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Le radici spirituali delle malattie psichiche: quindicesima parte

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di mercoledì 3 marzo 2021

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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LE RADICI SPIRITUALI DELLE MALATTIE PSICHICHE – Quindicesima Parte

Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato.

Eccoci giunti a mercoledì 3 marzo, abbiamo ascoltato la Prima Lettura tratta dal cap. XVIII, vv 18-20 del profeta Geremia. Ci può sempre essere la tentazione in noi di trovare una via alternativa, una sicurezza nelle cose conosciute che ci permetta di scavalcare la proposta di Dio, ma la proposta di Dio non è scavalcabile, mai. Siamo noi che dobbiamo cambiare modo di vedere, di ascoltare, di capire, non Dio. Loro cercano di trovare consolazione nella legge ai Sacerdoti, nel consiglio ai saggi, nella parola ai profeti ma di fatto Dio in questo momento è in Geremia, ed è lì che parla al popolo. E noi andiamo avanti con la nostra lettura e la nostra riflessione sul testo “L’inconscio Spirituale” del prof. Larchet, stiamo toccando l’argomento dell’orgoglio:

“L’orgoglioso, anzitutto, misconosce e disprezza il prossimo.”

Impariamo a farci questa regola d’oro: “Chi misconosce e disprezza il prossimo con noi state tranquilli che con gli altri lo farà di noi”

Questa è una legge.

“Già abbiamo avuto modo di dire che, se l’orgoglioso sminuisce il prossimo e lo disprezza, è perché ne ignora o trascura la grandezza e dignità di creatura a immagine di Dio e non lo riconosce come suo fratello nel Cristo. Per ciò stesso, i suoi rapporti con il prossimo si ritrovano a essere stravolti sotto più d’un aspetto.”

È un’autocondanna ignorare o trascurare la grandezza e la dignità di chi ci sta accanto, di chi Dio ha messo accanto a noi, e non riconoscere che siamo entrambi figli del medesimo Padre, è un grandissimo impoverimento.

“In particolare, invece di innalzare in Dio il fratello, egli innalza sé stesso sopra di lui, lo riduce a niente di più che a un mezzo della propria glorificazione o a uno specchio destinato a riflettergli non già l’immagine di Dio bensì la propria immagine, quella perlomeno che egli ha di sé e si aspetta che gli altri gli rimandino.”

Questo significa usare l’altro per sé stessi.

“Poi, invece di vivere in Dio l’altro come un prossimo, invece di considerarlo in Lui come un simile e un fratello, l’orgoglioso cerca di distinguersene, d’affermare la propria singolarità e superiorità, in un modo di relazione che assume la forma di un’opposizione.”

Sembra di vedere certe scene di vita quotidiana. Noi, per affermare la nostra singolarità e superiorità, non avremmo bisogno di fare granché perché noi siamo veramente singolari e superiori… ma non in confronto agli altri. Noi siamo superiori nel senso che siamo chiamati a imparare da Dio, come figli di Dio, ad essere superiori a tutto ciò che è mondano, che è terra. Noi siamo singolari e superiori, non agli altri ma alla realtà in quanto tale, noi siamo chiamati a superarla, nel senso che la dobbiamo vivere, ma nello stesso tempo non lasciarci travolgere.

Questa superiorità dove la troviamo? La troviamo in Dio, nell’essere figli di Dio. La ragione di questa superiorità è la figliolanza divina, è quel frammento di Eternità che abbiamo nell’anima. È così che ci distinguiamo, è così che emerge la nostra nobiltà, basta corrispondere alla propria vocazione, che è quella di essere stati fatti a immagine e somiglianza di Dio.

“È vero, ogni uomo è unico, è una persona distinta da tutte le altre, ha un modo tutto suo di realizzare la natura umana e di manifestare l’immagine divina ed è chiamato a sviluppare dei carismi propri; per questo, ci sono differenze fra gli uomini, per cui certuni manifestano più qualità e più doni d’altri. E tuttavia, tutte queste differenze trovano in Dio la loro unità di fondo (Prima lettera ai Corinzi 12,4-6.11). In un quadro di rapporti sani, l’unicità d’ogni persona deve affermarsi, in faccia a quella degli altri, non già sotto la forma di un’opposizione, ma piuttosto di una complementarità, in vista dell’utilità comune (ibidem, 12,7), nell’unità della comunità umana, il cui archetipo è la Chiesa, corpo del Cristo.”

La singolarità non deve essere affermata attraverso il metodo dell’opposizione, ma devo affermare me stesso insieme all’altro, nell’affermare sé stesso l’uomo trova il suo completare e il suo essere completato con gli altri.

“Lì ogni membro ha la sua funzione, la sua utilità, la sua importanza e non può pretendere di fare a meno degli altri (ibidem, 12,21). Nessuno è disprezzabile e di minor valore o dignità; anzi, proprio quelli che hanno meno qualità o doni son quelli da onorare maggiormente (ibidem, 12,22-25). L’orgoglioso, invece di usare i suoi carismi per aiutare i membri del corpo che ne sono meno fomiti ed entrare così con essi in una relazione unitiva di complementarità vissuta in Dio, con sentimenti di umiltà e fraternità, stravolge i suoi doni da questa loro normale finalità per usarli egoisticamente nell’affermazione della propria singolarità, in opposizione al suo prossimo, nel mettersi in vetta d’una gerarchia in cui gli altri sono ridotti a gradini di scarso conto.”

Se vivo nella logica del corpo questa diversità ha una sua funzione, se invece vivo nell’altra logica, quella dell’orgoglio, uso l’altro nella misura in cui mi serve per affermarmi.

“Le differenze, o perfino disuguaglianze, invece di venire abolite in Dio nell’unità del corpo, vengono al contrario ben rimarcate. Il prossimo diventa un rivale. Qui l’orgoglio si rivela separatore e divisore, profondamente sovvertitore delle relazioni fra gli uomini e, di conseguenza, radice di mali innumerevoli. Reso dall’orgoglio incapace di volgersi verso Dio e di aprirsi con verità al prossimo, l’uomo si ripiega su sé stesso, si chiude nel piccolo universo del suo io che egli esalta. In tutte le sue reazioni, l’orgoglioso resta prigioniero di sé stesso. Qui l’orgoglio si rivela come una negazione della carità, una distruzione dunque di tutti gli armoniosi rapporti che essa permette d’avere: con Dio e, in Dio, con sé e con il prossimo. La capacità d’amare che Dio ha dato all’uomo perché l’uomo si unisca a Lui, l’orgoglioso la perverte stravolgendola dalla sua finalità normale per indirizzarla su sé stesso. L’orgoglioso ama il suo io e nient’altro che il suo io. Qui l’orgoglio, ben vediamo, fa un tutt’uno con l’amore egoistico di sé (o philautia). Per l’anima, l’orgoglio è anche una continua fonte di sofferenza. L’orgoglioso può soffrire per la distanza che corre fra ciò che crede di essere o vuol essere e ciò che invece intuisce di essere in realtà. Può anche soffrire perché vede minacciate o smentite la buona immagine che ha o vuol dare di sé oppure la superiorità che pretende d’avere sugli altri. Si mostra poi anche perpetuamente insoddisfatto dell’innalzamento che va ricercando, dato che mai potrà raggiungere la vetta e quindi la sua pretesa non potrà mai aver fine. Così l’orgoglio distrugge la pace interiore e fa finire l’uomo in uno stato di turbamento permanente. E tanto più perché quasi sempre ottiene dai suoi simili un effetto opposto a quello che si aspettava: invece di considerazione, il più delle volte non ricava che disprezzo e sarcasmi. Il timore dell’orgoglioso di vedere contestata e sminuita la buona immagine che ha di sé può inoltre renderlo diffidente e suscettibile, può portarlo a una sensibilità pruriginosa e così far nascere e sviluppare in lui il sentimento di essere perseguitato e sconvolgere anche in quest’altro modo i suoi rapporti con il prossimo; la ragione è che la sua suscettibilità lo spinge, per reazione, a mostrarsi sempre più aggressivo verso quelli che lo criticano o che egli suppone lo facciano. Tutti questi aspetti sono chiaramente presenti nella psicosi paranoica, ma sono evidenti anche nel carattere paranoico che dell’orgoglio è buon terreno.”

Se noi non vogliamo diventare dei paranoici stiamo attenti all’orgoglio, alla suscettibilità, all’aggressività.

“L’orgoglio non è soltanto una frequente radice di conflitti con gli altri, ma è anche la causa che li alimenta e impedisce di riarmonizzare le relazioni così stravolte. Quand’anche non impedisca a chi ne è malato di ammettere con sé stesso i propri torti, l’orgoglio nondimeno lo trattiene dall’ammetterli pubblicamente e chiedere perdono a chi è stato leso.”

Può anche ammetterlo con sé stesso ma non lo può fare davanti a tutti e non lo può fare neanche davanti alla persona che ha ferito, per questo è importante saper chiedere scusa quando dobbiamo farlo.

“Ed è un atteggiamento che si riscontra peraltro nei confronti sia di Dio che del prossimo: l’orgoglio, sottolineano i Padri, porta l’uomo a non vedere i suoi peccati, a passarci sopra e a continuare quindi a coltivarli, perpetuando così lo stato di separazione da Dio. Di contro, l’orgoglioso non dimentica le offese che ha ricevuto dagli altri e nutre in cuor suo un rancore che impregna la sua anima d’un turbamento doloroso e malevolo.”

Ci fermiamo qui, domani affronteremo la terapeutica dell’orgoglio, vedremo che consigli vengono dati per guarire dall’orgoglio. Dalla lunghezza del discorso si comprende che è un argomento importante.

Di cuore vi auguro una santa giornata. E la Benedizione di Dio Onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo discenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen.

Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.

Mercoledì della II settimana di Quaresima

PRIMA LETTURA (Ger 18,18-20)
Venite, e colpiamo il giusto.

[I nemici del profeta] dissero: «Venite e tramiamo insidie contro Geremìa, perché la legge non verrà meno ai sacerdoti né il consiglio ai saggi né la parola ai profeti. Venite, ostacoliamolo quando parla, non badiamo a tutte le sue parole».
Prestami ascolto, Signore,
e odi la voce di chi è in lite con me.
Si rende forse male per bene?
Hanno scavato per me una fossa.
Ricòrdati quando mi presentavo a te,
per parlare in loro favore,
per stornare da loro la tua ira.

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