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I santi segni. Romano Guardini, parte 15

S. Messa

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: «I santi segni. Romano Guardini, parte 15»
Sabato 20 maggio 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Gv 16, 23-28)

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«In verità, in verità io vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena.
Queste cose ve le ho dette in modo velato, ma viene l’ora in cui non vi parlerò più in modo velato e apertamente vi parlerò del Padre. In quel giorno chiederete nel mio nome e non vi dico che pregherò il Padre per voi: il Padre stesso infatti vi ama, perché voi avete amato me e avete creduto che io sono uscito da Dio.
Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a sabato 20 maggio 2023. Oggi festeggiamo San Bernardino da Siena, sacerdote.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo sedicesimo del Vangelo di San Giovanni, versetti 23-28.

Continuiamo la nostra lettura del libro di Romano Guardini: I Santi Segni.

Oggi vediamo “Il cero”.

Scrive Guardini:

Come tutto è peculiare e caratteristico nell’anima nostra! Con tutte le cose del mondo succede allo spirito quello che capitò già al primo uomo quando Dio lo invitò a denominare gli animali: in nessuna parte trovò un compagno partecipe dello stesso suo essere. Dinanzi a ogni cosa l’anima sente: «Io sono diversa». Nessuna scienza del mondo le turba questa certezza e nessuna bassezza gliela spegne: 

«Io sono diversa da tutte le altre cose del mondo. Straniera a tutto, a Dio solo parente».

Sì, è vero che dovremmo percepire — speriamo che sia così per tutti — questa diversità radicale e anche questa lontananza, questa non appartenenza a tutte le cose, a tutto ciò che ci circonda, “straniera a tutto”. Che non vuol dire non avere relazione con le cose. Che non vuol dire non avere relazione con le persone. Ma vuol dire che dentro di noi sentiamo che c’è una radicale diversità e unicità della nostra anima rispetto a tutto. E che questa familiarità profonda, questa appartenenza è solo con Dio.

Eppure l’anima possiede d’altro canto una certa parentela con tutte le cose. Presso ogni cosa si sente in certo qual modo a casa sua. Tutto le parla, ogni figura, ogni movimento, ogni lineamento. Ed essa cerca senza posa di esprimere in esse il proprio intimo, di elevarle a simbolo della propria vita. Dovunque incontra una forte figura, vi sente espresso qualcosa del proprio essere, vi sente come un ricordo di se stessa. Non è forse così? Qui sta il fondamento di ogni somiglianza. Troppo intimamente estranea a tutte le cose, l’anima dice a ognuna di esse: «Io non sono questo». Ma d’altra parte essendo con tutto misteriosamente in parentela, essa sente cose e avvenimenti quali immagini del proprio essere. 

Quindi da una parte ci sono questa diversità, questa parentela, questa appartenenza — scrive Guardini — di fatto solo con Dio. Dall’altra c’è una parentela — diciamo così — con ciò che ci circonda nel senso che tutto ciò che ci circonda ci parla. È come se tutto fosse un possibile luogo d’incontro e di manifestazione tra noi e ciò che ci circonda. E quindi noi vediamo che, soprattutto dove incontro una figura forte, — scrive lui — l’anima sente come un ricordo, un richiamo, un’espressione di se stessa.

Quindi: “io non sono questo” per cui riconosco di non essere questa cosa, però questa cosa, per certi aspetti, in un certo senso, un po’ mi esprime; è un po’ un’immagine di qualcosa che porto in me. Spero di essere stato chiaro. Adesso lui lo spiega meglio.

Vi è una similitudine, bella ed efficace a preferenza di molte: il cero. Non ti dico nulla di nuovo; l’hai certamente sentito tu pure non una volta sola. Vedi com’esso sta sul candelabro.

Attenzione adesso:

Ampio e grave sta il piedistallo; sicuro si erge il fusto; e, saldamente stretto dal calice, dal piatto come ampio risalto, si drizza il cero. La sua figura leggermente si assottiglia, sempre però compatta per quanto in alto si spinga. Così essa sta nello spazio, snella, in una intatta purezza; eppure nel suo colore ha una calda accentuazione e si sottrae per la sua netta linea a ogni confusione. In alto è sospesa la fiamma e in essa il cero trasmuta il suo corpo immacolato, in luce calda e irraggiante. Non senti tu innanzi a essa il ridestarsi di qualcosa tutto nobile? Guarda come sta, salda e sicura al suo posto, drizzata verso l’alto, pura e dignitosa. Nota come tutto in essa proclami: «Io sono pronta!»; come essa stia dove merita stare, dinanzi a Dio. Nulla in essa fugge, nulla si sottrae: tutto è limpida prontezza. E si consuma nella sua vocazione, senza cessa, trasformandosi in luce e vampa. 

Tu dici forse: 

«Cosa ne sa il cero? Esso invero non possiede anima!». 

Così gliela dai tu! Fa’ che assurga a espressione della tua anima.

Il cero! Chi ci ha mai pensato? “Fa che assurga a espressione della tua anima”…

Ridesta dinanzi a esso ogni nobile prontezza: «Signore, sono qui!». Allora tu sentirai la sua figura snella e pura quale espressione del tuo proprio sentimento.

Ecco, vedete la parentela? Quindi, l’appartenenza a Dio, siamo estranei alle cose… Però notate, facendo riferimento al cero, lui dice appunto che puoi vedere in esso un’espressione della tua anima. Innanzitutto, questa nobile prontezza del dire: «Signore, sono qui!». Poi, nella sua figura snella e pura, l’espressione del tuo sentimento.

Irrobustisci tutta la tua prontezza fino a renderla adeguata fedeltà. Allora sentirai:

«Signore, in questo cero io sto dinanzi a Te!».

Vedete, bello quando prima ha detto: “E si consuma nella sua vocazione, senza posa, trasformandosi in luce e vampa”. 

Noi dobbiamo consumarci nella nostra vocazione. Innanzitutto, nella nostra vocazione alla Santità! Quindi ci dobbiamo proprio consumare, cioè vuol dire: dobbiamo realizzare, nel modo più fedele possibile, più bello possibile, la nostra vocazione alla corrispondenza all’amore di Dio. Quindi la vocazione alla Santità. 

E allora: «Signore, io sto dinanzi a te come il cero», il cero mi ricorda questo mio compito dello stare dinanzi a Dio. Qui possiamo vedere, immaginare, il cero Pasquale, però anche pensando al cero molto più piccolo, che è quello che arde acceso davanti al tabernacolo, quello rosso, che ovviamente è molto, molto più piccolo, però anche lì, in miniatura, possiamo vedere la stessa cosa: “Signore, io sono come quel cero. Voglio consumarmi qui dinanzi a te. E voglio consumarmi in questa vocazione”.

Non abbandonare la tua destinazione. Persistivi. Non chiedere di continuo intorno al perché e al dove.

Noi abbiamo un po’ questa abitudine di chiedere il perché, come, dove, quando.

Il senso più profondo della vita sta nel consumarsi in verità e amore per Dio, come il cero in luce e vampa.

Siccome noi siamo dei cercatori di senso, vogliamo capire, ma anche giustamente, vogliamo comprendere il senso delle cose che facciamo. E ci sono delle volte in cui alcuni aspetti della nostra vita appaiono senza senso, non riusciamo a trovare il senso. Pensate a certe situazioni di dolore, di sofferenza fisica o di sofferenza spirituale. Che uno dice: “Ma qual è il senso? Ma perché tutto questo? Dove mi vuole portare questa situazione?” Ecco, non dimentichiamo mai che il senso profondo della nostra vita sta proprio in questo consumarsi, come il cero: consumarci nella verità e nell’amore per Dio.

Quindi, vedete, finalmente siamo entrati in chiesa in questo percorso dei segni, e siamo lì davanti al tabernacolo a vedere il cero. E quando ci verrà il pensiero di dire: “Ma che senso ha tutto questo?”, la voglia di fuggire, la voglia di cercare il senso altrove, la voglia di fare qualcosa, la voglia di essere altro da quello che siamo, di fuggire da quello che siamo in questo momento, la voglia di cercare un perché, ecco non dimentichiamo mai che il nostro senso sta — il senso proprio della nostra vita — sta in questo consumarci in verità e amore per Dio: sta lì. Poi arriva un momento nel quale il cero si spegne, basta, si è totalmente consumato, fine, il suo compito si è concluso, è rimasto fedele alla sua vocazione. Ed è bello vedere un cero totalmente consumato. Uno lo guarda dentro e dice: “Mamma mia! È proprio prosciugato tutto!”, Esatto! Invece vedere un cero che si spegne a metà non è bello. Ecco allora il cero, da oggi, ci rimandi a tutto questo.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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