Meditazione
Pubblichiamo l’audio della meditazione: “Comunione spirituale e comunione psichica” tratta dal testo “Vita comune” di Dietrich Bonhoeffer.
Giovedì 16 febbraio 2023
Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD
Ascolta la registrazione:
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VANGELO (Mc 8, 27-33)
In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti».
Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.
E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.
Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Testo della meditazione
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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!
Eccoci giunti a giovedì 16 febbraio 2023.
Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo ottavo del Vangelo di San Marco, versetti 27-33 .
Iniziamo oggi un nuovo capitolo che, credo, sarà molto bello per moltissimi di voi e sono certo che ne sapremo trarre grande profitto.
Il titolo è: “La giornata vissuta in solitudine“.
«A Te conviene la lode nel silenzio in Sion, o Dio» (Sal 65,2).
Sentite che cosa scrive.
Molti cercano la comunione per paura della solitudine. Non essendo più capaci di stare da soli, cercano di vivere tra gli altri. Ci sono anche dei cristiani, che non riuscendo da soli a risolvere i propri problemi, o essendosi trovati male soli con se stessi, sperano di trovare aiuto nella comunione con altri uomini.
Fermiamoci qui.
Avete letto che dalla primissima frase, dopo la citazione della Scrittura, Bonhoeffer tira un colpo centrale al problema: in pochissime parole tira la garza e mostra la piaga purulenta.
Questo capitolo e quello che diremo in proposito dovrebbero essere messi nel nostro esame di coscienza quotidiano, perché veramente tutto dipende da qui. È un tema che, di norma, non confessiamo mai perché non ci pensiamo mai, neanche ci passa nell’anticamera del cervello, neanche entra nella riflessione della nostra coscienza, è una cosa sulla quale neanche ci interroghiamo. Ci sono persone che non hanno mai verificato se stesse sulla questione della solitudine e delle compensazioni e quindi non le hanno mai confessate. Questo è un problema, non hanno mai chiesto il perdono di Dio su questo, dando per scontato che tanto… Ma vedrete che cosa verrà fuori da questo capitolo!
È un dato di fatto: molti cercano la comunione con gli altri, cercano le altre persone per paura della solitudine. Hanno paura di essere soli, hanno paura di stare soli e, siccome hanno paura di essere soli, cercano gli altri. Quindi, non cerco l’altro, come abbiamo visto in tutti i capitoli precedenti, per Gesù, in Gesù, con Gesù, a motivo di Gesù, ma cerco l’altro per sanare una paura: l’altro come via di fuga dalla mia solitudine. E se c’è questo, c’è un problema molto serio che va affrontato. Non è un problema irrisolvibile, ma è un problema: bisogna affrontarlo e chiamarlo con il suo nome, bisogna saperlo riconoscere.
Non essendo più capaci di stare da soli, cercano di vivere tra gli altri.
Siccome non so star da solo, allora cerco di stare con le altre persone. Uso lo stare con gli altri come via di soluzione al mio problema di solitudine: sono solo e allora cerco compagnia. “Ci sono anche dei cristiani, che non riuscendo da soli a risolvere i propri problemi” oppure stanno male con se stessi per le più svariate ragioni, che cosa fanno? Dicono: “Non riesco a risolvere i miei problemi, sto male con me stesso, mi sento solo e non riesco a gestire la mia solitudine, quindi cerco aiuto nella comunione con gli altri!”
Quindi mi iscrivo al Gruppo del Ricciolo d’Oro, vado a iscrivermi al gruppo del pallone, vado a iscrivermi al gruppo della Tombola, vado al bar a giocare alle carte, vado ad aiutare le persone che soffrono. Certo, uso anche la carità (che in questo caso è falsa) per sacralizzare, mascherandola, la mia incompiutezza non risolta. Vado a mascherare e sacralizzare la mia incapacità di gestire la solitudine con: “Ah, ma io vado a fare del bene agli altri; ah, ma io faccio la carità; vado a trovare il carcerato, gli anziani!”. Sì, ma perché lo fai? Se la ragione è perché sei solo o sola e, stando solo, ti viene la morte addosso, è un problema!
Per lo più ne restano delusi, e di conseguenza imputano alla comunità quella che è la loro vera colpa.
Noi abbiamo comunità cristiane e anche religiose, che, purtroppo, hanno al loro interno ben più di una persona che vive così: gli eterni delusi, gli eterni scontenti, gli eterni brontoloni, musoni; le facce proprio da “muro imbiancato”; quelli che hanno sempre da dire male; hanno sempre da fare critiche, che hanno da parlare male dei sacerdoti e di chi si è consacrato senza mai dire una parola di apprezzamento o di stima. Non sanno stare soli, hanno paura di stare soli perché la solitudine ti fa vedere quello che sei, porta a galla tutto quello che ti porti dentro; la solitudine è come la segatura con le lumache: ti strappa fuori tutta la bava che ti porti addosso. Quindi uno dice: “Io ho paura perché, se sto da solo, mi sento dentro tutti i miei fantasmi, tutti i miei irrisolti, le mie angosce, le mie ansie, tutti i miei peccati non detti. Mi vengono fuori tutti e questa cosa mi fa precipitare nel terrore. Tutti i miei sensi di colpa, le mie frustrazioni per il passato, viene fuori tutto!”
Nella solitudine del deserto viene fuori tutto: non a caso, i grandi monaci del deserto combattevano delle battaglie feroci con il diavolo (ricordate Sant’Antonio?) perché in quel luogo in cui fanno silenzio tutte le voci, vengono fuori le tue voci. Il silenzio delle voci esterne fa gorgogliare tutte le tue voci interne che, alle volte, sono molto pesanti.
Chi fa così non riesce a gestire la solitudine perché non la vuole. Quindi che cosa succede? Non vogliono essere condotti nel deserto come lo Spirito Santo ha fatto con Gesù e come Gesù ha fatto (perché lo Spirito Santo ti conduce verso la solitudine), allora cercano la compagnia degli uomini. Ma restano delusi perché Dio li aspetta in un punto e loro stanno in un altro, quindi non possono essere felici. Allora retano delusi e danno la colpa agli altri. Non ammettono: “Io sono deluso, la colpa è mia perché sto fuggendo il deserto dove lo Spirito Santo mi vuole condurre”. No!
Adesso arriva la Quaresima e uno, anzi molti dicono: “Io non so quale penitenza fare nel tempo di Quaresima, Padre mi aiuti!”.
Vuoi una penitenza? Entra nel deserto della solitudine dove lo Spirito Santo conduce, perché lo Spirito Santo conduce ciascuno di noi sempre dentro la solitudine. Quando entro nella solitudine, quando entro nel deserto (e la Quaresima deve essere un tempo di deserto), tutte le mie telefonate, i messaggini, i WhatsApp, i Facebook, tutte le mie navigazioni virtuali si fermano: si entra nel deserto!
Proprio dal Mercoledì delle Ceneri, anzi, io vi direi dalla Festa del Volto Santo, che è il cosiddetto “martedì grasso”, ci dovremmo predisporre per entrare nel deserto, condotti dallo Spirito Santo ed essere tentati dal diavolo. Se la trascorrete così, sarà una Quaresima tremenda, ma anche fascinosa, una Quaresima che non dimenticherete mai più.
Nel deserto, nella solitudine totale si vive secondo il programma “IME”. Ricordate da oggi questo motto che vi lascio: “IME” scrivetelo in verticale (ve lo dico in latino e poi ve lo traduco in italiano):
I Ingrediar totus
M Manebo solus
E Egrediar alius.
O così o niente: non facciamo i pagliacci!
Ingrediar totus – “Entrerò tutto”, cioè totalmente: devi entrare totalmente, proprio tutto, tutta la tua persona in questo deserto.
Inizia il mio deserto, io entro nel deserto. Non lascio fuori una gamba, un piede; non mi porto dentro il cellulare, la tv, il programma tale, la radio. No! Sei mamma, sei papà? Sei prete? Ancora di più! “Ho la pastorale da condurre, ho tante cose!”; no, no si può vivere il deserto anche se sei in mezzo a Piazza Duomo perché il deserto è uno status interiore, la solitudine è uno status interiore. San Carlo Borromeo diceva: “Stare con la gente con il cuore rivolto al Tabernacolo; stare al Tabernacolo con il cuore rivolto alla gente”. È uno status interiore, uno stato di raccoglimento costante, di distacco, di centratura di se stessi, dove si è presenti a se stessi nella Luce di Dio e non si perde tempo in chiacchiere inutili come poi vedremo.
Manebo solus – “Resterò da solo” (noi aggiungiamo: resterai solo per restare solo)
Egrediar alius – “Uscirai altro”, cioè diverso: ecco la Pasqua! Se avrai vissuto bene i primi due momenti, uscirai da questa Quaresima che sarai un altro uomo, garantito! Sarà durissima, pesantissima, il demonio te ne farà di tutti i colori, ma tu uscirai un altro uomo, un’altra donna. Questa Quaresima dobbiamo viverla così, assolutamente! Il Signore ci ha condotto qui per una ragione e credo che la ragione sia proprio questa; con queste riflessioni di Bonhoeffer abbiamo davvero gli elementi per vivere una santa Quaresima. E adesso bisogna fare un salto di qualità con la solitudine! È importantissimo!
La comunità cristiana non è un sanatorio dello spirito. Chi vi entra per fuggire da se stesso, la utilizza abusivamente per distrarsi con vani discorsi, per quanto camuffati da intenti religiosi. In effetti la sua ricerca non ha come oggetto la comunione, ma quell’effetto di stordimento che gli fa dimenticare per breve tempo la sua condizione di solitudine, e proprio per questo procura l’isolamento mortale dell’uomo. Il risultato di simili tentativi di guarigione è il dissolversi della parola e di ogni esperienza autentica, e in ultimo la rassegnazione e la morte spirituale.
Io mi segno queste frasi: in questo tempo di Quaresima io me le studio a memoria. Sono commosso da una capacità di sintesi e di penetrazione della realtà e della realtà spirituale di questa entità.
La comunità cristiana non è un sanatorio.
Quindi, come mi disse qualcuno una volta: “Le tue croste impara a grattartele altrove, non addosso agli altri”. Mi si è aperto un mondo!
Non trasformiamo la comunità cristiana in un sanatorio, appunto, dove io vado a trovare le mie cure, no! Non funziona così! Se entri e se stai in una comunità cristiana per fuggire da te stesso, ricorda che la comunità cristiana non è un luogo di fuga. Non si può stare nella comunità cristiana perché voglio fuggire da me stesso, perché ho paura di me stesso, perché non risolvo i miei problemi. No: tu prima risolvi i tuoi problemi, prima devi incontrare te stesso. Ecco perché bisogna andare nel deserto!
Vivere la Quaresima come tempo di deserto e di solitudine per ritornare, per uscire poi da quel deserto e da quell’esodo ed essere degno di far parte della comunità cristiana, perché non la incontro più come un fuggitivo, ma come un uomo capace di stare solo.
Chi non è capace di stare solo non è capace di stare neanche in compagnia: un uomo o una donna che non sono capaci di stare soli sarebbe bene che stessero ben lontani dal matrimonio perché il marito e la moglie sono il marito e la moglie, non tuo padre e tua madre! Ricordiamocelo: non trasformiamo la nostra moglie nella nostra mamma e non cerchiamo nella moglie e nel marito quello che solamente Dio ci può dare nel nostro cammino di solitudine.
Chi vi entra per fuggire da se stesso, la utilizza abusivamente per distrarsi con vani discorsi, per quanto camuffati da intenti religiosi.
Chi può negare che proprio nei nostri ambienti si facciano tanti discorsi vani e inutili? Sì, certo, sono discorsi religiosi, ma sono inutili, sono perdite di tempo terribili Pensate a quelli che stanno fuori dalla chiesa per ore, al freddo, per fare chiacchiere su chiacchiere dopo la Messa, a che cosa serve? Sono lì per la gloria di Dio? Sono lì per incontrare il Signore? No! Sono lì perché stanno fuggendo da se stessi, perché non vogliono ritornare nella loro casa che per loro è una bara, è una tomba!
Non è la fenditura nella rupe dove certi uccellini vanno a fare i nidi perché è un rifugio dagli sparvieri, dagli uccelli rapaci. Mi viene in mente una sorta di anatra che nidifica nelle fenditure della roccia, fanno così per nascondersi in modo che, quando arrivano gli sparvieri, i falchi che sono grossi, non riescono ad entrare.
Lo stesso fanno i miei pappagallini che sono molto intelligenti: io li vedo dalla mia finestra quando si nascondono dai corvi. Che cosa fanno? Vanno a fare il nido dentro le conifere che sono foltissime e piene di aghi, di rami. I pappagallini entrano diretti, attaccati al tronco e lì fanno il nido, così i corvi neanche riescono a mettere le zampe sui rami perché è come se andassero a sbattere contro un muro pieno di spine. Oppure ho visto che hanno fatto un nido dentro a un buco: c’è un buco nel muro ed entrano da lì, ma il corvo, che è ciccionissimo non riesce a entrare e loro sono al riparo.
Questa è la logica del vivere in solitudine, dell’essere in solitudine; che cosa dicevano i latini? “beata solitudo, o sola beatitudo” — “O beata solitudine, o sola beatitudine”. La mia casa, la mia vita come una fenditura nella roccia, come la ferita nel costato di Cristo nella quale mi nascondo, riposo, incontro Dio, sto “a tu per tu” con Dio e non perdo il tempo nelle chiacchiere inutili.
In effetti la sua ricerca non ha come oggetto la comunione
Cerco la comunità per la comunione che posso trovare e alimentare, ma che cosa cerco?
quell’effetto di stordimento che mi fa dimenticare per breve tempo la sua condizione di solitudine.
Invece di andare a ubriacarmi e drogarmi, mi drogo di parole; vado a divorare emozioni e sensazioni. Il gusto del chiacchiericcio, della “compagneria”, del parlare tanto per parlare, del buttare via il tempo così! Quindi mi stordisco di parole: c’è chi si stordisce di vino e c’è chi si stordisce di parole!
Ci sono persone che, al solo vederle arrivare, ti viene il sangue alla testa, ti viene il sudore ghiacciato nella schiena. Penso: “No, Signore, ti prego, ti prego!” e fuggo perché so già che, se si avvicina, inizia ad attaccarmi un bottone che non è più finita! Per dire un concetto usa cinquemila parole, e ti viene da dirgli: “Arriviamo al dunque!”.
Non sarà mai capace di vivere in comunità colui che non sa stare da solo, mai! Non sarà mai capace!
Stordimento, perché? Perché devo dimenticare di essere solo, ma, a motivo di questo comportamento “esteriorizzante” che cosa succede? Succede che io entro in un isolamento mortale: l’isolamento che io fuggo mi fa entrare nell’isolamento, che è terribile!
C’è una differenza sostanziale tra solitudine e isolamento: la solitudine è abitata, l’isolamento è morte, è tipico del cadavere. Il cadavere è isolato, mentre la solitudine è tipica degli uomini di Dio. È viva perché è abitata dalla presenza di Dio; nella solitudine c’è vita, nell’isolamento c’è morte. Ecco perché Bonhoeffer dice che è mortale: perché si muore.
Il risultato di simili tentativi di guarigione (quelli che abbiamo appena visto) è il dissolversi della parola
Il tuo parlare ha come prosciugato la fonte della parola e non hai più niente da dire di originale, autentico, vero, saggio, sapiente: ti sei prosciugato, ti si è prosciugata la fonte! La tua parola si dissolve, è inutile, è inflazionata, è nauseante; è una parola che esce da un cuore o da una vita che non sono capaci di stare soli. Io posso vivere solo, ma non essere capaci di stare solo: vivo come un isolato, non come uno solo.
Inoltre, si dissolve ogni esperienza autentica, non faccio più esperienze significative perché ho perso la bellezza della solitudine, quindi non sono più in grado di fare esperienze vere: faccio semplicemente esperienze banali. Queste persone sono veramente il sale insipido, sono sciape e, tra l’altro, insopportabili. Non c’è niente di autentico, non c’è neanche una esperienza da comunicare, c’è il niente, il vuoto!
e in ultimo la rassegnazione e la morte spirituale.
La condizione di chi vive così è terribile perché poi, alla fine, è come stare nelle sabbie mobili: più ti muovi, più affondi! Alla fine uno non riesce più ad uscirne, si rassegna e spiritualmente muore: non riesce più a trovare la possibilità di un incontro sincero con Dio, non riesce più a trovare la forza di stare solo con il Signore, non ce la fa. È una fuga continua, è un vivere all’esterno continuo, è una vita extra-corporea. Ma non è possibile: il cuore non può vivere fuori dal corpo. Sì, si fa la circolazione extra corporea, ma può durare un po’, poi basta, deve tornare al suo posto, se no si muore.
Ecco, questa è la situazione di chi fugge la solitudine e usa la comunità come luogo di fuga.
Bene, vi siete resi conto di quale sia il livello di profondità.
Non vi dico cosa dirà domani Bonhoeffer e quali saranno gli affondi. Ogni parola che ha scritto su questo tema è veramente un esame di coscienza ad ogni parola! Ecco perché vi consiglio di cuore di comprare il libro: è veramente un testo bellissimo, di grande spessore spirituale e teologico che non può fare altro che bene alla nostra vita spirituale.
Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.