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Mercoledì della Settimana Santa: Michel de Certeau, “Mai senza l’altro”

Giuda tradisce Gesù

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di mercoledì 31 marzo 2021 – Mercoledì della Settimana Santa

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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Scarica il testo della meditazione 

MERCOLEDÌ DELLA SETTIMANA SANTA:

MICHEL DE CERTEAU, “MAI SENZA L’ALTRO”

Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato.

Eccoci giunti a mercoledì 31 marzo 2021, Mercoledì della Settimana Santa. Abbiamo appena ascoltato il Vangelo di oggi tratto dal cap. XXVI, vv. 14-25 di San Matteo. Oggi si fa memoria del tradimento di Giuda e, possiamo aggiungere, del tradimento da parte di tutte le anime consacrate, di tutti coloro che in un modo o nell’altro hanno deciso di consegnare Gesù.

Mi sono chiesto: perché Giuda lo ha tradito così miseramente? Anche San Pietro lo ha rinnegato 3 volte, gli altri fuggono, … Va bene, ci può stare una sorta di incomprensione, di paura, di timore di finire anche loro così. Ma perché Giuda lo tradisce in questo modo così terribile? Cosa sta alla base di questo tradimento?

Abbiamo visto la scena di Betania che determina in modo definitivo la decisione di Giuda di andare a tradire il Signore, di consegnarlo, di venderlo: l’atto di amore gratuito, la donazione totale, il rischio che questa donna, Maria, ha corso, ha assunto: il rischio del giudizio, di essere criticata e maltrattata. Maria che compie questo gesto del Nardo e dei capelli, ha determinato la parte finale della riflessione di Giuda e lo ha portato a tradire definitivamente Gesù.

Ma tutto questo come si è originato?

Quest’oggi vorrei prendere come aiuto un libro di un Padre Gesuita che si chiama Michel de Certeau, dal titolo “Mai senza l’altro”. È un libro molto interessante, un po’ difficile, un po’ tecnico, che affronta alcune questioni un po’ tecniche. All’interno di questo testo ho trovato delle riflessioni molto interessanti da dire anche ad altri. Vi leggerò un po’ a macchia di leopardo alcune espressioni che trattano alcune questioni ben precise. Lui scrive:

“L’essere si trova donandosi”

Ecco perché Giuda si è perso. Se l’essere si trova donandosi, Maria, col gesto del Nardo, trova sé stessa in pienezza; Giuda si perde del tutto, e si perde proprio lì, perché di fronte all’atto di donazione di Maria, tutto il non essere di Giuda esplode. Tra Maria di Betania e Giuda si scatena una guerra ontologica. L’essere e il non essere vengono a una guerra senza quartiere, e l’essere di Maria di Betania rivela tutta l’inconsistenza del non-essere di Giuda.

“La libertà si costituisce rischiandosi”

Maria di Betania, la donna libera, ha rischiato tutto e adesso sta gustando la libertà. Giuda non rischia niente ed è l’uomo più schiavo della terra.

“L’uomo nasce nel suo aldilà”

Noi dov’è che nasciamo ogni giorno? Il mio uomo, la mia umanità dove nasce ogni giorno?

“La vera pace, non è una fermata, come diceva già lo pseudo Dionigi, è una quiete brutale, un riposo senza sosta, un camminare abitato dalla continuità del desiderio”

Perché ti riposi, ma non ti fermi mai, sei continuamente mosso e abitato da questo desiderio, innanzitutto di Dio. Adesso veniamo ancora di più al centro della questione:

“Le brevi riflessioni che seguiranno non intendono determinare fin dove e come il cristiano debba coinvolgersi nei conflitti ma semplicemente sottolineare che essi (i conflitti) hanno un significato religioso.”

Giuda non è mai entrato in conflitto con Gesù, forse se l’avesse fatto non saremmo arrivati dove siamo arrivati.

“Anzi proprio quando si situano in attività temporali, apparentemente estranee all’ambito religioso e sembrano contraddire l’unione operata dalla carità, le divergenze possono portarci a riconoscere gli altri e aprirci così una via, umile ma reale, verso la riconciliazione inaugurata in Gesù Cristo.”

La prima cosa che dobbiamo dire è: “Non dobbiamo avere paura dei conflitti”. La pace ad oltranza non porta a niente, non porta alla pace. È un’ideologia. La pace fatta per avere la coscienza a posto, in pace, perché non ho niente contro nessuno, non porta a niente. La pace che ci dà Gesù non è quella che ci dà il mondo. Le divergenze sono utilissime, certo non devono oltrepassare il limite della legge, ma dentro a quel limite c’è spazio. Questa è una via reale, mentre la pace utopica non è reale.

“Tacito incontro con il Signore, questo riconoscimento ci porta a trovare più onestamente la pace che abbiamo l’audacia di professare dinanzi ad altri uomini che la cercano come noi, proprio al cuore delle tensioni e delle paure di cui siamo partecipi al pari di loro.”

Questo realismo ci conduce a trovare la pace proprio dentro le tensioni, le paure, che tutti noi condividiamo. Chi di noi non ha paure? Chi di noi non vive tensioni? Vi rendete conto quanto tempo perdiamo per fuggire ed evitare le tensioni? Che pace è quella costruita sulla falsità e la menzogna? Ma è una pace reale? Mentre andando verso questa riconciliazione vera (che avviene a motivo di un conflitto), noi scopriremo che la pace, quella vera, sta proprio dentro al cuore delle tensioni e delle paure. Se Giuda l’avesse fatto, se non si fosse riempito il cervello, la testa, l’anima, le membra di questa falsa idea di pace, di questo sperare che Gesù cambiasse e fosse come voleva lui, non l’avrebbe tradito. Se avesse chiamato le cose col loro nome, e fosse andato da Gesù a dirgliele, se avesse litigato con Gesù, se gli avesse protestato tutta la sua ribellione interiore, la sua incredulità, il suo astio, la sua incomprensione, tutto si sarebbe sgonfiato in niente, perché Gesù avrebbe saputo dire le parole giuste al momento giusto e, dentro a quel conflitto, Giuda avrebbe trovato la vera pace.

“La legge del conflitto”

“Una certa «saggezza» ci trae in inganno sulla pace quando, per salvaguardare le apparenze dell’intesa”

Come diceva una signora che ho conosciuto, con un’espressione dialettale tipica del milanese: “Al vicino non ce lo dico”.

“Ci nasconde la realtà delle tensioni o coltiva l’indifferenza come condizione della tranquillità.”

Questa, praticamente, è la nostra vita! Questa saggezza che ci hanno insegnato, la saggezza delle regole, del “così non bisogna fare”, del “così non bisogna dire”, è un inganno, perché salva le apparenze nascondendo la realtà delle tensioni.

“Quella persona si è comportata male, glielo dovrei dire, ma per salvare questa falsa pace, devo salvare un’intesa apparente”, appunto il “non ce lo dico”.

La vita di tutti i giorni è questa intesa apparente, che è falsa. Così ci nasconde la realtà delle tensioni, che sono reali ,e coltiva l’indifferenza come condizione della tranquillità. Faccio finta di niente, testa bassa, occhi bassi. Ma si può costruire la pace sull’indifferenza? Giuda tu puoi costruire la sequela di Gesù sull’indifferenza e sulla apparente intesa? No. Infatti tu sei un esempio di questo conclamato fallimento.

Si può costruire un matrimonio, una amicizia sull’intesa apparente, sul nascondimento delle tensioni e sull’indifferenza per avere la tranquillità? Non si può! Non si regge! La vita ce lo insegna.

“Essa non è più, da quel momento, che una disciplina interiore o una tattica del compromesso, un sedativo contro la paura soggettiva o un comportamento destinato a evitare una presa di posizione negli scontri che assicurano la vitalità del corpo sociale. Nel primo caso è un calmante, nel secondo un astensionismo. Il cristiano non troverà più soddisfacenti neppure altre soluzioni, benché forse più lucide e più realistiche, quali lo scetticismo di chi ritiene pressappoco equivalenti la somma delle contese e quella delle intese, e crede perciò giustificata da questo equilibrio approssimativo la regola generale di un «lasciate fare la natura: è sempre stato così»”

La Provvidenza non è la fata Turchina, ma agisce per mezzo di te. La Provvidenza ha cambiato la Chiesa per mezzo di San Carlo Borromeo, di San Giovanni Maria Vianney, di S. Ignazio di Loyola. Il “lasciare fare” alla Provvidenza è un fatalismo, è uno scetticismo.

«lasciate fare la natura: è sempre stato così»

Quando sento questa frase mi sembra di sentire come il coperchio della bara che mi si chiude sulla faccia. “Abbiamo sempre fatto così”. E allora? È un dogma?

Fino ad oggi si è sempre fatto così, adesso si cambia! Qual è il problema?

“Oppure il conformismo di chi si impegna o si astiene come l’ameba protende o ritrae i suoi pseudopodi — a seconda delle connivenze o delle resistenze che incontra.”

Pensate sempre a Giuda, perché lui è questo.

“Queste varie forme di un medesimo distacco implicano tutte un rifiuto a essere chiamati in causa e un’identica indifferenza per ciò che vi è appunto di «altro» negli altri.”

Questo stare nella pace è di fatto un rifiuto ad entrare nei giochi, ad entrare in battaglia, ad essere chiamato in causa. È un’indifferenza verso ciò che negli altri è altro da me, è diverso da me. Ma questa non è carità.

“Esperienza precoce, quella del conflitto è innanzitutto l’esperienza di un limite. Il dio- bambino incontra delle resistenze che gli delimitano uno spazio.”

“Esistere significa ricevere da altri l’esistenza, ma significa anche, uscendo dall’indifferenziazione, provocarne le reazioni”

Io esisto innanzitutto perché dagli altri ricevo il mio esistere, ma siccome sono diverso da te, essendo me, io provoco una reazione. Tutte cose che Giuda non ha mai fatto.

“Vuol dire essere accettati e aderire a una società, ma anche prendere posizione nei suoi confronti e incontrare dinanzi a sé, come un volto illeggibile e ostile, la presenza di altre libertà.”

Da una parte io sono accettato e aderisco ma dall’altra prendo posizione davanti agli altri.

“Chi sfuggisse questo faccia a faccia, non per questo eviterebbe la paura, inseparabile da ogni scontro”

Perché di fatto non ci scontriamo? Perché abbiamo paura. Perché “non ce lo diciamo” al nostro vicino? Perché abbiamo paura. Questa è la ragione, non è certo per carità. Io non ti dico quello che penso, non ti dico l’ostilità nei tuoi riguardi non perché ti amo, ma perché ho paura. Ho paura della tua reazione, di quello che mi puoi fare, ho paura di tutto quello che riguarda questo scontro.

“Ma rinuncerebbe a essere”

Cosa fa Giuda dopo il tradimento? Si impicca. Ecco il suo essere che finisce, perso completamente.

“Ma rinuncerebbe a essere, affermando al vento un diritto che sarebbe incapace di far riconoscere.”

Vende, disperde al vento il diritto che invece doveva far riconoscere agli altri. Lui doveva andare da Gesù a dirgli: “Gesù questo è il mio diritto, non ci capisco niente, non riesco a seguirti, ad amarti, a capirti, a credere. È il diritto della mia incredulità. Non ci riesco! Però sto qua, sono qui davanti a Te, te lo dico in faccia, e direttamente io.” Questo è un uomo, questo è uno che è, questo è l’essere che vive.

“Pretesa o resa che sia, la sua fuga solitaria lo escluderebbe dal suo gruppo, lo esilierebbe dal mondo reale e non farebbe altro che condurlo nel «deserto» mitico dove l’inseguire miraggi è già un suicidio.”

È la fotografia di Giuda Iscariota e di tutti coloro che come lui rinunciano e fuggono per evitare lo scontro, l’affronto e vanno in questo “deserto” mitico. Speriamo di non avere un “deserto” mitico, speriamo di non inseguire “miraggi”, altrimenti la fine è brutta.

“Non si vive senza gli altri. Questo significa che non si vive senza lottare con loro.”

Fa parte del nostro vivere, lottare. Se sei vivo, lotti. Con chi? Con tutti, soprattutto con chi ti ama e con chi ami, perché ci tieni.

“Bisogna dunque, non una volta ma ogni giorno, rinunciare alla comoda convinzione che «si può sempre intendersi»”

E’ l’acqua che lava le mani, non “una mano lava l’altra”.

“e uscire dai meandri sentimentali grazie ai quali si sperava di nascondere sotto certe frasi e certe precauzioni la realtà degli altri.”

“Noi non ce lo diciamo”. In un matrimonio non si può sempre andare d’accordo, non si può, perché siamo segnati dal peccato originale, e quindi la pace non la troviamo non scontrandoci, ma scontrandoci e riconciliandoci in Gesù. Questa è la via. Dentro a questo incontro- scontro noi possiamo dire all’altro: “Grazie a questo incontro-scontro io capisco che ho bisogno di te”.

Potremmo tradurre il titolo di questo libro (che infatti è il titolo in lingua originale francese): “Mai senza di te”, Potremmo dire alla persona con la quale ci stiamo scontrando, durante lo scontro: “Mai senza di te”.

Questa è una grazia, perché stiamo facendo esperienza di Gesù, della vera pace, perché stiamo esistendo. Solo che noi fuggiamo e ci circondiamo di tutti quelli che sono i nostri cloni, che non ci danno fastidio, che non ci inquietano, non ci disturbano e non ci mettono in discussione. Esito: non essere. Poi ci riempiamo la bocca di fraternità, di comunione, di amore, di vivere bene con gli altri, di pace. Vai a raccontarlo a Dio che hai fatto di tutto per evitare il conflitto.

Si può sempre intendersi? No, non si può. Dobbiamo uscire dai meandri sentimentali. La realtà degli altri è reale e la devo affrontare.

“Tuttavia, la lotta non è puro scontro (esso stesso peraltro accompagnato da amori e da amicizie che un vero incontro fa nascere): essa ha in realtà un carattere meno personale e più irriducibile. Appare sotto forma di conflitti. Nella società in cui abita, con una famiglia a carico, membro di un gruppo, impegnato in un mestiere, un uomo ha delle responsabilità che non sono quelle degli altri. Che siano le sue convinzioni ad avergli fatto scegliere un partito o una comunità, o che siano le circostanze a fissargli il posto in cui deve dare alla propria vita un senso effettivo, egli è legato a una situazione ben precisa. Ha certi interessi da difendere e dei diritti da far valere. Se ricusasse il proprio compito specifico con il pretesto che esso è in conflitto, o per lo meno in concorrenza, con gli interessi che altri rappresentano, egli tradirebbe fratelli e figli, abbandonerebbe la sua funzione, particolare ma necessaria a tutti.”

Non puoi tu, per evitare il conflitto e la concorrenza, ricusare il tuo compito specifico. Se lo fai, fai come Giuda.

“Tradirebbe fratelli e figli”

“E questo in nome di un universalismo utopico.”

Ognuno di noi è un particolare che non può essere sciolto dentro la brodaglia di questo universalismo utopico.

“Cessando di coltivare la porzione di terra che gli è affidata e credendo in tal modo di lavorare meglio per tutti, egli cesserebbe ogni lavoro, poiché non vi è lavoro se non particolare.”

Non esiste un lavoro universale. Si dice: non è giusto che ciascuno coltivi il suo orticello. Ma avete mai visto qualcuno che coltiva l’orto di tutti? Cosa vuol dire questa frase? Ognuno coltiva il suo orto, ma il fatto che coltivo il mio orto, significa che sono chiuso alle esigenze degli altri? No, ma devo pur coltivare quel pezzo di terra, non potrò coltivare tutta la terra del mondo. Devo fare un perimetro, metterci intorno una siepe e coltivare quella zona lì. Non posso coltivare 25.000 ettari, come faccio? Devo prendere una porzione. L’importante è coltivarlo bene. Perché se tutti insieme coltivassimo il nostro orticello verrebbe fuori un grande orto, ma fatto di tanti orti particolari. E quella terra, da incolta, diventerebbe totalmente coltivata, ma parcellizzata in tanti piccoli orti. La fortuna di quella terra starebbe proprio nella sua particolarità, nei suoi particolarismi, che a noi fanno tanta paura. In quelli starebbe la ricchezza di quella terra. Se uno cessa di coltivare la sua porzione di terra cesserebbe ogni lavoro, perché non c’è un lavoro che non sia particolare.

Per evitare le tensioni che sarebbero provocate dai suoi doveri verso alcuni e riconoscere così i diritti di tutti, porrebbe come principio di una carità (o di una giustizia) universale ideale la negazione della carità effettiva dovuta al suo prossimo immediato.

È a quel volto li che tu devi rispondere. Quindi tu non devi evitare le tensioni che sono provocate dai tuoi doveri di stato. Se ci sono, le affronti.

Per voler essere il testimone dell’universale, finirebbe per considerarsi un dio responsabile di tutto, mentre è solamente responsabile della parte assegnatagli dalla sua condizione di uomo. Gli uomini sono in conflitto proprio perché non sono dèi: non tutto dipende da loro, ma solamente questo.”

È una grazia essere in conflitto perché vuol dire che non sono Dio, vuol dire che non tutto dipende da me, ma da me dipende solo questo che mi è affidato. Se Giuda lo avesse capito e vissuto, oggi avremmo il più grande Apostolo della Divina Misericordia, Giuda sarebbe l’Apostolo del perdono sommo, sarebbe carne di perdono, potrebbe dire: “Se ho ricevuto io il perdono lo possono ricevere tutti. Se sono stato capace di cercare il perdono, lo potete cercare tutti perché peccato più grave del mio non c’è”.

Se Giuda avesse vissuto tutto questo — Gesù sarebbe probabilmente morto comunque — ma se almeno all’ultimo momento Giuda avesse capito e fosse tornato e avesse affrontato il suo conflitto, oggi noi avremmo San Giuda Iscariota e invece non l’abbiamo.

Vi auguro di entrare domani nel Triduo Santo e mi auguro che queste riflessioni di Michel de Certeau possano condurci a una vita nuova, me per primo e voi.

E la Benedizione di Dio Onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo discenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen. Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.

Mercoledì della Settimana Santa

VANGELO (Mt 26,14-25)
Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito!

In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariòta, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù.
Il primo giorno degli Ázzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.
Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto».

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