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“Condotta per passare santamente la Quaresima”, del p. Avrillon. Parte 35

“Condotta per passare santamente la Quaresima” - p. Avrillon

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di lunedì 4 aprile 2022

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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“Condotta per passare santamente la Quaresima”, del p. Avrillon. Parte 35

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

 

Eccoci giunti a lunedì 4 aprile 2022.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo VIII di San Giovanni, versetti 12-20.

Proseguiamo la nostra lettura e meditazione del libro di Padre Avrillon.

Lunedì di Passione – Giorno di fervore

“Non vi contentate oggi di camminare per le strade comuni; correte verso Dio a passi di gigante. Non vi contentate solamente di correre; ma fate voti al cielo col Profeta, per ottenere le ali della colomba, per non riposarvi che nel cuore di Dio”.

Che bello… Noi dobbiamo domandare di avere le ali della colomba, per non riposarci che nel cuore di Dio.

“Dimandategli questo fervore in tutte le ore del giorno; moltiplicatene gli atti più spesso che potete, e rinnovateli ad ogni momento. Questa sacra fiamma…”

Sentite che espressioni bellissime…

“…di amore divino arda incessantemente nel vostro cuore, ed arda in maniera che ne accenda gli altri”.

Quindi, dobbiamo avere questo fervore in ogni momento della nostra giornata, qualunque cosa facciamo, dai biscotti, allo spolverare, al predicare, al cucire, al cucinare, al costruire le case, all’insegnare… qualunque cosa facciamo, deve esserci questo fervore, questa sacra fiamma di amore divino… e il segno che arde, qual è?

È che anche altri beneficiano della forza, della luce, del calore, di questa sacra fiamma, e anche loro si infiammano.

Se qualcuno, stando accanto a noi, ci dice: «Io, stando accanto a te, imparo ad amare di più Dio; da quando ti frequento mi sono avvicinato di più a Dio, ho rinnegato il peccato, ho fatto maggiormente esperienza di Dio, ho cambiato vita, ho pregato di più, sento il Signore più vicino…», ecco, questo vuol dire che in noi c’è la sacra fiamma, che va custodita.

“Essa si distingua in tutto ciò che penserete, direte, o farete”.

Vedete? Deve investire tutto e deve distinguersi in tutto quello che facciamo.

Attenti…

“Il tempo più proprio a rinnovarlo è quello subito dopo svegliato, colla preghiera, colla santa messa, colla lettura, coll’orazione, coll’esame; e quando andrete al riposo convien farne una autentica protesta”.

Vedete: poche idee, ben chiare.

Appena svegli, subito rinnovare, rimettere legna sul fuoco, per rinnovare questa sacra fiamma; lo si fa attraverso la preghiera, la Messa, la lettura, l’orazione e l’esame di coscienza.

Meditazione sul fervore, tratta dal Vangelo.

“L’ultimo giorno della festa che era il più solenne, Gesù stando in piedi, diceva ad alta voce: Se qualcuno ha sete, venga da me c beva. Osservate che quando il Salvatore volea manifestare al popolo grandi verità, aspettava sempre le maggiori solennità, affine d’avere un maggior numero di uditori. Infatti niente v’è di più sublime del discorso che fa oggi. Non parla soltanto del precetto importante del divino amore; ma del fervore di questo amore, colla similitudine della sete, la quale non è cagionata che dal calore, e con quella delle acque vive che incessantemente la saziano. Un’anima che non si contenta di amare, ma che ama con fervore, ha sempre sete e cerca sempre d’estinguerla, benché beva continuamente ai fonti del Salvatore”.

Un’anima ardente e infervorata ha sempre sete.

“Un’anima fervorosa aggiunge all’amor comune nuovi motivi per amar con più intensità, con più ardore, più eroicamente e senza interruzione veruna. Se l’amore è un fuoco, e il fervore n’è la fiamma, questa fiamma è sempre in moto per salire con rapidità verso il suo centro, ch’è il cuor di Dio; e come da questo scaturiscono continuamente in gran copia i mistici fiumi del- l’acqua viva, che le serve di nutrimento, e comunica i suoi ardori a tutto ciò, che le si avvicina, così essa non languirà giammai, e si rinnoverà incessantemente. Eccovi un motivo ben forte per faticare seriamente ad acquistare questo fervore”.

Questa fiamma vuole raggiungere il cuore di Dio, questa fiamma si accresce sempre, non si contenta mai di essere dov’è, niente le basta.

“Il secondo motivo che deve impegnarvici, si è di tenervi fuor di pericolo di commettere gravi peccati”.

Certo, evitare le occasioni di peccato.

“Quando un liquore è bollente, le mosche non vi si accostano; ma aspettano che sia tiepido, e allora, dice il Savio, esse vi cadono, vi muoiono e lo corrompono. — eh… capito? — Così quando il nostro amore divien languido, le tentazioni del demonio, figurate per le mosche, ci assediano; e se trovano il nostro cuore tiepido — e non bollente — sprovvisto della forza che gli dà il fervore, esse v’insinuano ben presto la corruzione. Fatevi un’idea grande di questo fervore, che i santi Padri ci hanno lasciata, idea tanto più giusta perché parlavano per esperienza. Il fervore, dice S. Agostino, è un movimento soprannaturale dell’anima, che tende incessantemente a possedere Iddio per amor di lui solo”.

Ecco cos’è il fervore!

“È un fuoco uscito dal cuor di Dio, come dal suo focolare, il quale s’impossessa dei nostri cuori e l’infiamma: egli è, dice S. Pietro Crisologo, una felice disposizione dell’anima che la rende pronta e coraggiosa a tutto intraprendere per Dio, non ostante qualunque difficoltà che possa incontrare, e sempre accompagnata dal desiderio d’andare a Dio, di ubbidire a Dio, di piacere a Dio, di tutto sacrificare a Dio e di unirsi intimamente a Dio”.

Vedete, queste sono tutte descrizioni di questo “fuoco di amor di Dio”.

“Il fervore è un fuoco divoratore, di cui tanto ardeva il cuore del real Profeta, allorché meditava la grandezza di Dio ed i peccati degli uomini. È un fuoco che infiammava e trasportava il profeta Elia ovunque si trattava della gloria di Dio: è finalmente un fuoco di cui si sentirono accesi i discepoli di Emmaus, e lo espressero con queste parole: Non sentivamo noi il nostro cuore pieno di ardore, quando per la strada ei parlava, e ci spiegava le Scritture? Lo sentite voi questo fuoco? Faticate voi per rendervi degni di sentirlo?”

È una domanda interessante. Io, questo fuoco dell’amore di Dio, lo sento o no? O sono un cadavere, sono un blocco di ghiaccio?

Si vede… Quando uno è abitato da questo fuoco dell’amore di Dio, ha sempre voglia di faticare, di stare, di essere col Signore, ha sempre voglia di obbedire al Signore, non è mai solo; ovunque si tratta della gloria di Dio, è presente, nonostante qualunque difficoltà possa incontrare, perché vuole piacere a Dio, ubbidire a Dio, sacrificare a Dio tutto… e diventa coraggioso.

Non dice: «No, io non ce la faccio, non so come si fa… no, ma qua prudenza, pensiamo…».

“Chi crede in me, usciranno dal suo cuore fiumi di acqua, dice la Scrittura. Considerate che credere a Dio, è sottomettersi a credere le verità ch’egli insegna: ma credere in Dio, è andar verso questo adorabile oggetto con un amore pieno di confidenza e di fervore, e per conseguenza meritare di esser ripieno di tanta abbondanza di quelle acque vive, delle quali Gesù parla in questo giorno, che ne escano fiumi dal cuore per infiammare gli altri. Dopo questo, dimandate a voi stesso se amate Dio con fervore, e se siete ripieno del suo amore. Eccovi la maniera con cui potrete riconoscerlo”.

Quindi, credere a Dio, è sottomettersi alle verità che Lui insegna; credere in Dio, è andare verso questo adorabile oggetto con un amore pieno di confidenza e di fervore.

Non è quella natura morta che vediamo in chiesa, di tutta questa gente che sembra che le sia morto il gatto, persone che hanno questa faccia lugubre, che vanno a ricevere la Comunione con un atteggiamento che ti fa perdere la voglia di esistere. Una distrazione, una superficialità… questo non è il fervore.

Adesso ci dice la maniera per riconoscere se siamo fervorosi.

Vedete che Padre Avrillon cita sempre i Santi? Lo vedete? È così che si fa!

Una volta, un tempo, c’era un qualcuno, che mi diceva sempre: «Oh Padre Giorgio, lei cita sempre i Santi… Oh lei parla sempre dell’Eucarestia… Oh lei parla sempre dei Padri della Chiesa… ma insomma!»

Sì… di cosa dovrei parlare? Del gatto?

Di cos’è che dovrei parlare?

Chi dovrei citare, me stesso?

Dovrei dire: «Arrivo io, con la super teologia che ho scoperto stanotte e adesso con il “Giorgio pensiero” vi salvo tutti»?

Ma vi prego!

Adesso non dico che ci vuole l’umiltà, anche perché qui non credo che ci voglia l’umiltà, qui ci vuole il buon senso, ci vuole la ragione, perché se no siamo fuori di testa.

Il “Giorgio pensiero” non salva nessuno, cioè è fuffa, è polvere.

Non posso venire qua a dirvi le mie intuizioni geniali che ho scoperto io negli ultimi minuti della mia vita, ma vi devo dire quello che hanno detto i Santi, quello che hanno detto i Padri della Chiesa; è lì che noi attingiamo il tesoro, la forza, la luce.

“Voi siete fervorosi, dicea S. Bernardo ai suoi religiosi, se allorché fate orazione, la fate collo stesso raccoglimento, colla stessa tranquillità, la stessa fede, e collo stesso amore, come se fosse l’ultima azione di vostra vita”.

Capito? Se lo fate così, siete fervorosi. Se quando tu preghi, lo fai con lo stesso raccoglimento, tranquillità, fede, amore, come se fosse l’ultima azione della tua vita, allora sei fervoroso.

“Siete fervorosi, se allorché vi accostate al tribunale della penitenza colla stessa compunzione, con lo stesso dolore e proponimento, come se doveste compatire al tribunale di Dio; se allorché andate a ricevere il corpo e sangue di Gesù, vi andate collo stesso fervore, colla stessa purità, come se questa comunione fosse l’ultima di vostra vita. Siete fervorosi, se avete un orror sincero non solamente alle colpe gravi; ma ancora alle picciole che dispiacciono a Dio; se cercate di espiarle, quando vi siete caduti per fragilità; se sfuggite con premura i piccoli difetti di vanità, d’amor proprio, di delicatezza; e se fate uno studio particolare d’aver sempre presente questo Dio che amate”.

Insomma, diciamo che San Bernardo è San Bernardo.

Io qui cosa vi devo commentare, cari?

Qui c’è poco da commentare, qui c’è da leggere, da scrivere e da meditare, ognuno nel silenzio della propria coscienza e vedere dove siamo, vedere come prego, vedere come mi accosto alla Confessione e come mi accosto all’Eucarestia.

Vedete San Bernardo di cosa parlava? Di cosa parlava San Bernardo?

San Bernardo parlava di preghiera, San Bernardo parlava di Confessione, San Bernardo parlava di Eucarestia.

Di che cosa dobbiamo parlare se no?

Questo è il tema!

“Finalmente allora siete fervorosi, se vi sforzate di rassomigliarvi a que’ santi religiosi, dei quali S. Bernardo ne fa il ritratto, quando dice: — interessante questo — io li scontro ora cogli occhi bassi per umiltà o per modestia, ora alzati al cielo, a

cui sospira il loro cuore, ed ora bagnati di lagrime per le loro passate mancanze. La compunzione è sempre espressa nel loro volto, come se fossero gran peccatori; essi corrono con ardore a tutte le osservanze; la regola forma il loro piacere e la loro sicurezza; l’ubbidienza fa la loro gloria; le macerazioni le loro delizie, i digiuni i loro festini, la povertà i loro tesori, l’orazione e la salmodia, le loro ricreazioni, le vigilie e la fatica il loro riposo. Non vi spaventate di questa vita; essa non è superiore alle vostre forze. Provate, e così supererete generosamente tutte le difficoltà: se questa fatica v’intimorisce, la troverete dolce in appresso, perchè sarete aiutato. Quando si ama Dio, come devesi amare, tutto è sopportabile e facile”

Adesso ascoltiamo questa bellissima preghiera:

“Accendete in me, o Dio d’amore, questa sete ardente della più perfetta giustizia, che meriti di esser dissetata da quelle acque vive, che fate scorrere in abbondanza nel cuore di quelli che vi amano con fervore e salgono sino all’eterna vita. Voi avete la bontà di dimandarmi se io ho sete di queste acque purissime, e mi chiamate teneramente per estinguere la mia sete con esse, che da per voi mi presentate. Ma ohimè! Io non posso venire a voi, perché non provo questa sete…”

Eh sì, è per questo che spesse volte non si va dal Signore, perché non abbiamo sete. Certo, perché siamo in coma, in coma da passioni, in coma dagli stordimenti del mondo.

“…il mio cuore non può sentirla, se prima non l’infiammate cogli ardori del vostro amore. È già molto tempo che il mio cuore è ghiacciato, che non ha per voi se non un amore tiepido e languente, perché ha troppo ardore per le cose transitorie, le quali non possono nè saziarlo, nè contentarlo, nè estinguer la sua sete”.

Questo è il punto!

Uno dice: «Ma quello, perché si droga? Quello perché beve?» Sapete, è perché ci possono essere nella vita tempi, momenti, dove il cuore si perde, dove il cuore si ghiaccia.

Che cosa tiene lontano una persona dal male? La paura dell’Inferno, il terrore dei castighi? Che cosa tiene lontano un giovane dal male, cosa tiene lontana una persona dal male?

Io credo che sia una cosa sola: l’essere ed il sentirsi amati.

Come già vi ho detto tante volte: l’avere una casa.

La strada conduce di necessità al male, la strada porta sempre al male, la strada è il luogo del freddo, è il luogo della solitudine, è il luogo delle mani ghiacciate, gelate, arrossate. La strada è il luogo dei brividi, è il luogo del grigio, è il luogo dell’assenza dei profumi.

La casa, invece, è il luogo della dolcezza, è il luogo del tepore, il luogo della morbidezza, è il luogo dell’appartenenza.

Ricordate “Il piccolo principe”, la volpe di Saint-Exupéry?

Andate a leggere questo testo bellissimo, leggetelo ai vostri figli questo testo stupendo, invece di mettervi davanti alla televisione.

Quando io appartengo, quando un figlio si sente appartenente ai suoi genitori, quando sente proprio di essere parte viva della vita, dei pensieri, degli affetti, delle attenzioni dei suoi genitori, quanto è bello, quanto è vivificante!

Quando non è scaricato chissà dove e da chissà chi, ma è custodito, è cercato, è curato, è coccolato, è amato… e (posso dirlo?) anche viziato.

Voi direte: «Ma padre, cosa sta dicendo?». No, no, so cosa sto dicendo.

Intendo “viziato d’amore”… è un po’ un ossimoro, però chi ha un briciolo di intelligenza può capire cosa sto dicendo, soprattutto lo può capire chi lo ha vissuto; gli altri no, non sanno neanche di cosa sto parlando, e faranno gli scribi e i farisei che si scandalizzano, ma non mi interessa.

Quando dico “viziato d’amore”, non parlo di quell’amore stupido (che poi non è amore), che ti dà tutto quello che vuoi; no, non è questa cosa qui.

È l’amore che ti fa dire: «Io appartengo a qualcuno, io appartengo a questa casa, io appartengo a questa famiglia, io appartengo a questo luogo, non sono fuori. Io non sono una protesi, io non sono un’appendice. Io sono parte, e dentro a questa casa (il tema della casa è fondamentale, quando si parla di famiglia) io ho il mio luogo, ho il mio posto, non solo fisico, ma anche spirituale. Io mi occupo di questo e Tizio si occupa di quello».

Quando noi viviamo così, nessun male ci può raggiungere, non esiste un male quando quella porta si chiude; quando la porta di casa si chiude, noi siamo in sicurezza, perché noi siamo al nostro posto, siamo nel luogo dei colori, degli odori, del calore, del sapore, del riposo, e non si ha voglia di nient’altro.

Il male? Ma neanche ci pensi, non ti viene neanche in testa, sei troppo occupato da altro.

Quindi, qui uno fa l’esperienza primaria di questa appartenenza.

Una figura fondamentale, per esempio, è la figura paterna, che è un’immagine assolutamente importante e necessaria dell’appartenenza a Dio Padre, della paternità di Dio.

Il bello è che, quando uno fa questa esperienza della paternità umana, prova che ci sta bene, sta bene lì dov’è, non ha bisogno di fare altro.

Uno dice: «Ma vai fuori coi tuoi amici, esci!»

E tu dici: «No, io sto bene dove sono. Preferisco stare con mio padre a separare i bulloni, in cantina, al buio, che con i miei amici a sciare a Courmayeur, perché lì, in quella cantina, con quei bulloni in mano, alla presenza di mio padre, nella compagnia di mio padre, ho tutto, c’è tutto, perché c’è il mio essere totalmente figlio, in quanto c’è il suo essere totalmente padre».

L’assenza del padre, la mancanza del padre, credo che sia una delle sofferenze, dei vuoti più profondi e incolmabili che possiamo vivere.

Ecco perché in quei casi lì è fondamentale condurre la persona, il prima possibile, ad una vera esperienza di fede, così che la paternità di Dio possa andare a riempire quel buco enorme.

È difficile questo cammino, molto difficile.

Ecco perché il Sacerdote si chiama “Padre”, capite?

Ecco perché Padre Pio non veniva chiamato “Padre Pio”. Quando i penitenti, i fedeli, andavano in convento (non c’erano quattro gatti come adesso, i conventi di una volta erano composti da trenta o quaranta frati, mica due gatti) e cercavano Padre Pio, com’è che lo chiamavano? Dicevano: «Scusi, per favore, mi può chiamare Padre Pio da Pietralcina?»? Nooo. Quando andavano in convento o quando parlavano tra di loro, loro dicevano “il Padre”, chiedevano: «C’è il Padre? Ho bisogno di parlare con il Padre», e tutti sapevano di chi stavano parlando. Nessuno diceva: «Padre chi? Padre Pio, Padre Giuseppe, Padre Enrico? Chi?» A nessuno veniva il dubbio, perché Padre Pio era veramente Padre, e quindi, immediatamente, quando tu dicevi che avevi bisogno di parlare con “il Padre”, tutti sapevano di chi stavi parlando.

“Accendetelo, o Signore, voi che siete un fuoco ardente, che siete venuto, secondo la vostra divina parola, per dilatarlo sopra la terra, e volete che questo fuoco arda. Io riceverò con gioia questa fiamma sì pura, che produrrà in me questa sete ardente che desidero. Io la conserverò con una inviolabile fedeltà, e metterò tutto in opera per accrescerla. — speriamo — Io farò consistere la mia felicità in provare ogni giorno una tal sete, e dissetarmi sempre alla sorgente dell’acqua viva del mio Salvatore e del mio Dio”.

Domani faremo il “Giorno di fuga dal mondo”.

Interessantissimo e bellissimo.

 

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.

Amen.

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.

Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato.

 

VANGELO (Gv 8,12-20 – Anno C)

In quel tempo, Gesù parlò [ai farisei] e disse: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita».
Gli dissero allora i farisei: «Tu dai testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è vera». Gesù rispose loro: «Anche se io do testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove sono venuto e dove vado. Voi invece non sapete da dove vengo o dove vado. Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno. E anche se io giudico, il mio giudizio è vero, perché non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato. E nella vostra Legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera. Sono io che do testimonianza di me stesso, e anche il Padre, che mi ha mandato, dà testimonianza di me».
Gli dissero allora: «Dov’è tuo padre?». Rispose Gesù: «Voi non conoscete né me né il Padre mio; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio».
Gesù pronunziò queste parole nel luogo del tesoro, mentre insegnava nel tempio. E nessuno lo arrestò, perché non era ancora venuta la sua ora.

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