa un figlio di Dio in potenza e a ognuno di essi conferisce, per partecipazione, la dignità e la superiorità di Dio stesso. È perché smette di venerare il suo prossimo come una persona a immagine di Dio – e dunque di venerare in lui Dio stesso – che egli è portato a non prestarle nessuna attenzione, a non fare nessun caso di essa, come fosse niente. È perché l’orgoglioso ha fede nelle proprie forze, invece di riporre la sua fiducia nella grazia divina e riconoscere che senza di essa niente gli riesce, al contrario, egli afferma la propria assoluta autonomia, rifiutandosi di vedere in Dio il suo principio e il suo fine, che egli si mostra pieno d’arroganza e di sufficienza. Dato che sostituisce e oppone la volontà propria a quella di Dio e fa di quella un assoluto, si può allora capire che voglia comandare e, di contro, si rifiuti di obbedire o di sottomettersi a chicchessia. È poi anche perché non riconosce nel Cristo l’archetipo della sua natura, ma sé stesso prende come norma e punto di riferimento di tutto, che egli tutto misura su sé stesso, pretende di tutto giudicare e tutto sapere”

Anche il voler sapere sempre tutto è una forma di orgoglio, il fare domande infinite per conoscere tutte le più piccole pieghe è una forma di orgoglio.

“Si crede saggio, vuol avere ragione, ha la pretesa d’insegnare e non tollera di venire contraddetto. Per dire tutto in una volta, è insomma perché è vuoto di Dio che l’orgoglioso è pieno di sé. Agli occhi dei Padri, l’orgoglio è una malattia ben grave, perfino una forma di follia. Da che discende il carattere patologico dell’orgoglio? Come per la vanagloria, o vanità, in esso possiamo vedere l’effetto della perversione d’una tendenza che è fondamentale nella natura umana. L’uomo fu creato da Dio per elevarsi nella direzione di Lui e alla fine unirsi a Lui nella pienezza dell’amore e della conoscenza. Questa elevazione di sé verso Dio, l’uomo era destinato a compierla in Dio, realizzando la somiglianza di Dio in forza delle virtù messe in germe nella sua natura e progressivamente appropriandosi la grazia data dallo Spirito Santo. È nella sinergia fra i suoi sforzi e la grazia divina, detto con altre parole: in collaborazione o cooperazione con Dio, che l’uomo era destinato a elevarsi. Quest’elevazione di sé doveva avvenire in unione con il suo simile. Ma l’uomo ha pervertito questa tendenza della sua natura, auto-elevandosi, auto-deificandosi, volendo diventare, secondo la promessa del Serpente, «come un dio», da sé e senza Dio, con le sole proprie forze e senza la grazia di Dio. Affermandosi e innalzandosi da sé senza Dio, l’uomo si è affermato e innalzato contro Dio; inoltre, invece di affermarsi e innalzarsi verso Dio in comunione con il suo simile, si è affermato e innalzato anche contro di lui, così dividendo e frazionando l’unica natura umana. Ma all’origine dell’orgoglio possiamo vedere ancora un’altra perversione in relazione con la precedente. Il normale atteggiamento dell’uomo quando fa o scopre in sé qualche bene sarebbe di metterlo in relazione con Dio, farne riferimento a Lui, vederci un Suo dono e ringraziarne il Donatore, che è principio e fine di quel bene, come d’ogni bene, peraltro. Il Cristo stesso ci dà l’esempio di questo atteggiamento – normale atteggiamento – quando dice, a un tale che lo chiama “maestro buono”: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo” (Marco 10,17-18). L’orgoglioso perverte anche questo atteggiamento: egli attribuisce a sé il bene, se ne fa suo principio e suo fine e per esso ringrazia sé stesso. Ma il carattere patologico dell’orgoglio ha ancora altre cause. Alla base di tutte le forme di questa passione, fanno osservare i Padri, c’è un’ignoranza. Che evidentemente è, in primo luogo, l’ignoranza di Dio. “Principio dell’orgoglio è allontanarsi dal Signore”, leggiamo nel Siracide (10,12). Questo allontanamento, questa trascuratezza primaria, quest’ignoranza di Dio genera nell’orgoglioso una percezione delirante della realtà. È perciò e anzitutto una conoscenza delirante di sé che questa passione dà all’uomo. L’orgoglioso, infatti, s’innalza, afferma la sua superiorità, crede di essere qualcosa o qualcuno e di possedere questa o quella qualità per le sole sue forze, mentre in realtà fuori di Dio l’uomo “è soltanto terra” e non possiede che «beni» eminentemente fragili, provvisori, destinati a sparire, fondamentalmente irreali. Questo delirio dell’orgoglioso rispetto alla conoscenza che ha di sé si mostra poi con tutta evidenza quando si attribuisce delle qualità che in realtà non possiede, quando è agli occhi di tutti evidente una gran bella distanza fra ciò che di sé egli pensa e la realtà. Ma anche quando s’innalza per le qualità che realmente possiede, l’uomo continua a delirare se le attribuisce a sé, mentre gli provengono da Dio e non le possiede se non per partecipazione alle perfezioni di Lui: «Cos’hai, si chiede san Paolo, che tu non abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto?» (Prima lettera ai Corinzi 4,7). Quando fa qualcosa di buono, l’uomo in certo qual modo non è che un intermediario, e non avrebbe per questo motivo di innalzarsi. Né è vero soltanto per le buone azioni che può magari compiere, ma anche d’ogni disposizione buona, d’ogni qualità e virtù che può avere; giacché, l’abbiamo già fatto vedere, esse gli sono state date dal suo Creatore e soltanto in forza della grazia divina possono svilupparsi. Attribuendole a sé, l’orgoglioso aggrava il suo delirio, dato che implicitamente si prende di fatto per Dio. Nell’uomo, la vera conoscenza di sé consiste nel sapere che da sé, fuori di Dio, è niente. L’orgoglioso, invece, che pensa – in tutti quei modi che abbiamo descritto – di essere qualcosa da sé e per questo s’innalza, dà prova della più totale ignoranza di sé. Sotto quest’aspetto, perfino possiamo dire che l’orgoglioso delira, o in ogni caso, come dice san Paolo, s’inganna: «Colui che crede di essere qualcosa, mentre è niente, inganna sé stesso» (Calati 6,3). Ma non sapendo ciò che lui è e percependo in maniera delirante la propria realtà, l’orgoglioso. non potrà non avere una falsa conoscenza anche degli altri esseri.”

È importante questo argomento, infatti questo professore dedica molte pagine al tema dell’orgoglio. Oggi chiediamo al Signore la grazia di liberarci e di tenerci lontani dall’orgoglio. Se sentiamo che l’orgoglio tanto ci ferisce, unitamente all’amor proprio, rinneghiamolo alla radice.

E la Benedizione di Dio Onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo discenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen.

Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.

Martedì della II settimana di Quaresima

VANGELO (Mt 23,1-12)
Dicono e non fanno.

In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:
«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.
Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.
Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

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