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La Croce condivisa – L’abbandono dei Tabernacoli accompagnati, S. Manuel González pt.23

L’abbandono dei Tabernacoli accompagnati - San Manuel Gonzales Garcia

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: La Croce condivisa – L’abbandono dei Tabernacoli accompagnati, S. Manuel González pt.23
Venerdì 12 aprile 2024

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Gv 6, 1-15)

In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».
Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a venerdì 12 aprile 2024. 

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal sesto capitolo del Vangelo di san Giovanni, versetti 1-15.

Oggi è un giorno particolarmente bello e importante perché il 12 aprile 1947 avveniva l’apparizione della Madonna della Rivelazione, che si trova a Roma. C’è una bellissima preghiera alla Vergine, scritta da Bruno Cornacchiola nella sala delle suore francesi alle ore 11:00 mentre esse erano in ritiro spirituale a via Principe Amedeo. La storia dell’apparizione della Vergine della Rivelazione e la storia di Bruno Cornacchiola ovviamente non posso io qui sintetizzarvela perché è bellissima, è densissima e quindi non mi è possibile: rimando a voi di andarla a riprendere. C’è anche una un’altra bella preghiera che fu dettata, invece, proprio dalla Vergine della Rivelazione a Bruno Cornacchiola. Alla fine della meditazione di oggi, se riesco, se c’è tempo ve la leggo. Non è molto lunga, vediamo, se riesco ve la leggerò, sennò anche questa la potete trovare.

Oggi è anche il quarto dei 15 venerdì del Sacro Cuore e oggi siamo chiamati a pregare per la conversione dei peccatori; sapete che poi c’è questa bella pratica di recitare ogni giorno cinque Pater Ave e Gloria in onore delle cinque piaghe di Gesù con l’intenzione che formuliamo il venerdì di quella settimana. Quindi oggi, formuliamo l’intenzione di convertire i peccatori: per una settimana, fino a venerdì prossimo pregheremo i cinque Pater Ave e Gloria alle cinque piaghe di Gesù con questa intenzione, sempre così. 

Adesso andiamo a prendere il nostro bellissimo libro, che tratta la storia di San Manuel González e dei Tabernacoli abbandonati. Ritorniamo adesso a prendere in mano il libro che avete anche voi, siamo a pagina 28. Torniamo alla restante parte della biografia, e quindi vedremo la consacrazione a vescovo, le persecuzioni e la malattia.

Nell’estate 1915 ricevette una lettera da parte del nunzio apostolico in Spagna, l’arcivescovo Francesco Ragonesi (1850-1931). Lo informava che lo avrebbe proposto come vescovo ausiliare della diocesi di Malaga. La notizia lo gettò in grande apprensione, perché non voleva diventare vescovo. La cattedra episcopale di Siviglia era occupata a quel tempo dal cardinale Enrique Almaraz y Santos (1847-1922), il quale non si mostrò contento della preannunciata nomina. — quindi, il cardinale di Siviglia non è d’accordo con il nunzio apostolico, non gli piace che don Manuel diventi vescovo — Don Manuel, allora, spiegò che era stato costretto ad accettare, perché gli avevano detto che era volontà di Papa Benedetto XV di nominarlo vescovo. Per dimostrare la sua buona fede, firmò un foglio in bianco e lo consegnò all’arcivescovo, dicendogli che vi avrebbe scritto la rinuncia immediata all’episcopato, qualora il cardinale non fosse stato d’accordo. Allora l’arcivescovo comprese la sua buona fede e la sua umiltà e dette il beneplacito. Ottenuto il consenso del cardinale, non restava che attendere la decisione ufficiale, che arrivò il 6 dicembre 1915, quando il Papa lo nominò vescovo titolare di Olimpo e, al contempo, ausiliare di Malaga. Il giorno successivo ricevette il telegramma da parte della Santa Sede e, il 16 gennaio 1916, venne ordinato vescovo nella cattedrale di Siviglia dal cardinale Almaraz y Santos (quello che non lo voleva).

Ecco, queste sono le cose che fanno i santi: lui aveva già non solo la benedizione, ma la volontà esplicita del Papa che lo nominava vescovo, quindi più di così… ma don Manuel vuole anche la benedizione del cardinale di Siviglia e quindi firma un foglio in bianco e lo consegna all’arcivescovo: è pronto a rinunciare, se non ha questa benedizione. A noi possono sembrare cose strane, in realtà è esattamente il modo nel quale un santo si comporta. Vedete, quando le cose vengono da Dio, nessuno si può opporre. Quando Dio vuole una cosa quella cosa si fa, e questo è un esempio.

Nel marzo 1916 cominciò la visita pastorale alle parrocchie cittadine che poi egli estese a quelle di tutta la diocesi. Quando arrivava in una parrocchia, — sentite — il suo interesse principale era che il Santissimo Sacramento avesse la degna lode e il giusto posto nella vita comunitaria e personale.

Questa è la prima cosa: «il Santissimo Sacramento avesse la degna lode e il giusto posto», dove? Nella vita comunitaria nella vita personale; quella parrocchia doveva essere una parrocchia eucaristica. 

Del resto, lui cosa ha fatto nella sua parrocchia di Huelva? Questo. Quindi quello che da parroco ha fatto in una parrocchia, adesso, da vescovo, lo estende a tutte le parrocchie. Tutte le parrocchie devono essere così, perché in quella parrocchia ha sperimentato questo protocollo, ha sperimentato questo format ed è l’unico che funziona, l’unico giusto, l’unico vero, quindi adesso, come vescovo, decide che deve essere così per tutte le parrocchie e per tutti i parrocchiani, perché è la vita comunitaria e personale, e di tutti i sacerdoti.

Poi si occupava che venisse ben impartito il catechismo e vi fosse un’adeguata struttura scolastica per l’educazione delle nuove generazioni.

Questo dopo: catechismo e scuola. Vedete, una volta che questo santo sacerdote — adesso santo vescovo — ha messo al centro Gesù Eucaristia, tutto il resto viene giù, a seguire, viene sotto. 

Mettiamo il Santissimo Sacramento al Suo posto: in chiesa, nella comunità, nella vita personale; chiarito questo, a seguire: catechismo e scuola, fede e cultura. 

Quando uno va, cresce, sta alla scuola del Tabernacolo, diventa un maestro di tutte le arti; incredibile! 

«Molti episodi, racconta il biografo Gori, si potrebbero raccontare, ma quello che più lo faceva soffrire erano le calunnie che mai gli mancarono. Perfino alcuni canonici del Capitolo si misero contro di lui. D’altra parte, l’essere vescovo, cioè successore degli apostoli, lo spingeva per primo a sacrificarsi senza sosta per il bene dei suoi fedeli e perciò ogni difficoltà, sofferenza od ostacolo li viveva come un’occasione per santificarsi».

E qui fermiamoci un attimo. Diventa vescovo, ma, capite, lo diventa dopo un’esperienza pastorale come parroco di quel genere, dopo la conferenza che io vi ho letto che ci ha impegnato diversi giorni. Tutti sapevano come viveva questo consacrato di Dio, tutti lo sapevano, dai fedeli ai sacerdoti, ai vescovi. Questo era un uomo di Dio, questo era un uomo eucaristico, conduceva una vita santa. Ora, per quale motivo i canonici del capitolo si mettono contro di lui?

Dovete sapere che i canonici del capitolo sono proprio i sacerdoti che vengono scelti per stare più vicino al vescovo, quelli che si ritrovano col vescovo a pregare l’Ufficio divino, e quindi pregano insieme in cattedrale, pregano insieme almeno le Lodi, l’Ufficio delle letture e il Vespro, poi c’è la messa capitolare… quindi non è che tutti i sacerdoti fanno parte del capitolo, sono scelti alcuni, quelli che vengono reputati, diciamo così, più degni, più capaci, più adeguati a stare, a vivere in arcivescovado con il vescovo, o comunque nelle zone limitrofe, in modo tale che possono raggiungere velocemente la cattedrale, perché ogni giorno sono chiamati insieme a vivere nel capitolo questi momenti che vi ho detto.

Perché dunque i canonici si mettono contro di lui? È un parroco santo, è un vescovo santo, che prega, che si sacrifica, che si offre, che si dà… perché si mettono contro di lui? Perché arrivano a calunniarlo? 

A mio giudizio la risposta è questa: perché loro non sono santi. Spieghiamo meglio cosa vuol dire: avere a che fare con un santo può essere una grazia o può essere una dannazione. Don Abbondio, nei Promessi sposi, spiega molto bene questa cosa: la vicinanza del cardinale Borromeo per don Abbondio è un tormento peggio delle fiamme del fuoco. Don Abbondio non sopporta il cardinale Borromeo, e don Abbondio ha chiaramente davanti agli occhi e alla sua coscienza la certezza — perché lo dice — che ha a che fare con un santo e dice anche: “Che tormento che sono questi santi! Non gli basta tormentare gli altri, tormentano anche se stessi!” E continuano a tormentarsi e tormentarsi perché sono persone inquiete, sono persone che continuamente cercano la perfezione, che continuamente cercano il meglio. Quindi sono persone che tormentano gli altri, perché gli altri, invece, vogliono vivere quieti e tranquilli come i pesci gatto dentro agli stagni. I santi, invece, sono gli uomini del mare, gli uomini delle onde, le aquile che volano altissime… ma chi santo non è, allora si comporta come le galline. E Don Abbondio non sopporta il cardinal Federigo.

Mentre l’Innominato, dopo l’incontro, diventa un suo fedelissimo figlio; addirittura l’Innominato dice: “Per me sarà già una grazia poter tornare e mettermi qui fuori sul suo zerbino — sto parafrasando — e mettermi lì come un cagnolino. Mi basterà quello: sapere che lei è lì e io sto lì fuori”. Ricordate l’abbraccio bellissimo del cardinale con l’Innominato quando lui si pente, si converte, lo abbraccia; il Manzoni descrive questo momento incredibile in cui piange sulla spalla del cardinale; andate a leggere quelle pagine perché io non posso, non sono capace assolutamente di rendervi la poesia, la meraviglia, lo stupore, l’arte letteraria del Manzoni che descrive questo momento dell’Innominato che incontra il cardinale. Ma se non sei l’Innominato, se non sei fra Cristoforo — Lodovico che diventa fra Cristoforo — il cardinale Federigo è un tormento. E allora calunnia, e allora persecuzione.

Alcuni canonici del capitolo, ovviamente non tutti, si mettono contro il vescovo. Pensate che cosa anti-evangelica, che cosa terribile: io, canonico del capitolo, io, sacerdote, calunnio il mio vescovo, successore degli apostoli, lo calunnio e mi metto contro di lui; non so come si possa stare in pace davanti a Dio facendo una roba del genere… Eppure si fa, eppure l’hanno fatta. E questo — racconta il biografo — è quello che lo faceva soffrire di più. Certo, perché il vescovo si domanda e dice: “Ma perché? Ma perché non possiamo lavorare insieme?” E lui poverino sicuramente, magari si sarà anche dato la risposta, ma uno la domanda se la pone: “Perché non possiamo lavorare insieme? Perché queste calunnie, perché questo astio, perché questo remare contro, perché questo odio? Perché, cosa ho fatto di male? Che non faccio altro che parlare dell’Eucarestia, portare all’Eucarestia, cercare di far crescere tutti nella santità… come vescovo cosa ho fatto di male?”

Eh, appunto, hai fatto questo. Il punto è che stai facendo questo. Questo mettere Gesù Eucarestia al centro, e il tuo mettere la Vergine Maria subito dopo, scatena il peccato che c’è dentro di noi. Perché il nostro peccato, se non lo vogliamo guarire, sanare e rinnegare si sveglia, si ribella, si infuria contro la santità; dice: “io non voglio, io voglio essere lasciato stare — come don Abbondio — voglio essere lasciato in pace! Io sto bene così, perché mi devi tormentare?”

Ricordate quando Gesù fa gli esorcismi, cosa dice il demonio? “Tu sei venuto qui per tormentarci”. È questo il punto: la presenza di Gesù, e, a seguire, di tutti coloro che portano lo spirito di Gesù, di tutti i suoi discepoli, di tutti i suoi apostoli — quelli veri — è un tormento per i demoni! Lo dicono loro, è scritto nel Vangelo: “noi sappiamo perché tu sei qui, noi sappiamo chi tu sei, tu sei qui per tormentarci”. Perché il Signore non li lascia lì, il Signore li tira via, li tira fuori dalle persone, libera le persone, se lo vogliono. Ma, ovviamente, se non lo vogliono allora diventano, a loro volta, partigiani, ministri del peccato dell’homo inimicus. Invece di essere sacerdoti di Gesù, diventano sacerdoti dell’homo inimicus. E quindi: persecuzioni e calunnie contro i santi, esattamente come è stato fatto con Gesù durante la sua passione, uguale!

Noi, poi, quando muoiono i santi, andiamo a prendere le reliquie, andiamo a prendere le stoffe, andiamo a prendere il pezzo delle reliquie… dopo! Certo, se sei nato dopo va bene, ma magari per chi è nato lo stesso tempo, perché non lo vai a cercare prima? Invece di andare a cercare i pezzi di stoffa, aiutalo prima, stagli vicino prima, vai a parlargli prima.

E quindi poi san Manuel — dice il biografo — è spinto — come sempre — “a sacrificarsi senza sosta, e ogni ostacolo, ogni sofferenza la viveva come un’occasione per santificarsi”. Esatto, è un portare la croce; noi nella nostra vita dobbiamo imparare a portare la croce. Uno dice: “la nostra?” no, quella di Gesù, noi dobbiamo imparare a portare la croce di Gesù. Uno dice: “Ma come faccio portare la croce di Gesù?” 

Nel tempo della sua Passione, c’è stato un pezzo della Via Crucis in cui qualcun altro ha portato la croce di Gesù, ha aiutato Gesù a portare la croce: Simone di Cirene. Ma è stato costretto, non l’ha fatto volontariamente, attenzione, è questo il punto. Simone di Cirene, che noi chiamiamo “il cireneo, quello che aiutato il Signore” l’ha fatto sotto costrizione dei romani. Andate a leggere cosa dice Gesù ai mistici di questa figura di Simone di Cirene; non dice cose belle ai mistici, perché sì che l’ha portata, ma non perché lo voleva, non ha portato quella croce con amore, non è stato vicino a Gesù con amore, attenzione!

Noi invece dobbiamo imparare a portare la croce di Gesù come l’ha portata Gesù, come la porta Gesù. Noi non dobbiamo far cadere Gesù sotto la croce, perché ci dobbiamo essere noi. E perché questo non accada, perché Gesù non cada sotto la croce, dobbiamo essere noi, che quando la croce si fa particolarmente pesante, dobbiamo portarla più noi che lui. Dobbiamo in alcuni momenti “sostituirci a lui”, cioè dire “Gesù, ci sono io, tu sei talmente conciato che la porto io per un pezzettino” — e sentiremo tutto il peso di questa croce — “tu però non cadere”. Anzi, noi dovremmo dire a Gesù: “Guarda, la porto io un pochino la tua croce, però, io non sono in grado di portarla, io non sono te, allora facciamo così: io porto un po’ la tua croce, non tutta, non sempre, perché io non sarei capace di farlo, però un pochino posso, ma ad una condizione, che tu mi dai la forza per farlo. Se tu mi dai la forza per farlo io ci metto tutta la mia buona volontà, però tu mi devi dare la forza per reggerla, perché è solo con la tua forza che io la posso portare”. 

Gesù, secondo me, dirà subito: “Te la do io la forza, però sentirai tutto il peso. Io ti do la forza, però sappi che non ti sarà risparmiato il peso della croce”. 

Allora a quel punto noi potremmo fare un passo in più e dire: “Senti Gesù, allora facciamo così, abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno: io porto un po’ la tua croce, perché tu mi dai la forza per farlo; tu però non cadere. Se io posso portare la tua croce perché tu mi dai la forza a novanta, allora fai così: dammi la forza a mille, così io porto la tua croce e porto anche te. Tu attaccati a me!”. 

Qualcuno magari dirà: “Padre Giorgio ma cosa sta dicendo? Ma che follie sta dicendo? Noi che portiamo la croce e portiamo anche Gesù! Ma padre Giorgio è impazzito?” No! Andate a leggere i santi, andate a leggere i mistici, andate a leggere cosa dice Gesù.

“Porto la croce e porto anche te. Scusami, tu non puoi darmi la forza per farlo? Tu non sei Dio? Tu non sei l’onnipotente? C’è qualcosa che è impossibile a Dio? No, l’hai detto tu: nulla è impossibile a Dio. E allora? Tu non mi puoi rendere la forza cento volte quella che hai reso a Sansone? Certo che lo puoi fare! Posso portare tutto quello che tu vuoi, io ci metto la mia buona volontà, sono pronto a pagare le conseguenze di questa cosa, però tu dammi la forza”.

Ma voi pensate proprio a questa scena: voi che prendete la croce su un lato — con la forza che viene da Gesù — e sull’altro prendete Gesù e tirate su tutti e due insieme. Fate il vostro pezzo di cammino con Gesù che si appoggia a voi per essere portato, per riposare… ma immaginatevi questo momento quando pregate; immaginatevi che il vostro volto si gira di qualche centimetro e lì accanto vedi il volto di Gesù. Magari vedi lo sguardo di Gesù che si gira, che ti guarda tutto insanguinato, tutto trafitto, tutto tumefatto, tutto irriconoscibile… però ti guarda: riesci a scorgere in mezzo a tutto quel sangue, tutta quella terra, quegli sputi, la sua pupilla che ti fissa, che ti fissa grata, che ti fissa come la pupilla di un moribondo che riceve un atto d’amore, che riceve un compatimento. Ma pensate! Magari sentirete anche qualche spina della sua corona che vi punge il volto o la spalla. Solo che a voi punge un po’ il volto e la spalla, a lui sta trapassando la testa e gli occhi.

Se voi ci credete, se voi lo volete, se voi lo amate, lo potete fare. Sicuramente il Signore vi dà la forza per farlo. Ovviamente la vita cambia: quello diventa il centro, quello diventa il tutto. Ecco, vedete il vescovo che subisce le calunnie ma è pronto a sacrificarsi, è pronto a sopportare ogni sofferenza e ostacolo come occasione di salvezza. Cambia completamente tutto l’impianto.

Ci fermiamo qua. Adesso mi sembra proprio che sia il momento opportuno per leggere insieme questa bellissima preghiera dettata dalla Vergine Maria a Bruno Cornacchiola: 

«Madre Santa, Vergine della Rivelazione, fai che il fiume della misericordia di Dio Padre, i rivi di Sangue preziosissimo di Gesù, i raggi infuocati dello Spirito Santo possano accompagnarmi, per Tuo mezzo, in questa via del mondo di peccato, che solo percorriamo nella nostra corta esistenza carnale, per essere, nell’apprensione dell’amore divino, trasformati a somiglianza di Gesù nostro Salvatore e Fratello nei piani d’amore, e come Te che vivi nei Cieli, col Padre, nella gloria celeste». Amen

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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