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”Io sono di lassù“ (Gv 8,23)

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: «”Io sono di lassù“ (Gv 8,23)»
Martedì 28 marzo 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Gv 8, 21-30)

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire». Dicevano allora i Giudei: «Vuole forse uccidersi, dal momento che dice: “Dove vado io, voi non potete venire”?».
E diceva loro: «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati».
Gli dissero allora: «Tu, chi sei?». Gesù disse loro: «Proprio ciò che io vi dico. Molte cose ho da dire di voi, e da giudicare; ma colui che mi ha mandato è veritiero, e le cose che ho udito da lui, le dico al mondo». Non capirono che egli parlava loro del Padre.
Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite». A queste sue parole, molti credettero in lui.

Testo della meditazione

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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti martedì 28 marzo 2023. Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo ottavo di San Giovanni, versetti 21-30.

Questo capitolo ottavo di San Giovanni è quello che più volte vi ho citato in questi anni. È un capitolo secondo me molto importante, che dovremmo tutti meditare tanto e bene perché è veramente densissimo e ha degli spunti importantissimi per la nostra vita cristiana.

È forte questa espressione di Gesù:

“morirete nel vostro peccato”

e glielo dice una seconda volta:

“Morirete nei vostri peccati”

Poi dice:

“Dove vado io, voi non potete venire”

Ed è chiaro dove va Gesù: va al Padre, Gesù torna al Padre. Gesù entra nel regno eterno della Gerusalemme celeste dopo la sua morte e resurrezione e loro lì non ci possono andare perché, dice:

“Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nei vostri peccati”.

Perché non hanno fede in lui:

“non credete che Io Sono”

Anche i farisei hanno cercato Gesù, ma non per amarlo, non per servirlo, non per conoscerlo. Hanno cercato Gesù per curiosità, per provocazione, per ucciderlo. Non basta dire: “Io cerco il Signore”. Bisogna credere in Lui, questo è fondamentale. Senza l’atto di fede, senza il credere in Gesù, non abbiamo speranza di poter sconfiggere, vincere, liberarci dai nostri peccati. L’inizio del capitolo ottavo è proprio questo: “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”.

Eh sì, ma perché questo accada è necessario che ci sia questo atto di fede verso Gesù. E Gesù non è mai semplicemente Gesù; Gesù è sempre figlio, Gesù si descrive sempre come figlio, cioè Gesù si pensa, si annuncia, si descrive sempre in relazione al Padre, sempre.

Veramente ascoltando le parole di Gesù dobbiamo restare estasiati dall’unità che è presente nella Santissima Trinità. Questo è il nostro modello di unità. Che modello hai tu per portare l’unità nella tua famiglia? Che modello hai tu per portare l’unità all’interno delle tue amicizie? Qual è il tuo modello per portare l’unità nella Chiesa? È uno solo: la Santissima Trinità. 

Una medesima natura, tre persone: il nostro Dio è uno e trino. Il Padre non è il Figlio, il Figlio non è il Padre, lo Spirito Santo non è né il Padre né il Figlio. Ognuno ha la sua precisa identità, eppure noi diremmo: “Come fanno tre identità così diverse, Padre, Figlio e Spirito Santo, a essere uno?” Perché noi abbiamo l’ideologia che per vivere l’unità bisogna essere dei cloni. Ma è solo nell’affermazione della differenza che è possibile pensare ad un’unità.

Il mio corpo è uno, io ho un corpo. All’anagrafe non c’è Giorgio 1.0, Giorgio 2.0, Giorgio 3.0. Qualcuno dirà: “Grazie al cielo”. Sì, anch’io lo dico: “Grazie al cielo!”. C’è Giorgio, c’è un Giorgio solo. Ma io non sono un grande occhio, io non sono una grande mano, io non sono un grande piede, io non sono un grande naso, io sono: due occhi, un naso, una bocca, due mani, due braccia, due gambe. Il nostro corpo è diversità pura: se noi ragionassimo un pochino di più sul nostro corpo, capiremmo meglio queste cose.

Noi ce l’abbiamo scritta nella carne, nel sangue, la diversità: ogni millimetro del nostro corpo è diverso dal millimetro vicino. Eppure, è uno! E si muove con coordinazione, se è sano. Cioè le gambe, le braccia, la testa e gli occhi, la lingua e il naso, la bocca, tutti i sensi si muovono secondo un fine: voglio andare a mangiare il gelato, quindi tutte le mie membra, la mano, le gambe, le braccia, la testa, l’intelligenza, le orecchie, il naso, la bocca, si muovono per raggiungere quel fine. Non è che la mia mano rimane attaccata alla maniglia della porta, mentre l’altra cerca di andare avanti sennò sarebbe un problema. Tutto è uno.

Eppure… le nostre mani non sono uguali, non sono identiche, la mano sinistra non è uguale alla mano destra. Se voi guardate allo specchio i vostri occhi, non sono identici. Addirittura, ci sono quelli come un mio professore, che aveva un occhio grigio e un occhio azzurro, che uno dice: “A me sembra un husky!”. No, non è un husky, era un professore, però aveva un occhio grigio e un occhio azzurro. Una diversità incredibile, faceva quasi specie vederlo.

Se voi mettete le vostre mani una vicina all’altra, non sono identiche; le vostre orecchie sono uguali? No, non sono uguali: una è un po’ più a sventola, l’altra un po’ più dentro. C’è una diversità proprio radicale. Noi non siamo divisibili in modo simmetrico in due, le due metà non sono sovrapponibili. Perché uno ha una gamba un po’ più corta dell’altra, perché uno ha i piedi uno un po’ più lungo dell’altro. “Io quando vado a prendere le scarpe al destro faccio 37 e al sinistro 37 e mezzo, com’è possibile?” È così, è così, un ginocchio ce l’ho in un modo e l’altro è un pochino diverso, e via di seguito. C’è una diversità profonda, radicale. Il ventricolo destro è uguale al ventricolo sinistro? No, eppure fanno parte dello stesso cuore. Ciò che fa la parte destra è uguale a ciò che fa la parte sinistra? No, assolutamente. E le vene sono uguali alle arterie, no? Non sono uguali, e via di seguito.

Questa è la bellezza. La bellezza si scrive all’interno della differenza. L’uomo ha tentato nel corso del tempo di annullare la differenza, innanzitutto la differenza originaria tra sé stesso e il Creatore, ecco il peccato originale. Se voi ci pensate, non so se ci avete mai riflettuto, ma sicuramente sì. Quando parliamo del peccato originale, noi diciamo che il peccato originale è l’atto di disobbedienza a Dio, ma, a pensarci bene, uno dice: “Ma disobbedienza perché?” Beh, ci deve essere stata una ragione per cui attuare una disobbedienza così originaria, così radicale.

Una delle ragioni possibili a mio giudizio è questa — poi ci sono gli esegeti che avranno tratto mille altre ragioni — ma, una delle ragioni possibili potrebbe essere questa: l’annullamento della differenza. L’uomo che dice: “Perché devo essere diverso da Dio? Io voglio essere come Dio, annulliamo la differenza”. 

Oggi va molto di moda questo: annulliamo le differenze, non ci devono essere differenze. Provate a pensare quanto è attuale questo discorso: l’annullamento delle differenze. Tutto deve essere uguale. Ma la realtà ci dice che non è così. La tentazione che ha trovato spazio nell’uomo è stata proprio quella di annullare la differenza, innanzitutto con Dio. Non è possibile, ovviamente, perché Lui è il Creatore e noi siamo la creatura, ma la smania, la morbosità, questa voglia insaziabile di annullare le differenze è talmente radicale, è talmente radicata, è talmente potente, è talmente feroce, che fa fare le cose più assurde del mondo, come pensare di uguagliare Dio.

E se noi pensiamo al peccato di Lucifero: “Non serviam” cioè “Non servo”. Che cosa, chi non servo? “Non servo il progetto dell’Incarnazione del Verbo”. Che proprio è la differenza assoluta! Cioè lui pensa “È Dio, io sono l’angelo più bello, più alto, più luminoso, più tutto quello che volete, però lui è Dio”. E siccome Lucifero è intelligentissimo, sa bene che non può essere Dio, quindi non fa il peccato originale, però dice: “Ok, io servo il Signore Dio dell’universo e la Trinità, va tutto bene”. Ma non va più bene quando la Trinità decide il progetto dell’Incarnazione, in cui il Verbo — ossia Gesù — avrà in sé la natura umana e la natura divina, ossia la differenza più ineguagliabile possibile. Come posso tenere insieme due nature che sono radicalmente diverse, ontologicamente diverse? La natura umana, assolutamente segnata dalla mortalità, dalla fragilità, dalla debolezza e tutto quello che la riguarda e la natura di Dio. La prima è finita, la natura di Dio è infinita, onnipotente, onnisciente, onni- tutto. In Gesù ecco che vengono a trovarsi insieme. Lucifero dà fuori da matto, perché dice: “Ma scusate, cosa state dicendo? Ma che progetto è mai questo? Io non potrò mai accettare questa cosa! Come faccio ad accettare una differenza così radicale nella stessa medesima persona, che è il figlio di Dio? No, io questa cosa non la posso accettare. E in più, siccome Gesù porta in sé la natura divina, è Dio, io mi devo anche genuflettere, mi devo prostrare ad adorarlo perché Lui è Dio. Si, però è anche uomo e no, io non lo farò mai”. E quindi ecco che dice: “No. Non servo, non servirò mai”. E quindi si apre l’inferno.

Quindi capite che è un rifiuto della differenza. Ci sarebbe da fare un bel lavoro teologico su questo. È proprio il rifiuto radicale della differenza e noi giochiamo la nostra vita presente, ed eterna, proprio su questo campo di battaglia. 

Vogliamo abitare la differenza, vogliamo stare dentro a questa bellissima, affascinante tensione, vogliamo custodire questa differenza? Che è quello che il Creatore ha chiesto ad Adamo ed Eva, di custodire la differenza, di avere cura del giardino, della relazione con Lui, con il creatore, di passeggiare insieme. Non era un problema la differenza. “Chi ti ha fatto sapere che eri nudo?” chiede Dio “Chi ti ha mostrato la differenza, come qualcosa di cui aver paura, vergogna e nasconderti? Chi è stato? Io no. Io, Dio, no. Non ho mai avuto problemi con la tua differenza da me, nessun problema e non ti ho mai fatto sentire sbagliato. Non ho mai preteso che tu fossi una mia fotocopia”. Tu sei stato fatto a immagine e somiglianza di Dio, non un clone: immagine e somiglianza, è diverso.

“Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Chi ti ha fatto pesare la differenza? Chi te l’ha fatta percepire come frattura della relazione con me, tanto da nasconderti, metterti la foglia di fico e quant’altro? Perché ti stai nascondendo? Dove sei — vedete il Creatore che lo cerca — dove sei Adamo, dove sei finito, perché non ti vedo?” Ovviamente Dio lo vede, ma il concetto che deve passare è: perché tu non ti fai vedere, dove sei, perché improvvisamente sei diventato nascosto ai miei occhi? Hai cercato di saturare quella differenza? Non l’hai più custodita e l’hai voluta manipolare, hai voluto metterci sopra le mani. Questo è il risultato. La differenza non è colmabile: è questo il punto. Se la vuoi colmare muori, se tu non accetti di custodire la differenza, il tentativo di annullarla produce la morte, ecco il peccato originale, ecco la fuoriuscita dall’Eden, ecco Gesù che dice: “Morirete nel vostro peccato perché voi non accettate che Io sono. Voi non accettate che io sia il figlio di Dio. Voi non accettate che il Padre e io siamo una cosa sola quindi morirete nel vostro peccato”. Voi volete tutto uguale, invece Dio ha fatto tutto diverso. 

Non c’è un fiore del campo uguale all’altro, non c’è una bestiolina uguale all’altra, non c’è niente di identico ad altro. É tutto segnato da una meravigliosa diversità. 

E allora la tentazione dell’uomo qual è? In realtà sono due, ma sono la medesima e sono due facce della stessa medaglia. 

La prima faccia, la prima parte della tentazione l’abbiamo vista: annulliamo la differenza, essere come Dio, sarete come Dio, annulliamo la differenza. 

Seconda faccia della medaglia: se non posso veramente annullare la differenza, allora prendo la differenza e la rendo un assoluto. 

Vedete, quindi: o rendo un assoluto il tentativo di distruggere la differenza e affermare l’uguaglianza, “Diventerete come Dio”, quindi distruggo, voglio distruggere la differenza in nome di questo estremo, che è l’uguaglianza, oppure voglio distruggere la differenza, la voglio di fatto colmare, la voglio sanare, in che modo? Portando la differenza stessa alle estreme conseguenze, cioè all’autocombustione. Prendo la differenza e la faccio diventare un assoluto. 

Ditemi se non sono esattamente i due peccati radicali che oggi sono così tanto diffusi e di moda. Tutto “uguale a…” e tutto assolutamente diverso. Ecco i due peccati. 

Il cristiano è colui che non cade né nell’uno né nell’altro, ma custodisce la differenza. Non porta ad estrema conseguenza la differenza, facendo entrare un assoluto, così come non cerca di annullarla con l’uguaglianza. Sta lì, dov’è, nell’essere immagine e somiglianza di Dio. E custodisce questa differenza di cui è cosciente, assolutamente cosciente, è cosciente di essere una creatura, quando invece Dio è il creatore, ma non è un problema: “non voglio essere Dio, io voglio essere me. E la differenza tra me e Dio, è ciò che rende me bello, è ciò che mi rende unico”, quello che Adamo ed Eva non hanno capito e quello che non capiamo oggi, è che nella differenza custodita cosa ci sta? Ci sta l’unicità.

Di fatto, Adamo ed Eva hanno perso il loro essere unici. Se invece loro avessero custodito la differenza e non avessero voluto colmarla, dentro a questa differenza custodita rispetto al Creatore, pian pianino, avrebbero colto sempre di più la bellezza della loro unicità. Loro cedono alla tentazione del serpente antico, perché non hanno minimamente colto la preziosità del loro essere unici. Questo è il regalo che porta la differenza custodita. Ci porta questo dono prezioso: “Essere unico, essere irripetibile, essere insostituibile”, che è esattamente quello che oggi il mondo dice al contrario.

Quando il mondo dice: “Morto un papa, se ne fa un altro”, “Oh beh, nessuno è insostituibile, se non lo fai tu, lo farà qualcun altro”. Non è vero, nel piano di Dio non è così. Quello che non fai tu, non lo farà nessuno. Nessuno di noi è sostituibile, perché noi siamo i bulloni di un ingranaggio. Quello che non faccio io come prete, quello che non fa padre Giorgio Maria, non lo farà mai nessuno. E quello che faccio io, lo faccio io e non lo fa nessun altro. E lo posso fare solo io e lo devo fare solo io. E questo vale per ciascuno di voi, quello che non fa un papà di famiglia, non può farlo la mamma, non è possibile, e quello che non fa la mamma, non lo può fare il papà.

Vedete, Giovanni capitolo otto a me personalmente apre scrigni su scrigni di bellezza, perché qui io potrei andare avanti ancora ore a parlarvi di queste cose, ma ovviamente non è possibile, perché dovete andare a lavorare e poi brontolate — non è vero che brontolate, vi prendo in giro, non è vero che brontolate, non avete mai brontolato — però non posso tenervi qui troppo, perché il tempo fugge e tutti dovete andare. Tutti dobbiamo andare a fare i nostri doveri. Così io spero di avervi lasciato qualche suggestione, ecco, qualche piccolo frammento che possa così, come se fosse un fiammiferino che vi ho acceso e adesso ve lo do in mano e voi accendete un bel falò nella vostra mente, nel vostro cuore.

Cercate di portare avanti questi bellissimi ragionamenti che ci vengono offerti dalla Scrittura, perché Gesù è affascinante, vedete Gesù è grandioso, Gesù ci fa perdere dentro delle riflessioni che sono bellissime. E quindi noi oggi cosa diciamo a Gesù? Oggi dobbiamo dire questo a Gesù: “Gesù io non voglio essere di quaggiù, io non voglio essere di questo mondo”.

La differenza la sentite qua dentro, tutto il Vangelo è pieno di questa cosa, della differenza fondamentale, perché di fatto — questa ve la devo dire — la differenza, quand’è che si afferma in modo radicale e diventa sequela? Quando la differenza dice appartenenza, perché andiamo tutti dietro a Gesù, perché Gesù appartiene al Padre. È questa appartenenza al Padre che ci cattura anima e corpo e ci fa dire “Anch’io, anch’io, si, bellissimo, anch’io voglio questa cosa qui”. È l’appartenenza al Padre che ci seduce, che ci fa andare in estasi a pensare a Gesù, a dire: “Ma quanto è bello appartenere così a Dio Padre, quanto è bello essere uno col Padre come è stato Gesù”.

E quindi se la differenza dice appartenenza al Padre, la medesima differenza dice totale estraneità al mondo. Se apparteniamo al Padre siamo estranei al mondo. Siamo in questo mondo, ma come esuli, come rifugiati. Ci siamo come coloro che sono di un’altra patria e sono lì perché devono essere lì, ma puntano altrove.

E quindi noi vogliamo quest’appartenenza e quindi dobbiamo stare volentieri, coscientemente, nella differenza. Da che cosa? Dal mondo e da tutto ciò che non è l’appartenenza al Padre. Perché mentre nell’appartenenza al Padre la differenza è custodita, l’estraneità al mondo comporta una differenza che diventa proprio rottura, una frattura insanabile.

Non ci può essere nessuna comunione e questo Vangelo di oggi ce lo dice:

“Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo… morirete nei vostri peccati”

Questa frattura è una frattura insanabile, non può essere sanata.

Mentre la frattura, la differenza tra me creatura e mio Padre Creatore, è una frattura che è custodita, rimane frattura, rimane differenza, ma è custodita, è abitata, è accolta, è condivisa — perché il Padre condivide con me e io con il Padre perché è la frattura sana del mio essere creatura rispetto al suo essere Creatore — col mondo questa frattura non può e non deve essere condivisa. Non ci può essere nessuna condivisione, perché è una frattura che dice una radicale identità: quella mia di essere cristiano, figlio di Dio, e quindi che dice la mia totale appartenenza al Padre e al suo Regno; quindi, quella frattura lì non dobbiamo colmarla nel modo più assoluto, non dobbiamo custodirla, non c’è niente a custodire. Direte: “Eh ma anche la prima non dobbiamo colmare”. Si è vero, la dobbiamo custodire, la condividiamo. E invece questa qui no, non è da condividere con nessuno, non c’è niente da condividere, proprio nulla. Perché dice due appartenenze diverse, e Gesù nel capitolo otto lo dirà, alla fine, quando proprio glielo tirano fuori in tutti i modi, Gesù glielo dirà: “Voi avete per padre il diavolo”. Leggete questo capitolo otto, guardate che è fondamentale.

Vedete che quindi ci sono due paternità: Dio Padre e il diavolo. E Gesù glielo dice: “Il vostro padre è il diavolo, il mio padre è Dio Padre”. Quindi capite abbiamo due appartenenze che producono una frattura, che la guardi da una parte all’altra, che la guardi dal versante del diavolo verso Dio e la guardi da Dio verso il diavolo è una frattura che è incondivisibile, è insanabile, è inconciliabile. E deve rimanere così, perché nasce da un’appartenenza radicalmente, ontologicamente diversa.

E allora, entusiasmati da queste parole di Gesù, dobbiamo proprio dire a Gesù: “Io voglio appartenere al Padre, il mio Padre è uno solo ed è Dio Padre, e voglio appartenere al suo Regno, e voglio stare solo nel suo Regno, e voglio condividere la bellezza della Santissima Trinità”. Condividere nel mio piccolino, nel senso che sono una creatura, quindi quando sarò nella Gerusalemme celeste, condividerò quello che posso condividere, però sarà già tanto, sarà già tanto, sarà già bellissimo. Ecco, lo voglio condividere.

Vi chiedo scusa per i miei colpi di tosse, ma vabbè, penso che bisogna pagare anche un prezzo ogni tanto, perché sennò altrimenti è tutto tanto facile, è già tutto bellissimo, se poi diventa anche tutto facilissimo, eh, in cielo non si entra in carrozza, dice Santa Teresa, quindi io ho un poco, un pochino della mia tosse, voi invece la pazienza che avete di tollerarmi e insieme ci avviamo a questa radicale appartenenza.

Ecco perché allora faremo questo atto di amore, l’Atto di Offerta all’Amore Misericordioso il 16 di aprile a Maria Rosa Mistica, lo faremo proprio in questo senso: aumentiamo sempre di più la nostra appartenenza, diciamo sempre di più, sempre meglio, questo voler appartenere al Padre, a Dio Padre e questo non può fare altro che generare una gioia infinita nel Sacro Cuore di Gesù e nello Spirito Santo che tanto, tanto, tanto ci amano. 

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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