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D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 57

Falò sulla spiaggia

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 57
Martedì 3 ottobre 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Lc 9, 51-56)

Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé.
Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme.
Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio.

Testo della meditazione

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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a martedì 3 ottobre 2023. 

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo nono del Vangelo di san Luca, versetti 51-56.

Proseguiamo la nostra lettura del testo di Bonhoeffer, Sequela.

Oggi iniziamo un nuovo paragrafo dal titolo “Il contraccambio”. Leggiamo adesso il brano del Vangelo che Bonhoeffer commenta:

«Avete udito che è stato detto: occhio per occhio, dente per dente. Ma io vi dico che non dovete resistere al male, anzi, se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l’altra. E se uno vuol contendere con te per toglierti la tunica, cedigli anche il mantello. E se uno ti forza a fare un miglio, va’ con lui per altri due. Dà a chi ti chiede, e non voltare le spalle a colui che desidera da te in prestito» (Mt 5,38-40).

Scrive Bonhoeffer:

Qui Gesù coordina la parola: Occhio per occhio, dente per dente, con i comandamenti sopra ricordati dell’Antico Testamento, dunque anche, ad esempio, con il divieto di uccidere contenuto nel decalogo. Quindi riconosce tanto questo divieto quanto quella parola come un indubitabile comandamento di Dio. E come quella, anche questo comandamento non deve essere abolito, ma compiuto fino in fondo.

Tutte cose che abbiamo già detto precedentemente.

Gesù non conosce la nostra differenziazione dei comandamenti veterotestamentari che attribuisce un posto particolare al decalogo. Per lui il comandamento dell’Antico Testamento è uno solo, ed in tal senso invita i discepoli ad osservarlo. Coloro che sono alla sequela di Gesù vivono per amor suo nella rinuncia al proprio diritto.

Ecco, questo è qualcosa che avevamo già visto, ma adesso Bonhoeffer lo approfondisce meglio; quindi: “rinuncia al proprio diritto”.

Egli li proclama beati in quanto miti — vi ricordate che ne parlammo proprio quando affrontammo la beatitudine della mitezza — Se essi, dopo aver rinunciato a tutto per amore della comunione con lui, volessero attaccarsi a questo unico possesso, avrebbero in quel momento abbandonato la sequela. Pertanto qui non abbiamo altro che uno sviluppo delle beatitudini.

Perché rinunciamo a tutto, quindi anche al nostro diritto? Per amore della comunione con Lui. Capite? Questa è la ragione. Non è una ragione ascetica, è una ragione legata allo spirito di comunione con il Signore, per questa comunione profonda che abbiamo col Signore rinunciamo a tutto il resto. Andiamo avanti.

La legge veterotestamentaria pone il diritto sotto la tutela divina del contraccambio. Non deve esserci malvagità senza contraccambio. Si tratta in effetti di instaurare una comunità giusta, di vincere il male e di dimostrarne la malvagità, di eliminarlo dalla comunità del popolo di Dio. A questo serve il diritto, che resta in vigore per mezzo del contraccambio.

Quindi: occhio per occhio, dente per dente.

Gesù fa propria questa volontà di Dio e approva la forza del contraccambio nel dimostrare la malvagità del male e nel vincerlo, nel dare sicurezza alla comunità dei discepoli quale vero Israele. Per mezzo del giusto contraccambio va eliminato il torto e il discepolo deve dare prova di sé nella sequela. Tale giusto contraccambio consiste, secondo la parola di Gesù, semplicemente nel non resistere al male.

Quindi non consiste più nella legge “occhio per occhio, dente per dente”, ma nel non resistere al male. Il contraccambio deve esserci per la ragione che abbiamo appena spiegato, però ha questa nuova forma. Proseguiamo:

Con questa parola Gesù scioglie la sua comunità dall’ordinamento politico-giuridico, dalla struttura nazionale del popolo d’Israele e ne fa ciò che essa in realtà è, vale a dire una comunità di credenti, non legata a condizioni politico-nazionali.

Quindi la comunità di Gesù è una comunità di credenti; non è legata ad altro che a Lui, non è legata a condizioni politico-nazionali.

Se il contraccambio nel popolo d’Israele eletto da Dio, in quanto esso era contemporaneamente anche un’entità politica, consisteva per volontà divina nel replicare colpo a colpo, per la comunità dei discepoli, che non può più avanzare per sé alcuna pretesa sul piano giuridico-etnico, esso invece consiste nel sopportare con pazienza il colpo, perché non si aggiunga male a male. Solo in questo modo si fonda e si conserva la comunione.

Quindi vedete che — passin passino — stiamo vedendo sempre cose nuove. Quindi sopportare con pazienza il colpo, per non aggiungere male a male.

Qui risulta chiaro che chi è alla sequela di Gesù, se ha subito un torto — ecco, vedete: noi siamo alla sequela di Gesù, siamo cristiani e a tutti noi capita di subire dei torti piccoli o grandi che siano — se non tiene più al proprio diritto come possesso proprio, da difendere a qualsiasi condizione; egli è, al contrario, completamente libero da qualsiasi possesso ed è vincolato solo a Gesù Cristo, e, proprio nel testimoniare questo suo vincolo al solo Gesù, crea l’unico fondamento adeguato della comunione e rimette il peccatore nelle mani di Gesù.

Allora, questo passaggio è molto importante ed è estremamente attuale; quindi mi soffermo un attimo. Allora:

risulta chiaro — da tutto quello che abbiamo detto — che chi è alla sequela di Gesù — quindi il suo discepolo — se ha subito un torto — cosa che a noi capita — non tiene più al proprio diritto come possesso proprio.

Diritto come possesso: se il diritto, il mio diritto di essere rispettato, non è più un mio possesso (non va rinnegato il diritto, attenti, poi lo vedremo) perché ci ho rinunciato, non lo devo più difendere a qualsiasi condizione. Non è più mio. Quindi, il mio diritto non è più un mio possesso, sarà di qualcun altro. E quindi io non lo devo più difendere a qualsiasi condizione. Io, in quanto discepolo di Gesù, mi libero da qualsiasi possesso — ecco la povertà; la povertà evangelica non è non avere i soldi, ma è questa — mi libero da qualsiasi possesso, soprattutto dal possesso del mio diritto da difendere. In funzione del mio essere cristiano e del mio essere alla sequela di Gesù mi vincolo solo a Gesù. Non posso vincolarmi al possesso del mio diritto, perché ho un vincolo solo, mi vincolo a Gesù e non al mio diritto. Quindi, testimonio questo mio vincolo al solo Gesù rinunciando al possesso del mio diritto, e così cosa faccio? Creo “l’unico fondamento adeguato della comunione”. Questo è il fondamento della comunione. Perché in questo modo io esprimo, in maniera proprio concretissima, che non ho nessun altro interesse che Gesù, che non sono vincolato ad altro che a Gesù e che non sono dipendente da altro che da Gesù.

Quindi io sono in comunione con Gesù perché non sono in comunione con niente altro. Neanche col mio diritto. Soprattutto col mio diritto, che è sacrosanto, ma io me ne libero. Non ho bisogno di difenderlo. Non mi interessa; è mio, ma io mi libero, lo rimetto a… Voglio vincolarmi solo a Gesù. In questo modo io creo “l’unico fondamento adeguato alla Comunione e — attenti — rimetto il peccatore nelle mani di Gesù”. Quindi — importantissimo — io creo la comunione con Gesù e dico a Gesù: “Gesù, questo è il mio diritto, questo è il torto, il male che ho subito, lo metto nelle tue mani, pensaci tu. Fai tu”.

Guardate, è tanto brutto, in ogni tempo della storia, anche oggi, purtroppo è tanto brutto, tanto antievangelico, sentire o leggere di cristiani che, per ragioni diverse e opposte, si insultano, mancano di rispetto uno con l’altro. Ma non sto parlando di persone — come dirvi — alle quali mancano le basi di una cultura, di una formazione, di studi, no, no, ma anche persone assolutamente preparate, assolutamente competenti, magari anche famose, che però su questa questione cedono. Questo è veramente un crinale di importanza fondamentale, di grande discernimento: sono tante le ragioni/scuse che noi possiamo addurre per tenere al nostro diritto come un possesso proprio, da difendere con le unghie e con i denti. Quindi a insulto rispondo con insulto, rispondo con acidità, rispondo piccatamente, rispondo provocatoriamente… rispondo. Già il rispondere… Arriva l’insulto, arriva il torto e io difendo in qualche modo questo mio diritto leso. Poi addirittura si arriva alla minaccia della denuncia, gli avvocati, il tribunale… Ma questo “sta” col Vangelo? Secondo questo commento che sta facendo Bonhoeffer, no, “non sta”: perché il cristiano dovrebbe aver rinunciato a quel diritto, essersi quindi vincolato solo a Gesù, testimoniare questo unico vincolo con Gesù e, in questo modo, creare il fondamento adeguato, l’unico, della comunione con Gesù e rimettere il peccatore nelle mani di Gesù. Questa, diciamo, è la parabola del cristiano. Quindi, mi mancano di rispetto? Vengo oltraggiato? Subito sento il bisogno di attivarmi. Ma questo come sta con quello che abbiamo spiegato e con la parola di Gesù (Mt 5,38-40)?

Bonhoeffer dice che tu dovresti rimettere quel peccatore nelle mani di Gesù e dire: “Signore, fai tu, questo sono io, questo è lui (o lei), questo è quello che io sono, quello che io ho fatto, e questo è quello che lui dice di me. Fai tu. Io mi dedico a te. Io rinuncio anche solo a rispondere. Non mi interessa. Non m’interessa perché non voglio difendermi, non ho niente da difendere, perché io sono interessato solo a te; quindi, non voglio perdere neanche un minuto a dare risposte, per mostrare che cosa? Che io sono nel giusto, che l’altro è nell’errore, che l’altro mi ha accusato ingiustamente, che l’altro è nel torto, che l’altro ha sbagliato, che io invece in realtà… No, no, no, no. Non mi interessa. Dicano quel che han voglia. Se è vero, mi devo emendare, se è falso ringraziamo Dio, viva Dio”.

Gesù che cosa ha risposto durante la sua passione davanti al sinedrio per tutte le accuse che riceveva? Gesù che cosa ha risposto a Erode quando lo scherniva e lo trattava come un pazzo? Come si è difeso Gesù da colui che gli ha tirato uno schiaffo sul volto? Figuriamoci, si è difeso con una domanda: “Se ho detto il male, mostrami il male, ma se ho detto il vero, perché mi percuoti?” Capito? Questa è la difesa di Gesù: una domanda. E alla flagellazione, Gesù come si è difeso? Dalla coronazione di spine, Gesù come si è difeso? Dalla crocifissione, Gesù come si è difeso? Da tutte quelle falsità terribili dette contro di lui al processo farsa che hanno fatto, Gesù come si è difeso? L’evangelista scrive Autem tacebat. Punto. Autem tacebat: e Gesù taceva. Questo ci ha insegnato il Signore: non ad aprire una querelle, non ad aprire una discussione, non “a insulto si risponde con insulto”, ma ha rimesso la sua causa nelle mani di colui che giudica con giustizia. Ha chiamato il Padre come colui al quale affidare tutto. 

Voi direte che è difficile: è vero, perché noi non siamo tanto in comunione con Gesù. C’è poca spiritualità, poca vita interiore, poco rapporto profondo con Gesù, poca intimità divina. E allora, se uno grida, bisogna gridare più forte; se uno accusa, bisogna accusare più forte; se uno critica, bisogna criticare più forte. 

Ma è questa la via del Vangelo? Magari altri diranno di sì, io personalmente mi sento in accordo con Bonhoeffer e non solo con lui: anche San Francesco di Sales, in Filotea, dice la stessa cosa. E non solo lui: andiamo a prendere San Giovanni Maria Vianney, andiamo a prendere Santa Teresa d’Avila… 

rimette il peccatore nelle mani di Gesù.

È molto bella questa espressione, molto biblica: “Signore, fai tu”.

Io ho sempre in mente quella bellissima scena — scena perché mi sono costruito, con la mia immaginazione, nella mia testa, questa scena, come se fosse un film — quella bellissima scena della Regina Ester… che bella quella scena della Scrittura, in cui c’è la regina Ester. quando apprende della decisione di sterminare il popolo, il suo popolo. Andate a leggerla, sarebbe bello un giorno commentare anche quel libro. Mardocheo le va a dire: “Guarda che adesso tu devi intervenire, tu sei stata fatta regina per questo. Adesso il tuo compito è intervenire, metterti in mezzo”. Col rischio della vita, perché la Regina Ester si presenta davanti al re senza essere convocata e, se uno si presenta davanti al re senza essere convocato, già per questo merita la morte, a meno che il re non stenda lo scettro e quindi le dia udienza; tu non puoi andare davanti al re se non sei chiamato in udienza. E quindi innanzitutto la preghiera, la preghiera bellissima, che potremmo fare nostra nei momenti più difficili della vita, la preghiera della Regina Ester a Dio, prima di recarsi davanti al re; lei ormai diceva che era pronta a morire, sapeva che poteva morire il giorno successivo, quando sarebbe andata. E allora lei fa questa preghiera a Dio, dove lo chiama in causa, dove gli chiede di essere liberata e liberare il suo popolo dalle mani del nemico, da chi voleva sterminarlo; e quindi la regina Ester che fa il digiuno, la regina Ester che si cosparge di cenere, che abbandona le sue vesti regali, fa penitenza, prega con le sue ancelle e poi, finalmente, si presenta davanti al re. E sappiamo tutti come finisce, finisce nel modo migliore possibile: Dio interviene sul cuore, sulla mente del re e quindi salva non solo Ester, ma tutto il popolo; e fa capitare addosso al persecutore — che tra l’altro voleva uccidere anche Mardocheo — tutto quel male. Un racconto bellissimo. E quindi lei cos’ha fatto? Non si è fatta giustizia da sola, non ha cercato mezzi umani per andare a bloccare questo progetto empio del malvagio che voleva sterminare il popolo, no! Lei si è messa nelle mani di Dio, ha rimesso tutto nelle mani di Dio. E Dio è intervenuto.

Beh, la casta Susanna, il libro del Profeta Daniele… Il libro del Profeta Daniele è un altro libro bellissimo da leggere: la vita del profeta Daniele è stata tutta una vita di affidamento a Dio, rimettendo il peccatore nelle sue mani. Quindi abbiamo il profeta Daniele che va a finire nella fornace insieme agli altri suoi compagni, e Dio che interviene nelle fiamme e avvolge il profeta Daniele e i suoi tre compagni con la rugiada e passeggia con loro: bellissima questa scena, anche questa è stupenda. E poi l’evento degli eventi, cioè, già quella del fuoco era più che sufficiente, ma poi abbiamo questo evento incredibile e bellissimo che vive proprio il profeta Daniele quando viene gettato nella fossa dei leoni. E un angelo chiude loro la bocca.

Vedete? La fede e l’affidamento, il rimettere la causa nelle mani di Dio, fa intervenire Dio, in modi incredibili che attraversano la storia. Dal profeta Daniele… cioè, quanti secoli e secoli e secoli e secoli e secoli e secoli fa è successo? Ben prima di Gesù; quindi: duemila anni da Gesù e lì… ancora di più. Eppure, è arrivato fino a noi. Noi oggi parliamo del profeta Daniele, leggiamo il profeta Daniele, leggiamo l’opera che Dio ha fatto per salvare il profeta Daniele, che si è rimesso totalmente a lui. Quindi oggi chiunque sa di Daniele e i leoni. Se voi andate da chiunque per strada e gli dite: “Ma tu ti ricordi? Tu sai qualcosa del profeta Daniele che è finito nella fossa dei leoni?”, tutti lo sanno. Tutti, anche chi non sa quasi leggere e scrivere nelle cose di Dio. E così le fiamme, le fiamme del profeta Daniele, stessa cosa: ha rimesso tutto nelle mani di Dio.

Ecco, noi dovremmo imparare a fare così. Dovremmo proprio imparare a dire: “No, io questa via non la seguo, io questa via del grido non la seguo, io questa via del botta e risposta, del ping-pong nel male: tu mi hai accusato, io ti accuso, tu mi hai criticato, io ti critico, tu mi hai attaccato e io ti attacco e mi difendo e vinco umiliandoti”. Invece noi dovremmo dire che non ci interessa, non ci interessa. Questo è quello che fa il mondo, il mondo reagisce così. I pagani, direbbe il Vangelo, reagiscono così, ma non noi. Noi abbiamo un Padre; secondo voi un bambino che cosa fa quando litiga col suo compagno? Va a prendere una spranga di legno e gliela tira su la schiena? No, speriamo di no. Non funziona così, non dovrebbe funzionare così.

Mi ricordo un giorno quando, da ragazzo, ero all’oratorio e stavo giocando. Alcuni compagni hanno preso una fionda e si sono messi a lanciare i sassi, in quel momento passavo e mi è arrivata una sassata in centro alla fronte. Mi ha proprio fatto un solco sulla fronte, ho ancora adesso il segno — me lo sto toccando in questo momento — mi è arrivato un colpo, un male che non vi dico, mi è girata un po’ tutta la testa. E questa cosa mi ha colpito, anche perché non me l’aspettavo, ero lì che giocavo, e questi mi hanno tirato una sassata in testa. Mi hanno fatto male, mi è uscito il sangue, mi hanno tagliato, e io che cosa ho fatto? Io mi ricordo che avevo in mano la palla: ho lasciato andare la palla, mi sono messo la mano alla testa, l’ho tolta e ho visto tutta la mano sporca di sangue… ma neanche sono andato dal nostro sacerdote, dagli educatori, niente! Appena vista questa cosa, ho fatto tutto il tragitto a piedi, correndo, per andare a casa. La mia casa distava un pochino dall’oratorio e quindi mi sono preso il fazzoletto, me lo sono messo sulla fronte e sono corso a casa. È l’ultima cosa che avrei dovuto fare, perché se avessi avuto una commozione celebrale, sarebbe stata l’ultima cosa da fare, mettermi a correre per tornare a casa col trauma cranico e con il sangue che mi colava… — vabbè, sapete… da ragazzi — e quindi sono scappato a casa. Immaginatevi, ero uscito per andare all’oratorio la domenica tranquillo come tutti, arrivo in casa con tutto il sangue che mi colava sulla faccia, il fazzoletto sporco di sangue, le mani sporche di sangue. Immaginatevi i miei genitori, che vedono un figlio arrivare in casa con una maschera di sangue sulla faccia, no? Poi ero spaventatissimo, mi sono spaventato e quindi vabbè, alla fine mi hanno pulito, mi hanno sistemato, mi hanno medicato e finalmente hanno scoperto che è successo; quindi, immediatamente il mio papà ha preso la macchina, è andato all’oratorio per dire: “Ma cosa state facendo? Cosa è successo? Ma come mai?”. Eh, ma capite: la mia reazione da ragazzo, da bambino, è stata quella di prendere e andare dal papà e dalla mamma, non dire: “Mi hai tirato un sasso in testa, benissimo, adesso io prendo un sasso e te lo tiro anch’io sulla testa”. Oppure: “Ti rincorro e ti riempio di botte”. No. Si corre dal papà e si affida al papà e alla mamma, si affida ai propri genitori la propria causa: “Mi è successo, mi hanno fatto questo”, basta, questo è sufficiente, perché so che il papà e la mamma, che hanno la somma cura di me, sapranno anche il modo migliore per sistemare questa cosa, da tutti i punti di vista.

E così dobbiamo fare noi con il padre, con Dio Padre, ancora di più. Quindi: mi arriva la sassata, vado da Dio Padre e dico: “Guarda, è successo così. Pensaci tu. Fai tu, intanto io sto qui, davanti al tuo tabernacolo, davanti al tuo crocifisso, per chiederti di medicarmi la ferita. E di fare in modo che non sia una ferita mortale”.

Umanamente la tentazione di farsi giustizia — dente per dente — è fortissima, fortissima. Però non è la via giusta, non è la via di Gesù. Quindi, affidiamo sempre tutto Gesù, esprimiamo così il nostro vincolo della comunione a Lui e testimoniamo la nostra libertà.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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