Meditazione
Pubblichiamo l’audio della meditazione: “Comunione spirituale e comunione psichica” tratta dal testo “Vita comune” di Dietrich Bonhoeffer.
Venerdì 10 febbraio 2023
Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD
Ascolta la registrazione:
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VANGELO (Mc 7, 31-37)
In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: “Effatà”, cioè: “Apriti!”. E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: “Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!”.
Testo della meditazione
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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!
Eccoci giunti a venerdì 10 febbraio 2023. Festeggiamo oggi Santa Scolastica, vergine. Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo settimo del Vangelo di San Marco, versetti 31-37.
Continuiamo la nostra lettura e il nostro commento del libro di Bonhoeffer, Vita Comune.
Stiamo vedendo i nemici del canto monodico e proprio ieri ci siamo lasciati leggendo quanto segue.
I nemici del canto monodico nella comunità devono essere estirpati con il massimo rigore. Proprio nel canto, più che in qualsiasi altro momento del culto, può prevalere la vanità e il cattivo gusto.
Uno dice: “Perché questa durezza?” (a noi sembra durezza, ma, in realtà è estremamente evangelico). Perché l’espressione “devono essere estirpati con il massimo rigore“? Perché i nemici del canto monodico “devono essere estirpati con il massimo rigore“? I nemici del canto monodico hanno a che fare con il cattivo gusto e la vanità e adesso vedremo di capire dove stia la vanità perché verrebbe da chiedere: quale gravità c’è dietro al fatto che qualcuno combatta, si opponga, che abbia una resistenza nei confronti di questa modalità di canto che vi ho spiegato ieri e che è diversa rispetto alla polifonia?
In primo luogo questo vale per la seconda voce improvvisata, che si può ascoltare quasi ovunque, quando si tratta di cantare tutti insieme. L’intento sarebbe quello di dare alla modulazione del canto monodico un sostegno indispensabile (così si crede), una consistenza che si pensa mancare a quest’ultimo: il risultato è di uccidere la Parola e la musica.
Bonhoeffer dice che, siccome il canto monodico prevede una voce sola (mono = uno), da dove viene questa sorta di seconda voce improvvisata?
Nel male c’è sempre una ragione; quando noi facciamo il male, non lo facciamo per il gusto di fare il male, no! Noi dobbiamo ammantare il male con le vesti del bene; dobbiamo dare una motivazione apparentemente buona al male che stiamo per compiere. Il male reale che andiamo a fare è “motivato e protetto” da un bene illusorio che non esiste. Però noi ce lo raccontiamo per sostenere che la scelta che facciamo non è poi così male, c’è un motivo di bene! Il motivo di bene che sta sotto la seconda voce improvvisata è quello di dare un sostegno indispensabile, una consistenza. Anche nel nostro modo di cantare, anche nelle nostre corali che non cantano in modo monodico, quando eseguono un canto a tre o quattro voci, c’è sempre una voce in più, come se qualcuno gridasse di più, facesse una voce in più che non esiste, è come se dicesse: “Questo non è sufficiente: ci voglio io! Ci voglio io con la mia voce, con il mio contributo, con la mia presenza!” Bonhoeffer dice che questo, in realtà, produce un risultato: uccidere la Parola e la musica.
Mi ricordo che, quando dirigevo il coro, la difficoltà era sempre quella di dire: “Cantate insieme: si deve sentire una sola voce, non chi va più veloce, chi va più lento, chi grida di più, chi grida di meno. No! Insieme! È un respiro: si canta come si respira insieme!”
Oppure c’è chi ha una voce di basso e chi di contralto, e deve far notare a tutti gli altri la straordinaria ampiezza del registro di cui dispone, per cui non riesce a fare a meno di cantare sempre un’ottava più bassa.
Mi devo distinguere: all’interno del canto corale, mi devo distinguere! Devo far sentire che ci sono io!
Poi c’è la voce del solista, che si espande e s’impegna tutta nell’acuto, nell’enfasi e nel tremolo, sopravanzando, tutte le altre voci per valorizzare le proprie doti.
Ditemi: non è forse una radiografia dei nostri cori per i quali diamo l’anima, tempo, ore, giorni e quant’altro? Non è forse così? Certo che è così! Ha ragione Bonhoeffer! E adesso sentite che cosa dice… io ho sempre “puntato” su questi. Adesso ve lo leggo e poi capirete.
I nemici meno pericolosi del canto comune sono invece gli “stonati”, che non sanno cantare e che sono in realtà in numero molto minore di quanto non si creda. Infine ci sono molto spesso anche quelli che non vogliono cantare con gli altri, perché non se la sentono o non sono nello stato d’animo giusto, e così sono di disturbo alla comunione.
Quando io incontravo qualcuno che diceva: “No, no non posso cantare perché sono stonato!”, io rispondevo: “Non esistono le persone stonate: bisogna educare la propria voce, bisogna imparare a sentire la musica. Ci vuole un po’ più di impegno rispetto ad altri, però proviamo!”. E gli stonati, o sedicenti tali, e gli svogliati che non vogliono cantare perché, magari, l’anima non è proprio così tanto in comunione con Dio, sono i meno pericolosi perché non vogliono primeggiare, non vogliono pavoneggiarsi, non vogliono fare i vanitosi: fanno già fatica a essere lì, immaginatevi!
Adesso sentite che cosa scrive:
Il canto monodico, per quanto difficile, non è un problema musicale, ma piuttosto spirituale. Solo se ognuno dei membri di una comunità è disponibile alla meditazione, e accetta la disciplina che questa esige, si riesce a sentire quella gioia che è tipica del canto monodico, anche se imperfetto da un punto di vista strettamente musicale.
Pensate! È fondamentale la vita spirituale perché noi stiamo cantando a Dio per Dio. Non stiamo cantando per gli applausi, o per fare i canti di Natale, o non so che cosa. No! Noi non dobbiamo andare a Sanremo; noi cantiamo in chiesa per Dio, non per la gente, ma per Dio, non per essere applauditi, ma per Dio! Non c’è un’altra ragione: noi cantiamo a Dio, basta!
Una comunità cristiana di persone che vivono insieme, dovrebbe curarsi di avere un repertorio il più ricco possibile di canti, cui si possa attingere sempre e che tutti sappiano a memoria.
Che brutta cosa: “Canto numero centoventuno!”
Io sono cresciuto per vent’anni in una parrocchia dove il libretto era sempre quello e quando sento “centoventuno” mi viene in mente “Il Signore è la mia salvezza”, è sempre quello! Dopo un anno che hai in mano quel libretto, basta!
“Tu sei la mia vita” lo sanno anche i mammut sepolti sotto la chiesa che dicono: “Basta! Lo so anch’io!”. “Canto numero novanta”… ma è sempre quello! E tutti con i libretti in mano a cantare “Tu sei la mia vita” che sappiamo già. Nasciamo che lo sappiamo già, lo abbiamo sentito talmente tante volte nei nove mesi prima che, quando usciamo, al posto di piangere, cantiamo “Tu sei la mia vita“, capite? Perché non ne possiamo più! Il neonato esce cantando “Tu sei la mia vita“, perché è sempre quello! Invece no! Il giorno della Prima Comunione sente: “Canto numero novanta: Tu sei la mia vita”. Poi ti dicono anche il titolo, perché, sai, magari, potresti essere un po’ “circonfuso”: non ti dicono solo il numero, che ormai ti esce dagli occhi e potresti andare a giocarlo alla Tombola, ma ti dicono anche il titolo. Manca solo il nome di chi lo ha scritto! “Canto numero novanta, Tu sei la mia vita”! Uno dice: “Va bene, ok, mi arrendo perché tanto…”
“Io lo so Signore“, canto numero sessantasei, va beh!
Sapere a memoria? Nooo! Tutti con il libretto in mano, tutti! Anche la signora di novant’anni che lo canta da novant’anni! Anche lei con il libretto in mano e gli occhiali che le cadono dal naso… niente! E, se, per caso, il libretto le cade, si attorciglia da qualche parte e così si distrae un attimo, basta! Smette di cantare! Non è capace di continuare a cantarlo. Ma lo canti da novant’anni, è sempre lo stesso canto!
🎶“Abramo, non partire, non andare, non lo fare, non lo dire 🎶”sempre quello, quel canto 🎵“Esci dalla tua terra e va 🎶.
Arriva la Quaresima e tu sai che è iniziata la Quaresima, non perché è il Mercoledì delle Ceneri, ma perché senti 🎶 “Purificami, o Signore”. Sempre quello! Alla faccia del “repertorio più ricco possibile di canti”. Sempre quello, ormai standardizzato, come il codice a barre dei dadi al super, sempre quello!
E allora? Magari impararlo a memoria? Nooo! Quello lo annuncia: “Canto numero sessantasei, Il Signore è il mio Pastore ”
E inizia il chiacchiericcio:
“Canto numero?”
“Pagina?”
No, ti prego! Ti prego, la pagina no: tutto, ma la pagina no! Anche la pagina!
“Pagina?”
“Titolo?”.
Uno dice: “No, io chiudo, vado a casa perché non ce la posso fare: c’è un limite a tutto; a tutto c’è un limite!”
Cantano nel coro da vent’anni; vent’anni che sono nella corale… vent’anni! E dopo vent’anni? Hanno in mano gli spartiti! Io chiedo: “Scusa un momento: siccome tu non canti alla Scala, dove devi fare la primadonna (quindi: ridimensionati un pochino!), come è possibile che ci impieghi un Avvento intero per imparare i canti della Notte di Natale?” Devo cantare a una Messa e ci impiego quaranta giorni ad imparare quel canto? Ok. Lo registrano, se lo ascoltano sul metrò, sul taxi, mentre cucinano…! Quaranta giorni! All together!
Poi c’è il canto della Quaresima: altri quaranta giorni perché devo imparare.
Ma siccome il Natale e la Quaresima sono sempre quelli, cioè di anno in anno si ripetono – grazie al Cielo – tu fai quaranta per dieci anni! Capite che sono quattrocento giorni! E i canti sono sempre quelli!
🎶”Tu scendi dalle stelle!” Io mi domando come si possa avere in mano lo spartito di “Tu scendi dalle stelle“: lo sa anche il Babbo Natale vende il panettone Motta, anche lui lo sa! No! Noi con il foglio in mano! E leggiamo, leggiamo “Tu scendi dalle stelle“!
Qualche volta mi viene voglia di andare fuori con quei biglietti di auguri che, quando li apri, si sente e cantare e suonare: ecco, qualche giorno uscirò per la Messa e dirò: “Fermi tutti! Oggi ci riposiamo!” Il giorno di Natale apro il mio biglietto di auguri che canta, così siamo tutti nella pace e non dobbiamo stare lì con occhiali da vista da lontano e occhiali da vista da vicino (“il bifocale mi crea problemi, il graduato mi fa andare insieme la testa”), quindi occhiale sopra e occhiale sotto; il naso è ormai diventato quello di Pinocchio per tenere tutti gli occhiali da vista che dobbiamo avere per cantare… quale canto? “Tu sei la mia vita”, ecco!
Tutti sappiano a memoria: se avessi qui Bonhoeffer, lo abbraccerei perché è così: non lo sanno a memoria! Niente! Non gli entra: tutti con in mano questi benedetti fogli! Che poi, uno dice, si porteranno solo quelli di Natale per cantare a Natale! Nooo: si portano il trolley con dentro i dodici volumi di tutti i canti possibili e immaginabili dell’anno liturgico, anche di quello che non è stato ancora scritto! Tutti se li portano: hanno il dispenser, il raccoglitore alto dodici centimetri con dentro tutti i canti, quindi aprono gli anelli e “croc croc croc” e poi iniziano a sfogliare, a sfogliare, a sfogliare fino a morire sfoglia, sfoglia ma che ti sfogli cosa ? E poi finalmente trovano il canto e poi il canto cade per terra, quindi raccolgono la bustina Crystal perché la bustina Crystal scivola dalle mani, raccogli la bustina Crystal, tira fuori dalla bustina Crystal… ci vuole un’ora solo per tirar fuori tre canti! Ma sono sempre quelli!
Se proprio hai questi gravi problemi di memoria per cui dal naso alla bocca non ti ricordi niente, va bene: tirati fuori i tre fogli! Saranno quattro i canti che dovrai fare, non seicento! Non ti portare il raccoglitore altro venti centimetri: non serve! Te li prepari a casa, visto che chi dirige il coro ti dice prima quale canto devi cantare. Sono quaranta giorni che lo stai preparando, figlia mia! Te lo tiri fuori prima e te lo porti dentro a una cartelletta, te la regalo io! Una cartelletta semplicissima: te la metti dentro lì. Arrivi con la cartelletta già pronta con i canti in ordine perché la Messa è quella. Non succede che il sacerdote dica: “No: oggi partiamo con l’Offertorio!” che uno dice: “Oh, è un esame? Partiamo con l’Offertorio”. Oppure il sacerdote che dice: “Oggi partiamo con il canto finale. Invece che con il segno della croce, partiamo con il canto finale!” No: la Messa è già scritta. Tutto quello che devi fare c’è già: l’ordine è quello! Canto d’ingresso, Gloria,… tutto è in ordine e sarà sempre così fino alla fine del mondo. Quindi ti puoi preparare tutto a casa, senza timori, senza doverti prendere il Valium perché dici: “Magari quello mi cambia l’ordine dei canti”. No: non ti cambia niente nessuno!
Voi credete che succederà? No: non succederà! Domani tutti con in mano il loro raccoglitore da dodici centimetri, con tutti i canti possibili e immaginabili!
Questo ci dice la sofferenza che un sacerdote prova di fronte a certe cose perché, veramente, non se ne può più!
Si potrà raggiungere lo scopo inserendo in ogni meditazione, oltre a un canto da scegliere liberamente, alcuni versi fissi, da cantare fra le letture
Quanto più si canta, tanto maggiore diventa la gioia che si prova nel canto, ma soprattutto, col crescere del raccoglimento, della disciplina, della gioia con cui si canta, cresce anche la benedizione che dal canto comune scende su tutta la vita della comunità.
Cantare non è sinonimo di svago, ma di raccoglimento: cantare per Dio significa raccogliersi, avere una disciplina: questo produce la gioia!
Nei cori che ho seguito negli anni successivi i più anziani dicevano: “Ma, Padre Giorgio, io venivo a cantare perché era bello cantare, oh! Ma che roba complicata: adesso dobbiamo stare attenti a tutto. Adesso pure la preghiera dobbiamo fare. Noi venivamo qua, cantavamo, suonavamo e dopo andavamo a casa!”
Ma non siamo al bar! Oh, cioè, voglio dire! Siamo in una chiesa, davanti a Dio, quindi, magari, potrebbe essere che sia richiesto qualcosa di diverso della Banda del Ricciolo d’Oro! Siamo in un luogo “altro”! Quindi ci vuole disciplina, quindi le primedonne non vanno bene; non vanno bene gli sguaiati e quelli che creano distrazione: ci vuole gente raccolta, gente disciplinata! Allora sì che nasce la gioia, perché, finalmente, si canta come si deve cantare.
Sentite adesso:
È la voce della Chiesa che si fa sentire nel canto comune. Non sono io a cantare, ma è la Chiesa, e a me è consentito di partecipare a questo canto come suo membro. Per cui il canto comune correttamente praticato deve servire ad ampliare la visione spirituale, a riconoscere nella nostra piccola comunità una componente della cristianità nella sua dimensione terrena, ad inserirci con il nostro canto, più o meno valido, nel canto della Chiesa con prontezza e gioia.
Quindi, anche se sei un po’ stonatello, l’importante che ci siano questo afflato, questa partecipazione spirituale interiore.
Ci fermiamo qui e domani proseguiremo. Andremo avanti perché, ve l’ho spiegato, questo è diventato un corso di preghiera e di canto liturgico. Chi l’avrebbe mai detto? Siamo partiti con la comunione spirituale e la comunione psichica e ora siamo approdati al canto. Chi di noi non aveva bisogno di qualche catechesi sul canto liturgico? Sulla preghiera dell’Ufficio Divino? Sul recitare i Salmi? Tutti, a partire da me!
Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.