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San Damiano di Molokai, parte 2

San Damiano di Molokai

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: San Damiano di Molokai, parte 2
Giovedì 13 luglio 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

VANGELO (Mt 10, 7-15)

In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli:
«Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni.
Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento.
In qualunque città o villaggio entriate, domandate chi là sia degno e rimanetevi finché non sarete partiti.
Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne è degna, la vostra pace scenda su di essa; ma se non ne è degna, la vostra pace ritorni a voi. Se qualcuno poi non vi accoglie e non dà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dei vostri piedi. In verità io vi dico: nel giorno del giudizio la terra di Sòdoma e Gomorra sarà trattata meno duramente di quella città».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a giovedì 13 luglio 2023. Oggi ricordiamo Sant’Enrico Imperatore, quindi auguri a tutti coloro che si chiamano Enrico o Enrica.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo decimo del Vangelo di san Matteo, versetti 7-15.

Andiamo avanti con l’approfondimento della figura di San Damiano di Molokai. Leggiamo adesso alcuni estratti delle sue lettere.

Kalawao, Molokai, 26 novembre 1885.

… Mi ha addolorato molto l’autorizzazione mandata dal nostro reverendissimo padre al mio confratello, P Albert, di ritornarsene a Tahiti.

Da allora, sono sempre solo. Il buon P. Columban viene ogni due o tre mesi a confessarmi e se ne va subito dopo. P. Leonor, il nostro superiore, mi ha poco fa anche impedito di recarmi a Honolulu mentre nell’intervallo vorrei vedere un confratello. Non so bene dove porterà tutto questo. Mi affido tuttavia alla divina Provvidenza e trovo la mia consolazione nell’unico compagno che non mi lascia, cioè nostro divin Salvatore nella santa Eucaristia.

È solo, padre Damiano è solo. Ormai sull’isola è rimasto solo lui e i lebbrosi. Non ha nessun confratello. Vedete, per un sacerdote — e poi in realtà penso proprio per chiunque, fossero stati dei dottori, fossero stati degli ingegneri, fossero stati dei militari — c’è bisogno di qualcuno che condivide la tua missione. Hai bisogno di parlarne, di confrontarti, perché nessuno di noi è Dio, quindi è proprio un desiderio bello! Infatti, vedete che Gesù nel Vangelo li manda a due a due a evangelizzare, non da soli. Perché abbiamo bisogno di questo conforto, sostegno e aiuto vicendevole. Mentre uno — faccio un’ipotesi — sta tornando tardi dagli ultimi lebbrosi che ha visitato, quell’altro — arrivato a casa prima — ha cominciato a preparare da mangiare, a preparare la tavola, magari intanto ha lavato qualcosa, ha fatto il bucato, ha sistemato la casa, cioè, è un aiuto fondamentale! Non è che tu torni a casa e ti trovi “il mondo”. Perché, capite, un conto è andare a confessare le suore e un conto è andare ad assistere i lebbrosi. Non è che io dopo una giornata di confessione alle suore torno esattamente come dopo una giornata di servizio nel lebbrosario. Non è che è meglio o è peggio, è che ovviamente, dopo una giornata in un lebbrosario, uno torna a casa che è distrutto, che è morto. Le suore invece ti trattano con i guanti, ti preparano tutti i manicaretti più buoni del mondo, ti fanno le cose più buone del mondo e poi ti fermi lì a parlare con loro, e poi si ride, si scherza un po’insieme, ci si confronta, si dicono tre parole… cioè, capite, è tutta un’altra cosa. In un lebbrosario c’è la gente che muore o, meglio, c’è la gente che cade a pezzi; quando tu vai a confessare le suore, non vedi le suore che cadono a pezzi. Sei lì in mezzo a loro e sei lì a confessarle, va bene, ci sarà la fatica della confessione, ma è evidente a tutti che un sacerdote come padre Damiano, che torna dopo una giornata di assistenza ai lebbrosi, non ha più neanche la forza di sapere come ti chiami. Anche perché, capite, lì c’erano anche tanti bambini, e vedere i bambini morire in quel modo è straziante. E lui è solo, lo dice e lo lamenta sempre, sempre! Lo lamenta sempre: questa solitudine umana, questa solitudine anche nel ministero, è veramente un suo dolore. E poi il fatto che è confinato lì, da lì non lo fanno uscire più. Anche perché, parliamoci chiaro — magari non avranno fatto questo ragionamento, l’ho fatto solo io, però… — uno dice: “Già che ci è andato, mica che poi gli venga il pensiero che andando via, facendosi un giro a Honolulu, questo qua dica: «No, vabbè io adesso me ne sto qua. No, basta, sono stufo, è troppo pesante»; già che ci è andato (e non sono in tanti che vogliono andare a passare la loro vita in un lebbrosario, in un’isola di lebbrosi, ancora peggio) lasciamolo lì che così non gli vengono grilli per la testa. Oltre al fatto che potrebbe essere contagioso”.

Ma vedete, padre Damiano non ha paura del contagio. Altro tema enorme che tutti noi oggi possiamo capire molto bene. Oggi! Cinque anni fa no, ma oggi sì, tutti, anche i bambini di sei anni possono capire questo tema oggi. Padre Damiano non ha paura del contagio, punto. Sta in mezzo ai lebbrosi senza nessuna particolare difesa, perché non c’era cura, se non gli ambienti puliti, disinfettati, le medicazioni costanti delle piaghe, stare lontano dai batteri — il batterio della lebbra è terribile — ma niente di più.

Padre Damiano non ha neanche le suore. Non ci sono neanche le suore ad aiutarlo. Quindi, voi dovete immaginare: c’era tutta quest’isola di lebbrosi, lebbra ovunque, lui non vedeva altro che la lebbra. E poi c’era il problema che uno dei modi per tenere a bada la lebbra — non è risolutivo, ma aiuta — è l’igiene. Quindi bruciare tutte le bende, bruciare tutte le cose infette, tenere gli ambienti pulitissimi, che sarà poi quello che faranno le suore, lo vedremo alla fine. L’arrivo poi delle suore, ma sarà molto dopo, cambia molto la questione, perché il loro compito è proprio quello di questa vigilanza sanitaria, oltre che spirituale, che permette di contenere molto la malattia. Perché voi immaginatevi, i lebbrosi come fanno a pulire? Ti manca un piede, ti sta cadendo un pezzo di faccia, non hai più una mano, le dita dei piedi si stanno staccando, come fai a metterti a pulire? L’ultimo pensiero che ti viene è di pulire. Sei lì che vedi il tuo corpo che si sta disfacendo, ti viene in mente di prendere il Mastro Lindo? Non ti viene! Piuttosto dici: “Vabbè, ormai devo morire, muoio, l’ho presa. Fine”.

Padre Damiano non ha paura del contagio. Padre Damiano sta lì in mezzo alla sua gente. “Sua gente” perché sono figli di Dio, sono il popolo di Dio. Non dice: “Ah no. Io lì manco morto, perché vuol dire che non è oggi, non è domani, la becco, quella bestia”. Quindi io credo che lui avesse messo chiaramente in conto, dentro di sé, che partiva probabilmente al novanta per cento per un viaggio senza ritorno. E che avrebbe condiviso la sorte di questi uomini. Guardate che ci vuole una carità che noi ce la sogniamo. Noi ce la sogniamo. La paura del contagio è una paura proprio primitiva, potremmo dire. Il terrore di essere contagiati da un malato, da un malato infettivo grave, che ti trasmette qualcosa per cui non c’è cura e la cui morte è terrificante, veramente rappresenta una delle paure più terribili.

E oggi tutti sappiamo, tutti possiamo dire: “Si, è vero!”, oggi tutti abbiamo coscienza piena di cosa lui può aver vissuto, di cosa lui può aver provato e di che cosa lui ha sfidato per amore.

E ripete ancora che la sua consolazione è in Gesù.

A leggere queste righe, ciascuno di noi, a modo suo, non può non farsi un esame di coscienza, proprio anche in funzione di quello che abbiamo vissuto da poco. Che adesso sembra completamente obliato. Adesso basta, adesso non se ne parla più. Adesso sembra che non c’è mai stato e invece c’è stato, invece c’è stato, c’è stato, c’è stato. Ed è stato pesantissimo, terrificante, sotto certi aspetti disumano, è stata dura. E tantissimi di noi sono morti, tantissime persone sono morte. Per favore non facciamo il revisionismo storico, piuttosto che l’oblio della memoria, perché io ancora adesso, quando sento un’ambulanza che passa, non è più come prima, almeno per me non è più così. E non è più come quando la sentivo cinque anni fa. Da quando sono nato a cinque anni fa, passava l’ambulanza e uno diceva: “Vabbè, diciamo una preghiera”. Adesso non è più così, quell’ambulanza è veramente un simbolo di un tempo terrificante. Tremavamo di paura a sentire un’ambulanza passare. Eravamo terrorizzati, era l’unico suono che terrorizzava. Poi se si fermava sotto casa, lasciamo perdere. E non ce n’era per nessuno. Non dimentichiamoci quegli anni, per favore, veramente non dimentichiamo quegli anni. Cosa abbiamo vissuto, cosa alcuni sono stati capaci di fare, fin dove l’essere umano si è spinto. Guardate che sono cose che non vanno via così! Ci sono persone che non si sono più riprese, ma non si sono più riprese psicologicamente. Io conosco ragazzi che non sono riusciti a riprendersi psicologicamente da questa cosa, non ce l’hanno fatta più. Dentro gli è entrato un terrore che adesso hanno paura di tutto, non riescono più a superarsi. Ragazzi che gli è andato in tilt il percorso universitario perché non sono riusciti a saltare, a uscire da quelle paludi. Quindi lo capiamo, lo capiamo molto bene.

E questa solitudine che San Damiano sta vivendo…

Però lui è lì. Lui sta lì. E senza tute di protezione, maschere, guanti e quant’altro, non avevano niente, niente, così! Non avevano niente che li potesse proteggere, nulla. Se non essere puliti e mantenere una certa distanza. Si, ho capito, ma se tu devi curare un lebbroso, come fai a curarlo a distanza? Con la telepatia? Come fai? Se devi curare un lebbroso, lo devi di toccare. E non c’erano i guanti in lattice da mettersi su, le mascherine e le tute… Non c’era niente.

È ai piedi dell’altare che mi confesso spesso

Ecco, tra l’altro qua io mi permetto di dire una parola. Quest’uomo si confessava ogni due o tre mesi. Guardate che nel milleottocento la pratica della confessione non era ogni due-tre mesi. Ci si confessava veramente spesso, soprattutto i sacerdoti. Adesso uno dice: “Eh, vabbè, due o tre mesi…”. Ognuno parli per sé, perché non è che tutti ci si confessa una volta ogni due-tre mesi. Ci sono persone che si confessano molto frequentemente, grazie a Dio. Due-tre mesi sono un’eternità. Due o tre mesi senza confessarsi è pesantissimo. In più, col pensiero che puoi morire. Che dici: “Ok, mi sono confessato oggi, che è il tredici di luglio. Benissimo, adesso — luglio, agosto, settembre, ottobre — mi confesserò il tredici di ottobre per l’apparizione della Beata Vergine Maria a Lourdes”. E uno dice: “Eh, tre mesi, è così” — “Ho capito, ma se io faccio un peccato?” Non farò un peccato grave, ma comunque dei peccati… “E se muoio — non so — a metà settembre? Becco la lebbra ad agosto e muoio a settembre?” — “Eh, niente, ti arrangi. Perché lui tornerà tra due o tre mesi”. 

E lui adesso dice cosa fa.

È ai piedi dell’altare che mi confesso spesso e cerco il sollievo alle pene interne.

Siccome sacerdoti non ce n’erano… Vedete? Riuscite a capire le assonanze tra lui e noi? Io non credo che ogni volta ve lo devo dire, perché siete intelligenti, le capite da soli, no? Ci sono delle assonanze pazzesche, incredibili.

È ai piedi dell’altare che mi confesso spesso

Adesso so già voi cosa direte: “Eh sì, però lui poteva andare ai piedi dell’altare”. Calma! Non corriamo, perché già mi immagino i commenti e i post di chi dice: “Eh sì, però lui aveva la cosa che poteva andare in chiesa quando voleva e stava lì ai piedi del tabernacolo”. Siate prudenti, perché non è finita la meditazione; impariamo anche quando facciamo i commenti ad aspettare il termine di un ciclo, prima di fare critiche o di fare osservazioni fuori luogo, perché prima bisogna aspettare il termine, sapere come finisce la storia, dopo allora si dice qualcosa. Che c’è qualcuno che fa un po’ogni tanto il leone da tastiera e parte. Grazie al cielo non sono tanti, anzi, rarissimi, però danno fastidio, soprattutto perché denota una grande ignoranza. Questa è la prima parte:

Primo: si confessa ogni tre mesi — due o tre mesi;

Secondo: l’unico conforto che ha è andare ai piedi dell’altare, dove si confessa davanti al Signore (non aveva altro, cosa poteva fare?) E cerca sollievo alle sue pene interne.

Vi anticipo solo questo: gli verrà tolto anche questo.

Non dico altro perché non voglio fare lo spoiler, vi anticipo solo questo: perderà anche questo, oltre a tutto il resto che gli accadrà. Quindi è veramente un punto di riferimento per tutti noi.

È davanti a Lui, e anche davanti alla statua di nostra santa Madre, che mormoro talvolta, chiedendo il mantenimento della salute. 

Cioè, capite? Si lamenta col Signore e chiede al Signore di mantenerlo sano. Non fosse altro che per servire gli altri. Dice: “Gesù non farmi ammalare! Non farmi prendere la lebbra! Non voglio morire di lebbra. Anche perché così potrò servire i miei fratelli come sacerdote”. Era l’unico sacerdote lì presente, questo è il punto, non c’erano altri sacerdoti, quindi morto lui…. Basta!

Attenti che uno dice: “Vabbè, ma cos’è che faceva questo in giro sull’isola? Magari prendeva il sole, boh, faceva il bagno al mare:

Mi occupo tuttora del mio doppio orfanotrofio di bambini lebbrosi che sono più di 40. — Senza genitori, senza niente, senza nessuno, avevano perso tutto — La metà di loro, molto avanti nella malattia, non aspetteranno molto ad andare in Cielo.  — Bambini! -— Viaggio di solito in auto per recarmi da una chiesa all’altra.

Adesso questo che leggo è per noi preti. Perché so che ci sono sacerdoti che ascoltano le meditazioni; questo che leggo adesso è per noi sacerdoti, quando facciamo i brontoloni: “Lo stress, non ce la fa faccio, sono oberato di pastorale, ho tante cose da fare, sono esaurito, e tutti questi impegni, e devo correre di qua e correre di là, non va bene, bisognerebbe insomma ridurre, diminuire…” Non so se è ancora in auge questo motto, ma io mi ricordo questo motto, che sentii un po’ di anni fa, non esprimo giudizi sul motto, però lo dico, perché sta bene con quello che adesso vi leggerò: “Meno messe, più Messa”. Questo è il motto: “Meno messe, più Messa”. Che vuol dire: celebriamo meno messe, ma celebriamole meglio. Quindi meglio una messa fatta bene, che tante magari a dover correre di qua e di là, che non vengono fatte bene. Ascoltiamo padre Damiano:

Alla domenica, celebro di solito due Messe, predico quattro volte e impartisco per due volte la benedizione del Santissimo Sacramento…

Questo vuol dire che doveva avere sull’isola presumibilmente due chiese. Io non lo so… ecco pensiamo a quando tornava a casa quest’uomo. Perché la domenica sera tornava pure a casa. Come!? E noi ci lamentiamo perché dobbiamo fare un po’ di confessioni, se le facciamo, quando le facciamo, piuttosto che dover celebrare la Messa oppure farne un’altra? “Due messe, quattro volte di predicazione e due volte la benedizione del Santissimo sacramento”, che non vuol dire che andava la, prendeva il Santissimo e faceva: “Vi benedico Padre, Figlio, Spirito Santo”… Vuol dire che c’era l’Adorazione e alla fine c’era la benedizione. Una volta le cose venivano fatte veramente proprio coi sacri crismi!

Quest’uomo passava la sua domenica nel servizio alla gente. Grazie al cielo ancora oggi ci sono santi sacerdoti — perché bisogna dirlo — che vivono proprio con l’esempio di padre Damiano; cioè pur non vivendo in una situazione estrema come la lebbra, però vivono un’attività pastorale veramente intensa; ci sono, bisogna riconoscerlo, bisogna dirlo, magari non fanno rumore, ma ci sono.

Ci sono parrocchie che hanno veramente dei santi sacerdoti che sono disponibilissimi. Che quando hai bisogno di confessarti ci sono, che per andare incontro alla gente magari arrivano in chiesa anche alle sei, alle cinque e mezza, e si mettono lì a confessare, così uno può passare, si confessa e poi va al lavoro. Ci sono anche i sacerdoti che celebrano messe prestissimo, per permettere a più persone possibili di poter andare alla Messa e poi a partire per il lavoro.

Certo, questo costa, perché è chiaro che la sera devo andare a letto presto, sennò dopo una settimana sono morto. E quindi devi rinunciare a una “vita sociale”: non puoi andare a letto a mezzanotte. Eh, non si può! Non puoi andare a mangia’ ‘a pizza, ‘a braciola, le costine, la salamella, non si può. Se il giorno dopo devi essere lì prestissimo a confessare e ad aprire la chiesa, a celebrare la Messa presto, per permettere a tutti che… è  chiaro che dici “Signori grazie, molto buona però la sangria ve la bevete voi, perché io devo andare a letto a dormire sennò domani mattina durante la Messa mi addormento”. Capite che poi la vita è molto concreta, è molto pratica da questo punto di vista. Se fai uno non puoi fare l’altro.

E mi fermo. Mi fermo perché per me è già tanto, scusatemi, forse voi siete abituati a un altro stile che magari anche in altre occasioni vi ho mostrato, di andare più veloce, di fare tanta lettura o comunque maggiore di questa, ma non riesco, scusate ma non riesco, mi devo fermare. So che sono quattro paginette, a me sembrano quattrocento, ma dopo un po’ mi devo fermare perché è talmente forte, talmente intensa questa lettura, è talmente pregnante, che non ce la faccio ad andare oltre, ho bisogno di fermarmi.

E vorrei chiedervi proprio di pregare gli uni per gli altri; imparare dall’esperienza di padre Damiano. Non stiamo a giudicare gli altri: non hanno fatto, non hanno detto, avrebbero potuto fare, però nessuno qua, nessuno là…ognuno guardi sé stesso. Impariamo da padre Damiano a rimettere ordine nella nostra vita e a sapere cosa dobbiamo fare, anche se ci costa tanto e ahimè, dovesse anche costarci la vita.

Questa capite è una cosa che mi tocca personalmente, mi tocca in modo diretto, perché adesso ovviamente, con tutte queste cose che vi sto leggendo, io è come se andassi retrospettivamente a guardare il passato: se tu sai che in quel luogo sono rinchiuse delle persone segregate che stanno morendo e sono iper infettive, che cosa fai, tu, sacerdote? Dici: “Eh, no, non posso, il rischio è troppo alto. Come faccio ad andare lì dentro?”. Ma intanto ci sono figli di Dio che stanno morendo, magari disperati, magari da soli, magari spaventati, abbandonati, in mezzo a sofferenze terribili. Non lo so, ecco io queste domande ce le ho dentro, sono sincero, le ho dentro di me.

Ecco perché vi chiedo: pregate tanto, pregate tanto, preghiamo tanto, per tutti noi, soprattutto per i sacerdoti. Perché seguire l’esempio di padre Damiano, con quello che tra poco ne verrà, dalla prossima volta, da domani entreremo ancora di più nel dramma di questo meraviglioso uomo di Dio e saremo noi davanti a lui a dire: “Boh!”.

Quindi pregate. Pregate tanto, preghiamo tanto, perché il Signore ci conceda la grazia enorme di saper anche perdere la nostra vita per la vita eterna degli altri: pronti al sacrificio della nostra vita. Come è facile dirlo. E quanto è difficile farlo… 

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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