Meditazione
Pubblichiamo l’audio della meditazione: “Comunione spirituale e comunione psichica” tratta dal testo “Vita comune” di Dietrich Bonhoeffer.
Lunedì 13 febbraio 2023
Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD
Ascolta la registrazione:
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VANGELO (Mc 8, 11-13)
In quel tempo, vennero i farisei e si misero a discutere con Gesù, chiedendogli un segno dal cielo, per metterlo alla prova.
Ma egli sospirò profondamente e disse: “Perché questa generazione chiede un segno? In verità io vi dico: a questa generazione non sarà dato alcun segno”.
Li lasciò, risalì sulla barca e partì per l’altra riva.
Testo della meditazione
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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!
Eccoci giunti a lunedì 13 febbraio 2023. Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo ottavo del Vangelo di San Marco, versetti 11-13.
Anche noi impariamo a non chiedere mai segni perché a noi basta la fede.
Per questo continuiamo la nostra lettura e la nostra meditazione del libro di Bonhoeffer, Vita Comune.
Adesso si apre una riflessione molto interessante sul lavoro e sul rapporto tra il lavoro e la preghiera. Sentite.
Dopo la prima ora del mattino, il resto della giornata del cristiano, fino a sera, è dedicato al lavoro. «Esce l’uomo al suo lavoro e all’opera sua fino alla sera» (Sai 104,23).
La comunità cristiana si separa, per lo più, durante il tempo del lavoro.
Anche quando si va alla Messa, siamo tutti insieme alla Messa del mattino e poi via ognuno va per dove deve andare, per il lavoro che deve compiere: la comunità cristiana si separa.
Pregare e lavorare sono cose diverse. La preghiera non deve essere ostacolata dal lavoro, ma neppure il lavoro dalla preghiera. Secondo la volontà di Dio, l’uomo deve lavorare per sei giorni e il settimo deve riposare e festeggiare la giornata al cospetto di Dio; allo stesso modo per volontà di Dio ogni giornata del cristiano è caratterizzata da un duplice aspetto, quello della preghiera e quello del lavoro. Anche la preghiera ha bisogno di un suo tempo. Ma la maggior parte del giorno va dedicata al lavoro.
Mi sembra che in tutte queste parole ci siano molta realtà e anche molto equilibrio, quindi tra la preghiera e il lavoro ci deve essere un rapporto di sano rispetto: uno non deve ostacolare l’altro. E non dimentichiamo – questo ve l’ho già detto e ridetto – che noi abbiamo sei giorni per lavorare, sei! Ricordate Genesi?
La domenica è il giorno del riposo mio, ma anche tuo, e del festeggiare mio e tuo al cospetto di Dio tutta la giornata, quindi è il giorno in cui non lavoro e non faccio lavorare; non costringo le altre persone a lavorare per i miei capricci, fatte salve quelle professioni il cui lavoro è un servizio alla persona: penso al dottore, all’infermiere, al pompiere, al carabiniere, al poliziotto e via di seguito. Sono quei lavori che sono, di fatto, un servizio alla comunità. Pensiamo al sacerdote: certo, l’essere sacerdote non è un lavoro, il suo è il servizio per eccellenza, però per il sacerdote la domenica è il giorno più impegnato, ma si tratta di un sevizio. Non è che di domenica il sacerdote possa dire: “Oggi mi metto lì e riposo!”, non è possibile, perché è il giorno in cui ci sono la Santa Messa, le Confessioni, il Catechismo, l’incontro con le persone,…
Per un sacerdote la domenica è un giorno molto impegnativo, se fa bene il sacerdote! Ci sono dei compiti, dunque, che per vocazione, per chiamata, di necessità impongono anche alla domenica un dover servire gli altri: se una casa è in fiamme, non è che il pompiere possa dire: “No, oggi è domenica e sto qui a riposare” perché, poi, muoiono le persone.
Ma ci sono dei lavori che possono tranquillamente “chiudere” la domenica perché non incidono sulla vita naturale o soprannaturale delle persone: la panettiera può tranquillamente chiudere alla domenica; il centro commerciale può tranquillamente chiudere alla domenica; il calzolaio può tranquillamente chiudere la domenica. La rosticceria? Non c’è problema! Chi vende frittelle, chiacchiere e pizze può tranquillamente chiudere la domenica, perché questi non sono bisogni, ma capricci. La pasticciera non è necessario che sia aperta la domenica; certo, mi fa comodo! Il bar? Il bar è un servizio pubblico essenziale alla vita? No! Quindi può chiudere la domenica! Così queste persone possono stare a casa a riposare e a festeggiare, come me, il giorno del Signore, tranquillamente. Io il mio caffè me lo bevo a casa mia; la mia brioche me la mangio a casa mia, non ho bisogno di andare al bar a fare il giretto per prendermi il cappuccino perché per un giorno posso saltare e non muore nessuno; il pane lo compro il giorno prima, i pasticcini pure e me li metto in frigorifero e via di seguito. Dal calzolaio per aggiustare le scarpe vado il giorno prima o il giorno dopo; la spesa non c’è bisogno di farla alla domenica; il fruttivendolo non è necessario che sia aperto alla domenica e può chiudere tranquillamente perché il mandarino, insieme al caco, me lo compro il sabato o il lunedì!
Riposare e festeggiare nel giorno del Signore e permettere agli altri di farlo, significa innanzitutto organizzare la settimana, non affidare al caso e all’ultimo minuto le cose, significa farle bene per preservare il giorno del Signore.
“Dai, oggi andiamo a mangiare la pizza!”
“Ma oggi è domenica! No! Mangiamo a casa la bruschetta di Padre Giorgio che ieri ci ha spiegato come si fa: non c’è bisogno di andare a mangiare la pizza alla domenica. È il giorno del Signore”.
Sul sito veritatemincaritate.com voi trovate un PDF che ho fatto, dove sono raccolti tutti i testi a sostegno di questa tesi; testi della Scrittura, dei Santi, del Magistero che sottolineano proprio l’importanza del riposo domenicale, del giorno del Signore.
Ogni giornata, dunque, è caratterizzata da un duplice aspetto: la preghiera e il lavoro. Ci sono entrambe. La preghiera, come il lavoro, ha il suo tempo, bisogna dedicarle il suo tempo: ecco l’importanza della preghiera del mattino/notte/aurora. E poi Bonhoeffer dice:
la maggior parte del giorno va dedicata al lavoro.
Penso a una mamma che fa la mamma, che fa la casalinga: quanto lavoro ha in un giorno? Tantissimo! Prepara la colazione, accompagna a scuola, pulisce la casa, va a fare la spesa, va a prendere, stira, lava tantissimo lavoro.
Penso a uno studente, a un sacerdote, a una suora stessa cosa: tantissimo lavoro per tutti. Anche lo studio è un lavoro, anzi, è un lavoro molto pesante perché te lo porti a letto quando vai a dormire. La mia nonna diceva: “Vedi, Giorgio? Chi studia non riposa mai”. E aveva ragione. Lei diceva: “Quando torna a casa, un muratore si toglie la sua divisa, si lava, si asciuga e mangia e riposa e dorme. La sua è una stanchezza fisica. Chi studia non riposa mai perché, sì, si lava, mangia, dorme ma la testa è sempre lì!”. Soprattutto quando si è sotto esame, la testa è sempre lì, si è sempre lì a pensare.
È necessario che ognuno dei due aspetti sia riconosciuto nei diritti che gli spettano senza restrizioni, e in tal modo si capirà chiaramente anche il loro legame indissolubile. Senza il peso e il lavoro della giornata la preghiera non è vera preghiera, e senza la preghiera il lavoro non è vero lavoro. Solo il cristiano si rende conto di questo. Per cui è proprio la chiara distinzione fra i due momenti a rendere evidente la loro unità.
Ricordatevi: possiamo fare unità tra di noi e nelle realtà che ci circondano solo dopo che le abbiamo ben riconosciute per quelle che sono, cioè solo dopo che le abbiamo ben distinte.
Non c’è unità in ciò che è uniforme: l’unità sta proprio dopo aver riconosciuto la tua peculiarità, il tuo essere altro da me e da ciò che ci circonda; lo stesso vale per me e allora possiamo fare unità. Non dobbiamo fare i cloni, ma l’unità, che è una cosa diversa. E bisogna riconoscere i diritti di ciascuno: qui mi viene in mente san Francesco di Sales. Andate a leggere il libro Filotea: il vescovo deve fare il vescovo; il soldato deve fare il soldato; la casalinga deve fare la casalinga; il prete, il prete; il monaco, il monaco. Secondo il proprio stato di vita, ognuno avrà la possibilità di avere una santa, vera devozione.
Quindi, quando è tempo del lavoro si deve lavorare; quando è il tempo della preghiera si deve pregare. Non mischiare le due cose.
Il lavoro pone l’uomo nel mondo delle cose. Esige la sua opera. Il cristiano esce dal mondo dell’incontro fraterno (al mattino, dopo la Santa Messa) ed entra nel mondo impersonale delle cose, dell’«Esso»; questo nuovo incontro lo rende disponibile alla realtà oggettiva; infatti il mondo dell’«Esso» è solo uno strumento in mano a Dio per purificare il cristiano da ogni forma di egocentrismo e di egoismo. Infatti si può operare nel mondo solo se l’uomo dimentica se stesso, perdendosi nelle cose, nella realtà, nel compito che deve svolgere. Nel lavoro il cristiano impara a lasciarsi porre un limite dalla realtà oggettiva, per cui il lavoro diventa per lui un mezzo per salvarsi dall’inerzia e dall’indolenza della carne. Le pretese di quest’ultima trovano chi le mette a tacere nel mondo delle cose.
Allora. Esco dalla comunione spirituale del mattino tra di noi dopo la Santa Messa ed entro nel mondo impersonale delle cose, che è impersonale, certo, è più pesante.
Noi dobbiamo andare incontro al nostro lavoro, al nostro studio, alle nostre cose da fare con una grande disponibilità, perché incontriamo la realtà. È pesante, difficile. Questo però, vedete, è l’incontro con la realtà ed è importante che ci sia. Questo ci purifica da ogni forma di egocentrismo ed egoismo, perché, per operare bene nel mondo del lavoro e delle cose, mi devo dimenticare; devo lasciare da parte tutti i miei pensieri, tutte le mie elucubrazioni strane, tutte le mie angosce, le mie ansie perché, se no, non lavoro bene, non riesco a studiare; non riesco a studiare bene se continuo a pensare alle mie cose. Quello è il momento in cui devi lavorare, in cui devi studiare, quindi dimentica te stesso, perditi! Non nel senso di affogare, ma proprio nel senso di “farti inzuppare” nella realtà, nelle cose, nel compito che devi svolgere. Impara a permettere alla realtà che ti circonda di porre un limite alla tua persona, un limite all’indolenza e all’inerzia, cioè ti devi dare da fare! Ti devi impegnare: per questo è faticoso!
Per esempio, se tu ti “inzuppi” per bene nelle cose che hai da fare, nella realtà, nel compito che devi svolgere, non perderai tempo, non ti metterai a perdere tempo e quelle cose le farai bene con tutto te stesso. Questo non significa perdere il rimando a Dio, assolutamente, ma fare bene quello che devi fare; farlo con estrema serietà, con estremo rigore, con estrema precisione; farlo bene dalla “a” alla “z”.
Questo significa farsi mettere un limite dalla realtà che ti dice: “Adesso è il tempo di lavorare, non è il tempo di pregare, non è il tempo di pensare alle tue cose; adesso devi lavorare e lo devi fare bene!”
“Ma a me non piace!”. Bene! Hai un motivo in più per farlo bene, perché così stai facendo ascesi e penitenza che valgono di più di cento digiuni.
Ma questo può accadere solo se il cristiano, attraverso l’«Esso», raggiunge il «Tu» di Dio, che gli comanda di lavorare e di operare, in modo che ciò gli procuri la liberazione da se stesso.
Capite? Guardate il lavoro come purificazione; lo studio come purificazione da me stesso, quando devo studiare qualcosa che non mi piace, quando sono stanco, quando non ho voglia, fallo come purificazione!
Non che in tal modo il lavoro cessi di essere quel che è, anzi se uno sa qual è lo scopo del lavoro, non ne eviterà certo la durezza e il rigore. Il confronto conflittuale con l’«Esso» non sarà eliminato. Ma al tempo stesso si ha un salto di qualità, si trova l’unità fra lavoro e preghiera, l’unità della giornata; questo ritrovare dietro l’«Esso» del lavoro quotidiano il Tu di Dio corrisponde al «pregare senza intermissione» (1 Ts 5,17) di san Paolo. E questo il modo in cui la preghiera del cristiano va oltre il tempo assegnato ad essa e pervade tutto il tempo del lavoro. Comprende l’intera giornata, senza per questo impedire il lavoro, anzi sollecitandolo, dando ad esso un riconoscimento positivo, conferendogli serietà e letizia. Per cui ogni parola, ogni opera, ogni lavoro del cristiano si trasforma in preghiera, non nel senso irreale di un continuo distogliersi dal compito assegnato, ma nel reale sforzo per risalire dalla durezza dell’«Esso» a quel «Tu» che è fonte di grazia. «Qualunque cosa si compia da voi, in parola o in opera, tutto fate nel nome del Signore Gesù Cristo» (Col 3,17).
A me sembra bellissimo; mi sembra che Bonhoeffer ci abbia dato una luce in più.
Innanzitutto il lavoro come liberazione è purificazione da se stessi, poi dobbiamo imparare, attraverso questo confronto conflittuale con il mondo, con la realtà, con il lavoro e con ciò che ci circonda, a vivere, a trovare l’unità tra lavoro e preghiera, una giornata “unita”.
E qui Bonhoeffer fa riferimento a San Paolo e al pregare senza interruzione, ricordate?
Abbiamo visto che la preghiera e il lavoro devono essere separati: c’è un tempo della preghiera in senso canonico per cui non posso essere al lavoro con il mattone in mano e, intanto, recitare l’Ufficio delle Letture non si può!
Dunque che cosa significa che, da una parte preghiera e lavoro sono separati, e dall’altra la preghiera va oltre il tempo ad essa assegnato e pervade tutto il tempo del lavoro, «comprende l’intera giornata, senza per questo impedire il lavoro, anzi sollecitandolo, dando ad esso un riconoscimento positivo, conferendogli serietà e letizia» per cui tutto «si trasforma in preghiera»? Che cosa significa?
Innanzitutto non significa distogliersi dal lavoro: non è la preghiera, intesa come la intendiamo noi, del metterci lì a recitare formule o del metterci lì a fare la Lectio Divina, non è questo! Quello dovrai farlo nel tempo dedicato alla sola preghiera. Questo di cui abbiamo detto adesso, il pregare senza intermissione lungo tutta la giornata, il trasformare tutto in preghiera è altro, e un’altra cosa ancora.
E qual è? Bonhoeffer dice che è:
(Il) reale sforzo per risalire dalla durezza dell’«Esso» a quel «Tu» che è fonte di grazia.
Credo che questa sia la parte più difficile. Risalire dal mondo impersonale delle cose, risalire dalla durezza di questo mondo al “Tu”, a Dio che è fonte di ogni grazia. Questo percorso è il pregare incessantemente, è il fare tutto nel nome del Signore.
Voi capite quanto sia complessa questa unità; quanto impegno richieda all’uomo, perché è più facile “spaccare” le due cose. Semplicemente “adesso prego” e prego; dopo “adesso lavoro” e lavoro. Spacco questi due momenti che vanno distinti per non confonderli, ma nello stesso tempo la preghiera accompagna, trasforma il lavoro in preghiera, in una modalità diversa che non è quella del recitare le formule o del mettermi lì a dedicarmi proprio alla preghiera, ma preghiera incessante come sforzo per risalire dal mondo delle cose a Dio che è fonte di ogni grazia. Per cui è solo così che imparo a fare le cose nel nome di Gesù ogni cosa, senza esclusione. Adesso sentite che cosa scrive.
Se si dà in questo modo unità a tutta la giornata, questa risulta improntata ad ordine e disciplina.
Verissimo: se viviamo in questa unità, basta.
Essa va cercata e trovata nella preghiera del mattino, e viene confermata nel lavoro.
“Come si fa, Padre, a fare quello che dice?” Capite perché la preghiera del mattino/ notte è fondamentale: l’unità della giornata tu la vai a cercare nella preghiera del mattino, in quello spazio, nella Santa Messa del mattino, nell’Ufficio che farai al mattino. Poi, nel lavoro si conferma.
La preghiera di buon mattino decide sull’andamento della giornata.
Se noi facciamo una vera preghiera mattutina, oppure notturna e mattutina, state tranquilli che la nostra giornata andrà benissimo: ci saranno fatiche, dolori, tutto quello che volete, ma sarà come se tutto fosse avvolto, come se tutto fosse protetto. Però solo se avremo fatto bene la preghiera del mattino.
Ditemi adesso se quello che vi leggo non è vero!
Molto spesso l’aver trascurato la preghiera del mattino è la causa di perdite di tempo di cui ci vergogniamo, di tentazioni a cui non sappiamo sottrarci, di debolezza e di scoraggiamento nel lavoro, di disordine e indisciplina nei nostri pensieri e nei rapporti con gli altri.
Ditemi se non è vero. Io vorrei vedere chi ha il coraggio di dirmi che la frase che vi ho letto è falsa.
Io avrò sperimentato questa cosa milioni di volte, sia nella mia vita, sia, ascoltando le confessioni, nella vita degli altri: questo accade quando la preghiera del mattino viene trascurata o, aggiungo io, viene fatta male o è pasticciata per quella brutta, orrenda, disgustosa abitudine che si ha di far suonare la sveglia e non alzarsi all’istante. Questa cosa è una delle peggiori abitudini che si possano avere! Quella roba che hanno inventato nei telefoni e nelle sveglie per cui tu schiacci e, invece di spegnerla, la riprogrammi automaticamente dopo un po’ di minuti! Questa cosa è terribile, è proprio l’assoluto contrario del rigore, dell’ordine, della disciplina e della penitenza. Invece di andare a cercare le penitenze più astruse del mondo, facciamo questa: quando al mattino suona la sveglia, mi alzo all’istante!
Qualche giovane mi diceva o mi dice: “Guardi, Padre, quando suona la sveglia – anche quando è inverno e fa freddo – io, come un soldato, salto giù dal letto, mi butto sul pavimento e faccio immediatamente il mio atto di adorazione dei pastorelli di Fatima: Mio Dio, io credo, adoro, spero e vi amo: vi chiedo perdono… (la preghiera che ha insegnato loro l’Angelo della Pace). Io faccio sempre così”. Beh, tu avrai sicuramente delle giornate d’oro. “Io comincio così, in questo modo. È dura, Padre, è dura, molto dura, ma io faccio così e poi inizio le mie preghiere”. Dunque, primo: eliminiamo, estirpiamo l’abitudine orrenda di non tirarci in piedi subito, anche la domenica, perché questo vale anche la domenica. O non mettiamo la sveglia, o, se mettiamo la sveglia, quando suona ci si alza, assolutamente!
Quella abitudine è bruttissima, così come il mettersi a fare cose che si possono fare in altri momenti, quando è il tempo della preghiera, o quando dobbiamo prepararci e uscire per andare alla Messa. Questo è un vizio. “Sono arrivato tardi alla Messa, perché pulivo casa”. Stai scherzando? Che cosa stai dicendo? Il tempo precedente la Messa non è il tempo della colf: è il tempo della preghiera, del silenzio, del raccoglimento. Non è il tempo in cui stirare, fare e brigare. Certo, se vado alla Messa di mezzogiorno, è ovvio che, invece, sì, ma se, come io caldeggio fortemente, si va alla prima Messa del mattino (se ci fosse una Messa alle cinque del mattino, vi consiglierei di andare a quella), quello è il tempo di Dio, è il Kairós, il tempo sacro, il tempo dedicato.
Volete risolvere i vostri problemi spirituali? Tentazioni, peccati da cui non si riesce ad uscire, debolezze, scoraggiamenti volete vincerli? Questa è la terapia: custodisci bene e proteggi bene la preghiera del mattino.
Domattina fallo, organizzati e fallo: tu vedrai la tua giornata cambiare immediatamente, non tra quindici giorni, non tra un mese come vi dissi per altre cose, all’istante! Non c’è bisogno di un mese, né di quindici giorni, né di tre giorni: tu fallo e quel giorno sarà un giorno completamente diverso. Vedrai che non ci saranno perdite di tempo; vedrai che non ci saranno le tentazioni o, se ci saranno, le vincerai; vedrai che al lavoro renderai più di tutti gli altri; respirerai ordine e disciplina nei tutti pensieri e nei rapporti con gli altri. Tutto sarà ordinato: bellissimo!
Mi fermo qui, ma su questa cosa andremo avanti. Sul rapporto lavoro preghiera dobbiamo andare avanti perché è un tema bellissimo. Poi Bonhoeffer parlerà dell’ora di mezzogiorno: che cosa scriverà! Vedrete: delle cose bellissime, vedrete!
Sono felicissimo. Non avevo intenzione di leggervi queste pagine, pensavo di fermarmi alla comunione spirituale e comunione psichica (infatti questo è il titolo di tutte le meditazioni), ma poi mi sono detto che avrei dovuto andare avanti perché è troppo bello e troppo utile: per me è fonte di grande meditazione questo testo e sono sicuro che lo sia anche per voi.
Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.