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P. Florenskij: l’Amicizia – III parte

Florenskij

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di martedì 27 aprile 2021

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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P. FLORENSKIJ: L’AMICIZIA PARTE III

Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato.

Eccoci giunti a martedì 27 aprile 2021, abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal cap. X, versetti 22-30 di San Giovanni. È un Vangelo che ci richiama la storia di sempre: o si crede o non si crede. Quando non si crede tutte le domande, tutte le prove, tutti i miracoli, tutti i discorsi, tutti i ragionamenti, tutte le logiche, non hanno alcun valore, non servono a niente perché chi non crede troverà sempre mille ragioni per non credere e chiederà sempre mille prove per credere. Ma non sono le prove che autorizzano il credere, sono discorsi inutili, ecco perché Gesù dice:

“Ve l’ho detto, e non credete”

Quindi che cosa autorizza il credere? C’è lo dice Gesù in questo Vangelo:

“Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.”

Il credere è autorizzato dall’appartenenza, dell’essere sue pecore. Se siamo sue pecore allora ascoltiamo la Sua Voce, Lui ci conosce e noi lo seguiamo, perché abitiamo nella sua mano, noi siamo dentro la sua mano e questo ci è di grandissima consolazione. Il Vangelo è sempre di grande consolazione anche quando ci rimprovera, anche quando ci corregge.

Andiamo avanti con questo bellissimo testo sull’amicizia, di Pavel Florenskij, perché abbiamo bisogno di crescere nell’amicizia tra noi, ma forse abbiamo bisogno di crescere anche nell’amicizia con Gesù, e non è cosa da poco. Abbiamo visto ieri questa frase:

“Il comandamento fondamentale dell’amicizia è la fedeltà, l’indissolubilità stretta come nel matrimonio, l’incrollabilità fino all’ultimo, fino «all’effusione del sangue del martirio», e tutta la forza dell’amicizia sta nell’osservare questo comandamento.”

Mi chiedo se noi ci siamo mai pensati amici di qualcuno in questi termini? Qual è l’esperienza ordinaria che si fa in riferimento all’amicizia? Qual è l’esperienza che ha ricevuto Gesù in riferimento all’amicizia? E noi che cosa diamo quando ci diciamo amici?

Persino dentro al matrimonio, (luogo per eccellenza dove vive l’amicizia, perché se marito e moglie non sono amici, non si capisce bene perché si siano sposati) di norma, frequentemente accade, che il sentimento che aleggia, che tinge un po’ tutto è il dubbio, il sospetto, tradotto: “Io ti voglio bene, però…” (Non uso il “ti amo” perché è difficile dirlo).

Se ti voglio bene non deve esserci il “però”. Se c’è il “però”, vuol dire che non ti voglio bene. Voler bene non ammette dubbi, ancor di più se dico di amare. Noi invece una riserva l’abbiamo sempre: “Magari mi frega…magari cambia idea…magari mi usa…”

Gesù non è così. È difficile vivere l’amicizia quando si percepisce questa atmosfera di sospetto, di dubbio che ad ogni piè sospinto poi emerge, bussa e si fa sentire. Fedeltà vuol dire fedeltà, vuol dire che non tradisco, vuol dire che non guardo altrove. Un’amicizia se finisce è perché non c’è mai stata, un’amicizia è eterna, quindi o c’è per sempre, o non c’è mai stata. E noi, prima di dirci amici, dovremmo conoscerci bene perché bisogna vedere se siamo veramente fatti l’uno per l’altro e se possiamo condividere questo ideale supremo dell’amicizia.

“L’indissolubilità stretta come nel matrimonio”

Addirittura, Florenskij la paragona al matrimonio: l’amicizia non può essere rotta come se niente fosse, l’amicizia quella vera.

“L’incrollabilità fino all’ultimo, fino «all’effusione del sangue del martirio»”

Quando sento parlare del ricevere l’Eucarestia, da sempre e adesso ancora di più, tranne qualche rarissima volta, quando c’è una realtà che dice che è meglio non fare certe cose a determinate condizioni, perché non è opportuno, non è il momento, oppure perché a quelle condizioni è meglio di non farla, io sento sempre questa frase come risposta: “Ma io..”. E con il “ma” noi abbiamo annullato tutto ciò che sta prima. “Ma io…ho bisogno dell’Eucarestia”. Esplicitiamo meglio il concetto, come se lo dicessimo ad una persona: “Ma io…ho bisogno del tuo corpo”. Voi come reagireste di fronte ad una frase del genere?

Mi nasce un’altra domanda: dove c’è un bisogno così forte, noi come facciamo a sapere se ciò che io faccio, lo faccio in nome dell’amore o del bisogno? Come faccio a essere sicuro che tutto ciò che io sono per l’altro, è in funzione dell’amore che ho per lui e non del bisogno che ho di lui? Trovo questo ragionamento profondamente triste. “Io ho bisogno di…” Se “io ho bisogno di…” tutto è ammesso, pur di raggiungere il mio bisogno. Se io ho bisogno di bere posso resistere un po’, poi alla fine faccio qualunque cosa pur di non morire di sete e la stessa cosa se ho bisogno di mangiare. L’esperienza dei campi di concentramento ci insegna tante cose su questo, per il bisogno assolutamente giusto di dover mangiare e di nutrirsi per non morire, non pochi si sono ridotti a fare cose che un essere umano neanche pensa che possano accadere, nel nome del bisogno. Quindi in nome del mio bisogno spirituale, i diritti dell’Altro saltano e vanno in secondo piano, perché ciò che conta sono i miei diritti. Non ci sono doveri per chi vive nella logica del bisogno. “Io ho bisogno di… quindi lo prendo”.

Il fatto che quelle realtà siano a mia disposizione, mi autorizza a farne quello che voglio e quando voglio? Mi autorizza a oltrepassare la forma? Esiste un contenuto senza forma? Non è che la forma incide sul contenuto? Non è che io attraverso la forma dico il contenuto?

Se è così è un problema. “Io ho bisogno di…” non è una ragione sufficiente per fare come voglio. Non è una ragione che può sostenere una scelta perché noi non siamo dipendenti dai nostri bisogni. Tanto che San Massimiliano Maria Kolbe è talmente indipendente dai suoi bisogni primari, inalienabili, che lui muore pur di non esercitarli a qualunque costo, e, come lui, molti altri.

Se ciò che ci muove è il bisogno, possiamo dire che siamo fedeli a Dio? Come e quanto si può realizzare la fedeltà dentro ad un bisogno? Ci può essere gratuità nel bisogno?

Sono domande che vi lascio, alle quali siamo tutti invitati a riflettere, perché mi sembra che Gesù abbia diritto ad un trattamento speciale, abbia diritto ad essere trattato con cura.

“Il comandamento fondamentale dell’amicizia è la fedeltà”

Io devo essere fedele a te, quindi non posso fare qualunque cosa voglio perché io “ho bisogno” di qualcosa. Una persona proprio ieri al telefono mi diceva: “Ma io ho bisogno di…”. E io ho risposto: “Non le sembra che questo sia egoismo?”. Dei bisogni di Dio chi se ne occupa? Chi li pensa e li riflette quando prende una decisione? Qualcuno dirà che non si può pensare al bisogno nella realtà di Dio. Allora andate a leggere quello che Gesù dice a Santa Faustina, a Santa Teresa di Gesù, a Santa Caterina da Siena, a San Giovanni Bosco, a San Francesco, a San Benedetto e molti altri. Andate a leggere questi testi, poi mi verrete a spiegare se c’è o non c’è il bisogno. Il fatto che sia un bisogno che ha una connotazione diversa perché è divino, questo non vuol dire che non sia un bisogno, che non sia la richiesta del riconoscimento dei propri diritti.

Di Dio e dell’altro chi se ne occupa? Che non è semplicemente do un panino da mangiare all’uomo e dico tre Ave Maria la sera e al mattino per Dio. Questo non è fedeltà e risposta al bisogno altrui. È molto più complessa la cosa.

Bello sarebbe sentir dire: “Avrei voluto fare questa cosa ma non l’ho fatta per fedeltà a Dio, per fedeltà a quella persona. Avrei tanto desiderato ma non l’ho fatto per non mancare di rispetto e fedeltà a…” Perché, sapete, il rispetto esiste ancora.

“Molti sono gli allettamenti a rinunciare all’amico, molte le tentazioni di rimanere soli o di allacciare nuovi rapporti. Ma chi ne ha troncato uno, troncherà anche il secondo e il terzo, perché al cammino ascetico ha sostituito la ricerca delle comodità dell’anima, che non si possono e non si devono cercare in nessuna amicizia.”

Sono parole di una verità incontestabile. Noi siamo sempre tentati di rinunciare all’amicizia che abbiamo stipulato con… che abbiamo sancito con… E questo si realizza innanzitutto con Dio, sono tanti gli allettamenti che ci spingono a rinunciare all’amicizia con Gesù.

“Sa Padre, io avevo cominciato a… ma poi avevo tutti contro, tutti mi dicevano che sbagliavo, tutti mi perseguitavano, mi urlavano e quindi alla fine…ho fatto come fanno tutti.” Basta così poco per rinunciare all’Amico? Basta così poco per tradire il proprio Amico? Basta così poco per abbandonarlo?

Chiamiamo per sciocchezze, mandiamo messaggi per stupidaggini, mandiamo mail con mille parole inutili su questioni che potremmo andare a chiedere all’amico di quartiere o a risolvere con il sacrestano — con tutto il rispetto per loro, nel senso che non serve andare a disturbare chissà chi — ma per questioni che riguardano Dio, non ci muoviamo a chiamare e a chiedere. C’è di mezzo l’onore di Dio, la gloria di Dio: la mia decisione si andrà ad impattare su questa cosa, come è meglio fare? Figuriamoci se andiamo a chiedere. Ma se abbiamo bisogno delle nostre cose sappiamo andare nelle gambe del diavolo. Questo perché a parole diciamo che Gesù è nostro amico, ma nei fatti non lo è. Troppe, tante altre cose vengono prima di Lui.

Qualcuno ieri mi ha fatto leggere un testo di una serva di Dio, di una venerabile, la Piccareta (non dogma di fede), e lo stesso concetto era riportato nell’Imitazione di Cristo (testo importante e affidabile), dove si diceva che non bisogna tralasciare a cuor leggero di fare la Comunione e che è una colpa grave tralasciare di fare la Comunione per vani motivi. Quindi mi si viene a riferire che qualcuno usa queste espressioni di questi testi per dire: “Bisogna sempre fare la Comunione, e se adesso la Comunione viene data solamente in mano, bisogna farla sempre in mano, perché non devi tralasciarla per vani motivi.”

Ma abbiamo perso la logica? Abbiamo perso il bene dell’intelletto?

E i sostenitori di questa posizione aggiungono questo: “Perché se anche è sbagliato ricevere la Comunione in mano, o se anche io non voglio riceverla in mano, sta di fatto che siccome obbedisco ai Sacerdoti e ai Vescovi, allora la responsabilità è tutta loro e io non ho nessuna responsabilità, perché io obbedisco a loro e quindi io in coscienza sono a posto”

Io penso che probabilmente questo Covid ci abbia fatto saltare le sinapsi del cervello. Cosa c’entrano questi ragionamenti con questa realtà? Sono fuori tema. Provo a spiegare l’ovvio. Partiamo dalla citazione della Piccarreta o dell’Imitazione di Cristo:

“Non bisogna tralasciare l’Eucarestia per vani motivi” Ma i vani motivi quali sono?

“Non bisogna tralasciare l’Eucarestia a cuor leggero” Ma quali sono le cose a cuor leggero che fanno tralasciare l’Eucarestia?

Volete degli esempi? “Devo andare dalla parrucchiera e quindi salto la Messa. Arrivano gli amici e quindi non vado a Messa la domenica. Stamattina ho tanto sonno non mi alzo e non vado a Messa.” Questi sono vani motivi, motivi assolutamente futili.

Il precetto della domenica chiede che io vada a Messa non che io faccia la Comunione. La Chiesa, addirittura, dice che è la Comunione è richiesta almeno a Pasqua, una volta all’anno. La Chiesa ha pensato che per il bene di un fedele è sufficiente la Comunione una volta all’anno, a Pasqua. Viceversa c’è l’obbligo della Messa (ma non della Comunione) tutte le domeniche (terzo comandamento).

Io vado a Messa tutti i giorni, e faccio la Comunione Spirituale. È riconosciuta? È lecita? Studiate il catechismo. Certo che è riconosciuta, si chiama Comunione Spirituale, l’altra si chiama Comunione Sacramentale.

Qual è il termine che è invariato nelle due espressioni? Comunione. Vuol dire che in entrambe le situazioni io faccio la Comunione, in una in modo spirituale, nell’altra in modo Sacramentale.

È la stessa cosa? No, perché sono due forme diverse, ma comunque entrambe ottengono la Comunione. Faccio comunione con Dio in due forme diverse. La mia penna le scrive da sola queste cose tanto che le ho ripetute. Ma come il vangelo di oggi, se non le capiamo è perché forse non apparteniamo, mi viene da pensare a questo, perché forse non ci interessa vivere con una rettitudine interiore profonda, radicale e fedele fino al sangue, come dice Florenskij.

Se per ragioni legate alla mia coscienza — che sono inviolabili e nessuno può permettersi di entrare nel santuario della coscienza di un uomo, nessuno può andare a sindacare quello che avviene nella coscienza di un uomo — per ragioni, dicevo, decise, valutate, pesate, dopo aver fatto discernimento davanti a Dio, e con il consenso del mio Confessore, se decido in libertà di coscienza di non andare a ricevere l’Eucarestia per varie ragioni, qualunque esse siano, questo non è un futile motivo. Ma vi sembra un futile motivo?

Paragoniamo questa cosa con: “Salto la Comunione perché non mi sveglio in tempo al mattino per andare a Messa perché ho sonno. Non vado a Messa perché devo andare dalla parrucchiera”. Sono due galassie completamente diverse!

Decidere di non fare la Comunione sacramentale per non riceverla in mano… Questi non sono futili motivi! Questi sono motivi gravissimi, che riguardano la coscienza di un uomo che è alla Messa, che va alla Messa, ma che decide per motivi gravi di coscienza di non accostarsi al Sacramento dell’Eucarestia nella forma sacramentale e decide di fare la Comunione spirituale.

Ma chi sono io per dare consigli? Chi sono io per obbligare? Mai la Chiesa ha obbligato i fedeli ai Sacramenti. Mai. La costrizione annulla la validità, rende quella realtà invalida, perché Dio per primo rispetta la libertà dell’uomo. E non devo rendere conto a nessuno di quello che faccio in coscienza.

“Perché non fai la Comunione?” “Per motivi miei. A te non deve interessare, non è un tema di cui ti devi preoccupare.” Qualunque sia la ragione, se la mia coscienza mi dice di no, dovrò rendere conto della mia coscienza davanti a Dio, non di quello che pensano gli altri.

Parliamo poi del tema dell’obbedienza. Qui abbiamo raggiunto la follia.

“Devi fare la Comunione per obbedire ai Vescovi”

Dov’è che i Vescovi hanno scritto che noi dobbiamo fare la Comunione per forza? Non è scritto da nessuna parte, se l’è inventato qualcuno. I Vescovi, alcuni Vescovi, hanno semplicemente detto: “In questo tempo, per queste ragioni, oggi, la Comunione la si riceve in questo modo”. Il fatto che abbiano detto: “Si riceva in questo modo” non vuol dire che io sono costretto a fare la Comunione. Vuol dire solo che se la faccio, me la danno in quel modo, ma io posso anche dire che non la faccio. Sono libero, nessuno obbliga nessuno!

“Se tu non la fai disubbidisci ai Vescovi” Ma siamo impazziti?

Per disobbedire ci deve essere un decreto, un testo scritto che dica che i fedeli sono obbligati a ricevere la Comunione. Ma questo non è scritto da nessuna parte, c’è solamente l’indicazione sulla modalità di ricezione dell’Eucarestia, la modalità, non sull’obbligo di riceverla. Nessuno può obbligarmi a fare la Comunione, perché nessuno sa in coscienza come sto. Io posso anche non fare la Comunione perché sono in peccato mortale, perché sono in un momento di oscurità interiore, perché sono in un momento di litigio col Signore, sono tante le ragioni. È la mia coscienza inviolabile e nessuno si è mai sognato di violarla.

Non dimentichiamoci di San Tommaso Moro, morto per aver deciso di non firmare un documento che avrebbe sancito il suo tradimento alla Chiesa, al Papa e al Vangelo di Gesù Cristo, per un capriccio del Re, che voleva misconoscere il precedente matrimonio e sposarsi con un’altra. Quando gli hanno detto: “Guarda che tu sei l’unico in tutta l’Inghilterra che non vuole firmare questo documento”, lui ha risposto: “Io non sono solo, non ho firmato e sono in compagnia di tutti i Santi, le Sante, i martiri, le martiri e gli angeli del Cielo. Non posso firmare perché in coscienza non mi sento di firmare”. Andate a leggere le sue lettere dalla torre. Non ha importanza che tutti gli altri lo abbiano fatto.

Attenzione a fare il ragionamento: “Io obbedisco, io non lo farei mai, ma siccome hanno detto che…io obbedisco. La responsabilità è tutta loro”. No. Non funziona così. Questo è molto disonesto, altrimenti San Tommaso Moro è morto per niente. Ciascuno di noi risponde di sé, non degli altri.

Questo ragionamento lo ha fatto già qualcuno a Norimberga un po’ di anni fa, ma non ha retto, è stato condannato per crimini contro l’umanità. Tu non puoi dire: “Io non volevo sparare ma ho sparato per obbedire agli ordini, non ho responsabilità”.  Tu hai sparato, tu hai deciso di obbedire e tu hai premuto quel grilletto, non gli altri. Non puoi invocare l’obbedienza per giustificare le tue azioni, perché tu eri sempre libero di dire “non sparo”. Certo, ti avrebbero ammazzato, ma lì sta l’esercizio della libertà. Proprio come ha fatto Tommaso Moro.

Ognuno ha la sua responsabilità nel suo campo, per le sue azioni, su qualunque argomento della vita, e della vita spirituale. Ciascuno risponde delle sue scelte. La responsabilità è di ciascuno. Non dobbiamo fare gli ipocriti, nella vita bisogna essere onesti fino in fondo e non possiamo scaricare le nostre responsabilità sugli altri. Nessuno è costretto mai a fare nulla, se io lo faccio è perché lo voglio fare. “Se io bestemmio è perché io voglio bestemmiare, non perché mia moglie mi ha fatto arrabbiare. Io ho deciso di bestemmiare”

La fedeltà nell’amicizia con Gesù è una cosa seria, San Tommaso Moro è stato fedele fino al sangue a questa amicizia con Gesù. Esattamente quello che abbiamo letto di Florenskij. Questa fedeltà mi richiede di essere fedele in ogni più piccola parte, in ogni più piccola cosa.

Non devo andare a prendere frasi qua e là, storpiarle e usarle per sostenere le mie pseudo tesi che si sciolgono come neve al sole e bastano tre minuti che sono già cadute miseramente a terra.

Innanzitutto, io devo obbedire alla mia coscienza, questa è la prima obbedienza che devo avere, perché di questa io devo rendere conto a Dio, costi quel che costi, qualunque sia il prezzo da pagare. Noi dobbiamo essere fedeli alla nostra coscienza che vuol dire essere fedeli alla Voce di Dio in noi, che vuol dire essere fedeli a ciò che il Signore ci chiede.

Non dimentichiamoci mai che abbiamo a che fare con Dio e ogni più piccola cosa è chiarissima ed è presente alla Sua Vista e di ogni più piccola cosa noi dovremo rendere conto, dovremo assumerci la responsabilità e dire: “Mio Signore, Mio Dio, questo l’ho fatto, questo l’ho detto per queste ragioni e me ne assumo tutta la responsabilità”. Ognuno verrà valutato, guardato singolarmente, ognuno da solo sarà davanti allo Sguardo di Dio. Già adesso lo siamo, costantemente, per quello che noi siamo.

Ve lo ripeto: “Per nessuna ragione andate contro la vostra coscienza. Mai, non fatelo mai. È la cosa più grave che si possa fare”.

E se questo ha un costo, paghiamolo, e se questo vuol dire morire, moriamo, se questo vuol dire essere esiliati, andiamocene, se questo vuol dire essere fustigati, prendiamo le frustate che dobbiamo prendere, ma contro la coscienza non si va mai per nessuna ragione.

Spero con tutto il cuore di essere stato chiaro e di aver fatto capire come stanno le cose.

E la Benedizione di Dio Onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo discenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen.

Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.

Martedì della IV settimana di Pasqua

VANGELO (Gv 10, 22-30)
Io e il Padre siamo una cosa sola.

Ricorreva, in quei giorni, a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente».

Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

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